Le “sindromi reattive pseudoallergiche” o “pseudoallergie” o “PAR” (acronimo dall’inglese “Pseudo-Allergic Reactions”) costituiscono un gruppo di manifestazioni che presentano strette analogie con la sintomatologia di altre sindromi a dimostrata eziopatogenesi allergica, ma che se ne differenziano per il diverso meccanismo patogenetico, sempre extra-immunologico. Le sostanze che possono dar luogo a PAR sono virtualmente infinite, tuttavia si tratta in genere di alimenti ricchi di istamina e/o tirammina o comunque contenenti sostanze istamino-liberatrici. In genere, come avviene nelle intolleranze alimentari) si deve assumere una quantità relativamente grande di sostanza per generare i sintomi (sono sindromi dose dipendenti), al contrario delle allergie in cui basta assumere anche un quantità minima di sostanza per sviluppare i sintomi (dose indipendenza).
Diagnosi
La diagnosi eziologica delle PAR presenta non pochi problemi. Infatti l’anamnesi non sempre si dimostra risolutiva, anche a causa del vario intervallo di tempo che può intercorrere tra l’esposizione a un determinato agente e la comparsa delle manifestazioni cliniche. Inoltre, i test cutanei ed i test sierologici, che pure debbono essere eseguiti per escludere una patogenesi allergica, nelle PAR sono negativi per definizione, trattandosi di forme a patogenesi extraimmunologica.
Per le PAR da farmaci, da alimenti e da additivi alimentari può essere utile il dosaggio dei sulfidoleucotrieni (CAST-ELISA), liberati de novo da sospensioni di leucociti del sangue periferico del paziente dopo aggiunta del farmaco o dell’additivo sospetti. È molto spesso necessario, quindi, ricorrere ai test di eliminazione o ai test di provocazione, questi ultimi da attuare con estrema cautela.
Nell’asma da analgesici il test di provocazione può essere eseguito per via inalatoria con acetilsalicilato di lisina, che, in caso di positività del test, provoca una sindrome broncospastica di minore gravità rispetto a quella prodotta dalla somministrazione orale di ASA (acido acetilsalicilico); tra l’altro, è interessante che, dopo un test di provocazione positivo, si abbia spesso un periodo di alcuni giorni in cui i pazienti con asma da analgesici possono assumere ASA o FANS senza comparsa di reazioni asmatiche (in simili casi è però inesatto parlare di “desensibilizzazione”, dovendo si parlare piuttosto di
“assuefazione temporanea”).
Il test di provocazione orale con ASA prevede la somministrazione in tre sedute giornaliere di dosi crescenti di ASA ogni tre ore, ad iniziare da una dose di 3 mg (o 30 mg), fino a giungere a una dose di 650 mg. Il test, ormai standardizzato, da eseguire in ambiente ospedaliero, consiste nella somministrazione il primo giorno di tre dosi di placebo, il secondo giorno di 3 (o 30), 60 e 100 mg di ASA ed il terzo giorno di 150, 325 e 650 mg di ASA. La reazione classica è rappresentata da una sindrome asmatica con riduzione del FEV1 di almeno il 25% rispetto ai valori basali, accompagnata da sintomi rino-oculari; si possono però riscontrare reazioni di tipo intermedio, caratterizzate dal-
l’assenza di sintomi rinitici ed oculari oppure da una risposta esclusivamente rinitica od oculare. Risultati dubbi si hanno quando si osservi una riduzione del FEV1 di oltre il 15%, ma al di sotto del 25, rispetto ai valori di base.
Il test presenta i vantaggi della semplicità e della possibilità di osservare anche eventuali reazioni a livello cutaneo; gli svantaggi sono rappresentati dalla durata (tre giorni) e, soprattutto, dal rischio di gravi reazioni indesiderate.
Il test di provocazione bronchiale con acetilsalicilato di lisina, proposto da Bianco, prevede invece la somministrazione del farmaco in una sola seduta, a dosi progressivamente crescenti, partendo dall’inalazione di 0,05 ml del preparato in soluzione (corrispondenti a 1,25 mg di ASA) e proseguendo fino all’inalazione di 1 ml (corrispondente a 25 mg di ASA). Qualora
non si osservi una caduta del FEVj superiore al 20 del basale, si proseguirà il test per via orale, facendo ingerire al paziente dosi progressivamente crescenti del farmaco, fino a raggiungere una dose cumulativa corrispondente a 500 mg di ASA. I vantaggi del test sono costituiti dalla rapidità di comparsa delle eventuali reazioni e dalla loro minore gravità.
Un test di provocazione nasale con acetilsalicilato di lisina è stato proposto recentemente, ma l’utilità di questa metodica diagnostica deve essere
ancora confermata.
Un test di tolleranza a FANS per via orale può essere praticato secondo il seguente schema:
1° giorno | 7° giorno | 14° giorno | 21 ° giorno | |
Placebo | Nimesulide | Paracetamolo | Floctafenina | |
Base | 1 capsula | 25 mg | 125 mg | 50mg |
Dopo un’ora | 1 capsula | 75 mg | 375 mg | 150 mg |
Dose cumulativa | 100mg | 500 mg | 200 mg |
Un test di tolleranza ad anestetici locali si può praticare con anestetici alternativi rispetto a quello sospettato di aver dato luogo in precedenza ad una sindrome reattiva, secondo lo schema di seguito riportato:
I Test cutaneo per puntura (prick test)
- Una goccia di anestetico non diluito
II Test intradermico
- 0,02 mi di una soluzione 1: 1 00
- 0,02 mi di una soluzione 1: 1 O
- 0,02 mi di anestetico non diluito
III Test di tolleranza (per via sottocutanea)
- 0,10 mi di anestetico non diluito
- 0,30 mi di anestetico non diluito
- 0,50 mi di anestetico non diluito
- 1,00 mi di anestetico non diluito
Le varie somministrazioni debbono essere eseguite ad intervalli di 20-30′. Soltanto quando esista un’anamnesi suggestiva per reazioni ritardate è consigliabile attendere 24-48 ore prima di procedere alla somministrazione successiva.
Nelle PAR da esercizio fisico deve essere eseguito un test da sforzo massimale al treadmill (exercise challengei, eventualmente preceduto, nei casi di anafilassi da esercizio fisico post-prandiale, dall’assunzione, 90′ prima, di un pasto contenente l’alimento sospetto (suspected food -exercise challenge).
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