Lo Streptococcus pneumoniae, anche chiamato pneumococco o pneumococcus, un tempo noto come Bacillo di Fraenkel o Diplococcus pneumoniae o Diplococcus lanceolatus, spesso abbreviato S. pneumoniae, è un batterio gram-positivo appartenente al genere Streptococcus ed è il principale responsabile della polmonite negli adulti. Lo S. pneumoniae, tuttavia, non colpisce solo l’apparato respiratorio, ma può interessare anche altri distretti come il sistema nervoso centrale, il cuore e lo scheletro. Nonostante il fatto che la virulenza di questo batterio sia minima e che sia un batterio patogeno principalmente nei soggetti immunodepressi, in alcuni casi può essere responsabile di pericolose condizioni (sepsi, meningite, endocardite, batteriemia, artrite, osteomielite e peritonite) che – se non curate – possono condurre alla morte del paziente.
SENSIBILITÀ AGLI ANTIBIOTICI
Gli antibiotici β-lattamici, pietra miliare della terapia delle infezioni pneumococciche gravi, si legano covalentemente al sito attivo e quindi inibiscono l’azione degli enzimi (endo, trans e carbossipeptidasi) necessari per la sintesi della parete cellulare. Poiché tali enzimi furono identificati grazie alla loro reazione con penicillina radiomarcata, vengono chiamati penicillin-binding proteins. Fino alla fine degli anni ’70 del secolo scorso, praticamente tutti i ceppi di S. pneumoniae isolati in ambito clinico erano sensibili alla penicillina, cioè erano inibiti in vitro da concentrazioni <0,06 μg/ml. Un numero sempre più elevato di ceppi isolati ha però successivamente dimostrato un qualche grado di resistenza alla penicillina. La resistenza deriva da mutazioni spontanee o dall’acquisizione di nuovo materiale genetico che porta all’alterazione delle proteine che legano la penicillina in modo da ridurre la loro affinità alla molecola e rendendo necessaria una maggiore concentrazione del farmaco per ottenerne la saturazione. Il patrimonio genetico che rende gli pneumococchi resistenti alla penicillina è generalmente acquisito dagli streptococchi del cavo orale ed esso conferisce resistenza anche nei confronti di altri antibiotici. La selezione di ceppi antibiotico-resistenti in tutto il mondo – in particolare in aree dove gli antibiotici sono disponibili senza prescrizione medica o dove vengono molto utilizzati come in asili nido/scuole materne – contribuisce per la maggior parte alla prevalenza di resistenza multifarmacologica.
Attualmente circa il 20% dei ceppi isolati negli Stati Uniti presenta una resistenza intermedia alla penicillina presentando una minima concentrazione inibente (minimal inhibitory concentration, MIC) da 0,1 a 1 μg/ml mentre il 15% è resistente (MIC maggiore o uguale a 2 μg/ml). Il tasso di incidenza è inferiore in quei Paesi che per tradizione sono abbastanza conservatori nell’utilizzo degli antibiotici (per esempio Olanda e Germania) e più alto nei Paesi dove il loro utilizzo è più liberale (per esempio la Francia o l’Italia). In Hong Kong e Corea il tasso di resistenza raggiunge e supera l’80%. Queste definizioni sono basate sulle concentrazioni di farmaco rilevabili nel liquor in corso di trattamento di meningite, mentre i livelli ottenuti nel sangue, nei polmoni e nei seni paranasali sono molto maggiori. Ecco perché la MIC deve essere interpretata alla luce del tipo di infezione che si intende trattare.
La polmonite causata da ceppi penicillino-resistenti risponde facilmente a dosaggi standard di antibiotici β-lattamici, mentre non è così per la meningite. Una recente rivisitazione della definizione di resistenza all’amoxicillina (sensibilità MIC minore o uguale a 2 μg/ml, resistenza intermedia MIC = 4 μg/ml:
resistenza MIC maggiore o uguale a 8 μg/ml) è basata sulla sensibilità ai livelli serici con il presupposto che nessun clinico tratterebbe una meningite con questo farmaco per via orale. Una polmonite causata da un ceppo di pneumococco con una resistenza intermedia all’amoxicillina potrebbe ancora rispondere a un trattamento con questa molecola, mentre non potrebbe se fosse causata da un ceppo resistente. Si possono fare le stesse considerazioni relativamente alla terapia delle otiti e delle sinusiti, poiché le concentrazioni antibiotiche nei fluidi dell’orecchio medio e dei seni para nasali sono simili a quelle ematiche.
Gli pneumococchi sensibili alla penicillina sono sensibili a tutte le cefalosporine comunemente utilizzate; quelli a sensibilità intermedia tendono a essere resistenti a tutte le cefalosporine di prima e a parecchie di seconda generazione (tra queste la cefuroxima conserva ancora la massima efficacia), ma la maggior parte è sensibile ad alcune di terza generazione come la cefotaxime, il ceftriaxone, la cefepime e la cefpodoxime. La metà degli pneumococchi altamente penicillino-resistenti è resistente anche a cefotaxime, ceftriaxone e cefepime, mentre quasi tutti lo sono alla cefpodoxime. Proprio come nel caso della penicillina, la sensibilità del cefotaxime e del ceftriaxone è definita sulla base delle concentrazioni raggiungibili nelliquor. Quindi, la polmonite causata da ceppi a resistenza intermedia (MIC = 2 μg/ml) risponderà bene alle dosi standard di questi farmaci ed è possibile una risposta anche in una polmonite determinata da microrganismi resistenti (MIC maggiore o uguale a 4 μg/ml).
Una meningite causata da ceppi intermedi può non rispondere alla terapia e sicuramente non ci sarà risposta al trattamento con cefotaxime o ceftriaxone se l’agente eziologico è un ceppo resistente. Circa il 25% di tutti gli isolati di pneumococco negli Stati Uniti è resistente all’eritromicina ed ai nuovi macrolidi, incluse azitromicina e claritromicina, con tassi di resistenza più elevati nei ceppi penicillino-resistenti. Questo avrà indubbi riflessi sulla terapia empirica delle bronchiti, delle sinusiti e delle polmoniti. Negli Stati Uniti, la maggioranza degli pneumococchi resistenti ai macrolidi è portatrice del cosiddetto fenotipo M (MIC di eritromicina = da 1 a 8 μg/ml) ed è sensibile alla clindamicina. In questo caso, la resistenza è mediata da meccanismi di efflusso di pompa. Fino a un certo punto le resistenze di tipo M possono essere superate dalle concentrazioni di macrolidi clinicamente raggiungibili. In Europa, il principale meccanismo di resistenza ai macrolidi è dato da una mutazione in ermB, che conferisce un alto livello di resistenza sia ai macrolidi sia alla clindamicina; più del 90% degli isolati pneumococcici negli Stati Uniti è sensibile alla clindamicina. Negli pneumococchi con varia sensibilità alla penicillina è possibile osservare tassi di resistenza nei confronti della doxiciclina simili a quelli osservati per i macrolidi; un terzo degli isolati pneumococcici è resistente al trimetoprim-sulfametoxazolo.
I fluorochinoloni di nuova generazione sono efficaci verso gli pneumococchi: il tasso di resistenza è generalmente <2-3% negli Stati Uniti, ma è più alto altrove e può essere maggiore in ambienti circoscritti dove queste molecole vengono frequentemente prescritte come negli asili nido o nelle residenze sanitarie. I chetolidi (come telitromicina) sembrano essere ugualmente efficaci verso lo pneumococco, cosi come la vancomicina.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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