Nella depressione, con poche eccezioni (depressione bipolare, atipica e giovanile), il sonno è alterato nei suoi aspetti quantitativi (continuità e durata) e deprivato delle sue qualità di recupero e di riposo. L’insonnia depressiva (più spesso di tipo centrale o terminale) preannuncia spesso l’esordio del disturbo dell ‘umore, ne accompagna il decorso e il suo dileguare costituisce un indice predittivo di remissione della depressione.
Studi poligrafici e diagnosi
Le indagini poligrafiche hanno confermato le acquisizioni cliniche e hanno consentito di definire in modo sufficientemente preciso i rapporti tra sonno e patologia depressiva indicando che nella maggioranza dei depressi il tempo di sonno è ridotto per l’alta incidenza dei risvegli e la precocità del risveglio finale; la difficoltà di addormentamento (più frequente nei soggetti giovani) gioca un ruolo meno importante.
La riduzione del tempo di sonno è maggiore nelle depressioni gravi rispetto a quelle di più modesta entità, nelle primarie rispetto alle secondarie, nelle endogene rispetto alle reattive e nelle depressioni di età media e senile rispetto a quelle giovanili.
Dal punto di vista strutturale (vedi immagine in alto nell’articolo) il sonno del depresso appare superficiale (aumento percentuale degli stadi 1 e 2) e talora deprivato degli stadi di sonno più profondo (riduzione degli stadi 3 e 4) e alterato nella sua ciclicità.
Il sonno REM in alcune ricerche è stato riscontrato aumentato, in altre diminuito, in altre ancora con valori sovrapponibili a quelli dei soggetti di controllo. È stata sottolineata inoltre l’estrema variabilità dei valori quantitativi di questo stadio da un soggetto all’altro e nello stesso soggetto in momenti diversi del decorso della malattia e da notte a notte, specie nei soggetti più gravemente depressi. Per quanto concerne la latenza REM, pur nella non univocità dei dati, è sufficientemente documentata la sua riduzione che è stata assunta come «marker biologico» della depressione primaria o endogenomorfa. La compromissione di questo parametro è positivamente correlata con l’età e con la gravità della sintomatologia, cosicché latenze REM estremamente brevi (inferiori a 20 min) connotano i quadri depressivi deliranti e dell’età evolutiva. Un altro rilievo poligrafico tipico della depressione è la maggior durata del primo periodo REM: anche questa alterazione sembra correlata con l’età risultando di più frequente riscontro nei depressi in età media e avanzata. Altre alterazioni del sonno REM che ricorrono nella depressione sono rappresentate dall’abnorme distribuzione temporale (prevalenza del sonno REM nella prima parte della notte) e dalla più intensa attività fasica.
A carico del sonno NREM la compromissione più costante è rappresentata dalla riduzione in termini assoluti e percentuali del sonno delta (soprattutto dello stadio 4) che si mantiene anche a risoluzione avvenuta del disturbo dell’umore, indicando la sua dipendenza non tanto dallo stato di malattia quanto dalle caratteristiche biopsicologiche del candidato alla depressione. Tecniche computerizzate di analisi del tracciato hanno documentato che questa alterazione poligrafica è connessa ad una riduzione del numero delle onde delta e della loro densità nel sonno NREM soprattutto nel primo periodo; la ridotta attività delta condiziona una minor durata del sonno NREM del primo periodo e quindi un accorciamento della latenza REM che si identifica con il tempo NREM che precede il primo periodo REM.
Il miglioramento della depressione si associa, e talora è preceduto, da una tendenza alla normalizzazione del pattern di sonno: i risvegli si fanno meno frequenti e il risveglio finale meno precoce, il sonno REM recupera i valori normali pur mantenendosi la latenza REM ridotta; lo stadio 4 mostra un parziale recupero, ma, come già riferito, tende a permanere a livelli modesti o addirittura si mantiene assente: la risoluzione dello stato depressivo non si associa quindi ad una normalizzazione del pattern di sonno e – nella maggior parte dei pazienti – il sonno continua per oltre sei mesi ad essere significativamente di- verso da quello dei soggetti di controllo (maggior difficoltà di addormentamento, elevata quantità di stadio 1, riduzione di stadio 4, notevole variabilità dei parametri ipnici da notte a notte, maggior durata degli episodi REM).
È stato rilevato che i pazienti che dopo la risoluzione dello stato depressivo continuavano a presentare modificazioni del sonno REM e del tempo di sonno incorrevano dopo circa 2 anni in un nuovo episodio depressivo: le residue perturbazioni del pattern di sonno indicavano pertanto una maggiore vulnerabilità alla malattia depressiva. I pazienti invece che mostravano modelli di sonno del tutto normali non andavano incontro a ricadute.
Le ricadute si preannunciano 2-8 settimane prima della comparsa delle manifestazioni cliniche, con alterazioni dello schema di sonno quali la riduzione del sonno REM e del sonno delta e la tendenza all’inversione della distribuzione temporale del sonno REM. I cambiamenti neurofisiologici precedono quindi l’evidenza clinica del disturbo del- l’umore e possono consentire di predire le ricadute e di pianificare l’intervento farmacologico.
Cause e fisiopatologia
Le acquisizioni sui meccanismi di regolazione centrale del ciclo sonno-veglia e dell’affettività hanno consentito di elaborare un modello neurochimico delle modificazioni del sonno nella depressione. L’attivazione del sonno REM è stata ricondotta ad un’iperattività colinergica e/o ad un’ipoattività monoaminergica. L’ipotesi dello sbilanciamento tra attività colinergica e aminergica sembra avvalorata sia dall’attivazione REM (diminuzione della latenza, aumento del tempo REM) indotta dai farmaci che diminuiscono le amine cerebrali (reserpina e a-metil-p-tirosina), sia dall’effetto delle sostanze che intensificano l’attività colinergica: la latenza REM è abbreviata dalla somministrazione endovena di fisiostigmina (un anticolinesterasico) e di arecolina (un agonista muscarinico), nonché dalla somministrazione orale di RS-86 (anch’esso un agonista muscarinico).
Alcune modificazioni clinico-biologiche (alternanza diurna dell’umore, risveglio mattutino precoce e ridotta latenza REM) sono state ricondotte ad un avanzamento di fase (phase advance) di un pacemaker circadiano rispetto al sonno.
Nel modello proposto da Borbely le alterazioni del sonno nella depressione sono ricondotte ad un’inrerazione tra due distinti processi fisiologici che influenzano il timing e l’organizzazione del sonno: il «processo S» che riflette la propensione al sonno, probabilmente espressione di un ipotetico sleep factor che si accumula durante la veglia e viene dissipato nel sonno, e il «processo C» che riflette la propensione circadiana al sonno REM. Questo modello ipotizza che il «fattore S» sia deficitario nella depressione come è dimostrato dalla riduzione del tempo di sonno, dall’aumento della latenza di sonno, dalla riduzione del sonno ad onde lente e dalla corre lata ridotta latenza REM.
Terapia farmacologica
L’insonnia depressiva risponde al trattamento antidepressivo con triciclici (specie a quelli dotati di proprietà sedative: amitriptilina) o tetraciclici (mianserina). Il trattamento della depressione, tuttavia, il più spesso include anche l’associazione di
benzodiazepine (soprattutto nelle depressioni ansiose) che interagiscono positivamente con i farmaci antidepressivi nei riguardi dell’insonnia. Nei casi di insonnia ostinata si rende necessaria l’associazione di benzodiazepine ipnotiche (a emivita lunga o intermedia) o di neurolettici fenotiazinici (promazina, levomepromazina, clorpromazina).
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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