Carne di delfino servita al ristorante: serie di sequestri

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO MARE NATURA DELFINO NATURA ANIMALI PESCI MAMMIFERICarne di delfino servita al ristorante: stava per accadere ai tavoli di un noto locale del litorale laziale, e che è stato evitato dopo la denuncia di Marevivo e Lav e il conseguente sequestro. La carne del cetaceo essiccata, contenuta in alcune confezioni sottovuoto, era pronta per essere venduta e servita ai clienti. E non era la prima volta: alla base della denuncia c’è proprio “la consuetudine di un ristorante del litorale laziale di servire ad alcuni clienti selezionati carne di delfino, specie di cui è vietata la cattura”.

L’APPELLO A ORLANDO 

Le associazioni si sono rivolte a Orlando chiedendo “‘tolleranza zero su quanti lucrano sulla pelle di questi mammiferi marini, rigorosamente protetti dalle normative europee”; ma anche un Piano per tutta la filiera, “soprattutto in quelle Regioni le cui tradizioni culinarie annoveravano il delfino tra le prelibatezze locali”. Le regole stabiliscono infatti per i delfini “un regime di rigorosa tutela”, e in particolare è vietata “qualsiasi forma di cattura o uccisione deliberata nell’ambiente naturale”.

LA MATTANZA IN GIAPPONE 

Intanto proseguono le polemiche per quella che viene definita una vera e propria mattanza dei delfini ad opera del Giappone, nella baia di Taiji. L’ambasciatore italiano a Tokyo, Domenico Giorgi, si è rivolto al ministro nipponico per l’Agricoltura, Yoshimasa Hayashi, con l’auspicio che – anche per via delle reazioni della comunità internazionale – da parte giapponese si possa giungere a un’urgente riconsiderazione di tale pratica.

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Vuoi vivere fino a 140 anni? Fai come il popolo degli Hunza

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Vivono ai piedi della catena dell’Himalaya, in una valle al nord del Pakistan, al confine con la Cina, e sono famosi in tutto il mondo per la loro longevità e il loro perfetto, quanto singolare, stato di salute: sembra non si ammalino mai. Vivono in media ben oltre i 100 anni, secondo alcune fonti arrivando perfino a 140 anni, gli uomini lavorano nei campi anche quando sono ultracentenari, hanno figli oltre i 70 anni, godono di un’ottima salute che li rende praticamente immuni da malattie, dalle semplici febbri fino ad arrivare a quelle degenerative, neurologiche o al cancro.

Sono gli Hunza, popolo misterioso, già oggetto di studi fin dal periodo della colonizzazione inglese di questa porzione di Asia. Un medico scozzese, Mec Carrison, accettò il posto di medico nelle Indie britanniche proprio per conoscere questa popolazione e il suo segreto di lunga vita, rimanendo sbalordito di fronte alla capacità degli Hunza di lavorare senza stancarsi, coltivando la terra o arrampicando in montagna, con carichi di pesi sulle spalle, o ancora di percorrere fino a 200 km in un solo giorno senza apparentemente affaticarsi. Tutte doti che li hanno resi famosi e particolarmente ricercati come portatori di carichi pesanti durante le spedizioni sull’Himalaya.

Il loro segreto? Nel suo libro “Gli Hunza” Ralph Bircher cerca di spiegare i motivi di tale longevità, da attribuirsi soprattutto allo stile di vita, basato su un’alimentazione vegetariana, frutto solo delle proprie coltivazioni. Questo popolo himalayano sembra infatti aver rifiutato il progresso tecnologico: si cibano (a volte molto poco, specie nel periodo invernale, quando il cibo scarseggia e arrivano a fare anche digiuni di una settimana) prevalentemente di miglio, orzo, grano saraceno, frutta, germogli di piselli, noci, legumi lessati, verdure come spinaci, rape e pomodori. Nella loro dieta rientrano anche formaggi (ma solo freschi o fermentati), pochissima carne e praticamente nessun condimento.

Tra i segreti della longevità degli Hunza ci sarebbe anche la particolare acqua alcalina che bevono: diversi studi hanno appurato che l’acqua bevuta da questa popolazione ha un elevato pH, con notevole potere antiossidante e un elevato contenuto di minerali colloidali, che renderebbero più sopportabile anche il digiuno.

Anche ai piedi dell’Himalaya, però, sta arrivando il progresso e, nonostante il rifiuto da parte del popolo Hunza, qualcuno ha iniziato ad introdurre anche tipici prodotti industriali, dalla farina 0 impoverita, allo zucchero bianco raffinato, al sale sbiancato chimicamente. Secondo alcuni esperti, i primi segni di questa “globalizzazione” si starebbero già vedendo, dalla comparsa della carie alle prime patologie cardiovascolari. Colpa di quello che qualcuno chiama “inquinamento evolutivo”?

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Carne creata in vitro con cellule staminali di mucca: la mangeranno anche i vegetariani?

DOTT. EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO MEDICINA ONLINE LABORATORIO RICERCA OSPEDALE SCIENZA SCIENZIATO MICROSCOPIO VETRINO FARMACI CHIMICA TEST ESPERIMENTO ANALISI CLINICHE BIOLOGIA MICROBIOLOGIA VIRUS LABORATORYUn hamburger creato a partire da cellule staminali bovine sarà presto servito nei ristoranti di Londra: è il risultato di anni di ricerche dirette dal Dott. Mark Post in Olanda, che spera così di mostrare al mondo che la “carne in vitro” può divenire a breve una fonte di nutrimento.
Una “carne in vitro”, per definizione, è una carne artificiale. Nella fattispecie questo hamburger è stato concepito utilizzando cellule del collo di una mucca grazie a tecniche sviluppate per la creazione di organi. Le cellule staminali hanno la capacità di trasformarsi in una moltitudine di altre cellule, comprese quelle muscolari necessarie alla carne di hamburger.

Niente grasso

L’équipe del Dott. Post ha utilizzato alcune decine di miliardi di cellule muscolari per creare 20.000 fibre di tessuti muscolari molto fini. Per cui questo hamburger in vitro non è composto di nessuna materia grassa, assicura il Dott. Post al quotidiano New York Times, precisando che il gusto è ragionevolmente buono.
Lo scienziato stima che il costo della carne in vitro dovrebbe in futuro considerevolmente abbassarsi. Ma precisa che ci sono ostacoli maggiori che dovranno essere risolti dagli scienziati prima che cominci la produzione in massa.

Ostacoli

L’ostacolo principale a cui la comunità scientifica deve far fronte non è tanto scientifico ma culturale: non solo dovrà convincere la società che la carne coltivata in un laboratorio non presenta alcun pericolo, ma dovrà anche persuaderla a cambiare alcune abitudini alimentari, una difficoltà non di poco conto.
Un primo passo per smettere l’allevamento intensivo, che porta anche a danni ecologici ambientali? Come si comporteranno i vegetariani e le persone che preferiscono non mangiare carne o pesce per scopi culturali e religiosi?

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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