Wilm Hosenfeld, il nazista che salvò gli ebrei

MEDICINA ONLINE SECONDA GUERRA MONDIALE OLOCAUSTO NAZISTI GIORNATA DELLA MEMORIA Wilm Hosenfeld UFFICIALE CAPITANO Władysław Szpilman IL PIANISTA PIANIST Roman Polanski.jpgWilm Hosenfeld era un capitano delle forze armate tedesche durante la seconda guerra mondiale. Il suo compito era scovare ed uccidere gli ebrei, come i suoi compagni d’armi, ma per lui questa era solo un’apparenza.

Un insegnante delle elementari

Hosenfeld, che aveva già fatto la Prima Guerra Mondiale, era nella vita civile un insegnante delle elementari considerato da tutti generoso, gentile, tenero coi suoi alunni, affettuoso e materno con i bambini in difficoltà. All’inizio della Seconda Guerra Mondiale, di nascosto dagli stessi membri dell’esercito tedesco, compì atti di reale eroismo. In Polonia si sa che salvò un ragazzino dalla fucilazione certa, rischiando la fucilazione a sua volta nel farlo; poi salvò la vita ad un giovane ebreo, Leon Warm, fuggito dal treno dei deportati, assumendolo sotto falso nome al proprio servizio. Era anche noto tra i civili di come lui avesse anche comperato di propria tasca scarpe e cibo per i bambini polacchi. All’inizio dell’occupazione tedesca, Hosenfeld, pregato dalla moglie di Stanislaw Cieciora, soldato polacco fatto prigioniero, lo aveva fatto liberare in segreto ed era diventato amico di questa famiglia, che frequentò a lungo. Salvò anche un prete loro parente, impegnato nella resistenza polacca, e così un loro conoscente, il signor Koschel. E tutto questo lo fece mettendo più volte a rischio la sua stessa vita ed in modo disinteressato.

La cattura e la morte

Catturato il 17 gennaio 1945 dai soldati sovietici a Błonie, non lontano da Varsavia, Hosenfeld fu condannato a 25 anni di lavori forzati per crimini di guerra semplicemente sulla base della sua unità militare d’appartenenza. Nonostante vari ebrei polacchi firmassero petizioni in suo favore, i sovietici continuarono a ritenerlo responsabile di crimini di guerra. Morì il mattino del 13 agosto 1952 per rottura dell’aorta toracica mentre era sottoposto a tortura in un campo di lavoro presso Stalingrado. Durante la prigionia russa, Hosenfeld prima di morire scrisse alla moglie un elenco di ebrei e di polacchi da lui salvati; il quarto nome era quello di un certo Władysław Szpilman.

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Władysław Szpilman

Szpilman non era una “persona qualunque”: all’epoca era un pianista polacco famosissimo per la sua enorme capacità tecnica con lo strumento e per le sue doti interpretative. Quando scoppiò la Seconda Guerra Mondiale la sua carriera si interruppe e dovette nascondersi a lungo dai nazisti, spostandosi in vari rifugi fino al giorno in cui venne trovato dal capitano Hosenfeld che a quel punto avrebbe dovuto catturarlo e farlo fucilare, ma così non andò. Il capitano non solo gli salvò la vita, ma insegnò anzi a Szpilman come meglio nascondersi, gli portò cibo, coperte e vestiti. Gli raccontò di come si vergognava di essere tedesco. Szpilman lo definì in seguito testualmente “l’unico essere umano con indosso l’uniforme tedesca che io abbia mai conosciuto”.  La storia del grande pianista polacco è stata raccontata dal commovente film del 2002 “Il pianistadi Roman Polanski con Adrien Brody, in cui alla fine si fa anche menzione proprio del capitano tedesco Hosenfeld.

Il tentativo di aiuto

Alla fine della guerra Szpilman tentò, nel 1950, di aiutare Hosenfeld, quando seppe che si trovava prigioniero dei sovietici. Si umiliò ad elemosinare l’intervento di Jakob Berman, potente e odiato capo della polizia comunista polacca, al quale raccontò come il capitano tedesco aveva salvato la vita di moltissime persone. Berman effettivamente si attivò, ma gli dovette rispondere che i sovietici non volevano liberarlo e l’eroico capitano morì in carcere. Nel 1995 il nome di Wilm Hosenfeld non compariva ancora nel Viale dei Giusti, a Gerusalemme. Wolf Biermann, cantautore e poeta tedesco, augurò pubblicamente che a piantarlo fosse proprio Władysław Szpilman, il quale però morì nel 2001, all’età di novant’anni, senza averlo piantato. Il figlio di Szpilman, Andrzej, ha successivamente chiesto a lungo che lo Yad Vashem annoverasse Hosenfeld come Giusto tra le nazioni, cosa poi avvenuta nel dicembre del 2008.

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Il diario di Hosenfeld

Durante la sua prigionia il capitano Hosenfeld scrisse una serie di memorie, in parte citate anche nel romanzo autobiografico “Il pianista” (Śmierć miasta) di Władysław Szpilman stesso (da cui è tratto anche il film di Polanski). Alcune frasi tratte dalle memorie di Hosenfeld sono decisamente dure con sé stesso e con l’intera Germania:

“Ora noi abbiamo sulla coscienza sanguinosi crimini a causa delle orribili ingiustizie commesse nell’assassinare i cittadini ebrei” […] “Come siamo codardi a pensare innanzitutto a noi stessi e a permettere che ciò accada. Dovremmo essere puniti per questo” […] “Noi permettiamo che vengano commessi simili crimini, rendendocene complici” […] “Il nazismo è un’onta che non potrà mai essere cancellata, è una maledizione dalla quale non ci libereremo mai. Non meritiamo alcuna pietà. Siamo tutti colpevoli. Provo vergogna ad andare in città. Qualsiasi polacco ha il diritto di sputarci addosso. Ogni giorno che passa mi sento peggio” […] “Perché Dio non interviene?” […] “Quando i nazisti sono saliti al potere non abbiamo fatto nulla per fermarli. Abbiamo tradito i nostri ideali e ora noi tutti dobbiamo accettarne le conseguenze”.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Christopher Reeve, l’incidente e quelle dita che si muovevano

MEDICINA ONLINE SUPERMAN DC MARVEL EROE HERO SUPEREROE SUPERHERO INCIDENTE CAVALLO HORSE Christopher D'Olier Reeve WALLPAPER ACTOR ATTORE STORIA VERTEBRE TETRAPLEGIA PARALISI CINEMA FILM MOVIE.jpgChristopher D’Olier Reeve, più conosciuto come Christopher Reeve o ancor più conosciuto come… Superman. Reeve è infatti famoso per aver interpretato nel corso degli anni ottanta il personaggio di Superman, eroe dei fumetti e icona della cultura pop statunitense, in ben quattro film a partire dal primo del 1978, diretto da Richard Donner e interpretato anche da Marlon Brando e Gene Hackman: film considerato un vero e proprio cult dagli appassionati di fantascienza di tutto il mondo.

L’incidente a cavallo

Nato a New York il 25 settembre 1952, l’uomo d’acciaio sembrava destinato ad una carriera sfavillante nel mondo del cinema, anche grazie alla bellezza del suo fisico che si innalzava a ben 193 cm di altezza per un peso di quasi 100 kg di muscoli ben allenati. Poi la tragedia: a 42 anni, il 27 maggio 1995, cadde da cavallo nel corso di una gara equestre a Charlottesville, nel parco Commonwealth a Culpeper, in Virginia. Christopher Reeve riportò lo spostamento traumatico di due vertebre cervicali, con seguente interessamento e lesione del midollo spinale: un trauma che quasi sempre conduce al decesso del paziente, ma non di Christopher. Come conseguenza del trauma subìto, Reeve restò vivo, ma riportò una paralisi permanente dal collo in giù (tetraplegia), perdendo l’uso di tutti gli arti ed anche la capacità di respirare autonomamente.

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Lo sconforto

Christopher Reeve subito dopo l’incidente lottò tra la vita e la morte, ma, quando si stabilizzò e tornò cosciente, presa coscienza dell’immobilità e dell’impossibilità totale di recupero funzionale, il suo primo desiderio fu di suicidarsi. All’ospedale, per aiutarlo emotivamente, si recò l’amico Robin Williams travestito da chirurgo, per farlo tornare a sorridere e fargli riacquistare la voglia di vivere, ma Reeve era sempre più depresso ed intenzionato all’eutanasia: proprio lui, così atletico ed appassionato di sport, emblema dell’uomo d’acciaio, era costretto per sempre all’immobilità. Fu la moglie di Reeve a salvargli la vita. Dana Morosini Reeve gli chiese infatti di fare con lei un patto per amore suo e dei loro figli: darle due anni di tempo durante i quali lei avrebbe fatto qualsiasi cosa per rendergli la vita il più possibile confortevole e vivibile e – solo al termine dei due anni – decidere se optare o meno l’eutanasia. Christopher accettò e tutti sappiamo che, alla fine di quel patto, decise che la sua esistenza poteva e doveva avere un senso: sentiva forte il dovere di donare motivazione a chi era nelle stesse sue condizioni e di aiutare e spingere la ricerca scientifica nella giusta direzione.

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La fondazione Christopher Reeve

Quanto accadde in seguito è di pubblico dominio per la risonanza internazionale delle straordinarie iniziative per la ricerca, l’assistenza ed i sussidi alle persone con infermità neurologiche da parte della Christopher Reeve Paralysis Foundation (CRPF), del Christopher and Dana Reeve Paralysis Resource Center e della National Organization on Disability, di cui l’ex-attore divenne vice-presidente. Trovata una ragione di vita nell’impegno civile a favore dei disabili e nel sostegno economico al progresso scientifico, l’ex-superman cinematografico divenne un testimonial straordinario per la ricerca scientifica, dettando innumerevoli discorsi per convegni, interventi parlamentari, trasmissioni televisive, e vari libri fra cui un’intensa, coraggiosa e commuovente autobiografia chiamata “Still Me” (che significa “Ancora me”) scritta nel 1998, che potete trovare a questo link: http://amzn.to/2D9rf7N

E’ importante però ricordare che l’impegno umanitario di Reeve NON fu conseguenza del suo incidente, ma – già ben PRIMA della tragica caduta da cavallo – l’attore aveva sfruttato la sua fama mondiale per sostenere battaglie a favore della pace: ad esempio nel 1987 si recò nel Cile di Pinochet per manifestare contro l’imprigionamento degli scrittori e intellettuali cileni.

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Reeve al Massachusetts Institute of Technology nel 2003

Quelle dita che si muovevano…

Quando nel 2000, a cinque anni di distanza dall’incidente, Christopher Reeve cominciò incredibilmente a muovere le dita della mano, non più solo per un riflesso locale ma anche per intenzione volontaria, fu lui a chiedere di essere studiato sperando in possibilità future per la ricerca e la terapia, come lui stesso scrive in Nothing Is Impossibile, pubblicato nel 2002, che potete trovare qui: http://amzn.to/2DaAwMW

Il fenomeno del movimento volontario delle dita in paziente tetraplegico, mai descritto prima in quelle condizioni, fu attribuito in via ipotetica ad uno stimolo alla neurogenesi (cioè alla nuova crescita nervosa) indotto dalla fisioterapia passiva cui era sottoposto quotidianamente. John McDonald, che seguiva Reeve per conto della CRPF, per cercare di accertare ipotetici fenomeni riparativi nel midollo spinale chiese la collaborazione del prof. Maurizio Corbetta, neurologo illustre formatosi a Milano e divenuto il maggiore esperto di risonanza magnetica nucleare (RMN) del sistema nervoso presso la Washington University. Corbetta era così scettico sulla possibilità di movimento di Reeve che, prima di verificarlo personalmente, non voleva neppure sottoporlo all’esame RMN. Proprio il medico italiano, professore di neurologia ed anatomia a St. Louis, è ancora oggi il miglior testimone della straordinaria voglia di vivere che animava l’ex-attore americano e che è stata motivo di incoraggiamento e speranza per tante persone affette da infermità motorie.

Un esempio per tutti noi

Come tutti sappiamo, nonostante la strenua resistenza, Reeve morì a New York, il 10 ottobre 2004 a 52 anni, mentre era ricoverato al Norther Westchester Medical Center di New York a causa di un attacco cardiaco complicato da una grave infezione provocata dalle piaghe da decubito di cui, nonostante la mobilizzazione giornaliera, purtroppo soffriva. Dal suo incidente fino al giorno della sua morte passò nove anni costretto su una sedia a rotelle e collegato a un respiratore artificiale, tuttavia la sua voglia di vivere ha vinto e la sua storia è ancora oggi un esempio ed una motivazione formidabile per tutti noi.

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