Con “cinetosi” o “chinetosi” si indica un gruppo di disturbi neurologici accomunati dal fatto di essere causati da movimento, più in particolare in seguito a spostamenti ritmici o irregolari del corpo durante un moto, ad esempio durante viaggi con mezzi di trasporto come nave, automobile, aereo, giostra ma anche – nei casi più gravi – su una semplice Continua a leggere
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È da denuncia fare sesso in macchina per strada?
Un giovane lettore ha chiesto al sezione legale del nostro Staff, se “fare sesso in automobile per strada è illegale anche nel caso si tratti di una zona appartata ed in un orario in cui non c’è nessuno in giro?”
Si, praticare da soli o in due un atto sessuale nella propria automobile senza nascondersi costituisce un reato perché offende il pudore e la pubblica decenza anche se il luogo è appartato, non illuminato e non c’è nessuno per la strada. Praticare sesso in auto, anche se in un luogo isolato e non illuminato, è reato perché offende il pudore e la pubblica decenza, come precisato più volte dalla Cassazione. Per evitare di commettere il reato è necessario che la vettura sia stata interamente coperta, ad esempio comprendo finestrini, parabrezza e lunotto posteriore con i classici fogli di giornale per i finestrini.
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Differenza tra PM10 e PM2,5 e rispettivi effetti sulla salute
Le polveri fini (o “sottili”) sono delle particelle inquinanti presenti nell’aria che respiriamo tutti i giorni, di natura organica o inorganica, a stato solido o liquido. Tali particelle sono capaci di adsorbire sulla loro superficie diverse sostanze con proprietà tossiche quali solfati, nitrati, metalli e composti volatili. Le polveri fini vengono classificate in base alla loro dimensione, che può determinare un diverso livello di nocività. Infatti, più queste particelle sono piccole più hanno la capacità di penetrare nell’apparato respiratorio:
- Le PM10 hanno un diametro inferiore a 10 µm (micron) e possono essere inalate e penetrare nel tratto superiore dell’apparato respiratorio, dal naso alla laringe.
- Le PM2,5 hanno un diametro inferiore a 2,5 µm e possono essere respirate e spingersi nella parte più profonda dell’apparato, fino a raggiungere i bronchi.
- polveri ultrafini “UFP“: hanno diametro inferiore ad 0,1 µm e potrebbero essere addirittura in grado di filtrare fino agli alveoli ed ancora più in profondità nell’organismo e, si sospetta, entrare nel circolo sanguigno e poi nelle cellule.
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Origine delle polveri fini
Le fonti principali di polveri fini sono due:
- fonti naturali
- incendi boschivi
- attività vulcanica
- polveri, terra e sale marino alzati dal vento (il cosiddetto aerosol marino)
- pollini e spore
- erosione di rocce
- fonti antropogeniche
- traffico veicolare, sia dei mezzi diesel che benzina
- uso di combustibili solidi per il riscaldamento domestico (carbone, legna e gasolio)
- residui dell’usura del manto stradale, dei freni e delle gomme delle vetture
- attività industriale
Il livello di concentrazione delle PM10 nelle aree urbane aumenta nel periodo autunno-inverno, cioè quando al traffico veicolare si aggiungono le emissioni di polveri derivanti dall’accensione degli impianti di riscaldamento, in modo particolare quelli alimentati a biomasse legnose. Le condizioni meteorologiche di questo periodo, inoltre, favoriscono un innalzamento del livello delle polveri fini. Fenomeni atmosferici come quello dell’inversione termica, infatti, causano lo schiacciamento delle polveri al suolo e ne impediscono la dispersione.
Effetti acuti e cronici delle polvere sottili sulla salute dell’uomo
Studi epidemiologici, confermati anche da analisi cliniche e tossicologiche, hanno dimostrato come l’inquinamento atmosferico abbia un impatto sanitario notevole; quanto più è alta la concentrazione di polveri fini nell’aria, infatti, tanto maggiore è l’effetto sulla salute della popolazione.
- Gli effetti di tipo acuto sono legati ad una esposizione di breve durata (uno o due giorni) a elevate concentrazioni di polveri contenenti metalli. Questa condizione può provocare infiammazione delle vie respiratorie, come crisi di asma, o inficiare il funzionamento del sistema cardiocircolatorio.
- Gli effetti di tipo cronico dipendono, invece, da una esposizione prolungata ad alte concentrazioni di polveri e possono determinare sintomi respiratori come tosse e catarro, diminuzione della capacità polmonare e bronchite cronica. Per soggetti sensibili, cioè persone già affette da patologie polmonari e cardiache o asmatiche, è ragionevole temere un peggioramento delle malattie e uno scatenamento dei sintomi tipici del disturbo. Studi condotti in materia hanno anche registrato un aumento dei ricoveri ospedalieri e della mortalità per patologie respiratorie e cardiache direttamente riferibili all’inquinamento da polveri.
Consigli di comportamento
Adottando un comportamento più consapevole tutti i cittadini possono contribuire quotidianamente alla riduzione dell’inquinamento da polveri fini, ecco alcuni consigli:
- usare di meno e meglio l’automobile;
- far controllare periodicamente il motore e il consumo dei pneumatici dell’auto;
- privilegiare nell’acquisto di un’auto nuova modelli a metano o GPL e comunque meno inquinanti;
- praticare il carpool, ovvero usare la stessa macchina in più persone
- ridurre la velocità di marcia;
- muoversi in bicicletta o a piedi usare i mezzi pubblici.
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Si sporge nuda dall’auto per fare un video hot, sbatte contro un lampione e muore [VIDEO]
La donna si stava facendo filmare da un’amica. Tra pose hot e ammiccamenti vari, si è sporta troppo dal finestrino dell’auto e ha finito per sbattere violentemente contro un palo sulla strada a Punta Cana, nella Repubblica Dominicana.
Una donna russa è morta a seguito di un drammatico incidente d’auto avvenuto mentre stava girando un video erotico amatoriale. Natalia Borisovna Borodina, 35 anni, originaria di Mosca, si stava facendo filmare dalla conducente della vettura con un telefono cellulare, mentre si esibiva in pose sexy sulla parte superiore del finestrina dell’auto a seno nudo. Nel video choc si vede la donna, madre di un bimbo, che, mentre si sporge dal macchina in movimento, batte con la testa contro un lampione e finisce fuori dal mezzo. L’impatto risulterà fatale.
Il video è stato registrato su un’autostrada vicino Punta Cana, nella Repubblica Dominicana. A filmare Natalia sarebbe stata la sua amica Ivanna Boirachuk, 32 anni, che era al volante. Nel filmato la donna ammicca e rida alla telecamera, ma in pochi secondi avviene l’irreparabile. I media russi scrivono che la 35enne è stata trasportata in ospedale dove è deceduta a seguito delle “gravi lesioni alla testa” subite nell’impatto con lampione.
Il video dell’incidente (attenzione, immagini forti) potete trovarlo seguendo QUESTO LINK.
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Gravidanza: come indossare la cintura di sicurezza in auto?
La cintura di sicurezza, sia in auto che in aereo, è obbligatoria anche durante la gravidanza e, se correttamente indossata, non comporta nessun rischio per il feto.
Studi effettuati in Gran Bretagna hanno rilevato che anche in gravidanza, se non si utilizzano le cinture di sicurezza, aumenta il rischio di essere proiettati fuori dal veicolo e la mortalità materna in caso di gravi incidenti stradali passa dal 4% a 33%! Ciò significa che comunque una cintura di sicurezza – ripeto: correttamente indossata – è in grado di ridurre sia la mortalità materna che fetale. In caso di incidente stradale, i possibili danni fetali sono da imputare alla brusca decelerazione, seguita dalla flessione forzata del corpo materno sopra la cinghia addominale con compressione uterina. In particolare, in uno studio condotto dal Centro Harborview Injury Prevention and Research di Seattle su 2592 donne di età gestazionale superiore alle 20 settimane, delle quali 1243 aveva subito un incidente con cintura di sicurezza e 1349 senza, è stato rilevato come risultasse più frequente la nascita di neonati con peso più basso e spesso prematuri. Infatti, le donne riguardate da incidenti che non indossavano la cintura di sicurezza presentavano una maggiore probabilità di partorire nelle 48 ore successive all’incidente, rispetto alle donne che invece indossavano la cintura.
Come indossare la cintura di sicurezza in gravidanza:
La parte orizzontale va sempre messa al di sotto del pancione, mentre quella verticale al di sopra. In questo modo, in caso di incidente, è in grado di proteggere mamma e bambino da eventuali traumi evitando che il piccolo possa essere schiacciato dallo strattona mento. E’ consigliabile l’utilizzo di cinture di sicurezza a tre punti con il nastro orizzontale posto il più in basso possibile, sotto l’addome gravido, ed il nastro diagonale posto al di sopra dell’addome, facendolo passare tra i seni. La cintura può essere regolata in modo da risultare confortevole e che il meccanismo di blocco non scatti senza motivo. Altrimenti è possibile affidarsi a dei cuscini di blocco che portano la cintura sotto l’addome. In tal modo non è compromessa la libertà di movimento durante la guida ed al tempo stesso non si incorre né in fastidiose sanzioni, né, cosa ben più importante, si rischia di subire pesanti conseguenze da un eventuale incidente. Così viaggerete in serenità e proteggerete nel modo migliore il vostro bebè!
La normativa vigente in merito, risalente al 4 agosto 1989, legge n. 284, è abbastanza perentoria: l’esenzione per le donne in stato di gravidanza è ammissibile sono sulla base di certificazione rilasciata dal ginecologo curante che comprovi condizioni di rischio particolari conseguenti all’uso delle cinture di sicurezza. Non sono dunque ammesse decisioni discrezionali, né una certa elasticità nell’utilizzo della cintura di sicurezza che, anzi, è ritenuta ancor più necessaria vista la particolare situazione della donna in stato interessante. A supporto di questa interpretazione vi è l’assoluta limitatezza delle cosiddette condizioni di rischio, la cui individuazione è riconducibile alla responsabilità esclusiva del medico ed al suo insindacabile giudizio, di cui risponde personalmente per eventuali prescrizioni avventate.
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L’ultimo sorpasso: la morte del grande Gilles Villeneuve
La nostra storia inizia qualche giorno prima dell’incidente. Era il 25 aprile 1982, si correva il Gran Premio di San Marino di Formula Uno, a Imola, ed i due piloti della Ferrari Gilles Villeneuve e Dider Pironi furono protagonisti di una rivalità che generò anche molte polemiche all’interno del team, a causa di alcuni ordini di scuderia poco chiari. A causa di queste incomprensioni, Villeneuve, che era saldamente in testa alla corsa, rallentò e si fece raggiungere da Pironi: i due battagliarono per diversi giri, ma alla fine Pironi superò il compagno di squadra alla quartultima curva della gara. Da quel giorno, dopo la gara di Imola, Villeneuve, infuriato, non rivolse più la parola a Pironi. Il canadese fino a quel momento aveva vinto poco ma era amatissimo dai tifosi della Ferrari per il suo stile di guida molto aggressivo e spettacolare. Sarebbe morto solo 13 giorni dopo in Belgio, a Zolder, durante le prove del successivo Gran Premio.
L’incidente
Era l’8 maggio 1982. La Ferrari 126 C2 di Gilles Villeneuve era scesa in pista per le qualificazioni e stava tornando ai box quando – alle 13.53, a sette minuti dalla fine delle qualifiche del Gran premio del Belgio – si trovò di fronte la March di Jochen Mass, che procedeva lentamente. Villeneuve cercava di passarla sulla destra, proprio dove il pilota tedesco indirizzava la sua vettura per dargli strada. La sfortuna volle che la ruota anteriore sinistra della Ferrari, molto più veloce, centrò la posteriore destra della March. La monoposto rossa è decollata letteralmente e quando la macchina rimbalzò sull’erba, uno dei pannelli honeycomb della scocca, posto tra lo schienale del sedile e la paratìa frontale del serbatoio, cedette, trascinando con sé gli attacchi delle cinture di sicurezza: Villeneuve fu sbalzato fuori dall’abitacolo con il sedile ancora attaccato a lui, e ricadde scompostamente dopo un volo di 50 metri. Nelle immagini televisive lo si intravede volare, e precipitare su un paletto di plastica che sostiene una rete di protezione. L’impatto contro il paletto di plastica provoca un distacco netto fra prima e seconda vertebra cervicale. La situazione appare drammatica fin da subito. Nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale Gilles verrà tenuto in vita grazie a stimolazioni elettriche al cuore ma le conseguenze dell’impressionante incidente furono purtroppo fatali per il pilota canadese. I rottami della macchina volarono in tutte le direzioni: nella carambola, Villeneuve perse anche le scarpe, che vennero ritrovate ben a duecento metri dal luogo dell’incidente, e il casco, che ricadde a cento metri, mentre il volante della Ferrari volò a centottanta metri di distanza.
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I soccorsi
Sul posto si trovavano alcuni commissari ed un medico, che immediatamente diedero l’allarme e soccorsero il pilota. La direzione di gara espose la bandiera rossa. Si fermarono nel frattempo alcuni piloti (lo stesso Mass, John Watson, René Arnoux, Derek Warwick, Eddie Cheever), che si precipitarono a verificare la situazione. Le condizioni di Villeneuve erano palesemente gravissime: era privo di sensi, flaccido, cianotico ed edematoso su viso e collo. Altre lesioni non si scorgevano, e il pilota presentava comunque attività cardiaca regolare, dunque gli uomini del soccorso e il dottor Sid Watkins (che giunse sul posto due minuti dopo il fatto) conclusero che doveva esservi una frattura della colonna vertebrale. Posero allora il suo collo in trazione e gli praticarono massaggio cardiaco e respirazione bocca a bocca. Una crescente folla di curiosi accorse sul luogo dell’incidente per capire cosa fosse accaduto: per evitare che intralciassero le operazioni di soccorso, commissari e piloti formarono un cordone umano per bloccare l’accesso, mentre altri nascondevano il corpo di Gilles con dei teli neri. Passò di lì nel frattempo anche Didier Pironi, che tuttavia si fermò per pochi secondi, tornandosene subito dopo ai box.
Il trasferimento
Dopo qualche minuto il pilota fu caricato a bordo dell’automedica, condotta dal direttore di gara Roland Bruynseraede, e trasferito al centro medico dell’autodromo, dove fu stabilizzato, per poi essere trasportato in elicottero alla clinica universitaria St. Raphael di Lovanio, dove un’équipe di medici rianimatori era pronta per prestargli le prime cure. Il dottor Watkins, che accompagnò Gilles lungo tutto il tragitto, nutriva tuttavia ben poche speranze. Gli stessi piloti che avevano visto le condizioni di Villeneuve tornarono ai box profondamente scossi: John Watson disse a tutti che Gilles era già morto. Intanto, Jody Scheckter, ex compagno di squadra di Villeneuve e suo caro amico, informato dell’accaduto dallo stesso dottor Watkins, telefonò alla moglie di Villeneuve, Joanna, che era rimasta a casa, a Monte Carlo, per la prima comunione della figlia Mélanie. Le disse che Gilles aveva avuto un incidente gravissimo, avvertendola di partire subito per il Belgio. Joanna diede in escandescenza, e la moglie di Scheckter, Pam, che era accorsa a casa Villeneuve, dovette somministrarle dei calmanti. Qualche ora dopo, Pam e Joanna salirono sul primo aereo per Bruxelles.
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La lesione
Giunto alla clinica di Lovanio, il capo rianimatore, professor De Looz, lo sottopose subito ad una TAC, che evidenziò la presenza di una grave lesione del tronco encefalico e la rottura (con conseguente distacco) delle vertebre cervicali, con gravissime lesioni midollari alla base del cranio. Tale lesione fu indotta o dall’impatto con il paletto della rete o dalla tremenda decelerazione (calcolata in 27 G) o, più probabilmente, dalla violentissima trazione esercitata sul collo dalle cinture di sicurezza nel momento in cui il sedile si era staccato dal telaio. De Looz concluse che non c’era nulla da fare e che se anche, per assurdo, Villeneuve fosse sopravvissuto, sarebbe comunque rimasto paralizzato dal collo in giù e in uno stato puramente vegetativo per quel che gli sarebbe restato da vivere. Gilles fu tenuto in vita artificialmente, fino alle 21,12 di quell’8 maggio 1982, il giorno della sua morte ad appena 32 anni.
Nella sua carriera ha disputato 68 Gran Premi (di cui 6 vinti), raggiunto 2 pole, 13 podi, 107 punti ed 8 giri veloci. Il suo miglior piazzamento fu il secondo posto nel campionato del 1979 con la Ferrari 312 T3 (T4 dal GP del Sudafrica).
Suo figlio Jacques è diventato nel 1997 il primo ed unico canadese campione del mondo dei piloti di Formula 1, sulla sua Williams Renault FW19, ai danni di Michael Schumacher sulla Ferrari F310B.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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GP Imola 1989: l’auto di Gerhard Berger va a fuoco nell’incidente al Tamburello
Il Gran Premio di San Marino 1989 fu la seconda gara della stagione 1989, disputata il 23 aprile sul Circuito di Imola; venne vinto dal grande Ayrton Senna su McLaren Honda che partiva dalla pole, seguito dal compagno di squadra Alain Prost, che in griglia partiva da secondo, e dall’italiano Alessandro Nannini su Benetton Ford Cosworth che partiva col settimo tempo di qualifica. Nigel Mansell sulla Ferrari, che partiva terzo, si ritirò al 23 giro per problemi al cambio.
Quel GP però viene da molti ricordato per il terribile – e letteralmente pirotecnico – incidente capitato all’altro ferrarista, l’austriaco Gerhard Berger, alla tristemente nota curva Tamburello: a causa di un cedimento meccanico la sua Ferrari finì a muro a 290 km/h e prese drammaticamente fuoco facendo presagire il peggio.
L’incidente ed i soccorsi
L’austriaco partiva col quinto tempo di qualifica e sembrava lo aspettasse una bella gara, ma all’inizio del quarto giro di gara, mentre si trova in quarta posizione dietro all’italiano Riccardo Patrese (partito in quarta posizione con la Williams Renault) la 640 di Berger perde improvvisamente l’alettone anteriore. La sua vettura, diventata incontrollabile, si schianta contro il muro esterno del Tamburello, con una dinamica molto simile a quella del tragico incidente di Senna che avverrà cinque anni dopo, il primo maggio 1994. La Ferrari prende fuoco quasi immediatamente: il radiatore ha sfondato i serbatoi disposti lateralmente. Le efficienti squadre antincendio composte dagli eroici “Leoni” della CEA intervengono con le Alfa 75 rosse in meno di 15″ salvando la vita al pilota austriaco. 15 secondi che sembrarono un’eternità a quanti assistevano alla corsa, tra cui il sottoscritto, perché si vedeva un’auto completamente avvolta dalle fiamme e nessuna reazione da parte del pilota. Berger resta esposto alle fiamme per 23″ in tutto e dopo 30″ arrivano anche i soccorsi medici. In totale alla squadra CEA bastarono appena 8 secondi circa per spegnere l’incendio ed aiutare l’austriaco ad uscire dalla vettura: ancora oggi, a distanza di anni, quell’episodio è universalmente riconosciuto come esempio di grandissima efficienza da parte degli uomini della sicurezza di un GP.
La gara sospesa
La gara fu sospesa e si decise di organizzare una nuova procedura di partenza, disputando poi altri 55 giri oltre ai 3 già percorsi e stilando la classifica finale in base ai risultati complessivi. Per la cronaca, al secondo via Prost scattò meglio del compagno di squadra, ma questi lo sopravanzò alla Tosa, nonostante i due avessero stabilito di non superarsi tra loro in quella curva nel corso del primo passaggio: a fine gara il francese criticò aspramente Senna per la manovra, che diede inizio ad un’aperta rivalità tra i due. Il brasiliano condusse senza problemi fino al traguardo, precedendo il suo compagno di squadra; Nannini approfittò dei ritiri di Mansell e Patrese per conquistare il terzo gradino del podio, mentre i piazzamenti a punti andarono a Boutsen, Warwick e Palmer.
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Conseguenze sul pilota e le indagini di Maranello
Gerard Berger, a causa della frattura a una costa e alla scapola ma soprattutto per le ustioni alle mani, dovrà saltare la gara di Montecarlo. Per la sua sostituzione in vista del GP del Messico del 28 maggio si preparava Larini ma Berger riuscirà a recuperare quasi miracolosamente e tornerà in pista in tempi record all’Autodromo Hermanos Rodriguez di Città del Messico, appena un mese e cinque giorni dopo l’incidente.
Per una settimana alla Ferrari avevano cercato inutilmente il pezzo di musetto che si era staccato dalla vettura. Approfittando della confusione un tifoso lo aveva sottratto ai commissari ma poi aveva anche provveduto a inviare la documentazione fotografica del reperto, la quale confermava il cedimento strutturale di questo particolare, probabilmente dovuto a microfratture delle fibre di carbonio, causate forse da alcune uscite di pista del pilota austriaco durante le prove. Si sarebbe rotto dapprima lo spoiler anteriore sinistro e in un secondo momento il musetto. In seguito questo punto critico verrà adeguatamente irrobustito. L’incendio successe anche perché all’epoca si ammettevano serbatoi di carburante anche esterni, che però da quell’incidente in poi furono vietati dal regolamento.
Il ritorno in pista ed il resto della stagione
Dopo aver saltato solo il successivo Gran Premio a Montecarlo, come già prima accennato Berger si ripresentò al Gran Premio del Messico, ma il prosieguo della stagione fu caratterizzato da continui ritiri, complici le innumerevoli rotture del cambio semi-automatico. A luglio, intanto, venne ufficializzato il passaggio del pilota alla McLaren nel 1990, con un contratto triennale dal valore superiore ai trenta milioni di dollari. Durante la stagione l’austriaco ebbe anche modo di protestare contro la sua scuderia, accusandola di privilegiare il suo compagno di squadra. Solo al Gran Premio d’Italia poi Berger riuscì a realizzare i primi punti con un secondo posto, vincendo poi la successiva gara in Portogallo e concludendo ancora secondo in Spagna. Terminò la stagione con 21 punti, in settima posizione.
Impossibile spostare la curva
Alcuni anni fa il pilota austriaco ha raccontato un aneddoto riguardante le settimane seguenti al suo incidente della curva del Tamburello nel 1989.
“Dopo il mio incidente con la Ferrari, che avvenne proprio al Tamburello, Ayrton mi chiamò e decidemmo di andare a fare un sopralluogo in quella curva, per vedere se poteva essere modificata data la sua pericolosità. Nel corso dei test successivi alla mia dimissione dall’ospedale andammo insieme a vedere il Tamburello, ma constatammo che sarebbe stato impossibile spostare la curva, perché a pochi metri dal muro scorreva il fiume Santerno. Allora non pensammo di proporre una chicane, che invece oggi ha sostituito il vecchio layout della pista. Oggi però siamo qui a ricordare Ayrton. Ricordiamolo sempre“.
I due incidenti (di Berger e di Senna) sono effettivamente simili. L’austriaco però ebbe la fortuna di uscire in un punto dove il muro seguiva la stessa piega della pista: in questo modo la vettura andò a sbattere quasi lateralmente. Nel 1994 Ayrton Senna andò purtroppo fuori strada più avanti, poco dopo la “divisione” del muro: in quel punto la protezione era più “dritta” e la Williams picchió più frontalmente. Con le conseguenze che sappiamo. La differenza tra la vita e la morte – specie per un pilota di F1 – a volte è una questione di pochi centimetri.
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L’auto grande è davvero il prolungamento di un pene piccolo?
In questo momento di furiosi spostamenti estivi, in cui le autostrade si saturano e si saturano anche le statali, vorrei tornare su un argomento di cui occasionalmente si discute ma sempre senza approfondire abbastanza, senza arrivare al dunque, e senza dare qualche speranza che prima o poi ci possa essere una vera soluzione del problema. Il problema è quello solito dell’automobile come prolungamento fallico. La gente, cioè i maschi, hanno un fallo, o un pene, e però ne giudicano la lunghezza insoddisfacente per avere una propria vita felice, o almeno normale. Traducendo in un italiano d’uso un po’ più gergale ma più espressivo, quasi tutti gli uomini vorrebbero avere un cazzo un po’ più lungo, se possibile vorrebbero essere quelli che hanno il cazzo più lungo della loro città, o della nazione, e forse del mondo e dell’intero universo. Diciamo così, normalmente il tuo cazzo non ti basta, rispetto ai tuoi desideri è sempre un po’ un cazzino. Come risolvere il problema?
Secondo alcuni psicologi e sociologi l’uomo troverebbe un adeguato sostitutivo della carente lunghezza del suo pene nell’automobile, che diviene il suo confortante prolungamento fallico principale. E’ noto che qualsiasi automobile è più lunga di un pene, anche la Panda o la Smart, però si sottintende che l’uomo preferisca come prolungamento fallico le macchine di grossa taglia. Se puoi ti compri questa macchina molto grande che è come avere un pene molto lungo, e, tra l’altro, che tutti possono vedere parcheggiato davanti a casa tua, in modo da saperlo che ce l’hai; mentre il pene, quello vero, lo tieni sempre chiuso nelle mutande dove nessuno lo vede. Un maligno potrebbe pensare a questo punto che, seguendo una specie di proporzionalità inversa, tanto più lunga sia la macchina che riesci a acquistare, tanto più corto sia il tuo pene.
Se questo fosse vero, ogni volta che vedi passare uno con una Panda dovresti pensare che lui sia uno che ha un pene piuttosto lungo, e ogni volta che invece passa una Mercedes o una BMW, dovresti pensare che chi la sta guidando ha un pene piccoletto. In questo senso l’automobile di grossa taglia sarebbe per un verso il prolungamento fallico desiderato, ma per l’altro, diventerebbe una specie di confessione sulle scarse dimensioni della propria strumentazione intima (voglio dire che anche questo poi potrebbe non essere uno svantaggio perché tutte quelle donne che hanno una loro conformazione intima per cui troppo grosso dà più fastidio che piacere potrebbero vedere passare uno con una Audi di quelle grandi e dirsi: “Ve’ che macchinone, quello lì magari ha uno di quei cazzetti proprio come piacciono a me”).
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Ma tutto questo non mi sembra possibile, e mi sembra piuttosto una forma di moralismo veterocomunista. Se la cosa stesse veramente così, la macchina grande sarebbe diventata una specie di raccorciatore fallico, e tutti avrebbero comprato delle Smart che a quel punto sarebbero diventate loro l’autentico prolungamento fallico desiderato. Quindi, in assenza di dati reali che mettano in correlazione la lunghezza del fallo di x con la dimensione dell’automobile di x, possiamo dire che non sappiamo se ci sia una vera corrispondenza tra la lunghezza del proprio fallo e la lunghezza della propria automobile, ma restiamo sul fatto che la corrispondenza sia a livello di desiderio: visto che quasi tutti desidererebbero avercelo più lungo, la lunghezza del succedaneo (automobile) compensa la lunghezza del desiderio di avere un pene tal dei tali e non la lunghezza di un pene reale.
Ma vorrei ritornare qui al problema di cui si parlava all’inizio e lanciare una grande sfida alla bioingegneria dell’avvenire: non si potrebbe, grazie alle cellule staminali, riuscire a creare in laboratorio dei prolungamenti del pene fatti di pene, cioè dei tessuti cavernosi in più e dei pezzi di pelle, in modo che per esempio, se uno rispetto al suo desiderio gli sembra di non averlo lungo abbastanza, possa farsi un prolungamento del pene in pene e non in lamiera e motore a combustione interna e eccetera, con tutto quello che comporta di produzione di anidride carbonica e occupazione di spazio.
Per esempio, un prolungamento del pene fatto di automobile equivale a almeno dodici quintali di materie (ferro, plastica, gomme, etc), che occupa dodici metri quadrati di spazio e in un ora di uso produce tot grammi di anidride carbonica e consuma almeno quattro litri di petrolio. Un prolungamento del pene fatto di pene, per esempio un nuovo pezzo di pene lungo cinque centimetri da attaccarti al tuo che hai già occupa meno di dieci centimetri quadrati, peserà trentacinque grammi, tanto da starti comodamente nelle mutande se non lo usi, e in un ora di uso consumerà quattrocento calorie.
Secondo me puoi venderlo a qualche migliaio di euro, facciamo fino a cinquemila, che comunque è molto inferiore come costo a quello di una Mercedes, e il costo di manutenzione poi è molto minore e non devi neanche assicurarlo. Al momento l’unica pecca che vedo nella cosa è che come prolungamento fallico per venire in montagna nel weekend è meglio l’automobile, anche se poi, una volta arrivato in montagna con una signorina graziosa, ritorna migliore il prolungamento fallico fatto di pene con le staminali.
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