Con il termine “iperventilazione” in medicina si intende un aumento della frequenza degli atti respiratori in condizioni di riposo, volontario o Continua a leggere
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Differenza tra acidosi metabolica con gap anionico normale e aumentato
L’acidosi metabolica è la tendenza alla riduzione del pH ematico, diminuzione dell’HCO3–(bicarbonato) plasmatico e presenza di iperventilazione Continua a leggere
Alterazioni dell’equilibrio acido-base: acidosi ed alcalosi respiratorie e metabolica
Il pH del sangue arterioso è mantenuto nei limiti normali (7,38-7,42; cioè 7,40 ± 0,02) dal concorso di sistemi tampone. Il più importante tra essi è il sistema bicarbonati-acido carbonico, il cui rapporto è di 20:1. Il mantenimento di tale rapporto dipende in massima parte dalla ventilazione polmonare, la quale regola la tensione di Continua a leggere
Differenza tra emogasanalisi arterioso e venoso
L’emogasanalisi, spesso abbreviata con “emogas” o “ega” è un esame ematico diagnostico che consiste nella rilevazione della quantità di ossigeno e di anidride carbonica presenti nel sangue arterioso e del pH del sangue, ottenuto tramite il prelievo di un campione ematico, poi analizzato da un apposito apparecchio chiamato Continua a leggere
Emogasanalisi arterioso: procedura, interpretazione, è dolorosa?
L’emogasanalisi, spesso abbreviata con “emogas” è un esame ematico diagnostico che consiste nella rilevazione della quantità di ossigeno e di anidride carbonica presenti nel sangue arterioso e del pH del sangue. Esistono due diversi tipi di esame per emogasanalisi: quella venosa venosa e l’arteriosa. L’emogasanalisi arteriosa prevede che il sangue venga prelevato da una arteria. Il prelievo è più complesso da attuare per Continua a leggere
Quanto rimane la cocaina in urine, capelli e sangue?
La permanenza della cocaina nel nostro organismo è variabile in base a molti fattori, valutiamoli insieme.
Metabolismo della cocaina
Dopo essere stata assunta per per via intranasale, per inalazione dopo pirolisi (fumo), per via orale o parenterale, la cocaina viene metabolizzata dalle colinesterasi plasmatiche ed epatiche, che la trasformano nei suoi metaboiti inattivi chiamati, rispettivamente benzoilecgonina e ecgonina metilestere. Possono inoltre essere prodotti lievi quantitativi di un metabolita attivo chiamato norcocaina.
L’emivita plasmatica della cocaina dopo somministrazione endovenosa è di circa un’ora (30-90 minuti), mentre è decisamente superiore per i suoi metaboliti (4-8 ore per la ecgonina metilestere e 3,5-6 ore per la benzoilecgonina). L’emivita dipende anche dalla modalità d’assunzione: generalmente è superiore se la cocaina viene assunta per via nasale e più breve se inalata (crack) o iniettata.
In media circa l’1-9% delle dose assunta viene escreta in forma non modificata nelle urine. L’escrezione dipende da vari fattori:
- aumenta al diminuire del pH delle urine (acidità) e diminuisce quanto più queste sono basiche;
- diminuisce in caso di assunzione cronica (pare che i consumatori abituali riescano a metabolizzarla in maniera più efficace).
Indipendentemente dalla via di somministrazione la maggior parte della droga e dei suoi metaboliti compare nelle urine entro le prime 24 ore. I metaboliti della cocaina possono comunque essere presenti nelle urine per 48-72 ore dopo la sua assunzione. In consumatori cronici di cocaina i metaboliti inattivi sono stati rinvenuti anche per periodi di settimane.
Cocaina nelle urine
Solitamente il metodo migliore per riscontare la cocaina nell’organismo è l’esame delle urine perché ha una finestra di rilevamento più ampia per la maggior parte delle droghe. A seconda del consumo che si è fatto della sostanza, questa può essere rilevata nelle urine dai 2 ai 4 giorni dopo l’assunzione. In realtà non è la cocaina ad essere riscontrata ma il suo sottoprodotto: la norcocaina. La maggior parte della cocaina assunta viene espulsa attraverso le urine ma è chiaro che nei consumatori cronici possono permanere dei metaboliti inattivi che sono rilevabili anche dopo alcune settimane. Inoltre c’è da considerare un’altra variabile, ovvero l’uso di alcool: se quando avete assunto cocaina, avete assunto anche degli alcolici,probabilmente la metabolizzazione risulterà più lenta e potreste risultare positivi anche dopo un lungo periodo di tempo.
Utilizzando metaboliti della cocaina, come la benzoilecgonina e il cocaetilene – la finestra di rintracciabilità non è più da 2 a 4 giorni, bensì si ampia. In particolare la rintracciabilità del consumo di cocaina tramite l’esame delle urine può arrivare a 20-30 giorni in questi casi:
- se il soggetto è un consumatore abituale, anche con piccole dosi;
- se il soggetto ha assunto ingenti quantità di cocaina;
- se il soggetto consuma bevande alcoliche.
L’esame delle urine è quello più utilizzato perché meno dispendioso ed invasivo.
Cocaina con esame del sangue
Per rilevare la cocaina attraverso l’esame del sangue bisogna sottoporsi ad un esame specifico quindi se la vostra preoccupazione è focalizzata sui normali esami del sangue di routine, vi informiamo che la cocaina non viene rilevata. Facendo invece esami specifici, la sostanza – o meglio i suoi metaboliti – rimangono visibili nel sangue fino a 5 giorni dopo l’assunzione.
Test antidroga da fare a casa
Nel caso in cui abbiate bisogno di ottenere rapidamente il risultato positivo o negativo del vostro test, potete usare uno di questi test antidroga da fare a casa, acquistabili online, ritirabili anche nei punti di ritiro, facili da fare e dai risultati attendibili. Tutti i prodotti sono stati accuratamente selezionati dal nostro Staff di esperti:
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Cocaina nei capelli
Le tracce di cocaina nel capello, a differenza delle altre vie di analisi come il sangue o l’urina, generalmente possono essere riscontrate fino a ben 6 mesi prima; questo però non rende il test del capello più affidabile in quanto il campione in esame, quindi i capelli, sono soggetti a variabili fisiche e ambientali che possono alterare i controlli, anche se c’è da dire che solitamente prima di effettuare il test su un campione di capelli o peli, gli operatori sottopongono il campione a lavaggi che lo rendano adatto all’analisi. Inoltre il test del capello è poco utilizzato anche perché molto costoso ma se il campione è ritenuto attendibile può arrivare a riscontrare anche consumi di sostanza fatti molti mesi prima, fino a sei mesi.
Dobbiamo ricordarvi che le variabili in gioco affinché il vostro test risulti negativo, sono molteplici e soprattutto sono assolutamente soggettive. Soprattutto c’è da tenere in considerazione l’uso che fate della sostanza: le quantità, da quanto tempo l’assumente, come l’assumete, la qualità, la vostra corporatura, la contemporanea assunzione di altre droghe, la vostra funzionalità epatica e renale, il vostro metabolismo, ed altri fattori assolutamente imprevedibili.
Il consiglio che noi riteniamo essere l’unico efficace per evitare la positività ai test, è smettere di assumere la sostanza. Solo in questo modo potrete avere la certezza di essere puliti e risultare negativi: la vostra salute vi ringrazierà per sempre.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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Differenza tra acidi e basi
Secondo la teoria di Brønsted-Lowry, un acido è una sostanza capace di cedere ioni H+ a un’altra specie chimica detta base, una base è invece una sostanza capace di acquisire ioni H+ da un’altra specie chimica, detta acido.
Secondo la teoria di Lewis, un acido è una sostanza capace di accettare un doppietto elettronico da un’altra specie chimica capace di donarli detta base; una base è invece una sostanza capace di donare un doppietto elettronico a un’altra specie chimica detta acido.
Gli acidi e le basi appartengono a due classi di composti chimici che presentano alcune proprietà completamente opposte.
Gli acidi:
- hanno un sapore prevalentemente aspro;
- conferiscono alle cartine al tornasole una colorazione rossa;
- a contatto con quasi tutti i metalli reagiscono liberando idrogeno allo stato gassoso.
le basi:
- hanno sapore amaro;
- danno al tornasole una colorazione blu;
- sono viscide al tatto.
Le reazioni acido-base sono quelle reazioni chimiche in cui un protone (ione H+) passa da una specie chimica ad un’altra. Fra queste le più comuni, in soluzione acquosa, sono quelle di neutralizzazione. Mescolando soluzioni acquose di un acido e di una base, si sviluppa questo tipo di reazione, che ha la caratteristica di procedere rapidamente producendo un sale e acqua. Ad esempio se facciamo reagire insieme l’acido cloridrico e l’idrossido di sodio avremo una tipica reazione di neutralizzazione:
HCl + NaOH ⇄ H2O + NaCl
Acido cloridrico + idrossido di sodio ⇄ acqua + cloruro di sodio
Misura della forza di un acido ed una base
La forza di un acido o di una base può essere analizzata attraverso la misura della concentrazione degli ioni H3O+ e OH-, che saranno stati prodotti in soluzioni acquose rispettivamente acide o basiche per cessione o sottrazione di protoni. Sulla base di questo criterio, sono state ideate due scale, note come pH e pOH, i cui valori corrispondono rispettivamente al logaritmo, cambiato di segno, della concentrazione dello ione ossonio e dello ione idrossido in soluzione acquosa:
pH = -log [H3O+]
pOH = -log [OH-]
All’acqua pura corrisponde pH uguale a 7,0; l’aggiunta di un acido produce un aumento della concentrazione dello ione ossonio [H3O+] e una conseguente riduzione del valore del pH che fornisce una misura della forza dell’acido in analisi.
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Cause di fatica muscolare: acidificazione del muscolo e deplezione del glicogeno muscolare
Il termine fatica (o affaticamento) esprime lo stato che si verifica quando avviene una diminuzione delle prestazioni e la perdita di piacere in qualsiasi attività, come conseguenza di sollecitazioni psicofisiche in generale.
Nel caso della prestazione sportiva è opportuno considerare la suddivisione in fatica muscolare (fatica locale od anche periferica) e fatica generale o complessa (fatica centrale).
Le cause della fatica prodotta da un lavoro muscolare vanno ricercate a livello metabolico, e sebbene non siano ancora chiare al 100%, la teoria più accreditata considera che il maggiore responsabile della fatica muscolare sia un accumulo di ioni idrogeno (protoni) nella muscolatura interessata.
La fatica centrale, invece, sembra essere strettamente collegata con una diminuzione dei neurotrasmettitori eccitatori (glutammato) ed inibitori (GABA, acido gamma-amino-butirrico).
Le cause della fatica muscolare
Nel linguaggio comune spesso si attribuisce all’acido lattico la causa della fatica muscolare. Quante volte abbiamo sentito frasi come “l’acido lattico si inizia a far sentire”, i “muscoli pieni di acido lattico”… Questa ipotesi presuppone che l’iperacidosi del muscolo che si produce in un lavoro muscolare intenso sarebbe provocata dalla formazione di lattato. Per cui con la dissociazione del protone (H+) dal prodotto finale della glicolisi anaerobica, ovvero l’acido lattico (lattato = acido lattico meno H+), si produrrebbe un aumento della concentrazione di protoni (diminuzione dei valori del pH: “acidificazione”) nel plasma cellulare.
In realtà questa è una descrizione errata di ciò che avviene. La formazione di lattato può essere vista come un meccanismo che contribuisce all’eliminazione parziale di protoni: quando dal piruvato si produce lattato grazie all’enzima lattato deidrogenasi, viene addirittura accettato un H+ dall’ambiente. La formazione di lattato non ha dunque un’azione acidificante, ma al contrario è un meccanismo attraverso il quale le cellule muscolari che lavorano con grande intensità possono essere difese entro dall’iperacidificazione.
La fonte principale di protoni, che causa l’acidificazione dei muscoli e in ultima analisi la fatica muscolare, è proprio la scissione stessa dell’ATP. Quando una molecola di ATP si trasforma in ADP rilasciando energia, è necessaria una molecola di acqua (per questo si parla anche di idrolisi dell’ATP) e si produce anche un protone (H+). Il primo meccanismo per eliminare questo protone, è quello del creatinfosfato, che ripristina la molecola di ATP e toglie di mezzo il protone. Questo meccanismo dura solo alcuni secondi, poi il creatinfosfato si esaurisce, ed entra in gioco la formazione di lattato dal piruvato, che oltre a risintetizzare l’ATP, funziona anche come tampone dei protoni.
Il presupposto affinché funzioni il meccanismo tampone del lattato è che vi sia una sufficiente disponibilità di piruvato, dunque è necessario che venga messa in moto la glicolisi e questo può avvenire solo se vi è una sufficiente disponibilità di glucosio, ovvero di glicogeno muscolare.
Anche il processo della formazione per glicolisi di piruvato e lattato ha una capacità limitata, dunque come si difende la cellula quando l’eliminazione dei protoni attraverso la formazione di lattato viene sovrastata dalla loro produzione? Semplice: i protoni bloccano i punti d’azione del calcio, l’iniziatore dell’idrolisi dell’ATP, legandosi ai suoi siti negativi di legame. In questo modo si impedisce l’inizio dell’interazione generatrice di forza tra calcio-troponina ed ATP-miosina. In pratica, il sistema è auto-inibente. Questa è la causa metabolica di quello stato che viene definito fatica muscolare locale e che il soggetto percepisce come “gambe e braccia pesanti”.
Abbiamo visto che per funzionare correttamente, il meccanismo del lattato ha bisogno di substrati energetici, ovvero del glicogeno muscolare. E infatti nei soggetti che seguono una dieta povera di carboidrati si verifica precocemente la fatica muscolare. Inoltre, aumentano i valori dell’urea e di conseguenza quelli di ammoniaca/ammonio nel sangue, e il volume respiratorio aumenta a parità di consumo di ossigeno perché l’ammonio diminuisce l’utilizzazione cellulare dell’ossigeno disponibile.
Concludendo, la fatica muscolare è causata dall’acidificazione del muscolo, e dalla deplezione di glicogeno muscolare.
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