Le allergopatie professionali comprendono forme cliniche diverse (rinite, asma bronchiale, pneumopatie da ipersensibilità, dermatiti da contatto…), in cui gli allergeni sono rappresentati da sostanze (di natura chimica, vegetale, fungina o animale) prodotte o comunque presenti negli ambienti di lavoro. Il rilievo socio-economico di queste affezioni, legato alla loro elevata frequenza nell’ambito di particolari categorie di lavoratori, implica complessi problemi di prevenzione ambientale.
Sintomi e segni
Per la descrizione delle sindromi cliniche causate da allergeni presenti negli ambienti di lavoro, si rinvia ai seguenti tre articoli:
In questa sede ci soffermeremo, invece, brevemente sull’asma bronchiale
professionale, che si ritiene rappresenti il 2% circa di tutti i casi di asma bronchiale (in alcune nazioni industrializzate, ad esempio in Giappone, tale percentuale è molto
più elevata, sino al 15% della totalità dei casi di asma bronchiale in soggetti di sesso maschile).
Quadro clinico dell’ asma bronchiale professionale
Il quadro clinico dell’ asma bronchiale professionale insorge dopo un periodo di esposizione di varia durata, in rapporto a fattori diversi, correlati in parte all’esposizione all’allergene (potenza allergenica dell’agente responsabile, continuità o intermittenza dell’esposizione, etc.) ed in parte al paziente stesso (familiarità atopica, predisposizione ereditaria alla broncore attività aspecifica…). Le manifestazioni cliniche dell’asma professionale presentano alcune caratteristiche particolari: i sintomi, spesso dominati dalla tosse, iniziano frequentemente nelle prime ore di ripresa dell’attività lavorativa, anche se deve essere sempre tenuta presente la possibilità di una sindrome asmatica tardiva o difasica, che può iniziare diverse ore dopo l’esposizione all’allergene responsabile; la sintomatologia tende spesso a scomparire, o almeno ad attenuarsi, durante i periodi di ferie ed anche nei giorni di fine settimana, per poi tornare a manifestarsi alla ripresa del lavoro (“sindrome del lunedì”, “test di arresto-ripresa”).
Diagnosi
Per quanto concerne la diagnosi eziologica, l’anamnesi può essere – come quasi sempre avviene in medicina – di grande importanza, in quanto è lo stesso paziente, in genere, a mettere in relazione l’insorgenza della dispnea con 1’esposizione ad una particolare sostanza durante l’attività lavorativa. La scelta delle sostanze da saggiare nei test diagnostici specifici deve poi avvenire sulla base di un esame accurato dell’ambiente di lavoro e delle sostanze cui il paziente può essere esposto, tenendo conto anche di criteri epidemiologici, cioè della frequenza statistica con cui intervengono sindromi asmatiche professionali in determinate categorie di lavoratori. I test cutanei possono essere utilmente impiegati per gli allergeni che si comportano come antigeni completi. Possono essere poi eseguiti i test sierologici per la ricerca di IgE specifiche, per i quali si dispone di una serie notevolmente ampia di sostanze allergeniche di uso professionale, tra cui:
- isocianati (TDI, MDI, HDI);
- lattice;
- semi di ricino, cotone e girasole;
- polveri di farine e di caffè verde;
- ossido di etilene;
- anidride ftalica;
- formalina/formaldeide;
- bromelina;
- lisozima;
- papaina;
- α-amilasi;
- fosfolipasi;
- mangimi per pesci.
Si può ricorrere successivamente a test di provocazione bronchiale, cheforniscono una sicura dimostrazione del rapporto tra la sindrome asmatica del paziente e l’attività lavorativa, pur senza dare indicazioni sulla patogenesi dell’affezione, cioè senza determinarne la natura immunologica o extraimmunologica.
Possono anche essere effettuati confronti tra i test di funzionalità respiratoria prima dell’attività lavorativa (in particolare quando il paziente sia asintomatico e non lavori da alcuni giorni) e dopo il lavoro. Ad esempio, una metodica semplice di valutazione obiettiva del test arresto-ripresa (“test on-off”) è rappresentata dalla misurazione ripetuta, con apparecchi portatili, del PEF nel corso della giornata, in periodi di lavoro e non, al fine di documentarne le variazioni in relazione all’attività lavorativa.
Terapia
Il primo provvedimento deve consistere nell’evitare un’ulteriore esposizione del paziente all’allergene responsabile, attuabile spesso mediante il trasferimento del lavoratore presso altri reparti, con compiti diversi. Qualora questo provvedimento venga assunto nelle prime fasi dell’asma bronchiale, può consentire una completa scomparsa della sintomatologia; nelle fasi successive, invece, quando si siano già sovrapposti, come spesso accade, fenomeni flogistici subacuti o cronici, l’asma sovente persiste più o meno cronicamente anche dopo il cambio di attività lavorativa. L’immunoterapia specifica può essere presa in considerazione soltanto per pochi allergeni professionali (derivati animali, farine e polveri di cereali, etc.). La terapia farmaco logica non si discosta da quella in uso nelle altre forme di allergopatie.
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