Non ci toglieranno mai la libertà

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma BRAVEHEART DISCORSO PRIMA BATTAGLIA Riabilitazione Nutrizionista Medicina Estetica Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Linfodrenaggio Pene Vagina.jpg“Siete venuti a combattere da uomini liberi, e uomini liberi siete: senza libertà cosa farete? Combatterete? Certo, chi combatte può morire, chi fugge resta vivo, almeno per un po’… Agonizzanti in un letto fra molti anni da adesso, siete sicuri che non sognerete di barattare tutti i giorni che avrete vissuto a partire da oggi, per avere l’occasione, solo un’altra occasione di tornare qui sul campo ad urlare ai nostri nemici che possono toglierci la vita, ma non ci toglieranno mai la libertà!”

William Wallace – Discorso prima della battaglia di Stirling – Braveheart

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American Beauty (1999): c’è così tanta bellezza nel mondo, che non riesco ad accettarla…

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma AMERICAN BEAUTY 1999 TRAMA BELLEZZA Riabilitazione Nutrizionista Medicina Estetica Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Linfodrenaggio Pene Vagina 1.jpgUn film di Sam Mendes. Con Kevin Spacey, Annette Bening, Thora Birch, Wes Bentley, Mena Suvari. Titolo originale American Beauty. Commedia, durata 130 min. – USA 1999

Bisogna dare innanzitutto una definizione al concetto di passione, prima di iniziare a parlare del primo film diretto da Sam Mendes. In questa pellicola, la passione occupa un posto molto importante, di rilievo e fondamentale. Non è esercitata da questi e quest’altri, ma da tutti. Non parlo di personaggi specifici del film, ma della popolazione umana intera. Questo film infatti non delinea soltanto l’aspetto sociale di una singola famiglia. Potrebbe essere benissimo una delle tantissime famiglie che compongono questo pianeta. Ma su questo tornerò dopo. La passione non è né quella di Mel Gibson, (in)capace di ritrarre in simboli la figura di Gesù. La passione non è quella di Turturro, quella che si gira come musica allegra per le vie di Napoli. La passione non è quella di Mazzacurati, raccontando una storia surreale ma con slanci da commedia abbastanza divertente. La passione che ci vuole trasmettere Mendes, aldilà dei fattori cinematografici che si possono trovare nella parola “passione” attribuita alla settima arte da noi spettatori, è quella solida di un maturo verso quella fatiscente di una ragazza. Mendes ci mostra l’enorme contrapposizione che c’è tra queste due figure che si toccano si baciano e mancava poco che facessero anche sesso, ma con spirito e destino completamente diversi. Il regista vuole farci entrare nella sua tana oscura, dove il Bianconiglio bacia Alice. Il vecchio con la giovane. Ma è sempre un paese delle meraviglie.

Mi chiamo Lester Burnham. Questo è il mio quartiere, questa è la mia strada, questa è la mia vita. Ho quarantadue anni, fra meno di un anno… sarò morto

Una giornata della nostra vita può essere rappresentata dalla giornata quotidiana del protagonista, interpretato da un Kevin Spacey in gran forma. Anche se la sua famiglia è un totale disastro. Dopo aver visto quest’ultima lo spettatore entra completamente nel corpo di Lester, affogandolo e affogandosi. E’ incredibile quanto il protagonista riesca a sopportare la sua famiglia.
La moglie è una bastarda rompiscatole che non pensa nemmeno più al sesso. La figlia è prossima (sembrerebbe) alla moda degli emo. Manca solo il mega trucco nero e i capelli come gli emo (mi dispiace, non so descriverli nella loro totale schifezza ultraterrena) e diventa a tutti gli effetti un membro del gruppo.

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Però c’è una voglia di passione dentro Lester incredibile. Una masturbazione mattutina sotto la doccia, unico momento di piacere nella sua vita giornaliera viene totalmente tritata dal sentimento di voglia di fare sesso che si irradia dentro il suo corpo alla vista di un balletto sexy a cui ha partecipato sua figlia e una sua amica. Il sogno prende il sopravvento sul suo spirito che adesso è libero, dato che la moglie è impegnata segretamente con un grande uomo di affari. Ma questa libertà ha un limite. Che peccato vedere lui che non riesce a sedurre la ragazza. Succede l’esatto contrario.
E’ provocante questa ragazza. Magari non così disinibita come quella di Swimming Pool di Ozon, ma comunque estremamente sensuale. Mendes non ha necessità di metterla subito nel primo frangente di film, si limita a mostrarla allo spettatore per qualche volta nella seconda parte, per poi ricongiungere tutti i personaggi nel colpo di scena finale. Il regista si crea una creatura, cavia umana o robotica che è un tuttofare. Non è solo provocante, ma si presta anche a una scena di nudo verso il finale. Mena Suvari, l’attrice che interpreta il personaggio nel film, è estremamente brava. Le sue nuotate su una vasca con dentro petali rossi stanno a simboleggiare la mentalità malata del protagonista. E quei petali rossi sono la perversione sessuale che sprizza da tutti i pori della ragazza.

La macchina da presa di Mendes entra silenziosamente nella strada dove il film si svolge. Quasi una Mulholland Drive. Nel finale se ne va come se non fosse successo niente. Sembra una storia narrata in capitoli di un racconto, come in Romanzo Popolare di Monicelli. Ogni capitolo ha il suo evento scatenante. Una voce off introduce il film, spiegando la storia che compone la vita di tutti i giorni del protagonista. Nessuna voce off chiude il film. Solo silenzio lugubre, un lutto imperdonabile, una perversione assoluta che porta al compiacimento finale della moglie.

È una gran cosa quando realizzi di avere ancora l’abilità di sorprenderti. Ti fa chiedere cos’altro puoi fare che ti sei dimenticato.

C’è un chiaro riferimento a La Finestra Sul Cortile di Hitchcock. Il ragazzo con una videocamera amatoriale che filma quello che sta succedendo nella casa accanto. Questa videocamera sostituisce il famoso binocolo di James Stewart nel film di Sir Alfred. La possibilità di camminare sostituisce la sedia a rotelle. Però il contesto e il succo è sempre lo stesso.
Questo ragazzo spia la figlia di Lester anche mentre lei lo guarda. La sua videocamera la scruta in tutti i particolari, anche quando lei mostra il seno dalla finestra al ragazzo. Il padre è un ex militare ora in pensione, severo per quanto riguarda la droga e il fumo, che poi il figlio darà a Lester in quantità normali.
Non c’è un vero e proprio cattivo come ne La Finestra Sul Cortile. Mendes prova a dare la figura del cattivo al figlio, mentre è impegnato a dare erba a Lester e nel frattempo il padre lo vede, però in atti che sembrerebbero sessuali. La prova a dare a Lester, quando entra in affari con il figlio del militare. La prova a dare alla ragazza di cui si è invaghito il protagonista, quando comincia a litigare con la figlia di quest’ultimo. Mendes compie un vero e proprio atto di conflittualità tra due civiltà completamente diverse sia per usi, sia costumi, sia comportamento in veste di sesso.

Era una di quelle giornate in cui tra un minuto nevica. E c’è elettricità nell’aria. Puoi quasi sentirla… mi segui? E questa busta era lì; danzava, con me. Come una bambina che mi supplicasse di giocare. Per quindici minuti. È stato il giorno in cui ho capito che c’era tutta un’intera vita, dietro a ogni cosa. E un’incredibile forza benevola che voleva sapessi che non c’era motivo di avere paura. Mai. Vederla sul video è povera cosa, lo so; ma mi aiuta a ricordare. Ho bisogno di ricordare. A volte c’è così tanta bellezza nel mondo, che non riesco ad accettarla… Il mio cuore sta per franare

Gocce di sangue si formano in un groviglio rosso, che cola piano nel muro come la vita quotidiana di Lester fino alla conoscenza improvvisa dell’amica della figlia. Uno sparo sulla testa del protagonista da parte della moglie. Infine, la macchina da presa se ne va dalla strada, in attesa di trovare qualche altra succosa pellicola del regista statunitense. E intanto rimaniamo basiti dal sapere che tutto questo comportamento provocatorio dell’amica della figlia del protagonista, era solo un modo per fare la prima volta quel sacrosanto e maledetto sesso.

Articolo di stanley kubrick su https://www.filmtv.it/film/19440/american-beauty/recensioni/536300

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Delay analogico a pedale Diamond Memory Lane: recensione

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma DELAY DIAMOND MEMORY LANE RECENSIONE Riabilitazione Nutrizionista Medicina Estetica Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Linfodrenaggio Pene Vagina.jpg

Questo articolo l’ho scritto originariamente per il sito accordo.it in data 14/01/2008

Il Pedale in questione (e la maiuscola non sta li per caso!) si fa subito notare per le generose dimensioni: avete presente un Fulltone Fulldrive2? Beh il Memory Lane è più largo di almeno 3cm e più profondo di almeno 2cm, insomma è una robusta scatola Hammond rettangolare piuttosto grossa, non pesa molto ma sicuramente in pedaliera occupa lo spazio di quasi 3 Boss! Il nostro pedalone canadese ha un bel colore argento metallizzato con scritte rosso scuro, 6 potenziometri grigi molto “hi-fi vintage” disposti su una fila, nel centro è presente uno switchettino MOD/TAP, ai due lati ci sono due switch meccanici classici, inoltre vi sono 4 prese jack.

Ora vedremo a che serve tutta questa roba.

POTENZIOMETRI PER CONTROLLARE IL DELAY

Da sinistra a destra ecco i potenziometri che incontriamo:

DELAY: permette di regolare il tempo di ritardo. Girato completamente in senso antiorario permette un ritardo minimo di 40 millisecondi, settato al massimo si ottengono circa 550 millisecondi di ritardo.

EQ: permette l’equalizzazione del segnale ritardato. In realtà non è un classico equalizzatore: Messo al minimo otteniamo che i ritardi diverranno via via più scuri perdendo progressivamente le frequenze più alte, messo al massimo al contrario le ripetizioni saranno via via sempre più chiare. Mettendolo proprio nel mezzo si sente un piccolo “click” significa che l’equalizzazione è neutra.

LEVEL: indica in pratica quante ripetizioni si vogliono avere. Messo al minimo si sentirà una sola ribattuta, quasi a metà si comincerà ad avere una bella coda di parecchie ripetizioni, superata la metà si entra in territorio “OSCILLAZIONE IMPAZZITA” per la felicità dei chitarristi più noise.

MIX: tale controllo è posizionato completamente sulla destra del pedale, permette di decidere il rapporto tra suono dry (pulito) e wet (effettato). Ad ore 9 mi sembra abbastanza bilanciato, verso ore 11 si sente il suono effettato che comincia a prendere il sopravvento e si ottiene un risultato molto “spaziale”.

POTENZIOMETRI PER CONTROLLARE LA MODULAZIONE

Fin qui i controlli sono abbastanza “classici” per un delay ma rimangono 2 potenziometri che sono del tutto particolari. Cominciamo con lo spiegare che questo pedale permette anche una modulazione molto interessante che va ad agire NON sul suono diretto ma SOLO sulle ripetizioni. Ebbene i prossimi 2 potenziometri servono proprio per controllare questa modulazione:

DEPTH: controlla quanta modulazione applicare alle ripetizioni: messo al minimo l’effetto sarà appena udibile, al massimo l’effetto sarà più invadente. Per me l’ideale è più o meno nel mezzo a meno che non ricerco sonorità particolari. Se messo al minimo si sente un piccolo “click”: significa che l’effetto è totalmente disinserito.

SPEED: immaginando la modulazione come una serie di onde, questo controllo permette di modificare quanto sono ravvicinate tali onde: al minimo le “pulsazioni” saranno molto lente (circa 0,1 Hz), al massimo le pulsazioni saranno molto più veloci (10 Hz). Spero di essermi spiegato, anche se la maggior parte di voi almeno una volta nella vita avrà usato un chorus od un tremolo ed avrà già capito cosa intendo!

SWITCH

Ve ne sono due, quello a sinistra accende/spegne l’intero effetto, quello a destra permette di effettuare due operazioni completamente diverse:

MODALITA’ TAP: in tale modalità questo switch serve per regolare in tempo reale la velocità del controllo “DELAY” tramite doppia pressione dello switch. Il potenziometro DELAY si disattiva. Il led lampeggia indicando il tempo di ritardo.

MODALITA’ MOD: in tale modalità questo switch permette di attivare e ovviamente disattivare la modulazione sulle ribattute. Il led è giallo a modulazione spenta e arancione quando è attiva. E’ possibile anche attivare la modulazione prima di accendere il delay, nel senso che il led mod diventerà arancione (attivato) a prescindere se il delay è acceso o spento in modo che quando accendete l’effetto delay avrete contemporaneamente anche la modulazione.

“SWITCHETTINO”

Posto in alto tra i potenziometri permette di passare dalla modalità Tap a quella Modulation.

PRESE JACK

Ve ne sono 4:

INPUT: abbastanza intuitivo direi!

DELAY ONLY: da qui esce solamente il segnale effettato (solo le ribattute insomma)

MIX/DIRECT: da qui esce il segnale diretto mescolato con quello effettato, se però un jack è attaccato alla presa “delay only” da qui uscirà solamente il segnale diretto.

EXP: attaccandoci un pedale di espressione si può controllare in tempo reale il numero di ripetizioni, contemporaneamente si disattiva quindi il potenziometro FEEDBACK”.

QUELLO CHE NON SI VEDE

C’è un controllo all’interno del pedale, un piccolo jumper posizionato sulla destra a mezza altezza, veramente utile: permette infatti di regolare il livello di input che entra nel pedale. In pratica agendo su di esso si può usare il pedale con una strato con singoli dall’uscita molto bassa, fino ad una jackson con humbucker dall’uscita altissima. Inoltre permette di inserire il Memory Lane anche nel loop effetti di un amplificatore. Tutto ciò perché il chip NE570N presente all’interno è predisposto per lavorare ottimamente a segnali non troppo sparati e non gradisce cose tipo l’X2N della Di Marzio! Se usate un humbucker potente e picchiate sulle corde col delay acceso e con tale jumper regolato male potreste sentire di tanto in tanto dei piccoli “colpi” nel suono corrispondenti ai picchi. Problema ovviato dal jumper appunto. Ah, un’altra cosa che non si vede, è la costruzione interna: una precisione quasi maniacale, ottimi componenti e non aggiungo altro.

ALIMENTIAMOLO

Per alimentare questa bestiola serve un trasformatore da ben 24V DC che è incluso nel prezzo. Attenzione al polo positivo che è centrale, contrariamente alla maggior parte dei pedali in giro.

LO ACCENDIAMO?

Dopo averlo osservato (con rispetto ed in religioso silenzio) per qualche minuto, si passa finalmente alla prova sonora! Per prima cosa ho trovato molta soddisfazione nel notare come il pedale da spento sia assolutamente trasparente! Dinamica ed armoniche che entrano in questa scatolona argentata escono inalterate. E’ true bypass (ed infatti uso un buffer Black Box della Masotti ad inizio catena) ed il segnale della mia strato e dei miei wha Geoffrey Teese e Fulldrive2 mosfet passano attraverso il Memory Lane come un limpido ruscello di montagna. Ricordatevi che ad un pedale non basta essere true bypass per essere veramente trasparente!

Lo switch per accendere l’effetto è veramente silenzioso. Azionato il delay (senza modulazione per ora) si nota, con MIX abbastanza alto, un leggero scurimento del suono, in realtà il segnale diretto è identico ma le ripetizioni abbastanza scure possono dare tale effetto al suono generale risultante. A parte questa considerazione c’è da dire solo una cosa: chiudo gli occhi e mi sembra di suonare allo stadio Olimpico tanta è la spazialità dell’effetto! Una cosa realmente mai sentita prima, una pasta sonora “organica”, una naturalezza fuori dal normale, rimani completamente avvolto e coccolato da un “abbraccio” di suono. E la spazialità ovviamente aumenta passando da un ampli monoconico ad un ampli con molti coni o meglio ancora usando un ampli con il solo suono diretto ed un altro ampli con il solo suono effettato (spazio sul palco permettendo!). Diminuendo il tempo di ritardo si ha un quasi riverbero da togliere il fiato, abbassando il controllo EQ le ripetizioni si scuriscono in maniera naturale e diventano un tutt’uno con le note lunghe nei soli, aumentando il numero delle ripetizioni si creano dei tappeti sonori da psichedelia pura fino a raggiungere oscillazioni aliene! Perdonatemi l’eccesso di trasporto ma vi assicuro che questo scatolone canadese vi fa volare più in alto di uno shuttle e vi porta in una dimensione musicale totalmente diversa dai soliti suoni, quasi in un universo sonoro parallelo. I due NOS MN3005 percorsi da 15v hanno la musicalità della antologica lira di Orfeo!

MODULIAMOLO!

La modulazione può essere inserita in due modi.

Se avete il delay acceso e la modalità mod spenta potete comunque inserire una leggera modulazione agendo sul potenziometro mod, aumentandone il livello (bisogna sentirgli fare il famoso “click” altrimenti non si ha modulazione. In pratica in questo modo si ha una lieve modulazione che un po’ mi ricorda quella data dall’imperfezione di un sistema a testine magnetiche su un nastro ormai ben vissuto… Inserendo la modulazione tramite lo switch mod si possono invece ottenere risultati veramente molto modulati, “sognanti” e creare paesaggi sonori suggestivi. Posso suonare un arpeggio e dietro di me mi sembra quasi di sentire un sintetizzatore di quelli buoni ad accompagnarmi con suoni tappeto, o addirittura, spingendo sul controllo DEPTH, un intero gruppo di coriste che sottolineano le mie linee melodiche! Molti potrebbero pensare che lo stesso effetto potrebbe essere ottenuto usando un chorus (o un flanger o un phaser) messo semplicemente prima di un delay “normale” ma vi assicuro che non è neanche lontanamente lo stesso! Con il Memory Lane il suono diretto rimane non modulato e molto nitido e crea un bel contrasto con lo “sfondo” modulato. Un po’ come succede nel Jazz Chorus della Roland dove, azionando il chorus, un cono dell’ampli continua a dare solo il pulito mentre l’altro cono dà il segnale effettato: la spazialità ne guadagna molto! Ovviamente esagerare con la modulazione unita ad un MIX molto alto può dare risultati parecchio “scordati” che vanno bene solo si ricerca quel tipo di effetto.

LIVE

Dal vivo la comodità di avere il tap tempo si sente molto, il Memory Lane se ricordo bene è l’unico vero analogico che ha tale possibilità! Inoltre la possibilità di controllare il numero di ripetizioni tramite un pedale di espressione è comoda e si possono fare giochini oscillanti noise rimanendo direttamente in piedi e senza chinarsi a modificare a mano il potenziometro!

QUELLI CHE POTREBBERO ESSERE CONSIDERATI DIFETTI

Sembrerà ovvio agli appassionati di delay analogici ma è doveroso ricordarlo per i meno esperti: le ripetizioni non sono esattamente la riproduzione matematica del suono che entra ma sono molto morbide, diciamo lo-fi, sicuramente ciò è una cosa che può anche non piacere, senza contare che con alcuni tipi di suono/genere molti preferiscono un digitale ben fatto all’analogico, come ci insegna il buon Floyd. Poi, anche se secondo me è più che sufficientemente versatile, qualcuno potrà aver bisogno di vari settaggi preimpostati, del midi, delle lucette colorate e della macchina del caffè incorporata: qualcuno insomma magari lo trova limitato! Chi viene da delay digitali sul tipo Boss si troverà probabilmente sconcertato: il Diamond è un pedale impossibile da gestire senza un minimo di esperienza, per quanto possano sembrare intuitivi i vari controlli interagiscono criticamente tra di loro! Sembrerà strano ma se non lo impari ad usare questo pedale con certe regolazioni reagisce in maniera quasi imprevedibile. Col Boss 2+2=4 mentre con questo 2+2= dipende… Questo per me è un grande pregio, ne parlo meglio nell’ultimo capitoletto dell’articolo. Inoltre alcuni troveranno il poco più di mezzo secondo di delay un po’ pochino per i loro bisogni. In effetti anche io ero partito per comprare il Maxon AD999 che è analogico e raggiunge 900 millisecondi, però, dopo aver provato entrambi, la qualità sonora del Diamond ha vinto su qualsiasi altra cosa, senza contare che mi sono anche accorto che in fondo 550ms mi bastano decisamente! Inoltre, il Maxon, essendo analogico, risulta un pelino rumoroso quando si raggiungono tempi di ritardo oltre i 700ms. Il nostro canadese è invece più silenzioso di un pesce muto. Sicuramente poi non è un delay adatto a qualsiasi genere musicale, difficilmente io ci suonerei metal e nu metal! Io infatti lo uso per suoni vecchia scuola blues e rock blues! Se volete un pedale delay più versatile magari potete provare un NOVA DELAY della T.C. Electronic, oppure il Boss DD-20 (serie twin pedal, il preferito di Pierangelo Mezzabarba della Masotti), o magari il valvolare della Hughes&Kettner (il Replex) che non è analogico ma suona più analogico di alcuni veri analogici, oppure l’Eventide Time Factor che è un gran bell’effetto (2 diversi delay contemporaneamente fino a 3 secondi di ritardo) anche se, secondo me, provato accanto al Diamond, continua a rimanere un pizzico digitale, artificiale per così dire! Il prezzo, circa 400 euro, è un tantino – eufemismo – alto (durante le feste natalizie il portafoglio è l’unico ad esser dimagrito!) e questo è un impedimento mica da poco, tuttavia a giudicare da quanto mi ispira questo pedale alla tipica domanda di Harmony Central “se questo pedale ti venisse rubato lo ricompreresti?” io rispondo senza dubbio di SI così ci potrei suonare comodamente in galera dopo aver preso a legnate il ladro! Magari ci esce una cosa tipo il finale del film “The Blues Brothers”!

ALTRI DELAY PROVATI

Oltre ai pedali appena menzionati ve ne sono anche altri che ho posseduto/provato, tra cui il SIB! Mr Echo, il Guyatone MD3 (micro delay), il Guyatone Tube Echo, l’Ibanez AD9, il Maxon AD80, il Maxon AD900, T-Rex Replica, vari Boss vecchi e nuovi (gli analogici ed i digitali), inoltre delay DOD, MXR, Electro-Harmonix, Rocktron, Rocktek, Line6… Nessuno mi ha dato le stesse sensazioni del Diamond! Forse gli unici che hanno lasciato un bel segno sono stati, spero di scrivere bene i nomi, il Mooger Fooger Analog echo e il WayHuge AquaPuss ma li ho provati un bel po’ di tempo fa. Un altro prodotto interessante, ma solo per i pazzoidi che arrivano a spendere 1200 euro, è il Tube Tape Echo della Fulltone!

VARIE

Suonato con una Stratocaster con humbucker Jeff Beck al ponte, vari pedali tutti abbastanza costosi (altro eufemismo!), attaccato a vari ampli Fender – Twin soprattutto -, un Vox ed un Hiwatt. Accoppiato a Tubescreamer e simili (insomma overdrive morbidi) escono suoni di classe spettacolari specie attraverso il pulito dei Fender e dell’Hiwatt, sullo stile Radiohead, Pink Floyd, U2, Yes… Ripeto: va bene per tutto basta che non si cerchino sonorità troppo moderne, anche se poco fa ci ho suonato “Sing for absolution” dei Muse e quasi mi mettevo a piangere dall’emozione. Con la modulazione si possono ricreare anche in parte le amate/odiate sonorità “arpeggione effettatissimo” anni ’80. Questo pedale è riuscito a far suonare morbido e spazioso perfino un acidissimo amplificatorino Ibanez IBZ10G a transistor con un solo cono da 6,5 pollici, e senza manco portarlo a Lourdes, vedete un po’ voi!

Curiosità: il pedale ha preso il suo nome dal nome della via dove abita il suo creatore: Memory Lane!

IMPORTANTISSIMO!

Crea assuefazione, ricordate di tanto in tanto di premere sullo switch on/off e spegnerlo!

SOLO L’ULTIMO CONCETTO

Prima di chiudere solo un ultima cosa. Ormai i chitarristi si possono quasi dividere in due grandi correnti di pensiero: chi trova l’analogico insuperabile e chi trova che il digitale sia praticamente così simile all’analogico che lo può sostituire senza nessun problema (vabbè poi ci sono anche quelli che per vari motivi devono scendere a compromessi). Vorrei dire alla categoria dei digitofili che, per quanto il suono di un POD sia identico a quello di un valvolare, la differenza sta nel come si sente la chitarra sotto le dita, nelle reazioni della strumentazione. Voi direte “è talmente scontato e poi che c’entra col pedale in questione?”. Il Memory Lane ha un suono che probabilmente può essere fedelmente ricreato da un qualche apparecchio digitale/transistor/computer/quellochevipare ma la cosa che non può essere ricreata artificialmente è proprio l’essenza del pedale: il fatto che reagisce in maniera analogica, imprevedibile, quasi come fosse umano! Con certe regolazioni il pedale può diventare un cavallo imbizzarrito che però, con esperienza, si impara a controllare con i volumi, con la pennata più o meno dinamica! A volte il pedale, a parità di settaggio, reagisce in maniera diversa se suono una nota più grave o più acuta, oppure se suono la stessa nota molto piano o molto forte! Con il digitale, anche quello più fedele, non ho mai avuto lo stesso grado di difficoltà nel gestire un pedale ed allo stesso tempo lo stesso grado di soddisfazione quando ho faticosamente imparato a gestirlo. Io tra la maggior parte dei digitali che emulano l’analogico e il vero analogico continuo a sentire molta differenza, non tanto nel suono risultante, ma nella reazione al tocco. La stessa differenza che sento anche tra ampli a transistor e a valvole. Non è una regola fissa, ma per me molto spesso è così! Scusate lo sfogo ma sono un sognatore. Spero di aver scritto qualcosa se non interessante, almeno utile a qualcuno!

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The Neon Demon (2016) : trama, recensione e spiegazione

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma THE NEON DEMON 2016 TRAMA RECENSIONE  Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgThe Neon Demon: un film di Nicolas Winding Refn. Con Elle Fanning, Karl Glusman, Jena Malone, Bella Heathcote, Abbey Lee. Titolo originale The Neon Demon. Drammatico, horror, Ratings: Kids+13, durata 110 min. – USA, Francia, Danimarca 2016

Torna al cinema Nicolas Winding Refn l’acclamato regista di Drive che, dopo essere passato a Cannes 2016, porta un suo horror molto particolare incentrato sul “demone della Bellezza”. Jesse (Elle Fanning) è un’adolescente di una piccola cittadina che, come tante, insegue il sogno delle passerelle di Moda. Arriva a Los Angeles per coronarlo e nel frattempo soggiorna in un motel di quart’ordine con losco gestore (Keanu Reeves). Nel fare la trafila di rito, tra agenzie di moda e colleghe, a Jesse capita qualcosa di strano. Nonostante sia un’emerita sconosciuta, non ha nessuna difficoltà ad avere successo. Tutte rimangono ipnotizzate dalla sua bellezza angelica, dalla luce diafana che emana, dal magnetismo della sua giovinezza candida. È un’attrazione che strega agenti esperte (Christina Hendricks), colleghe invidiose che si sentono vecchie (Abbey Lee e Bella Heatcote), grandi firme (Alessandro Nivola) e una truccatrice ( Jena Malone) apparentemente dolce ma con qualcosa da nascondere. Che cosa accade a Jesse, chi è veramente? In cosa la sta tramutando questa sorta di demone della Bellezza e come potrà sfruttare il suo potere che brucia in lei?

Nicolas Winding Refn torna al cinema dopo Solo Dio Perdona non troppo amato dalla Critica, al contrario del suo predecessore, il capolavoro Drive,  con Ryan Gosling, che valse al regista il Prix de la mise en scène a Cannes, anno 2011. Refn, che si firma come un marchio nei titoli di coda, NWR, è uno non proprio a digiuno di Moda. Difatti in passato ha girato spot per maison di pregio, tra queste Gucci e Yves Sain Laurent. In Neon Demon la Moda è il contesto, vivente, che fagocita Elle e la risputa poi fuori come un Neon demon, un “demone del neon”, delle luci delle passerelle, delle luci, artificiali, simbolo cromatico di un mondo del quale Refn vuole esplorare più le ombre che le parti chiare. Il film è un horror assolutamente “s-codificato” dal genere a cui fa riferimento che solitamente, al contrario, è molto rigoroso nelle sue diverse espressioni: la regia, il suono, i temi, le storie. Refn possiede quella qualità che sembra quasi geolocalizzata sui registi danesi: da Vinterberg a von Trier, cioè l’arte della provocazione. In questo però non assomiglia ai suoi colleghi citati portando il viaggio estetico in porti poco noti al cinema di oggi. Sì, perché questo horror ironico, rarefatto, un po’ moralista, ultrasaturo di colore, non è tanto per chi si aspetta un’esperienza di intrattenimento, ma per chi vuole un’esperienza. E basta. Dove poi ognuno può trovare qualcosa, compresa la disaprovvazione per film del genere. È il classico caso della altrettanto classica dicotomia: o si odia, o si ama. Ma l’indifferenza non è contemplata.

La pellicola scritta da NWR, insieme a Steven Canfield Crowley e Mary Laws, parte come un film e poi ne diventa un’esperienza un po’ come accade, ad esempio, nei territori di Lynch al quale, in questo caso, sono aggiunti i colori di Mario Bava e le fattezze femminili delle donne demoni di Dario Argento. È certamente un’ esperienza estetica The Neon Demon che comincia da un film ma non è necessariamente solo un film. Anche negativamente: nel senso che se guardiamo al racconto con i canoni tecnici, razionali, allora noteremmo, purtroppo, dei dialoghi banalissimi e una vicenda poco coesa, mal collegata nei suoi sviluppi. Serve però dire che in questo tipo di film è necessario anche farsi “trasportare” per entrare più in contatto con quello che questo regista, ironico e che si compiace molto del suo girare, ci vuole dire. A questo punto The Neon Demon ci appare come una fiaba nera, nerissima, sul Potere della Bellezza e su quanto questa possa essere pericolosa. Come dei simboli della vita quali, appunto, la bellezza, la giovinezza e il candore dell’adolescenza possano essere trasformati, fagocitati (diverse le parti splatter/gore ), in Morte, distruzione del corpo e del pensiero, quello ad esempio delle coprotagoniste che soffrono sentendosi “vecchie” a 21 anni. Come dicevamo: da un punto di vista di valori in gioco, ci si scontra più volte con il “già sentito”, la banalità e la superficialità frutto di poco approfondimento tematico. Non ci si scontra mai invece con il “già visto”. The Neon Demon è un viaggio astratto, uno sguardo rarefatto ma incisivo al contempo, una sinfonia elettronica stupefacente grazie, ancora una volta, al binomio tra Refn e il newyorkese Cliff Martinez al quale il regista, come lui stesso ha raccontato a Roma pochi giorni fa, affida completamente il girato e lascia che sia il musicista ad accoppiare immagini e suoni.

Quello di The Neon Demon è un mondo, al contrario di Dostoevskij, dove la Bellezza non salverà niente, al massimo distruggerà. Nel viaggio in questa ossessione famelica non si può che rimanere atterriti dalla forza estetica seppur non corroborata da altrettanto vigore narrativo. Un film per chi dal cinema cerca un percorso più che una meta.

Articolo di Virgo su www.cinemaedintorni.com

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Il cuore di una donna

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Ecografia Vascolare Articolare Reumatologo CUORE DI UNA DONNA OCEANO TITANIC Medicina Estetica Luce Pulsata Depilazione Macchie Capillari Mappatura Nei Dietologo Roma Radiofrequenza Cavitazione CelluliteIl cuore di una donna è un profondo oceano di segreti. Ma ora sapete che c’era un uomo di nome Jack, e che lui mi ha salvata, in tutti i modi in cui una persona può essere salvata. Non ho niente di lui, neanche una sua foto… vive solo nei miei ricordi.

Rose De Witt Bukater Dawson Calvert – Titanic

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The Lobster (2015): trama, recensione e spiegazione del film

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Una scena del film The Lobster

The lobster. Un film di Yorgos Lanthimos. Con Colin Farrell, Rachel Weisz, Jessica Barden, Olivia Colman, Ashley Jensen. Titolo originale The Lobster. Fantascienza, durata 118 min. – Grecia, Gran Bretagna, Irlanda, Paesi Bassi, Francia 2015

Il regista Yorgos Lanthimos è un geniale creatore di mondi. The Lobster è un film unico soprattutto per il soggetto, che inventa un mondo totalitario che è al contempo lontanissimo dal nostro, ma che potrebbe paradossalmente, già essere il nostro. La genesi della sceneggiatura di The Lobster (che tradotto significa “l’aragosta“) è stata caratterizzata da un lungo processo di osservazione e discussioni tra Lanthimos e Filippou, attorno ai temi della vita, delle persone, dei rapporti e dei comportamenti umani. I due hanno iniziato a sviluppare quella che inizialmente era solo un’idea trasformandola, poi, in una vera e propria trama, da esplorare più a fondo. Come spiega più dettagliatamente Lanthimos: “L’idea di questo film è nata dalle discussioni su come le persone sentono la necessità di trovarsi costantemente in una relazione amorosa, sul modo in cui alcuni vedono coloro che non hanno una relazione; su come si venga considerati falliti se non si sta con qualcuno; su cosa arrivano a fare certe persone pur di trovarsi un compagno; sulla paura; e su tutto ciò che ci succede quando cerchiamo un partner.”“Bastava osservare sia gli amici che gli sconosciuti,” sottolinea Filippou, “E poi riflettere su come vivono e reagiscono di fronte a situazioni differenti. La necessità principale era quella di scrivere qualcosa sul tema dell’amore. Perciò abbiamo cercato di pensare all’attuale significato dell’amore per gli esseri umani; a come sia collegato al concetto di solitudine e di compagnia.” Questo, in essenza, sembrava il focus ideale per la loro terza collaborazione. The Lobster descrive due mondi diversi, come spiega più approfonditamente Filippou: “Un mondo dove vivono le coppie, opposto a un mondo dove vivono i solitari. Il film cerca di descrivere com’è avere un compagno e com’è stare da soli nella vita.”

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Il soggetto (ATTENZIONE SPOILER)

Esiste un mondo in cui se a 40 anni sei single vieni deportato in un hotel di lusso assieme agli altri “individualisti” come te e lì hai 45 giorni di tempo per trovare l’anima gemella e innamorarti. Le regole sono severissime (se ti beccano a masturbarti ti infilano la mano colpevole in un tostapane rovente…). Se ce la fai e ti accoppi, sei libero, se non ce fai vieni trasformato in un animale a tua scelta, che devi indicare subito al momento del tuo ingresso nell’hotel/lager.
La direttrice dell’hotel si rivela essere una specie di poliziotto carcerario. Le regole che governano l’Hotel sono tediose, complesse e inflessibili. Tutti i detenuti devono obbligatoriamente indossare un’uniforme particolare e seguire un programma rigoroso. Tutti vivono nel terrore di quello che potrebbe accadergli nel caso in cui non si conformassero alle regole. La direttrice mi ricorda molto l’infermiera Ratched (l’infermiera del film Qualcuno volò sul nido del Cuculo). È lei che ha il compito di trasformare le persone in animali se non riescono a trovarsi un compagno.

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Vie d’uscita a questo triste destino?

In teoria puoi sempre provare a scappare. Nei boschi intorno all’hotel vivono i solitari, fuggiaschi che sono riusciti ad evadere. Se vuoi, puoi provare ad unirti a loro. Salvo scoprire che fra loro vigono regole ancora più feroci e crudeli, anche se rovesciate, rispetto a quelle che strutturavano la vita nell’hotel. Si potrebbe infatti pensare che lasciare un sistema così indottrinato come quello dell’hotel per andare nella foresta significhi ottenere la libertà da tutte le regole e strutture artefatto dell’hotel, ma presto si capisce che qualsiasi tipo di struttura dominante, o di regola dura, imposta sugli esseri umani, prima o poi, si rivela innaturale. In sostanza, il mondo dei solitari (il bosco) è ugualmente, se non addirittura maggiormente, brutale di quello dell’hotel. La natura è solo metafora di una finta libertà, che si rivela essere peggio della vita “vera”, come nel finale di quel capolavoro che è Brazil di Terry Gilliam.

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Spiegazione di The Lobster

Rispetto a tanti film che parlano dell’amore per luoghi comuni, per sdolcinatezze languorose, per esibizioni ginnico-muscolari, o per finte provocazioni pseudo-trasgressive, Yorgos Lanthimos ci dice in realtà come proprio intorno all’amore – a come si deve amare, a chi si deve amare, a cosa significhi amare – si imbastiscano i peggiori totalitarismi del nostro tempo. O forse anche i peggiori totalitarismi tout court. Perché The Lobster è come un film fuori dal tempo. Rispetto a chi ti dice che sei obbligato ad amare, o a chi ti dice che ti è proibito amare, Lanthimos rivendica – con gesto anarchico e libertario – il valore ribelle della scelta individuale. Fai quello che senti e quello che vuoi. A qualunque costo, anche a costo di precipitare nell’amore cieco, cioè in quello che ti priva letteralmente del senso della vista. Come capita, appunto, nel finale. Non solo al protagonista, ma anche a noi. Che per qualche secondo proviamo la vertigine di vedere uno schermo totalmente nero. Nel buio, non vediamo più nulla. Che è successo? Stiamo provando anche noi l’esperienza dell’amore cieco?

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Brazil (1985): trama, recensione e interpretazione del film

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma BRAZIL 1985 TRAMA RECENSIONE FILM Riabilitazione Nutrizionista Medicina Estetica Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Linfodrenaggio Pene Vagina Ano.jpgBrazil. Un film di Terry Gilliam. Con Robert De Niro, Jonathan Pryce, Katherine Helmond, Bob Hoskins, Jim Broadbent Fantastico, Ratings: Kids+16, durata 131 min. – USA 1985

Un capolavoro, ma non un film per tutti. Uno di quei lungometraggi che ti capita per caso di vedere da bambino e per certi versi ti fa ancora paura in alcune distopiche scene, come è successo a me. Esce nel 1985, ma potrebbe anche essere uscita nell’1984 di orwelliana memoria, l’opera terza, nonché quella che l’ha consacrato tra i Maestri della Settima Arte, di Terry Gilliam, visionario autore ex-membro dello storico gruppo dei Monty Python. Se già nelle due pellicole precedenti da regista “in solitario” (Jabberwocky e I banditi del tempo) si intravedevano potenzialità in parte penalizzate da budget non esorbitanti, è con Brazil che Gilliam trova la summa artistica di tutto il suo Cinema realizzando un capolavoro destinato ad entrare nella leggenda, facendo ridere, pensare ed al tempo stesso terrorizzando la platea. Un film onnivoro, che racchiude in sé tante influenze, sia dal mondo della celluloide che da altri media, e che si propone alla perfezione come una visione moderna proprio del romanzo di Orwell, fonte d’ispirazione principale per il tipo di società in cui è ambientato il racconto.

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Trama (SPOILER in questo paragrafo)
Il protagonista Sam Lowry è infatti un umile impiegato del Ministero dell’Informazione che da qualche tempo ha diversi sogni ad occhi aperti nei quali, indossando un’armatura alata, si trova a salvare una misteriosa ragazza bionda, a lui sconosciuta, da spaventose creature. Per errore viene arrestato un certo Archibald Buttle a causa dello scambio di una lettera nel nome: il vero ricercato infatti era ‘Tuttle‘, interpretato da un Robert De Niro meno presente rispetto ad altri suoi film ma comunque fantastico nella recitazione. In seguito all’errore, Sam è incaricato dal suo strano capo di recarsi dalla famiglia dell’arrestato (nel frattempo ucciso in seguito alle torture seguite all’ingiusta condanna) e scopre che la donna dei suoi sogni è proprio la vicina di casa dell’uomo. Ma questa, sotto indagine per possibili collegamenti con i movimenti terroristici, fugge costringendo Sam da una spasmodica ricerca. Nel frattempo il protagonista viene a contatto anche col vero ricercato, Tuttle, che lavora in incognito come tecnico libero-professionista (stato lavorativo illegale nella società del tempo), finendo così in giri pericolosi che mettono a repentaglio la sua stessa vita, fino ad un finale che ancora oggi, dopo averlo visto decine di volte, è ancora un colpo di scena che mi lascia a bocca aperta.

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1984 e 1/2

Magica follia per oltre due ore di assoluta estasi cinefila. Gilliam realizza a suo modo un film rivoluzionario, un’opera destinata a rimanere ai posteri per molto, molto tempo. Una società schiava delle regole più assurde (il titolo originale doveva essere 1984 & 1/2, in omaggio sia ad Orwell che a Fellini) in cui un uomo qualunque, un po’ imbranato e privo di ambizioni, si ritrova coinvolto in un’incredibile avventura che cambierà anche il suo modo di pensare. Messaggio visivo e politico al contempo in un racconto ricco e citazionista, Brazil riesce ad unire in una mirabile complessità narrativa tutto il suo amore per il cinema, capace di reinterpretare la commedia e l’horror, il dramma e il noir, con un istinto umoristico (tendente al dark) raffinato, esuberante e raggelante, riuscendo al contempo a far ridere ma anche ad aprire inquietanti spunti di riflessione su una società a cui lentamente ci stiamo sempre più avvicinando. L’abilità del regista di orchestrare lo spazio scenico, creare ambientazioni geniali nella loro oppressiva omogeneità, strutture claustrofobiche nelle quali le persone si trasformano in semplici “macchine lavorative” di poco valore, risalta più volte agli occhi durante la visione, in una sorta di esegesi psichedelica che nonostante la sua complessità nascosta, risulta fruibile a qualsiasi tipo di pubblico.

Schiavo fino a quando scopri l’amore

Fantasia al potere nei suoi più puri e genuini eccessi, in cui la forte carica grottesca non è mai gratuita ma anzi necessaria a rappresentare, tramite metafore di ogni sorta, il decadimento morale che rende gli uomini schiavi inconsapevoli di una dittatura nascosta, proprio avviene nel 1984 di Orwell. Anche qui, come nel romanzo, il risveglio è scaturito dall’amore per una donna, dapprima solo presenza sconosciuta nei conturbanti scorci onirici e poi “corpo” reale dei propri sentimenti, capaci di mutare le più ferree convinzioni. Brazil è una farsa intelligentemente morale tra Kafka e Blade Runner, pregna di un’inventiva dissacrante che coniuga pensiero e spettacolo ludico in maniera impeccabile, con un finale dalla doppia interpretazione comunque non privo di amarezza. Una costruzione complessiva pensata in grande, dalle sfarzose scenografie sino a degli effetti speciali “artigianali” ma pregni di una potenza sontuosamente esplosiva, dalla colonna sonora di grande importanza sottotestuale (il titolo Brazil deriva proprio dal motivetto Aquarela do Brasil di Ary Barroso, ripetuto più volte nelle sequenze significative della trama, testi di coda inclusi) sino ad un cast in assoluto stato di grazia. Se è doveroso citare camei d’eccezione come quello dei grandi Ian Holm (Il signore degli anelli, Alien) e Bob Hoskins (Hook, Danny the dog) e di un quasi irriconoscibile, ma strabordante, Robert de Niro, è di notevole caratura la performance del protagonista Jonathan Pryce (Il domani non muore mai, Ronin), caratterista di livello proveniente dal teatro e forse qui nella sua prova più memorabile su grande schermo. Consigliato, specie se siete dei sognatori!

Articolo di Maurizio Encari, https://cinema.everyeye.it/articoli/recensione-brazil-21852.html

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Sono queste le cose che ci tengono in vita

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Specialista in Medicina Estetica Roma E MORTO ROBIN WILLIAMS Attore Film Radiofrequenza Rughe Cavitazione Grasso Pressoterapia Linfodrenante Dietologo Cellulite Calorie Pancia Sessuologia Filler BotulinoLa razza umana è piena di passione: medicina, legge, economia, ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento; ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l’amore… sono queste le cose che ci tengono in vita

John Keating – L’attimo fuggente

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