La pizza è indubbiamente il piatto preferito degli italiani, ma anche di tante altre persone nel mondo che apprezzano la nostra buona cucina. Purtroppo, però, non si può dire che sia una delle ricette più leggere che abbiamo da offrire: anche solo mangiarla regolarmente un paio di volte a Continua a leggere
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Il diabetico può mangiare la pizza? Quale preferire?
La pizza è uno dei cibi che fa alzare maggiormente la glicemia e non dovrebbe essere mangiata spesso dal paziente diabetico (una pizza media di 300 gr ha 800 cal). Tuttavia questo divieto non è assoluto, specie se la pizza ha il condimento adeguato.
Il diabetico può dunque mangiare anche un alimento come la pizza, possibilmente relegandola al fine settimana. Ok per la pizza una volta a settimana, nella versione margherita o marinara (pomodoro, olio, origano), purché sia fatta “a regola d’arte” (vale a dire ben lievitata e realizzata con prodotti di prima qualità), purché la abbinate ad un bel piatto di insalata (le fibre aiutano ad abbassare il carico glicemico) e purché la vostra glicemia ve lo consenta.
Altra raccomandazione, preferire appunto varianti semplici ed evitare ad esempio le famose “pizze con patate fritte” o pizze con condimento di patate, anche bollite. In quel caso l’indice glicemico schizza in alto. No all’abbinamento con coca cola o birra, quest’ultima se ricordate ha gli indici glicemici tra i più elevati. Insomma, moderazione è la parola d’ordine, non “rinuncia” o “divieto”.
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Differenza tra pizza e piadina: calorie ed idee in cucina
La gloria di Napoli o il vanto della Romagna? Pro e contro di due prodotti alimentari molto gustosi ma di difficile inserimento in un sano regime alimentare. Ma sarà poi vero? La pizza è una preparazione gastronomica che si presenta in molte decine di varianti, ma ha alla base un impasto cotto al forno di farina di frumento, acqua e lievito. Poco si sa con certezza delle sue origini, anche se molti le fanno risalire all’epoca romana e all’ambiente culturale mediterraneo.
Secondo alcuni, il nome deriverebbe dal participio passato (pinsa) del verbo latino “pinsere”, che significa “schiacciare”, con preciso riferimento alla forma allargata della preparazione. Secondo altri, la pizza si chiamerebbe così dalla parola mediorientale “pita”, nome generico attribuito con numerose varianti al pane.
La piadina, composta da farina di frumento, strutto (o olio d’oliva), sale e acqua, ha alle spalle anch’essa una storia millenaria ma un’origine più determinata: la Romagna, più precisamente le colline fra Forlì e Rimini; la sua cottura avviene su un piatto di terracotta, su lastre di pietra o piastre di metallo. Il termine “piada”, di cui piadina è un diminutivo, potrebbe derivare dal greco “plakous” (focaccia) a indicare un surrogato del pane; ma altri studiosi, considerando il fatto che la Romagna apparteneva all’Impero Romano d’Oriente, fanno risalire l’attuale denominazione al mediorientale “pita”.
Una possibile identica origine, quindi, per due prodotti affini ma molto diversi.
Il consumo odierno
La notorietà internazionale e il crescente successo commerciale della pizza rendono quantitativamente improponibile un confronto fra i due prodotti. Anche se, piuttosto recentemente, la piadina romagnola ha valicato i confini regionali e ha iniziato a divenire un sostitutivo di pasto gradito in tutta Italia (togliendo peraltro soltanto pochi adepti alle schiere degli amanti di panini e pizzette), la presenza capillare – e non solo nel nostro Paese – di pizzerie classiche o al trancio fa della pizza uno degli ambasciatori più graditi del “gusto italiano” nel mondo. Come si sa, esistono decine di modi più o meno tradizionali di condire una pizza: dalle classiche Margherita e Napoli alle più fantasiose e condizionate dalle mode quali pizza con ketchup e patatine chips, pizza con panna e salmone o pizza con Nutella.
Senza addentrarci nell’elencazione di tutte le qualità di pizza cucinate al mondo (ne esistono di tipiche anche in Nordamerica, con mais e salsiccia, o in Brasile, con pollo, ananas e cocco), riconosciamo alla città di Napoli il vanto di potersi fregiare dell’”invenzione” della pizza rotonda (con la pasta tipicamente elastica al centro e croccante ai bordi) e a Roma quello di aver dato i natali alla pizza al trancio (più umida e soffice). Diverso il caso della piadina, che contempla soltanto poche diversità di preparazione e servizio: con salumi affettati, con formaggio molle (classicamente squacquerone, il formaggio Dop romagnolo) o con le verdure, anche se in questo caso viene indicata con un nome diverso: “cassone” o “crescione”.
Calorie
La notorietà della dieta mediterranea e la sua affermazione come salutare “italian way of life” ha spesso fatto commettere qualche errore di valutazione a più di un dietologo, inducendolo a considerare la pizza un alimento ipocalorico. Meglio sgombrare il campo da ogni dubbio: sommando i carboidrati della pasta ai grassi di animali di mozzarella o altri formaggi e a quelli vegetali dell’olio d’oliva (per tacere di eventuali ulteriori salumi, sottoli e quant’altro), si ottiene una vera e propria bomba calorica; basti pensare che una piccola e semplice “margherita” da 250-300 grammi rasenta le 800 calorie, peraltro piuttosto sbilanciate a favore dei carboidrati (oltre il 70%), più o meno equivalenti a una generosa porzione di spaghetti al pomodoro ben condita o a quasi tre hamburger. Preferire le pizze senza salumi e mozzarella (o altri formaggi) può essere una buona soluzione di compromesso.
Molto calorica anche la piadina romagnola, che sconta la presenza di strutto o olio d’oliva nell’impasto, grassi ai quali vanno aggiunti quelli della farcitura a base di salumi e formaggi. In qualche modo più gestibile, nel quadro di un giusto regime alimentare, la versione vegetariana cui avevamo accennato più sopra: il “cassone” o “crescione”. Ne proponiamo una fra le tante ricette disponibili.
Idee in cucina
CASSONI ALLA ROMAGNOLA (per 4 persone)
Per la pasta: un chilo di farina; 4 grammi di bicarbonato di sodio, mezzo bicchiere di olio extravergine di oliva.
Per il ripieno: far saltare le verdure (spinaci, bietole o scarola) in poco olio profumato di aglio e un pizzico di sale e poi sminuzzarle grossolanamente. Formare con la pasta delle piccole piadine rotonde e chiuderle a mezzaluna con il ripieno, spolverizzando con formaggio di fossa grattugiato. Cuocere a forno molto alto fino a quando i cassoni accenneranno a colorarsi.
Una curiosità: l’altro nome del cassone è “crescione”, derivante dall’antica usanza di farcirli unicamente con l’omonima erba di campo che cresceva vicino ai fossi, dal gusto amarognolo e leggermente piccante.
In conclusione
Questa volta abbiamo voluto mettere a confronto due piatti tipici della tradizione, uno di grande successo internazionale e dalle mille varianti, l’altro più radicato sul territorio di una sola regione, peraltro la più turisticizzata d’Italia. Trattandosi di piatti dall’origine molto antica e sicuramente non ideati da un dietologo, non possiamo certo consigliarvi di considerarli alla base quotidiana della vostra dieta. Gustosi e ricchi di calorie, possono al massimo costituire una piacevole eccezione a un regime controllato.
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