GP Imola 1987 l’incidente al Tamburello di Nelson Piquet

MEDICINA ONLINE NELSON PIQUE 1987 WILLIAMS HONDA TAMBURELLO CRASH ITALIA WIN WINNER RACE MARANELLO crash INCIDENTE IMOLA SAN MARINO GP GRAN PREMIO FORMULA 1 FERRARI FIRE FUOCO USTIONIIl Gran Premio di San Marino 1987 è stato il 438° Gran Premio di Formula 1 della storia, corso il 3 maggio 1987 sul tracciato di Imola, intitolato a Dino Ferrari. Fu la seconda gara del Campionato mondiale di Formula 1 1987. Nelle qualificazioni di sabato, agguantò la pole il grande Ayrton Senna su Lotus Honda col tempo di 1’25″826, secondo l’inglese Nigel Mansell su Williams Honda e terzo il francese Alain Prost su McLaren. In gara arrivò primo Nigel Mansell, secondo si classificò Ayrton Senna, terzo arrivò il nostro Michele Alboreto sulla Ferrari che partiva dalla sesta posizione.

L’incidente
Il GP di San Marino del 1987 viene ancora oggi da molti ricordato per l’incidente di Nelson Piquet su Williams Honda, capitato durante le prove libere del venerdì, alla tristemente famosa curva del Tamburello. Il brasiliano soffrì di una perdita d’aria ad uno pneumatico della sua Williams, che si concluse in un violento impatto contro le barriere. Benché a suo dire avesse solo un leggero dolore alla caviglia, Piquet fu trasportato al vicino ospedale di Bellaria-Igea Marina, e dopo i controlli medici gli fu proibito di prendere parte alla corsa, che infatti si svolse senza di lui.

Le gomme
Allarmata da un eccessivo effetto di blistering e dal fatto che l’incidente di Piquet fosse dovuto ad una perdita d’aria dello pneumatico, la Goodyear ritirò tutti gli pneumatici assegnati ai team. Una nuova serie di gomme venne fatta arrivare in volo e le nuove gomme furono disponibili per tutti i team la domenica di gara.

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Michele Alboreto e l’incidente al pit stop nel GP di Imola 1994

MEDICINA ONLINE GP IMOLA MICHELE ALBORETO PIT STOP MINARDI INCIDENTE FOTO DIED DEATH PICTURES ROSSI WALLPAPER MOTO GP GRAN PREMIO PILOTE MORT PICTURES HI RES PHOTO LOVE MEMORY REST IN PEACE RIP HEART CASCO TESTA TRAUMA.jpgGran Premio di Imola 1994, quello maledetto. Quello che tutti ricorderemo per Ayrton Senna che sopraggiunge alla curva del Tamburello, teatro in passato degli incidenti di Piquet e di Berger, e va dritto senza correggere minimamente la traiettoria sbattendo a 211 km/h contro il muretto di delimitazione della pista. Tutti sappiamo come è andata a finire, come tutti ci ricordiamo anche della morte di Roland Ratzenberger su Simtek Ford il giorno prima.

Ma non tutti forse si ricordano di quello che, a undici giri dall’epilogo, successe all’ex ferrarista Michele Alboreto con la sua Minardi. Entra ai box per effettuare rifornimento ed il cambio gomme. I regolamenti, al contrario di ora, non prevedono limiti di velocità da tenere nella pit lane e le vetture vi sfrecciano a circa 200 km/h a stretto contatto con i meccanici.

Alboreto entra nello stallo a lui riservato e riparte a velocità sostenuta a operazioni compiute. Innesta la seconda marcia, quando d’improvviso, a circa 150 km/h, a causa del mal funzionamento della pistola utilizzata per stringere i dadi delle gomme, il pneumatico posteriore destro si stacca dall’alloggio e balzella in aria falciando tre meccanici della Ferrari, uno della Lotus e uno della Benetton.

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Alboreto, con grande abilità, riesce a mantenere il controllo della vettura, nonostante si trovi a marciare su tre ruote, ed evita una strage per un soffio intraversando la proprio autovettura. Il pneumatico, intanto, passa sopra la testa del pilota milanese e attraversa la pista proprio mentre sta sopraggiungendo Damon Hill, il compagno di squadra di Ayrton Senna. Per poco l’inglese non centra in pieno la gomma (in una circostanza del genere, nel 2009, perderà la vita il giovane Henry Surtees impegnato nel campionato di Formula 2).

I box vengono inondati subito dai soccorritori, mentre i telecronisti restano ammutoliti e basiti. Non si è mai visto un week-end del genere negli ultimi anni. A terra ci sono altri cinque feriti con fratture agli arti e traumi vari. I commissari però non interrompono la corsa che prosegue imperterrita nonostante la grossa situazione di pericolo.

Alboreto, a fine corsa, si farà sentire protestando per la mancanza di un limite massimo di velocità da tenere nei box. La sua denuncia sarà ascoltata e dal successivo gran premio, a Monaco, sarà previsto un limite da rispettare per tutti i piloti, pena penalizzazioni.

Il gran premio finalmente volge al termine in un clima da tragedia. Sul podio non si festeggia la terza vittoria consecutiva di Michael Schumacher, né l’inaspettato secondo posto del ferrarista, sostituto di Jean Alesì, Nicola Larini al suo unico podio in carriera e, di fatto, al termine della sua esperienza in Formula 1 (correrà un pugno di gran premi tre anni dopo sulla Sauber).  Quel giorno non sarà mai dimenticato ed entrerà a far parte delle pagine più tragiche di questo meraviglioso sport.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Quali sono i 5 piloti italiani più forti di tutti i tempi?

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Riccardo Patrese al GP di San Marino nel 1990

Quali sono stati i piloti italiani più forti di tutti i tempi? Senza nulla togliere al grandissimo Fisichella, assente in questa classifica, ecco la nostra top five:

Nino Farina

Gli anni Cinquanta furono anni importantissimi per l’automobilismo italiano, segnati da grandi vittorie e anche grandi lutti. La prima generazione dei campioni che aveva combattuto nelle epiche sfide anteguerra, guidata da quel Tazio Nuvolari che scomparve per un ictus proprio nel 1953, aveva ceduto il posto a un gruppo di nuovi piloti, in parte cresciuti in quelle stesse gare – dalla Mille Miglia ai primi Gran Premi – e in parte emersa dopo la fine del conflitto. All’inaugurazione del Campionato mondiale di Formula 1, nel 1950, si presentava così una pattuglia di piloti italiani ben agguerrita: per l’Alfa Romeo correvano Giuseppe Farina, Luigi Fagioli, Piero Taruffi e Consalvo Sanesi, ai quali si deve aggiungere l’argentino, ma figlio di italiani, Juan Manuel Fangio, forse il più talentuoso pilota di tutti i tempi; per la Maserati c’era Franco Rol, per la Achille Varzi c’era Nello Pagani, per la Milano c’erano Felice Bonetto e Franco Comotti mentre Clemente Biondetti correva per conto proprio; infine, ovviamente, ai nastri di partenza c’era pure la Ferrari con Luigi Villoresi, Alberto Ascari e Dorino Serafini. Il campionato lo vinse Nino Farina, un pilota che aveva già 44 anni e una solida esperienza alle spalle: alla Mille Miglia era arrivato secondo nel ’36, nel ’37 e nel ’40, prima che la Seconda guerra mondiale bloccasse tutto, segnalandosi comunque in tutte le gare disponibili all’epoca. Con l’Alfa aveva un lungo e proficuo rapporto, rafforzato già all’esordio nel Mondiale grazie alla conquista, a Silverstone, della pole position, del Gran Premio e del giro più veloce della corsa; vinse poi anche in Svizzera e in Italia, diventando il primo campione del Mondo della categoria, davanti solo di tre punti al compagno di scuderia Fangio, che vinse lo stesso numero di Gran Premi ma fu costretto più spesso al ritiro (sorte che gli toccò anche nell’ultima gara, a Monza, quella decisiva). Farina corse anche nelle sei stagione successive, arrivando a concludere la sua carriera in Formula 1 a cinquant’anni suonati, incamerando ancora qualche vittoria e sfiorando nuovamente il titolo nel 1952, quando, passato alla Ferrari anche per il ritiro dell’Alfa, si piazzò dietro al dominatore assoluto di quegli anni, Alberto Ascari, del quale parleremo a breve. Il suo stile di guida era arrembante e sfacciato, espressione di un carattere altrettanto sfrontato che veniva messo in mostra anche dai rotocalchi dell’epoca, che sottolineavano la sua passione per le belle donne e il vezzo di correre con un sigaro cubano in bocca. Erano altri tempi, insomma, in cui il fascino personale del pilota superava di gran lunga la tecnologia delle automobili, ed in cui si rischiava veramente la vita ad ogni corsa. Una vita che comunque Farina avrebbe perso poco dopo il ritiro dalle corse: nel giugno del 1966, non ancora sessantenne, infatti prese a velocità troppo alta una curva nei pressi di Aiguebelle, in Francia, mentre si recava ad assistere al Gran Premio di Reims, finendo fuori strada e morendo a bordo della sua Ford Cortina Lotus.

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Alberto Ascari

Nato a Milano nel 1918, essendo figlio d’arte aveva esordito già negli anni Trenta guidando soprattutto motociclette, tanto che nel ’38 era già stato messo sotto contratto dalla Bianchi, decidendo poi due anni dopo di passare alle quattro ruote, esordendo nel 1940 nella Mille Miglia. Passò la guerra a riparare veicoli militari e a rifornire di benzina l’esercito italiano in nord Africa, ma nel 1947 – grazie soprattutto alle insistenze di Gigi Villoresi, amico e socio d’affari nonché suo futuro compagno di squadra in Formula 1 – decise di tornare alle corse accettando un contratto con la Maserati. Già sul finire del decennio era ritenuto il principale antagonista di Nino Farina, pilota più navigato e maturo, e quando il Mondiale prese il via nel 1950 aveva ormai firmato per la Ferrari, casa in forte ascesa anche se per il momento lontana dalla forza dell’Alfa Romeo, che con la sua Alfa 158 stava dominando le corse a ruote scoperte. Fu così solo a partire dal 1951 che il pilota milanese iniziò ad avvicinarsi agli alfisti, prima vincendo i Gran Premi al Nürburgring e a Monza, poi conquistando nel 1952 un titolo che ha qualcosa di leggendario: facilitato dal ritiro dell’Alfa Romeo e dall’infortunio a Fangio, che non disputò alcuna gara nel Mondiale, Ascari vinse tutte le gare alle quali partecipò tranne quella di Indianapolis (nella quale era comunque l’unico pilota non americano e fu costretto al ritiro), facendo registrare un record. L’anno dopo Fangio ritornò – anche se per la Maserati e non per l’Alfa, che continuava a non partecipare – e provò a dar battaglia, ma Ascari trionfò in quattro dei primi sei GP della stagione e mise la vittoria in tasca, confermando anche quello che era il suo tipico stile di guida che lo vedeva scattare subito in testa nei primi giri, imponendo un alto ritmo alla corsa, salvo poi gestire il vantaggio accumulato. Nel 1954, ormai appagato dei successi con la Ferrari, firmò per la Lancia, che era quasi un’esordiente nel settore corse: si impose subito nella Mille Miglia, mentre per quanto riguarda la Formula 1 fu dato inizialmente in prestito alla Maserati, con la quale però fu vittima di due rotture che lo portarono al ritiro; fu poi prestato – mentre la Lancia affinava la propria vettura – alla stessa Ferrari, ma anche qui, pur lottando per la prima posizione a Monza, fu costretto al ritiro; infine esordì con la stessa Lancia, finalmente pronta, nell’ultimo GP della stagione, facendo registrare il giro più veloce ma anche qui non arrivando al traguardo. Nel 1955, infine, tutto sembrava finalmente pronto per far tornare Ascari a lottare per il titolo, visto anche che in alcune gare extracampionato la Lancia si era comportata ottimamente; la stagione però si rivelò subito sfortunata, prima, a Monaco, con una terribile uscita di strada a causa di una macchia d’olio che portò la vettura addirittura ad inabissarsi in mare, poi con l’incidente che costò la vita al pilota: quattro giorni dopo Monte Carlo, infatti, Ascari decise di raggiungere Villoresi ed altri amici a Monza, dove stavano testando una nuova Ferrari, la stessa auto che Ascari chiese di provare e che, capovolgendosi, finì per schiacciarlo al terzo giro di pista, procurandone la morte sul colpo. La Lancia decise, subito dopo quella morte, di cedere tutto il suo materiale alla Ferrari e ritirarsi dalle corse.

Riccardo Patrese

Dopo i fasti degli anni Cinquanta, per i tifosi italiani arrivarono anni di magra. Le scuderie della nostra penisola si ridussero progressivamente, fino a rimanere in corsa solo Maserati e Ferrari, con la prima relegata comunque a posizioni di rincalzo; soprattutto, mancavano i piloti tricolori che potessero lottare per il titolo: dopo il 1960 l’unico italiano che si avvicinò alla vetta della classifica finale fu Lorenzo Bandini, che nel ’64 arrivò quarto dietro a tre piloti britannici, tanto è vero che molti si consolarono tifando per Clay Regazzoni, svizzero di lingua italiana, secondo al Mondiale del ’74, o per l’italoamericano Mario Andretti, terzo nel 1977 e campione del Mondo nel 1978. Qualcosa iniziò a cambiare nei primissimi anni ’80, quando nella classifica finale cominciarono a emergere tre giovani piloti italiani, Elio De Angelis, Riccardo Patrese e Michele Alboreto, con il primo che proprio nel 1980 riusciva a salire sul podio a Interlagos e il secondo faceva lo stesso a Long Beach. Ma partiamo da Patrese, che, più vecchio di qualche anno, aveva esordito prima degli altri in Formula 1: padovano, classe 1954, Patrese arrivò nella massima categoria nel 1977, ad appena ventitré anni, dopo un ottimo percorso che dai kart l’aveva portato alla Formula 3, dove si era diplomato campione europeo. Dotato di un forte temperamento, aveva una guida molto aggressiva e sfrontata, che gli attirò simpatie tra i tifosi ma anche antipatie tra i colleghi; qualche anno fa, a tal proposito, ha fatto il giro del mondo il video, registrato all’interno di una Honda Civic, in cui si vedevano le reazioni esterrefatte della moglie Francesca Accordi portata da lui in giro lungo un circuito, senza tanti riguardi per la paura di lei e per le promesse fatte in precedenza. In Formula 1 arrivò grazie alla Shadow, team statunitense da poco attivo nella categoria da una costola del quale sarebbe nata poi la Arrows, seconda scuderia dello stesso Patrese. Proprio nella sua seconda stagione iniziarono ad arrivare i primi risultati, con un secondo posto in Svezia e un quarto a Montreal; dopo altri tre podi, la prima vittoria in un GP arrivò nel 1982 con il passaggio alla Brabham, quando sembrava finalmente arrivato l’anno giusto per il pilota padovano visto che vinse anche l’importante Gran Premio di Monaco (in una gara caratterizzata da numerosi ritiri a causa della pioggia) e si piazzò pure secondo in Canada e terzo negli Stati Uniti. Si trovò così a metà stagione in buona posizione in classifica generale, salvo poi incappare in una serie di ritiri che lo riportarono distante dalla vetta. Una seconda vittoria la ottenne l’anno successivo in Sudafrica, mentre ben poco fortunato fu il momentaneo passaggio all’Alfa Romeo nel 1984 e 1985. La sorte cominciò finalmente a girare solo nel 1989, quando era ormai un veterano dei Gran Premi con più di dieci anni di esperienza alle spalle: la Williams, che l’aveva messo sotto contratto l’anno prima, trovò finalmente l’assetto giusto grazie al motore Renault e, dopo le poco proficue prime tre gare, proiettò il padovano in lotta per il titolo con quattro podi consecutivi e cinque in sei gare; purtroppo per l’italiano, però, il Mondiale si rivelò presto una gara a due tra Prost e Senna, entrambi alla McLaren Honda, col secondo più vincente ma il primo più continuo e campione alla fine della stagione. Patrese ci riprovò comunque di nuovo nel 1991 e nel 1992, ormai quasi quarantenne: nel primo caso vinse due Gran Premi ma non riuscì a tenere testa allo strapotere di Senna, piazzandosi terzo dietro al compagno di scuderia Mansell; l’anno dopo, con la McLaren in calo e la crescita non ancora completa della Benetton, la Williams finalmente ebbe l’occasione di vincere, ma tutte le innovazioni vennero date prima a Mansell, di fatto la prima guida, e Patrese non andò oltre il titolo di vicecampione del Mondo. L’ultima annata prima del ritiro, corsa con la Benetton, lo vide infine chiudere al quinto posto assoluto.

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Elio De Angelis

Meno fortunata rispetto a quella di Patrese fu la carriera del quasi coetaneo Elio De Angelis, nato a Roma nel 1958 e purtroppo scomparso prima di poter raggiungere il traguardo dei trent’anni. Il suo percorso fu però, almeno all’inizio, simile a quello del compatriota di cui abbiamo appena finito di parlare: dopo essersi fatto le ossa nelle competizioni minori e aver conquistato nel 1977 il titolo di campione nazionale di Formula 3, approdò in Formula 1 sempre grazie alla Shadow, costantemente alla ricerca di nuovi talenti da lanciare nel panorama dell’automobilismo mondiale; già dal suo primo anno mise in mostra promettenti qualità, passando poi nel 1980 alla Lotus e ottenendo il suo primo podio in Brasile, alla seconda gara con la nuova scuderia. I primi anni alla casa britannica – con l’eccezione dell’annata nera 1983, in cui riuscì a concludere solo due GP – furono caratterizzati da buoni piazzamenti, coronati dalla vittoria del Gran Premio d’Austria nel 1982 (in un fotofinish memorabile con il finlandese Keke Rosberg, all’interno di una gara comunque caratterizzata da molti ritiri); ma dal 1984 De Angelis sembrò in grado di poter correre per le prime posizioni, visto che era maturato lui come pilota ed era cresciuta anche la sua vettura. Il 1984 infatti partì molto bene, col pilota italiano capace di conquistare subito la pole position nella prima prova in Brasile, poi conclusa al terzo posto; fino a metà campionato De Angelis continuò ad accumulare punti, salendo sul podio anche a Imola e nei due GP statunitensi di Detroit e Dallas, ma nella seconda parte della stagione la superiorità tecnica della McLaren emerse in maniera indiscutibile, soprattutto per la capacità dei tecnici della Porsche di gestire meglio le limitazioni al carburante imposte da regolamento in quella stagione. De Angelis concluse comunque terzo assoluto, anche se molto staccato da Lauda e Prost, che si contesero il titolo fino all’ultimo giro dell’ultima corsa. L’anno dopo l’inizio fu ancora incoraggiante, con la vittoria a Imola, tanti piazzamenti tra i primi cinque e un momentaneo primo posto nella classifica generale, ma lo strapotere di Prost e della sua McLaren furono ancora una volta troppo netti per tutti. Nel 1986 De Angelis cambiò quindi scuderia, passando alla Brabham, dove trovò anche Patrese; la macchina però non riuscì ad ingranare e non si dimostrò nemmeno troppo sicura: durante una sessione di prove private a Marsiglia infatti si staccò l’alettone posteriore dell’auto, facendo cappottare più volte l’auto, che prese pure fuoco: gli insufficienti mezzi di soccorso e l’arrivo tardivo dell’elicottero condannarono De Angelis a non salvarsi. La sua morte fece scalpore e destò commozione, oltre a spingere i piloti a minacciare la FIA di sciopero se non si fossero migliorate immediatamente le condizioni di sicurezza delle piste e delle prove. De Angelis, assieme al Michele Alboreto di cui parleremo subito, era in quel momento la miglior promessa dell’automobilismo italiano, come non se ne vedevano da anni.

Michele Alboreto

Coetaneo di De Angelis era anche l’altra grande promessa della Formula 1 di quegli anni, quel Michele Alboreto che fu l’ultimo pilota italiano a vincere una gara di Formula 1 a bordo di una Ferrari, e quello che andò più vicino a un titolo di Campione del Mondo che manca ai nostri concittadini dai tempi proprio di Ascari, il pilota a cui più spesso Alboreto è stato paragonato per stile di guida. Nato a Milano nel 1956, aveva seguito un cursus honorum simile a quello di Patrese e De Angelis, passando dalle formule minori – ma anche correndo in endurance, a volte in coppia proprio con Patrese – prima di approdare nella categoria principale nel 1981 grazie alla Tyrrell, che comunque non passava un buon momento. Già dal 1982, comunque, cominciò a mettersi in mostra, soprattutto nell’ultima gara di Las Vegas, in un circuito a lui congeniale che gli permise di ottenere il terzo posto in qualifica e poi superare Prost durante la corsa, aggiudicandosi la gara; il buon risultato fu poi ripetuto anche l’anno seguente, quando Alboreto portò la sua Tyrrell a vincere a Detroit, approfittando del ritiro di Arnoux e di una tattica di gara molto accorta. Questi buoni risultati conquistati a 26 e 27 anni d’età gli permisero di stuzzicare l’interesse della Ferrari: fu ingaggiato nel 1984, ma la prima stagione – nonostante la vittoria con pole in Belgio e i due secondi posti a Monza e al Nürburgring – fu nel complesso deludente, con la McLaren dominatrice e Alboreto superato alla fine in classifica generale anche da De Angelis, alla guida della Lotus. L’anno giusto sarebbe dovuto essere, però, il 1985, visto che la Ferrari sembrava in grado di colmare il gap rispetto alla casa automobilistica rivale: la partenza del campionato fu infatti incoraggiante, con Alboreto vincente in Canada e soprattutto sul podio in otto delle prime dieci gare, tanto da diventare il primo pilota italiano a guidare la classifica generale dai tempi del 1958. Anche la seconda parte di stagione si aprì benissimo, con una vittoria in Germania ottenuta rimontando addirittura dall’ottavo posto, ma quello fu probabilmente il canto del cigno del pilota italiano e della sua Ferrari: nella quintultima prova, a Monza, chiuse solo tredicesimo e nelle ultime quattro gare dovette sempre ritirarsi a causa dell’introduzione di un nuovo motore non affidabile quanto il precedente, lasciando di fatto via libera a Prost, che andò a conquistare il titolo. Le tre stagioni successive, tutte affrontate alla guida della Ferrari, furono deludenti soprattutto per problemi di prestazione della monoposto, che non riuscì a risultare competitiva, tanto è vero che la casa di Maranello scese spesso e volentieri al quarto posto nel Mondiale costruttori, sopravanzata da Williams, McLaren e Lotus. L’addio con la Ferrari si consumò così nel 1988, con Alboreto costretto a trovarsi una nuova squadra e a firmare prima per la Tyrrell e poi per la Arrows, con vetture che però non erano per nulla competitive e non gli permettevano di correre neppure per la zona punti. Ritiratosi nel 1994 – dopo due stagioni incolori alla Scuderia Italia e alla Minardi -, si spostò a correre gare a ruote coperte, sia nel campionato DTM che in altre manifestazioni prestigiose come la 24 Ore di Le Mans; fu proprio mentre si preparava a una nuova edizione di quella corsa, nel 2001, che morì mentre stava effettuando dei collaudi sulla sua Audi a causa di un pneumatico forato e di un successivo schianto con capovolgimento della vettura, a tal proposito: L’incidente e la morte del grande Michele Alboreto

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GP Imola 1989: l’auto di Gerhard Berger va a fuoco nell’incidente al Tamburello

MEDICINA ONLINE Gerhard Berger's crash at Tamburello INCIDENTE IMOLA SAN MARINO GP GRAN PREMIO FORMULA 1 1989 FERRARI FIRE FUOCO USTIONI.jpgIl Gran Premio di San Marino 1989 fu la seconda gara della stagione 1989, disputata il 23 aprile sul Circuito di Imola; venne vinto dal grande Ayrton Senna su McLaren Honda che partiva dalla pole, seguito dal compagno di squadra Alain Prost, che in griglia partiva da secondo, e dall’italiano Alessandro Nannini su Benetton Ford Cosworth che partiva col settimo tempo di qualifica. Nigel Mansell sulla Ferrari, che partiva terzo, si ritirò al 23 giro per problemi al cambio.

Quel GP però viene da molti ricordato per il terribile – e letteralmente pirotecnico – incidente capitato all’altro ferrarista, l’austriaco Gerhard Berger, alla tristemente nota curva Tamburello: a causa di un cedimento meccanico la sua Ferrari finì a muro a 290 km/h e prese drammaticamente fuoco facendo presagire il peggio.

L’incidente ed i soccorsi

L’austriaco partiva col quinto tempo di qualifica e sembrava lo aspettasse una bella gara, ma all’inizio del quarto giro di gara, mentre si trova in quarta posizione dietro all’italiano Riccardo Patrese (partito in quarta posizione con la Williams Renault) la 640 di Berger perde improvvisamente l’alettone anteriore. La sua vettura, diventata incontrollabile, si schianta contro il muro esterno del Tamburello, con una dinamica molto simile a quella del tragico incidente di Senna che avverrà cinque anni dopo, il primo maggio 1994. La Ferrari prende fuoco quasi immediatamente: il radiatore ha sfondato i serbatoi disposti lateralmente. Le efficienti squadre antincendio composte dagli eroici “Leoni” della CEA intervengono con le Alfa 75 rosse in meno di 15″ salvando la vita al pilota austriaco. 15 secondi che sembrarono un’eternità a quanti assistevano alla corsa, tra cui il sottoscritto, perché si vedeva un’auto completamente avvolta dalle fiamme e nessuna reazione da parte del pilota. Berger resta esposto alle fiamme per 23″ in tutto e dopo 30″ arrivano anche i soccorsi medici. In totale alla squadra CEA bastarono appena 8 secondi circa per spegnere l’incendio ed aiutare l’austriaco ad uscire dalla vettura: ancora oggi, a distanza di anni, quell’episodio è universalmente riconosciuto come esempio di grandissima efficienza da parte degli uomini della sicurezza di un GP.

La gara sospesa

La gara fu sospesa e si decise di organizzare una nuova procedura di partenza, disputando poi altri 55 giri oltre ai 3 già percorsi e stilando la classifica finale in base ai risultati complessivi. Per la cronaca, al secondo via Prost scattò meglio del compagno di squadra, ma questi lo sopravanzò alla Tosa, nonostante i due avessero stabilito di non superarsi tra loro in quella curva nel corso del primo passaggio: a fine gara il francese criticò aspramente Senna per la manovra, che diede inizio ad un’aperta rivalità tra i due. Il brasiliano condusse senza problemi fino al traguardo, precedendo il suo compagno di squadra; Nannini approfittò dei ritiri di Mansell e Patrese per conquistare il terzo gradino del podio, mentre i piazzamenti a punti andarono a Boutsen, Warwick e Palmer.

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MEDICINA ONLINE Gerhard Berger's crash at Tamburello INCIDENTE IMOLA SAN MARINO GP GRAN PREMIO FORMULA 1 1989 FERRARI FIRE FUOCO USTIONIConseguenze sul pilota e le indagini di Maranello

Gerard Berger, a causa della frattura a una costa e alla scapola ma soprattutto per le ustioni alle mani, dovrà saltare la gara di Montecarlo. Per la sua sostituzione in vista del GP del Messico del 28 maggio si preparava Larini ma Berger riuscirà a recuperare quasi miracolosamente e tornerà in pista in tempi record all’Autodromo Hermanos Rodriguez di Città del Messico, appena un mese e cinque giorni dopo l’incidente.
Per una settimana alla Ferrari avevano cercato inutilmente il pezzo di musetto che si era staccato dalla vettura. Approfittando della confusione un tifoso lo aveva sottratto ai commissari ma poi aveva anche provveduto a inviare la documentazione fotografica del reperto, la quale confermava il cedimento strutturale di questo particolare, probabilmente dovuto a microfratture delle fibre di carbonio, causate forse da alcune uscite di pista del pilota austriaco durante le prove. Si sarebbe rotto dapprima lo spoiler anteriore sinistro e in un secondo momento il musetto. In seguito questo punto critico verrà adeguatamente irrobustito. L’incendio successe anche perché all’epoca si ammettevano serbatoi di carburante anche esterni, che però da quell’incidente in poi furono vietati dal regolamento.

Il ritorno in pista ed il resto della stagione

Dopo aver saltato solo il successivo Gran Premio a Montecarlo, come già prima accennato Berger si ripresentò al Gran Premio del Messico, ma il prosieguo della stagione fu caratterizzato da continui ritiri, complici le innumerevoli rotture del cambio semi-automatico. A luglio, intanto, venne ufficializzato il passaggio del pilota alla McLaren nel 1990, con un contratto triennale dal valore superiore ai trenta milioni di dollari. Durante la stagione l’austriaco ebbe anche modo di protestare contro la sua scuderia, accusandola di privilegiare il suo compagno di squadra. Solo al Gran Premio d’Italia poi Berger riuscì a realizzare i primi punti con un secondo posto, vincendo poi la successiva gara in Portogallo e concludendo ancora secondo in Spagna. Terminò la stagione con 21 punti, in settima posizione.

Impossibile spostare la curva

Alcuni anni fa il pilota austriaco ha raccontato un aneddoto riguardante le settimane seguenti al suo incidente della curva del Tamburello nel 1989.

Dopo il mio incidente con la Ferrari, che avvenne proprio al Tamburello, Ayrton mi chiamò e decidemmo di andare a fare un sopralluogo in quella curva, per vedere se poteva essere modificata data la sua pericolosità. Nel corso dei test successivi alla mia dimissione dall’ospedale andammo insieme a vedere il Tamburello, ma constatammo che sarebbe stato impossibile spostare la curva, perché a pochi metri dal muro scorreva il fiume Santerno. Allora non pensammo di proporre una chicane, che invece oggi ha sostituito il vecchio layout della pista. Oggi però siamo qui a ricordare Ayrton. Ricordiamolo sempre“.

I due incidenti (di Berger e di Senna) sono effettivamente simili. L’austriaco però ebbe la fortuna di uscire in un punto dove il muro seguiva la stessa piega della pista: in questo modo la vettura andò a sbattere quasi lateralmente. Nel 1994 Ayrton Senna andò purtroppo fuori strada più avanti, poco dopo la “divisione” del muro: in quel punto la protezione era più “dritta” e la Williams picchió più frontalmente. Con le conseguenze che sappiamo. La differenza tra la vita e la morte – specie per un pilota di F1 – a volte è una questione di pochi centimetri.

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Alain Prost, il professore: freddo, analitico ed intelligente

MEDICINA ONLINE ALAIN PROST WIN WINNER RACE MARANELLO PROFESSORE crash Tamburello INCIDENTE IMOLA SAN MARINO GP GRAN PREMIO FORMULA 1 1989 FERRARI FIRE FUOCO USTIONIAdesso che ha superato i 60 anni e fa da team manager al figlio Nicholas, oltre che ambasciatore per Renault in F.1 e nello sport, Alain Prost si è addolcito come mai lo è stato in passato. Pilota freddo, anche se mangiava unghie con una voracità che Jean Todt se la sognava, analitico e intelligentissimo. Un genio che ha vinto “solo” 4 mondiali e avrebbe potuto fare di più. Prima ancora di Schumacher, per intenderci, molto prima di un Vettel. Sulla sua capacità visiva avrebbero potuto scriverci un trattato medico. Alain Prost era uno dei pochi piloti quasi insensibili alla luce del sole. Per vederlo correre con una visiera scura, le condizioni ambientali dovevano essere davvero eccezionali. Non che Alain fosse un alieno, solo che una visiera scura toglie parte della visibilità agli strumenti di bordo e un colpo d’occhio, a oltre 300 all’ora, può fare la differenza. Per questo, potendo farne a meno, Prost preferiva le visiere trasparenti, con solo un filo di nastro adesivo di qualche centimetro applicato sulla parte alta, tanto per impedire al sole di accecarlo in maniera diretta. Ma non finiva qua.

Alain Prost, detto anche il professore, aveva altre piccole manie, come quella di capire quanto perdeva nel leggere gli strumenti di bordo. Il contagiri, per esempio. Analizzando la telemetria, Prost aveva scoperto, infatti, che ad ogni sguardo al contagiri, il piede si alzava in maniera impercettibiledall’acceleratore, perdendo anche 200-300 giri di rotazione. Quando le differenze sono ridotte al minimo, quei 200 giri potevano significare la riuscita di un sorpasso andato a buon fine o una manovra rimandata.

Un’altra mania del “professore” erano i guanti. Dovevano essere consunti, quasi laceri e l’impugnatura sul volante avveniva coi polpastrelli arpionati nella corona. Serviva per la sensibilità di guida, specie sul bagnato. Eppure, a sentire Ayrton Senna, il bagnato non era proprio il pezzo forte di Alain Prost, al punto che in privato, ma anche con la stampa brasiliana, Senna lo chiamava “O cauteloso”, il prudente. In principio non era così. La cautela di Prost sul bagnato ha una origine certa e una data ben precisa. Avviene durante le qualifiche del GP di Germania del 1982, quando la sua Renault fu tamponata violentemente dalla Ferrari di Didier Pironi. Alain sta facendo la sua traiettoria, non ha rallentato, ma all’improvviso sente un forte colpo dietro e vede la sagoma rossa della Ferrari passargli sopra. Vede la vettura disintegrarsi, roteare per aria e riatterrare con la parte anteriore devastata.

E quando vede le condizioni di Didier Pironi, Prost capisce che sul bagnato, quel tipo di incidente, può accadere a chiunque. Da qui, sull’ asfalto troppo scivoloso, Prost cambia stile e filosofia di pilotaggio. Quando arriva alla Ferrari, alla fine del 1989, ha appena vinto il suo terzo titolo mondiale. A Suzuka è andata in scena una delle battaglie epiche della storia della F.1 e l’astuzia di Alain ha beffato la grinta di Senna: il brasiliano lo ha affiancato alla staccata della chicane e Prost ha chiuso la traiettoria, bloccando in un abbraccio le due monoposto. Alain è sceso e se ne è andato. Senna ha ripreso, facendosi spingere dai commissari. Per questo verrà squalificato e il Titolo andrà matematicamente a Prost. Senna non accetterà mai quella manovra e alla prima occasione, renderà a Prost lo sgarbo. Quando Alain arriva alla Ferrari trova Nigel Mansell, un pilota tutto cuore e piede pesante, non un politico sopraffino. Prost si guarda attorno, cerca di capire come funzionano gli equilibri interni ma nella sua mente comincia a farsi largo una idea: quando lascerà le corse, vorrà una squadra tutta sua.

E per questo comincia a studiare da team manager. Sarà il suo errore fatale a Maranello. Oltre che fare il pilota, stava anche cercando di gestire la squadra: troppe cose anche per un campione del suo calibro. Eppure il 1990 era cominciato nel migliore dei modi. Dopo il ritiro nella gara iniziale a Phoenix, inBrasile Prost vince beffando Ayrton Senna. Il brasiliano sta conducendo la gara senza problemi. Sulla pista di casa vuole umiliare Prost che lo ha derubato, secondo l’opinione del brasiliano, del titolo mondiale. La voglia di strafare è tanta e nel doppiaggio di Nakajima, Senna tocca la Tyrrell del giapponese, rovinando l’ala anteriore. Con la sosta ai box Ayrton perde anche il comando della gara, che finisce proprio a Prost che va a vincere con Senna che sale sul terzo gradino del podio. Gli sguardi fra i due la dicono lunga su cosa provi l’uno nei confronti dell’altro. Intanto le gare successive sono interlocutorie. Per tornare al successo, infatti, Prost dovrà aspettare ancora tre gare. A Imola finisce quarto, a Montecarlo si ritira, ma in Messico infila la prima di tre vittorie consecutive che lo porteranno in testa alla classifica iridata.

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In Messico Senna capisce che il rivale ha un vantaggio tecnico e in qualifica ci dà dentro, finendo però per ribaltarsi in malo modo alla curva Peraltada. Non avrà problemi fisici, ma si capisce che il week end comincia in salita. Alla Ferrari, invece, Prost non ha nessun problema a controllare il compagno di squadra Nigel Mansell, che non va oltre il secondo posto messicano e infila poi una serie di ritiri. In Francia Prost vince un GP nelle ultime battute. In testa alla corsa c’è la sorprendente Leyton House di Ivan Capelli ma, a pochi giri dalla fine, il milanese è costretto a rallentare il ritmo perché il mancato pescaggio della benzina fa perdere colpi al motore. Prost vince la seconda gara consecutiva, Capelli al secondo posto toglie punti preziosi a Senna che si accontenta della terza piazza. La tripletta di Prost si compie a Silverstone. Mansell fa la pole, ma spreca l’occasione rompendo un semiasse dopo la sosta ai box. Alain Prost invece non perde il colpo e centra la terza vittoria di fila che lancia la Ferrari e il francese verso la vetta iridata. Dopo 8 gare, Prost vanta quattro successi, Senna tre ma il brasiliano ha anche tre terzi posti mentre Alain neanche uno.

Comincia la seconda parte del campionato e all’improvviso la Ferrari è in affanno. Senna continua a vincere o al massimo a concludere al secondo posto. Prost, per tornare a vincere, dovrà aspettare il GP di Spagna a Jerez a fine stagione, ma in Portogallo si consuma la rivalità interna con Nigel Mansell, che al via chiude la porta in faccia al compagno di squadra e di fatto lo mette fuori gioco contro Senna. Alain se la prende con la gestione della squadra, che non ha saputo controllare Mansell, dimenticandosi però del fatto che l’inglese si era già accordato con la Williams per la stagione seguente e che a Maranello sarebbe arrivato il giovane Jean Alesi, il cui contratto è stato perfezionato proprio nella settimana fra la gara portoghese e quella spagnola di Jerez. La Ferrari, però, non può lamentarsi perché il bottino stagionale parla già di 6 vittorie, le stesse che vanta la McLaren. Quell’anno il regolamento prevede che i piloti possano scartare dei punti: infatti valgono i migliori 11 risultati sulle 16 gare iridate. In Giappone, per il gioco degli scarti, Senna potrebbe mettere al sicuro il titolo mondiale. È una vigilia fatta di tensioni, ma nessuno immagina quello che sarebbe accaduto otto secondi dopo il via.

Appena scattati al semaforo verde, Prost prende il comando alla prima curva, ma Ayrton Senna lo centra violentemente e le due monoposto finiranno fuori pista. Senna diventa campione del mondo, Prost capisce che il brasiliano gli ha fatto pagare quel sorpasso negato alla chicane dodici mesi prima. Ma all’epoca nessuno dice niente. Infatti, oltre a Prost, Senna ha come rivale anche il presidente della Federazione, il francese Jean Marie Balestre, col quale non è stato tenero nell’89 quando fu squalificato in Giappone. La lotta di Ayrton è duplice: contro Prost e contro la Federazione. E ha sistemato le cose a modo proprio.

La confessione di Senna ci sarà soltanto anni dopo, quando Prost deciderà di smettere dopo aver vinto il quarto Titolo mondiale con la Williams. Per la Ferrari è una beffa atroce: il titolo mondiale continua a sfuggire dal 1979, eppure nel corso degli anni ha schierato monoposto competitive, ha vinto corse e Titolo costruttori, ma l’alloro piloti continua a sfuggire. Sembra quasi ci sia una maledizione in corso, ma le vittorie di Prost, la competitività della monoposto, fanno presagire un 1991 all’insegna del successo. Con Jean Alesi in squadra si respira aria nuova: non ci sono più due galli in un pollaio, ma il professor Prost e l’allievo Alesi. Una coppia tutto sommato ben assortita, con il più esperto che dà consigli al più giovane.

Purtroppo la Ferrari 641 non è competitiva come quella dell’anno prima e la McLaren di Senna vola rispetto a 12 mesi prima. Le prime tre gare, infatti, vengono vinte dal brasiliano e mentre Prost finisce al secondo posto a Phoenix e quarto in Brasile, a Imola succede il patatrac. Comincia a piovere e i piloti affrontano il giro di ricognizione con le gomme da asciutto. Alla curva della Rivazza Prost finisce in una pozzanghera, va in testacoda e a marcia indietro si arresta contro le barriere all’interno della curva.

Dal muretto dei box il DS Cesare Fiorio, al pari di milioni di telespettatori, è incredulo e via radio chiede spiegazioni al pilota: « Che caz combini, ma che caz fai? » urla Fiorio. Poi si accorge della presenza di chi sta scrivendo ora per voi, lo butta fuori dai box, fa calare la saracinesca e urla ancora «Parti, metti in moto, fa qualcosa!». Volano le parolacce e quando ci si accorge che ci sono molti giornalisti attorno, tutti vengono allontanati. A Montecarlo, due settimane dopo, i rapporti sono molto tesi e un pit stop disastroso mette chiaramente uno di fronte all’altro Alain Prost e Cesare Fiorio. Il pilota rimane in bilico su un bullone di una ruota e non riesce a ripartire che dopo un tempo lunghissimo, con le telecamere però che hanno ripreso tutto.La Ferrari decide di divorziare da Fiorio, ritenuto responsabile del rendimento della squadra in pista. Prost crede di avere campo libero, ma le prestazioni in pista non sono adeguate. In Francia, Alain parte in prima fila e conclude al secondo posto dietro al vincitore Mansell.

Sembra che stia per cominciare la rinascita, invece arriva ancora un terzo posto a Silverstone e un altro a Monza. Ma qui, nei test privati della settimana precedente, accade qualcosa di nuovo. Ayrton Senna racconta ai giornalisti di essere stato contattato da Cesare Fiorio per andare a correre alla Ferrari nel 92. E dice che il contatto è avvenuto a cavallo del GP di Montecarlo. Il messaggio del brasiliano è duplice: spiega il motivo dei cattivi rapporti fra Prost e Fiorio, ma soprattutto manda un messaggio a Maranello, alla nuova dirigenza, facendo capire che, anche se cambiano gli interlocutori, non cambia la sua voglia di venire alla Ferrari. Alain Prost intuisce che di fronte al suo carisma e al peso di Senna, i dirigenti dell’epoca della Ferrari avrebbero scelto Ayrton.

Nel frattempo le forze in campo dicono che McLaren e Williams hanno preso il sopravvento sulla Ferrari e quando si arriva a Suzuka questo è lampante. Le due McLaren di Senna e Berger fanno quello che vogliono, Patrese e Mansell con le Williams stanno davanti a Prost, che più in là del quarto posto non riesce ad andare. Dopo la gara, appoggiato sul muretto della palazzina che ospita la squadra, parlando coi giornalisti, Prost racconta le sue difficoltà in gara, dicendo che lo sterzo si era indurito, sembrava pesante come quello di un camion. In Italia i giornali titolano: “Questa Ferrari è come un camion” e tanto basta per sancire il divorzio fra la squadra italiana e il pilota francese dopo 30 GP che hanno fruttato 5 vittorie, 5 secondi posti, 4 terzi posti e 3 giri veloci in gara.

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Per l’ultima corsa della stagione la Ferrari ingaggia Gianni Morbidelli e Alain Prost, vincolato da un contratto anche per il 1992, rimane fermo un anno. Tornerà in gara solo nel 1993, al volante della Williams con la quale vince il suo quarto titolo iridato, ma soprattutto riesce a ricostruire il suo rapporto umano con Ayrton Senna. Sul podio dell’ultima gara della stagione, ad Adelaide,Ayrton Senna compie un gesto clamoroso: si avvicina a Prost, gli alza il braccio destro e chiede un applauso a cotanto campione. Le rivalità, gli screzi, gli sgarbi e le lotte senza esclusione di colpi vengono d’un tratto archiviate di fronte al riconoscimento del valore sportivo di Alain Prost, il professore, il più grande della sua epoca. Prima che arrivasse Michael Schumacher.

La colpa più grande? Leggere tutti i giornali, segnarsi le critiche ritenute ingiuste e dirlo in conferenza stampa uno a uno, prendendo a brutto muso chi aveva scritto l’articolo: «Tu sei un furbo – disse in Germania alla vigilia del GP – hai scritto una falsità, ti conosco, so che sei amico di quello là e sei un falso». Il giornalista era l’inviato del più importante quotidiano sportivo italiano e ora fa il direttore. Lui forse lo ha dimenticato ma Prost penso di no!

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Circuito di Nürburgring: perché lo chiamano l’Inferno Verde?

MEDICINA ONLINE the_nuerburgring_nordschleife_circuit_plan Nürburgring circuito  Nordschleife Gp Strecke Südschleife gp gran premio germania niki lauda TEDESCO F1 FORMULA 1 AUTOMOBILISMO VITTORIA LUNGHEZZA NUMERO DI CURVENürburgring. Un circuito che si snoda intorno al Castello di Nürburg in Germania, fatto di storia e di storie; di uomini, donne ed auto. Un tragitto di 20.832, inaugurato nel 1927, alla fine dei quali ogni veicolo ed ogni pilota può, dopo aver provato emozioni infinite, sapere quanto realmente vale e quanto è valido il suo mezzo.

La Nordschleife è anche nota fra gli appassionati come “L’Inferno Verde”, sia per le sue estenuanti difficoltà tecniche, sia per la lunghezza (inconsueta per un circuito automobilistico) del suo tracciato, che si snoda fra i fitti boschi dell’Eifel, sia perché fino al 1970 la pista era per lunghi tratti delimitata soltanto da alte siepi che la rendevano ancor più pericolosa di quanto già non fosse.

Il circuito GP (Gp Strecke) è lungo 5,1 km (4,542 senza la porzione detta Mercedes Arena) ed ha 16 curve. Il tempo record è 1’29″468 ed appartiene a Michael Schumacher
su Ferrari F2004 che lo ha stabilito il 30 maggio 2004 in gara. Vi è anche una conformazione (definita configurazione endurance) formata dall’unione della Nordschleife e del Gp Strecke (esclusa l’area della Mercedes Arena), lunga 25,378 km.

In questi anni il Ring tedesco è divenuto anche il “reparto prenatale” di gran parte delle industrie automobilistiche grazie alle sue specifiche: una sintesi perfetta di tutte le curve (ben 98) e di tutte le condizioni stradali che si possono trovare su un nastro asfaltato e che permette ai costruttori di confrontarsi con le loro ambizioni di sportività e dinamismo.

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Un circuito che porta l’uomo e i limiti della fisica ad essere vicini come non mai in una sfida che difficilmente lascia illese le auto (o più gravemente chi le guida) in caso di errore. Si corre a velocità lunari a pochi metri dai guard-rail e su un asfalto che nasconde 1000 insidie a volte troppo ben nascoste per essere viste; specie in velocità.

Ed ecco quindi che nel bel mezzo di una curva, magari fatta a “gomme urlanti” ci si ritrova a passare su un tratto bagnato invisibile, a gestire una scodata improvvisa o una perdita di aderenza all’anteriore, con la consapevolezza che è troppo tardi e magari si è troppo veloci per poter fare qualcosa… a volte finisce bene e, dove non arriva il talento, ci pensa la dea bendata.

A volte invece tutta la perizia del più esperto dei piloti non basta ad evitare il peggio. Ma il Ring è bello anche per questo costante senso si sfida e di raccapricciante timore che trasmette ogni volta che si pensa alle sue belle e fatali curve. Per l’adrenalina che donano certe sensazioni che fanno esplodere il cuore nel petto e gelano la testa: ciò è lo splendore di questo tracciato, travisato nella filosofia da tanti costruttori e usato troppo “a scopo commerciale”. Emozioni che tutti, almeno una volta, vorremmo provare a bordo di un’auto sportiva fra i cordoli di una pista epica come questa senza necessariamente portare un cronometro.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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GP Imola 1994: la tragica morte di Roland Ratzenberger

MEDICINA ONLINE GP IMOLA Roland Ratzenberger fatal crash INCIDENTE FOTO DIED DEATH PICTURES ROSSI WALLPAPER MOTO GP GRAN PREMIO PILOTE MORT PICTURES HI RES PHOTO LOVE MEMORY REST IN PEACE RIP HEART CASCO TESTA TRAUMA.jpgLa nostra storia inizia venerdi 29 aprile 1994, giorno in cui si tengono le prove libere di quel maledetto gran premio di San Marino. È una giornata particolarmente ventosa e molti piloti avvertono questo fastidio. Tra i piloti a scendere in pista c’è il non ancora ventiduenne brasiliano Rubens Barrichello. È un pilota molto promettente, alla sua seconda stagione nel circus ma già altamente competitivo. Viene da un quarto e un terzo posto nei primi due gran premi della stagione oltre che a una serie di successi ottenuti nelle formule minori. I brasiliani lo vedono quale possibile erede di Ayrton Senna e quest’ultimo fa di tutto per coccolarlo e spronarlo a migliorare.

L’incidente di Barrichello

Alle ore 13,14 circa, Barrichello si lancia in un giro veloce intenzionato a perfezionare il settaggio della sua Jordan per bissare il podio ottenuto nel gran premio del Pacifico. Sparato a una velocità prossima ai 230 km/h, il pilota di San Paolo entra troppo veloce all’ingresso della Variante Bassa, una curva che riproduce la parte inferiore di una “S”.
L’auto, complice il cedimento della sospensione posteriore sinistra probabilmente a seguito di un urto su un cordolo, allarga la traiettoria e quando Barrichello cerca di correggerla sbanda via a destra e va a montare sul cordolo esterno. Purtroppo il cordolo è leggermente rialzato rispetto all’erba e la Jordan ci salta sopra come su un trampolino.
Per nulla frenata di velocità e incapace di avvertire la pinza dei freni, l’auto decolla di lato e va a schiantarsi, a mezza altezza, sopra alla fila di gomme poste a protezione del muretto eretto al termine della via di fuga, scivola sulle gomme, atterra di muso sull’erba, si ribalta e, compiendo due giri completi, si adagia sul suo lato sinistro. Uno schianto terribile, esaltato da un replay che rende la Jordan simile a un proiettile impazzito che vola sulla pista. Barrichello perde conoscenza. Le bandiere rosse sventolano a segnalare la sospensione delle prove. Intervengono prontamente i commissari e l’ambulanza. Il pilota viene subito trasportato al pronto soccorso dell’autodromo. Si teme il peggio.
Ayrton Senna è tra i primi ad accorrere e a parlare con Barrichello che, scioccato, non ricorda nulla dell’incidente ed è costretto a rinunciare al Gran Premio: ha una costola incrinata, il naso rotto, tagli sulla bocca e una forte contusione al braccio.

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Le prove, sabato 30 aprile 1994

Il giorno dopo, in seguito al forfait di Barrichello, rimangono in ventisette a contendersi i ventisei posti disponibili in griglia. A rischiare sono i piloti delle due vetture debuttanti: Bertrand Gachot e Paul Belmondo (il figlio dell’attore) su Pacific Ilmor e David Brabham e Roland Ratzenberger su Simtek Ford. Le due auto infatti sono le peggiori del lotto e la lotta per evitare l’ultimo posto, quello che non darebbe diritto a prendere parte al gran premio, è stretta a questi quattro piloti.
Le prove sono iniziate da poco. L’austriaco Ratzenberger è nervoso. Prima di montare in auto, ai box, ripete più volte ai suoi meccanici: “Devo mantenere il controllo”. Ratzenberger è tra i debuttanti della stagione, ma è tutt’altro che un pivello. Ha quasi trentaquattro anni ed è reduce da una serie di esperienze nelle formule minori e in formule orientali, oltre a quattro partecipazioni alla 24 Ore di Le Mans.
Non si è qualificato nel gran premio che ha battezzato la stagione (prendendo un secondo e mezzo di distacco dal compagno di squadra), mentre ha ultimato il gran premio del Pacifico in ultima posizione con cinque giri di ritardo dal vincitore Michael Schumacher. Non è un pilota con uno sponsor forte alle spalle e stante i risultati tutt’altro che entusiasmanti potrebbe già rischiare il sedile.

L’incidente mortale

Roland entra in pista e nei cinque giri che precedono quello fatale si rende protagonista di vari errori: un contatto con la Lotus di Johnny Herbert nel giro di lancio, e soprattutto, al suo quinto giro, un leggero fuori pista alla chicane delle Acque Minerali riuscendo tuttavia a riprendere il controllo del veicolo e a chiudere il giro stoppando il cronometro sul 1,27,584 che gli vale il ventiseiesimo posto davanti a Paul Belmondo ma comunque distaccato di sette decimi dal compagno Brabham che precede Bertrand Gachot. Ratzenberger sa che può far meglio, così decide di compiere un nuovo giro.
Sono passati circa venti minuti dall’inizio delle qualifiche, Ratzenberger è nel rettilineo che precede la curva Villeneuve a oltre 300 km/h, quando un’appendice aerodinamica di 20 centimetri quadri dell’alettone anteriore cede, probabilmente in conseguenza del fuoripista precedente. Per le sollecitazioni, il baffo dell’alettone si stacca dal pilone di sostegno finendo sotto le ruote anteriori. Ratzenberger cerca di sterzare, ma l’auto è ormai è ingovernabile, totalmente privata di direzionalità.
L’austriaco sta procedendo a 316 km/h, la via di fuga che si trova davanti è risibile. Solo sette metri lo separano dal muro di cinta. La Simtek va diritto contro la barriera subendo una brusca decelerazione che parte dai vertiginosi 301 km/h iniziali, quindi compie sei testacoda infine si ferma distrutta in mezzo alla pista a circa duecento metri dal punto d’urto. La cellula di sopravvivenza ha resistito piuttosto bene all’urto, tuttavia le immagini sono drammatiche. Il casco bianco e rosso del pilota è completamente abbandonato a sé stesso. Ciondola da un lato all’altro in base alle evoluzioni della macchina, poi si inclina a sinistra e resta immobile. La tragedia è nell’aria. Lo capisce Senna, sgomento ai box a guardare i monitor, lo capiscono i meccanici, i tifosi, ma soprattutto lo comprendono i soccorritori che intervengono rapidissimi. Sul posto sopraggiunge anche Senna che sale sull’auto di un commissario e si reca alla curva Villeneuve.

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I soccorsi e la reazione di Senna

Ratzenberger è morto sul colpo a causa della secca decelerazione. Perde sangue dalla bocca e dal naso, ha la spina dorsale spezzata e una frattura alla base cranica, ma si cerca comunque di rianimarlo evitando di dichiararne la morte. Se si dichiarasse morto sul posto si renderebbe necessaria la sospensione del gran premio con il sequestro probatorio della pista e conseguenziale annullamento della prova.
Ratzenberger viene allora condotto sull’elicottero e trasportato d’urgenza all’ospedale di Bologna. Qui viene dichiarato deceduto solo dopo sette minuti dall’arrivo e lo spettacolo può così continuare, ma paradossalmente su Imola si scatenerà una maledizione senza precedenti.
Senna si chiude in un composto silenzio stampa, promettendo di parlare solo dopo la conclusione del week-end (non avrà tempo per farlo). Visibilmente scosso, viene visto piangere nell’ospedale di Bologna. Frank Williams, il proprietario della scuderia per la quale corre il pilota brasiliano, comincia a pensare che il suo pupillo non prenderà parte alla gara.
Un giornalista amico di Senna chiede a quest’ultimo se occorra davvero proseguire la carriera e se non sia opportuno godersi la vita, ma Senna gli risponde: “Non posso farlo”. Per il brasiliano “la competizione è nel suo sangue, fa parte della sua vita” e non riesce a farne a meno.
Rientrato in albergo, la mattina seguente, Senna prende la Bibbia e chiede a Dio di parlargli. È un fatto notorio che il pilota brasiliano dicesse di vedere Dio accanto a sé negli schieramenti di partenza e dunque la sua reazione non deve stupire. Apre così a caso il testo sacro e si sofferma su un passo in cui c’è scritto che quel giorno Dio gli farà il dono più grande di tutti e cioè Dio stesso.

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Qual è stato il pit stop più veloce della storia della Formula 1?

MEDICINA ONLINE F1 FORMULA 1 GOMME TIRES PNEUMATICI DIFFERENZE MESCOLA ULTRASOFT SUPERSOFT MEDIUM HARD SOFT DURE MORBIDE GRIP ASCIUTTO RAIN BAGNATO PISTA INTERMEDIE COLORS FULL WET BLUE GREEN WHITE YELLOW ORANGE RED PINK.jpgNel 1950 un pit stop poteva durare più di un minuto e ciò era assolutamente normale, oggi le cose sono decisamente cambiate! Il più veloce pit stop con solo cambio gomme (senza rifornimento carburante, abolito per motivi di sicurezza) della storia della Formula 1 è stato effettuato il 17 novembre 2013 dai meccanici della Red Bull durante il Gran Premio degli Stati Uniti d’America ad Austin: è durato solo 1 secondo e 9 decimi, in meno di due secondi sono state cambiate le gomme della vettura di Webber. In quella occasione viene abbattuto per la prima volta il muro dei 2″. Quel giorno lo ha confermato il team principal Chris Horner: “I dati della vettura hanno registrato un tempo di stazionamento di 1″923 secondi, un risultato incredibile”. Per la cronaca quel GP è stato vinto dal tedesco Sebastian Vettel sulla Red Bull Racing-Renault RB9, al trentottesimo successo nel mondiale; Vettel ha preceduto sul traguardo Romain Grosjean su Lotus-Renault e Mark Webber, anch’egli su Red Bull. Vettel quell’anno vinse anche il campionato piloti.

Il record è stato eguagliato nel campionato del 2016, al Gran Premio d’Europa a Baku del 19 giugno, il pit stop effettuato sulla Williams di Felipe Massa è durato un secondo e 92 centesimi. Non solo, le altre due soste della casa britannica entrarono anch’esse nella top five del DHL Fastest Pit Stop Award, il cambio gomme di Bottas è infatti avvenuto in 2″09, mentre il secondo di Massa in 2″18.

Il record “ufficioso” non riconosciuto dalla FIA apparterrebbe invece alla Ferrari nel corso del Gran Premio del Giappone nel 2015 a Suzuka: in occasione del secondo pit stop di Kimi Raikkonen, quando il pilota finlandese aveva bisogno di una sosta il più breve possibile per sopravanzare Bottas, i meccanici della Rossa hanno fermato il cronometro ad 1 secondo e 85 centesimi per il pit stop.

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