Differenza tra raggi infrarossi, ultravioletti e visibili

MEDICINA ONLINE SPETTRO ELETTROMAGNETICO LUCE VISIBILE RAGGI RADIAZIONE SOLARE INFRAROSSI ULTRAVIOLETTI COLORE SOLE LUNGHEZZA D'ONDA FREQUENZA ONDA OZONO NUVOLE ACQUA.jpgIn fisica lo spettro elettromagnetico indica l’insieme di tutte le possibili frequenze delle radiazioni elettromagnetiche. Pur essendo lo spettro continuo, è possibile una suddivisione puramente convenzionale ed indicativa in vari intervalli o bande di frequenza, dettata a partire dallo spettro ottico. L’intero spettro è suddiviso nella parte di spettro visibile che dà vita alla luce e le parti di spettro non visibile a lunghezza d’onda maggiori e minori dello spettro visibile. Le onde di maggiore lunghezza d’onda dal visibile alle onde radio hanno poca energia e risultano scarsamente dannose, le radiazioni comprese tra l’ultravioletto ed i raggi gamma invece hanno più energia, sono ionizzanti e quindi possono danneggiare gli esseri viventi. Dalla parte dello spettro, dove la luce ha lunghezza d’onda maggiore, cioè oltre il rosso, si trova la zona denominata infrarossa. Quest’ultima va da 0,7 µm a 0,4 mm. Quindi, viene la zona delle microonde, con lunghezze d’onda da 0,4 mm a 100 cm. Oltre a questa, vi sono tre campi di onde radio: onde corte da 1 m a 100 m; onde medie da 200 m a 600 m; onde lunghe superiori a 600 m. Le onde radio possono essere generate da scariche che producono onde elettromagnetiche.

Le radiazioni visibili, ovvero la luce , occupano la piccolissima zona dello spettro elettromagnetico compresa tra la radiazione ultravioletta e la radiazione infrarossa. Le sue lunghezze d’onda variano tra 400 e 750 nm. Il nostro occhio percepisce le diverse lunghezze d’onda come differenti colori:

  • il rosso (con lunghezza d’onda tra 750 e 640 nm);
  • l’arancio (tra 640 e 580 nm);
  • il giallo (tra 580 e 570 nm);
  • il verde (tra 570 e 490 nm);
  • il blu (tra 490 e 450 nm);
  • l’indaco (tra 450 e 420 nm);
  • il violetto (tra 420 e 400 nm).

Al di fuori di queste lunghezze d’onda l’occhio umano è “cieco”: al di sotto del rosso (lunghezza d’onda maggiore) vi sono gli infrarossi, mentre sopra il violetto (lunghezza d’onda minore) vi sono gli ultravioletti.

Le radiazioni ultraviolette, o raggi ultravioletti (UV), fanno parte di quella regione dello spettro elettromagnetico che si estende dai raggi X alla radiazione visibile e che comprende lunghezze d’onda che vanno da circa 4 a 400 nm, quindi frequenze comprese tra circa 107 GHz e 7,5.105 GHz. Per rivelare i raggi UV si usano speciali lastre fotografiche. Le radiazioni ultraviolette sono emesse da corpi molto caldi, come le stelle, o prodotte artificialmente attraverso apposite lampade a incandescenza o tubi a scarica a bassa pressione. Sono radiazioni dal forte potere ionizzante e favoriscono le reazioni fotochimiche. Il sole emette radiazioni ultraviolette con lunghezze d’onda comprese tra 0,25 e 0,36 m; la banda compresa tra 0,25 e 0,31 m comprende le radiazioni più energetiche, e le più dannose per gli organismi viventi. Gran parte di queste radiazioni provenienti dal sole viene però assorbita dallo strato di ozono (una forma allotropica dell’ossigeno) presente nella nostra atmosfera a una quota compresa tra 25 e 40 km circa. Gli UV meno energetici, invece, le cui lunghezze d’onda sono comprese tra 0,31 e 0,36 m, sono responsabili dell’abbronzatura della pelle perché attivano la melanina.

Le radiazioni infrarosse (IR) coprono lunghezze d’onda comprese tra 0,75 m e 1 mm. Le radiazioni IR sono invisibili all’occhio umano, ma possono impressionare pellicole fotografiche opportunamente trattate. Vengono emesse da qualunque corpo caldo, anche dal corpo umano, e la loro emissione aumenta all’aumentare della temperatura. Quando un corpo assorbe radiazioni infrarosse si scalda, quindi a esse è associato il trasporto di calore. Per esempio, la maggior parte dell’energia emessa da una lampadina è rappresentata da radiazioni IR. Le radiazioni IR emesse dal Sole scaldano la Terra e costituiscono la principale fonte di energia dei processi biologici. Le radiazioni IR hanno numerosissime applicazioni. Poiché impressionano apposite pellicole fotografiche, vengono usate per realizzare particolari fotografie che forniscono una mappa dello stato termico del corpo fotografato. Molte immagini da satellite, per esempio, sono all’infrarosso e forniscono mappe che vengono usate nei più svariati campi: in campo militare per localizzare aerei, navi o depositi di armi, in campo agricolo per censire le colture e in campo meteorologico per determinare la temperatura delle masse d’aria. In ambito medico diagnostico le applicazioni della radiazione IR riguardano la misurazione a distanza della temperatura della pelle e della zona sottostante, per rivelare processi infiammatori, infettivi o tumorali.

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Cheratocono: cause, sintomi, diagnosi e terapie

CHERATOCONO IMMAGINI CAUSE SINTOMI TERAPIE FOTO OCCHI OCCHIO PUPILLA IRIDE VEDERE DEFORME CORNEA CONICO CONO.jpgIl cheratocono (in inglese “keratoconus”) è una malattia progressiva non infiammatoria della cornea, che si assottiglia e si deforma progressivamente, assumendo una caratteristica forma conica. Di profilo la superficie oculare diventa, quindi, più sporgente. Nel cheratocono la cornea si indebolisce e, quindi, inizia a cedere (nei casi più gravi si arriva alla perforazione). Lo strato oculare esterno e trasparente, che si trova in corrispondenza dell’iride, si assottiglia a causa di un processo degenerativo delle fibre collagene. Semplificando si può dire che la cornea in un punto perde la capacità di resistenza meccanica e, a causa della pressione interna dell’occhio, avviene lo sfiancamento (zona centrale o paracentrale). È bene ricordare che il cheratocono non è sinonimo di astigmatismo: chi ha un astigmatismo elevato non è detto che abbia anche questa patologia. A causa di un’anormalità strutturale delle fibre di collagene che compongono lo stroma corneale, la cornea si deforma progressivamente, assottigliandosi ed allungandosi verso l’esterno (una distrofia corneale detta ectasia) per via della sua ridotta robustezza sotto pressione intraoculare. Si verifica quindi una curvatura corneale irregolare con perdita di sfericità che presenta il tipico apice di forma conica. Nei casi più gravi la cornea può mostrare inoltre alcune opacità, dovute ad un’alterata disposizione delle proteine corneali, che causano delle micro-cicatrici che distorcono le immagini e – in taluni casi – riducono il passaggio della luce, dando un fastidioso senso di abbagliamento.

Epidemiologia

Il cheratocono colpisce circa una persona ogni 2000. Il cheratocono si può presentare sin da bambini. L’età a cui la malattia si presenta è molto varia, ma in genere esordisce clinicamente tra i venti e i trenta anni. La sua velocità di progressione è legata all’età d’insorgenza: se si presenta precocemente ha una progressione molto rapida. Tale progressione tende a rallentare dopo i 30 anni.

Cause e fattori di rischio

Le cause non sono note con certezza, tuttavia sembra che la genetica giochi un ruolo chiave nella patogenesi del cheratocono. Sei geni sono associati alla condizione: BANP-ZNF469, COL4A4, FOXO1, FNDC3B, IMMP2L e RXRA-COL5A1. Probabilmente esistono anche altri geni implicati nella condizione. I pazienti con un genitore, fratello o figlio che ha il cheratocono hanno un rischio da 15 a 67 volte maggiore di sviluppare ectasia corneale rispetto ai pazienti senza parenti affetti. Sembra infine che ci siano possibili legami con malattie generali dell’organismo e che possano essere considerati fattori di rischio piccoli traumi oculari ripetuti nel tempo e problemi al nervo trigemino.

Leggi anche: L’occhio quando fissa è fermo? Cosa sono i movimenti saccadici?

Sintomi e segni

Il paziente con cheratocono può soffrire di un astigmatismo che non si riesce a correggere con le lenti normali; il più delle volte è associato a miopia, mentre raramente lo è a ipermetropia. Dunque i sintomi iniziali sono legati a questi difetti refrattivi. Il cheratocono normalmente non dà dolore a meno che non avvenga un rapido sfiancamento della cornea e la sua perforazione. Spesso il cheratocono è associato a una congiuntivite allergica.

Leggi anche: Differenza tra miopia, astigmatismo, ipermetropia e presbiopia

Diagnosi

Il cheratocono si diagnostica con l’oftalmometria (misurazione della curvatura corneale).  Lo strumento principale per la sua diagnosi e per la valutazione della gravità è la topografia corneale, esame strumentale con cui si misura il raggio della cornea punto per punto; ad esso deve essere sempre associata la misurazione dello spessore corneale. Il primo sospetto di cheratocono è solitamente quello di una miopia associata ad un astigmatismo progressivo o irregolare. Le tecniche diagnostiche si avvalgono inoltre di:

  • oftalmoscopia diretta;
  • retinoscopio a striscia: evidenzia il riflesso a forbice;
  • lampada a fessura o biomicroscopio;
  • pachimetria;
  • aberrometria;
  • microscopia confocale (Confoscan di Nidek);
  • ecografia ad alta frequenza.

Gravità

Una volta che il cheratocono è stato diagnosticato, il suo grado può essere classificato in base a diverse metriche:

  • Pendenza della massima curvatura:
    • “lieve” (< 45 D),
    • “avanzata” (fino a 52 D)
    • “grave” (> 52 D);
  • Morfologia del cono:
    • a capezzolo‘ (piccolo: 5 mm e quasi centrale),
    • ovale‘ (più grande, al di sotto del centro e spesso cascante),
    • a globo‘ (più del 75% della cornea colpita);
  • Spessore corneale:
    • lieve (> 506 μm)
    • avanzato (< 446 μm).

L’uso crescente della topografia corneale ha portato a un declino nell’uso di questi termini.

Leggi anche: Congiuntivite ed allergia congiuntivale: cause, sintomi e cure

Trattamento

Va eliminato o corretto al meglio il difetto visivo causato dal cheratocono: questo è inizialmente possibile con occhiali ma, col progredire della patologia, solo le lenti a contatto possono dare il risultato sperato. In questo caso la lente a contatto non ha solo uno scopo refrattivo, ma contiene meccanicamente la protrusione corneale, rendendo più regolare la forma della cornea stessa. Fondamentali sono i controlli oculistici annuali. Nei casi più gravi si dovrà ricorrere al trapianto di cornea (è un atto dovuto se si è verificata un perforazione corneale).

Cross-linking

Il cross-linking è una metodica che ha come risultato finale quello di rendere la cornea più rigida ed evitare, quindi, lo sfiancamento. Questo avviene tramite la creazione di legami tra le fibre collagene stromali. Il trattamento è minimamente invasivo: si fa reagire una sostanza fotosensibile (la riboflavina ovvero la vitamina B2) – che viene somministrata in forma di collirio – con i raggi ultravioletti. Questo processo lega meglio tra loro le fibre collagene, rinforzando la superficie oculare. In questo modo si può bloccare o almeno limitare la deformazione patologica della cornea.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Differenza tra maculopatia e retinopatia

MEDICINA ONLINE RETINA DISTACCO FOVEA MACULA UMOR PUPILLA IRIDE ANATOMIA CONI BASTONCELLI VISTA CHIASMA CERVELLO NERVO OTTICO CELLULELa maculopatia, o degenerazione maculare, è un termine che racchiude diverse patologie degenerative che danneggiano progressivamente la macula, cioè la zona più ricca di fotorecettori che si trova al centro della retina e che permette di distinguere i dettagli più fini delle immagini. Le parti più esterne della retina ci permettono invece di vedere tutto ciò che si trova intorno al punto che stiamo fissando. Per questo motivo, anche nei casi più gravi, la degenerazione maculare non provoca cecità totale perché la visione periferica e laterale viene conservata. La maculopatia può essere principalmente di due tipi: “secco” od “umido”.

Con il termine “retinopatia” si indica genericamente qualunque malattia o disturbo della retina, cioè la membrana più interna del bulbo oculare, fondamentale per la visione essendo formata da coni e bastoncelli, cellule responsabili di trasformare l’energia luminosa in immagine. Esistono vari tipi specifici di retinopatia, i più diffusi sono la retinopatia diabetica (una delle complicanze del diabete mellito), la retinopatia ipertensiva e la retinopatia pigmentosa.

In definitiva: “retinopatia” indica genericamente qualsiasi patologia della retina, invece “maculopatia” indica una patologia che colpisce più specificatamente la macula, la zona centrale della retina, importantissima per la visione dettagliata.

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Come funziona la vista e dove si formano le immagini che l’occhio vede?

MEDICINA ONLINE VISTA OCCHIO CHIASMA OTTICO CERVELLO CONI BASTONCELLI MACULA RETINA FOVEA CAMPO CORTECCIA CEREBRALE VISIVO IMPULSO COLORI LUCE.jpgLa vista è il senso tramite il quale è possibile percepire gli stimoli luminosi e, quindi, la figura, il colore, le misure e la posizione degli oggetti. Tale percezione avviene per mezzo degli occhi, organi contenuti nelle orbite oculari, due cavità del cranio ai lati della radice del naso, disposte simmetricamente rispetto alla linea mediana del corpo. Una volta che la luce colpisce gli occhi, accadono una serie di eventi che ci portano a vedere quello che è disposto attorno a noi:

  1. La luce entra nell’occhio attraverso la pupilla e colpisce i fotorecettori, le cellule presenti nello strato esterno della retina (coni per la visione cromatica e dettagliata, bastoncelli per la visione monocromatica, soprattutto laterale, e per gli oggetti in movimento).
  2. Coni e bastoncelli vengono iperpolarizzati dai fotoni della luce incidente (legatisi a una molecola di rodopsina) e trasmettono il segnale nervoso alle cellule gangliari con le quali fanno sinapsi.
  3. Gli assoni delle cellule gangliari si riuniscono e danno origine al nervo ottico, il quale prosegue attraverso il foro ottico della cavità orbitaria e giunge nella fossa cranica media.
  4. Nella fossa cranica media ha sede il chiasma ottico, dispositivo commessurale in cui decussano i contingenti nasali (cioè più mediali) della ricezione visiva di entrambe le retine, mentre i contingenti temporali (più laterali) restano ipsilaterali. In questo modo la parte destra del campo visivo viene proiettata all’emisfero sinistro e viceversa.
  5. Usciti dal chiasma ottico come tratti ottici, le fibre sensitive giungono al nucleo dorsale del corpo genicolato laterale, formazione del metatalamo, dove la rappresentazione della macula (centro della visione cromatica e distinta, attorno alla fovea centralis) è al centro dei nuclei, mentre la retina periferica è rappresentata perifericamente.
  6. Dai corpi genicolati laterali l’impulso viene poi inviato, tramite la radiazione ottica (del Gratiolet), all’area visiva primaria (area 17 di Broadmann) sia superiormente che inferiormente alla scissura calcarina, nel lobo occipitale.
  7. Gli impulsi raggiungono quindi la corteccia occipitale, che riceve le informazioni visive dalle emiretine di entrambi gli occhi. Le informazioni vengono qui ricostruite e fuse in una singola figura tridimensionale, restituendo alla persona la sensazione della visione.
  8. Intervengono poi elaborazioni superiori che interessano altre aree corticali (temporale, frontale, etc.) per il riconoscimento dell’immagine e per l’elaborazione di informazioni relative all’immagine.

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Tracoma: cause, sintomi, diagnosi e terapie

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma CORPO ESTRANEO OCCHIO CAUSE CURE VISTA Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Ano PeneSi tratta di una grave malattia degli occhi dovuta all’infezione provocata da un batterio: la Chlamydia Tracomatis. I primi sintomi si manifestano con arrossamento, sensibilità alla luce (fotofobia), forti bruciori, lacrimazione e gonfiore delle palpebre. I segni tipici di questa malattia sono la palpebra rivolta all’interno che si salda alla congiuntiva (entropion cicatriziale), le ciglia rivolte all’interno dell’occhio (ovvero in trichìasi) e alterata chiusura delle palpebre (lagoftalmo), cui seguono cicatrici sulla cornea più o meno estese, fino alla sua opacizzazione completa (si forma un panno corneale e, quindi, l’occhio diventa biancastro).

EPIDEMIOLOGIA

Nel mondo il tracoma è la principale causa di cecità prevenibile tra le malattie contagiose; nelle aree dove è molto frequente una persona su quattro colpita dalla malattia può perdere la vista. Dal punto di vista geografico è endemico in alcune zone dell’Africa, del Medio Oriente, dell’India, del Sud-Est asiatico e del Sud America; l’infezione si trasmette direttamente (da persona a persona) attraverso secrezioni oculari infette oppure indirettamente, in seguito a contatto con materiale contaminato (ad esempio salviettine e vestiario). Tuttavia, i programmi internazionali di prevenzione e di lotta alla malattia, portati avanti in particolare dall’OMS e dalla IAPB (Sezione italiana), stanno dando risultati positivi (ad esempio in Marocco). Anche le mosche che si nutrono di secrezioni oculari possono trasmettere la malattia. In aree dove è diffusa, l’infezione da tracoma colpisce quasi tutti i bambini nei primi due anni di vita. I piccoli infetti sono la principale riserva d’infezione nella comunità, soprattutto per le donne che vi stanno a più stretto contatto, giustificando l’incidenza due o tre volte più alta della forma più grave cicatriziale nel sesso femminile rispetto a quello maschile. I bambini ospitano la Chlamydia Tracomatis nei tratti superiori dell’apparato respiratorio e gastrointestinale, cosicché la trasmissione può avvenire anche attraverso la propagazione di goccioline respiratorie oppure contaminazione per mezzo delle feci. Con la crescita dei bambini diminuisce la prevalenza e la gravità della malattia attiva. Verso i 15-20 anni inizia la fase cronica cicatriziale della malattia. La cecità corneale deriva da alterazioni della congiuntiva e delle palpebre.

PATOGENESI E CARATTERISTICHE CLINICHE

Il tracoma è molto probabilmente dovuto a una risposta di carattere immunologico in conseguenza di ripetute e continue esposizioni al batterio Chlamydia Tracomatis . Un tracoma infettivo acuto è caratterizzato da una congiuntivite a entrambi gli occhi, non purulenta. Generalmente si gonfiano le ghiandole linfatiche del collo e davanti all’orecchio; possono essere presenti iniziali alterazioni della cornea ed erosioni puntate (piccole abrasioni sullo strato esterno dell’occhio). Nelle fasi successive della malattia l’infiammazione della congiuntiva diviene più marcata (ipertrofia follicolare e ipertrofia papillare), con maggiore coinvolgimento della cornea: questa diventa meno trasparente nella parte superiore e si formano piccole opacità, i cosiddetti infiltrati corneali. Tuttavia, le cicatrici ancora non si formano. Nello stadio successivo (cicatrizzazione) i follicoli congiuntivali regrediscono fino a scomparire; diminuisce il grado d’infiammazione, ma appaiono le iniziali alterazioni delle palpebre (ad esempio, trichiasi ed entropion). Nella fase finale l’infiammazione è totalmente risolta, ma rimangono diversi gradi di cicatrizzazione della congiuntiva. Le deformazioni della palpebra e degli annessi all’origine del danno alla cornea sono i segni caratteristici di questo stadio e della malattia tracomatosa propriamente detta.

DIAGNOSI

  • Clinica: la presenza dei segni caratteristici dei vari stadi della patologia.
  • Laboratorio: citologia (prelievo di cellule attraverso raschiamento con spatola della congiuntiva; analisi del materiale prelevato all’immunofluorescenza).

TERAPIA

Nelle forme acute sporadiche il trattamento con antibiotici per via sistemica è sufficiente. Il trattamento del tracoma endemico rappresenta, invece, una sfida particolare. VISION 2020 – un progetto mondiale per eliminare la cecità evitabile portato avanti dalla IAPB e inizialmente dall’OMS – comprende un programma specifico per l’eliminazione globale del tracoma attuando la cosiddetta strategia detta “SAFE“ ossia un acronimo che sta per:

  1. la chirurgia palpebrale (S come Surgery);
  2. la terapia antibiotica (A come Antibiotics);
  3. la pulizia del viso (F come Facial cleanliess);
  4. modifiche ambientali (E come Environment).

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Distacco posteriore di vitreo: sintomi, cause, diagnosi e cure

MEDICINA ONLINE RETINA DISTACCO FOVEA MACULA UMOR PUPILLA IRIDE ANATOMIA CONI BASTONCELLI VISTA CHIASMA CERVELLO NERVO OTTICO CELLULEIl distacco posteriore di vitreo è la conseguenza della separazione del corpo vitreo (sostanza gelatinosa situata all’interno dell’occhio aderente alla retina) dalla superficie retinica. Il distacco avviene per un fenomeno di degenerazione vitreale. Il corpo vitreo – che costituisce approssimativamente i due terzi del volume oculare – è costituito per circa il 99% da acqua e per il resto da cellule e molecole strutturali: fibre collagene, cellule vitree (dette ialociti), acido ialuronico, zuccheri, elettroliti e proteine. Le fibre collagene sono sospese in una rete di glicosaminoglicani (proteine legate a zuccheri) e addensate dall’acido ialuronico; il tutto è contenuto nella membrana ialoidea (il ‘sacchetto’ che avvolge l’umor vitreo). Da ciò si evince che il contenuto acquoso gioca un ruolo di primo piano nel volume vitreale; una sua riduzione comporta, quindi, il distacco della membrana ialoidea dalla superficie retinica, ma la stessa cosa può avvenire in seguito a forti colpi alla testa (traumi e incidenti). Però, nella maggior parte dei casi, il vitreo si distacca completamente senza conseguenze.

QUALI SONO ALTRE CONDIZIONI CHE LO POSSONO DETERMINARE?

Il distacco posteriore di vitreo può essere considerato normale dopo una certa età per un fenomeno fisiologico di disidratazione generale dell’organismo. Oltre ai traumi e alla disidratazione, interventi chirurgici come la cataratta o processi infiammatori dell’occhio come le uveiti (vitreiti, retiniti) possono causarlo.

QUANTO È FREQUENTE?

Essendo legato al processo fisiologico di invecchiamento delle strutture oculari, aumenta la sua incidenza dopo i 40 anni. In particolare, nelle persone senza difetti della vista (emmetropi), tale condizione aumenta del 50% dopo i 70 anni. Anche se si è miopi il rischio che si verifichi è maggiore. Si pensi che la prevalenza nella miopia elevata (superiore a 6 diottrie) può raggiungere il 90-100% dei pazienti oltre i 70 anni. Quindi, l’inizio dei fenomeni degenerativi del corpo vitreo inizia prima nei miopi a causa del processo di allungamento tipico negli occhi di chi soffre del vizio refrattivo che altera l’equilibrio biochimico del gel vitreale.

COME SI ESEGUE LA DIAGNOSI?

Mediante normale visita oculistica, in particolare con l’esame del segmento posteriore (zona retrostante dell’occhio).

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COSA COMPORTA?

Il distacco è considerato benigno quando non comporta trazioni sulla superficie retinica; quando, invece, l’aderenza è tale per cui il corpo vitreo, distaccandosi, tira la retina si possono avere delle complicazioni (come quando si toglie il nastro adesivo da un pacco, che si può rovinare). Noi ci accorgiamo della trazione quando il distacco è accompagnato dai fosfeni (lampi luminosi simili al flash della macchina fotografica che solo la persona colpita nota). In questi casi è bene recarsi subito dal proprio oculista ed evitare gli sforzi fisici (come sollevare pesi, chinarsi in avanti, sospendendo dunque eventuali attività sportive, che possono provocare disidratazione o aumentare il rischio di traumi cerebrali). Quando il distacco avviene senza trazioni retiniche, si avvertono disturbi visivi aspecifici, variamente descritti (ragnatele, linee fisse o ombre nel campo visivo): queste sono tanto più fastidiose quanto più interessano le aree centrali della visione e, quindi, quanto più sono prossime alla macula (regione centrale della retina che permette la visione chiara e distinta). Chi soffre di distacco posteriore di vitreo vede le cosiddette mosche volanti, causate dai corpi mobili vitreali. Questi ultimi sono delle aggregazioni cellulari che galleggiano all’interno del corpo vitreo (vengono osservate perché non sono perfettamente trasparenti): sono il segno di una degenerazione vitreale che quasi sempre accompagna il distacco posteriore di vitreo o, al contrario, ne è causa.

SI PUÒ CURARE IL DISTACCO?

Non esiste una terapia che risolva completamente il disturbo che, in ogni caso, tende a regredire molto lentamente e spontaneamente. Infatti, col passare del tempo, le ombre appariranno sempre più sbiadite e si percepiranno sempre meno, dal momento che il cervello tende ad ignorare l’immagine fastidiosa (perché non rappresenta un nuovo stimolo). In questi casi si consiglia di idratare l’organismo, bevendo molta acqua (almeno 1,5 litri al dì o, comunque, più di quanta se ne beva già), di arricchire la dieta con frutta e verdura – ricche di sali minerali che aiutano a trattenere l’acqua nel nostro corpo – o di assumere integratori mirati e specifici; viceversa, bisogna evitare traumi e sforzi fisici, effettuando visite oculistiche periodiche di controllo, soprattutto se aumentano i corpi mobili vitreali e i flash luminosi.

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Le miodesopsie (mosche volanti) sono pericolose? Quando chiamare il medico

MEDICINA ONLINE OCCHIO EYE EYES MIODESOPSIE MOSCHE VOLANTI PRETINA FOVEA CORPO VITREO CORNEA VISTA VISION SCLERA COROIDE MACULA CRISTALLINO MELANOMA NEVO MIOPIA DALTONISMO PRESBIOPIA STRLe miodesopsie sono pericolose?

Le miodesopsie possono essere molto fastidiose, specialmente durante l’utilizzo di schermi o la lettura, ma raramente sono pericolose o indice di una situazione di pericolo. Un primo caso è rappresentato dalle miodesopsie invalidanti, ovvero talmente estese da compromettere la visione del soggetto. Una seconda possibile spia di condizioni anomale sono i “lampi di luce“, qualora accompagnino le miodesopsie ed il movimento oculare. Durante il normale processo di disidratazione e fluidificazione, infatti, a volte il corpo vitreo esercita una trazione sulla retina che porta ad uno stress per la retina stessa. Nei casi più gravi non è da escludere uno strappo della retina, che genera i lampi sopraddetti e che deve essere immediatamente circoscritto con un intervento laser, onde evitare conseguenze infauste come il distacco in toto della retina.

Quando andare dal medico?

Finché le “mosche volanti” non interferiscono con le attività di tutti i giorni, specie quelle potenzialmente pericolose come guidare o usare macchinari lavorativi, non rappresentano un grosso problema. Contattare il medico è importante se:

  • le miodesopsie vi impediscono fortemente la vista;
  • se notate un brusco peggioramento delle condizioni con aumento improvviso delle mosche volanti
  • se compaiono improvvisamente dei lampi di luce;
  • in caso di insorgenza di sintomi inusuali.

In caso di qualsiasi dubbio, un semplice esame del fondo oculare può individuare rapidamente eventuali aree problematiche.

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Che vuol dire “occhio dominante”?

MEDICINA ONLINE OCCHIO DOMINANTE.jpgIl cervello riesce ad elaborare le due immagini provenienti dai due occhi in una sola, anzi sfrutta la modesta distanza che separa i due occhi per fornirci un’immagine tridimensionale della realtà.
A parte eventuali difetti rifrattivi che possono interessare i due occhi, la capacità del cervello di fondere le due immagini in una sola non ci consente di percepire che un occhio è “privilegiato” rispetto all’altro. Ossia, come per la capacità di essere destrimani o mancini, abbiamo tutti un occhio “dominante” rispetto all’altro, che può essere il sinistro o il destro e che “comanda” la nostra visione. Quando guardiamo il mondo abbiamo in effetti un occhio che “mira” e l’altro che ci aiuta completando la visione e consentendoci la stereoscopia (ossia la capacità di vedere la profondità degli oggetti, in 3D insomma). Se, nella vita di tutti i giorni, tale peculiarità non è avvertita, per particolari professioni (piloti, astronomi, tiratori professionisti) o sport (tiro all’arco, al piattello, etc.) la “dominanza” di un occhio rispetto all’altro è di particolare interesse.
Quando fissiamo un oggetto solo uno dei due occhi sarà realmente “allineato” a questo, proprio l’occhio dominante, mentre l’altro “completerà” l’immagine garantendoci la tridimensionalità. Per scoprire quale dei due occhi è il nostro occhio dominante vi sono diversi test. Uno dei più semplici e rapidi è illustrato dalla foto qui sopra. Indichiamo un oggetto qualsiasi con il nostro indice ad una distanza superiore ai 3 m (un orologio nel caso della foto). Poi chiudiamo alternativamente un occhio per volta senza spostare l’indice e ci renderemo conto che solo uno dei due è effettivamente allineato con l’oggetto. E’ quello il nostro occhio dominante (foto A, vedi immagine in alto), mentre l’altro e “fuori mira” di qualche centimetro (foto B).

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