Si muore di Alzheimer? Qual è l’aspettativa di vita?

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma MORBO ALZHEIMER PSICOSOCIALE COGNITIVO Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Ano PeneNel paziente con Alzheimer può cronicamente verificarsi una perdita di peso, nonostante la normale assunzione di cibo; questo si verifica anche perché il malato si dimentica di masticare o non sa più come deglutire, specialmente negli ultimi stadi della malattia. Un’altra conseguenza del malattia di Alzheimer è il deperimento muscolare, e una volta costretto a letto il malato può sviluppare piaghe da decubito. Più l’età avanza, più queste persone diventano vulnerabili alle infezioni. In conseguenza di tale accresciuta vulnerabilità, molti malati di Alzheimer muoiono di polmonite. Altre cause di morte sono le complicanze delle cadute e dell’allettamento, quali le fratture di femore e le infezioni da piaga da decubito.

Dalla diagnosi della malattia, in media i soggetti hanno un’aspettativa di vita di 6-8 anni, anche se molti possono sopravvivere anche fino a 20 anni. Nella maggior parte dei casi, la morte avviene per altre cause, come la polmonite che interviene come conseguenza dell’indebolimento del sistema immunitario che aumenta il rischio di infezioni ai polmoni.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Sindrome del tramonto o del crepuscolo: cause, sintomi e cura

MEDICINA ONLINE SINDROME DEL TRAMONTO CREPUSCOLO SOLE CALANTE SUNDOWNING SYNDROME BUIO NOTTE ALZHEIMER DEMENZA ANZIANO NEONATO BAMBINO CURA THE VISIT FILM 2015 M. Night Shyamalan WALLPAPER OLD GRANDMA HORROR.jpgForse siete qui perché avete appena visto il film “The Visit” del 2015, diretto da M. Night Shyamalan (da cui è tratta la foto in alto), dove questa sindrome viene menzionata, oppure è stata diagnosticata ad un vostro caro e volete saperne di più. Cerchiamo oggi di fare chiarezza su questa patologia.

Cos’è la Sindrome del tramonto?

La sindrome del tramonto, anche chiamata sindrome del crepuscolo o sindrome crepuscolare o sindrome del sole calante, o in inglese “sundowning” o “sundown syndrome” è una condizione caratterizzata da un insieme di sintomi psichiatrici (principalmente stato confusionale, agitazione e deliri) che si verificano in soggetti anziani, specie quelli con demenza senile ed Alzheimer, nelle ore del tardo pomeriggio, serali, notture, ma anche diurne se posti in ambienti senza luce. E’ una manifestazione non certo di recente scoperta: gli effetti del calar del sole furono già descritti da Ippocrate nella teoria degli “umori” e nei quattro elementi che possono influenzare la salute dell’uomo.

Frequenza

La Sindrome del tramonto tende a colpire soprattutto soggetti anziani (circa il 10% degli anziani ne soffre), specie i soggetti con demenza senile o altra patologia neurologica progressivamente debilitante. Mediamente la sindrome del tramonto si verifica in un malato di Alzheimer su cinque. Altre stime alzano decisamente questo dato portandolo a 4 su cinque.

Leggi anche:

Quando si verifica?

La Sindrome del tramonto compare la sera o anche prima, quando inizia a fare buio, ma anche durante il giorno se il paziente si trova in ambienti poco illuminati. Cambi repentini di ambiente possono agire negativamente sulla Sindrome del tramonto, accentuandone i sintomi.

Cause

Le cause non sono ancora chiare a questo punto, anche se il National Institutes of Health afferma che può essere causato da cambiamenti nei cicli sonno-veglia. Altre teorie sono che può dipendere da stanchezza, sete o fame, dal dolore, dalla noia o dalla depressione:

  • la stanchezza: a chiunque capita la sera di percepire una “stanchezza mentale”. Per una persona con demenza, le cui energie mentali sono ridotte, ciò è maggiormente valido e non è necessario aver lavorato per essere stanca alla sera: è sufficiente il sovraccarico di stimoli visivi e uditivi a cui giornalmente siamo tutti sottoposti, per essere stanchi e affaticati;
  • la sera c’è meno luce per cui tutto risulta meno nitido. La poca luce, infatti, agevola la perdita dei punti di riferimento dati dall’ambiente che appare come nuovo e ostile, specie per il soggetto anziano o demente;
  • la depressione: soggetti anziani con depressione hanno un rischio maggiore di sviluppare Sindrome del tramonto. I sintomi stessi della depressione tendono a peggiorare per chiunque di notte, quando si è soli con i propri pensieri, al buio e magari si soffre anche di insonnia;
  • i colori. Uno degli aspetti più particolari della demenza consiste nella perdita progressiva della vista ed in particolare della capacità di distinguere i colori. In molti casi le persone con demenza avanzata non sono in grado di percepire correttamente il colore bianco e sembra che tutte le superfici di questo colore vengano percepite come trasparenti o inesistenti. Proprio per questo motivo le pareti delle case di riposo, così come i camici degli infermieri sono colorati e non bianchi. Tale difficoltà tende ad aumentare la sera, fatto che contribuisce a creare maggiore paura e confusione nel soggetto demente;
  • stagioni: sembrerebbe esserci anche una correlazione con le stagioni, ad esempio durante l’inverno sembra che, nelle persone affette da demenza di Alzheimer, possano alterarsi i meccanismi che regolano la temperatura nell’organismo. Sicuramente la poca luce e gli ambienti poco illuminati possono influenzare pesantemente la comparsa di questa sindrome;
  • cambi repentini di ambiente: per un anziano anche cambiare residenza, come ad esempio un ricovero in ospedale o l’istituzionalizzazione, può agire negativamente e scatenare questa sindrome. I pazienti perdono i loro punti di riferimento, si ritrovano in un ambiente a loro sconosciuto e ritenuto ostile e potenzialmente pericoloso.

Le stesse manovre assistenziali la sera, i rumori notturni ed i risvegli obbligati sono molto spesso causa di deliri e confusione.

Leggi anche:

Sintomi ed aggressività

La Sindrome del tramonto è caratterizzata dalla comparsa o dal peggioramento serale di alcuni sintomi che durante il giorno non sono presenti o sono presenti ma in modo meno marcato. I sintomi della Sindrome del tramonto, sono solitamente:

  • stato confusionale,
  • disorganizzazione del pensiero e del linguaggio,
  • disorientamento spazio-temporale,
  • agitazione,
  • inversioni dei ritmi di sonno e veglia,
  • deliri,
  • allucinazioni visive ed uditive,
  • comportamenti aggressivi.

In alcuni casi la sindrome del tramonto può portare gli anziani a comportamenti  aggressivi, determinati spesso non da una reale volontà di fare del male, bensì da un mancato controllo degli impulsi o dalla paura. Bisogna sempre ricordare che gli anziani affetti da demenza sono soggetti a un calo cognitivo e percettivo abbastanza consistente e possono interpretare male anche un gesto affettuoso.

Le persone con Alzheimer in particolare possono esibire una svolta drammatica nel tardo pomeriggio o nella prima serata. Possono diventare più confusi o agitati. Possono muoversi senza sosta o ripetere i comportamenti. Possono diventare confusi circa il tempo e il luogo, o diventare più aggressivi verso gli altri.

Leggi anche:

A quale medico rivolgersi?

Se sospettate tale sindrome in un vostro amico o parente, potete rivolgervi al vostro medico di medicina generale, ad un geriatra, ad uno psichiatra o comunque ad un medico che abbia esperienza in questi campi.

Consigli comportamentali per ridurre i sintomi

Anche se non sappiamo esattamente cosa provochi la Sindrome del tramonto, si possono diminuire i suoi effetti sulle persone con Alzheimer, seguendo alcuni accorgimenti:

  1. Rispettare gli orari. Prevedere i tempi del sonno, della veglia e dei pasti può contribuire a ridurre gli effetti, soprattutto se sono innescati dalla stanchezza o dalla fame. Ridurre caffeina e zucchero nel pomeriggio.
  2. Andare a letto presto. E’ preferibile andare a letto prima che faccia buio.
  3. Pianificare le attività alla mattina. La sera, quando i sintomi tendono a comparire, cercare di creare un’atmosfera calma e tranquilla.
  4. Tenere le luci accese. Dal momento che la luce affievolita del sole può scatenare il sundowning, può aiutare avere una casa o una stanza illuminata: può essere utile un sistema di illuminazione che eviti zone di ombra o penombra. Una luce notturna nella camera da letto può essere utile per prevenire l’agitazione al risveglio.
  5. Controllare il tuo atteggiamento. Alcune agitazioni del soggetto possono essere una risposta ai segnali verbali e non verbali delle persone che gli sono attorno.
  6. Facilitare sempre la presenza di un familiare di riferimento;
  7. Prestare attenzione. L’insorgenza del sundowning varia per ogni persona, ma tende ad essere in qualche modo coerente per il singolo paziente. Tieni delle note su quello che riserva ogni giorno per far emergere lo schema. Riduci tali stimoli scatenanti, per alleviare i sintomi.
  8. Creare un ambiente accogliente, cercando di usare nelle stanze oggetti (quadri, bomboniere, mobili, poltrone…) che il soggetto conosce bene e riconosce come appartenenti a sé.
  9. Proporre un bagno caldo e rilassante la sera, magari sempre alla stessa ora, che possa predisporre al riposo notturno;
  10. Evitare stimoli eccessivi durante il giorno: ciò può determinare maggiore stanchezza la sera e peggiorare i sintomi.
  11. Evitare stimoli eccessivi la sera, prima di andare a dormire. Prima di andare a letto è importante evitare attività che impegnino e stanchino fisicamente e mentalmente. Sono, invece, consigliabili attività tranquille e rilassanti come, per esempio, un bagno caldo, della musica rilassante o qualsiasi cosa che rassereni la persona, tenendo conto delle sue caratteristiche personali.
  12. Evitare il cambio repentino di ambiente che, come abbiamo visto, tende a peggiorare i sintomi.
  13. Evitare riposi pomeridiani coinvolgendo il soggetto in attività semplici ma che possono comunque far rimanere sveglia la persona, in modo da limitare il rischio di insonnia;
  14. Evitare bevande eccitanti (alcol, caffè, the), specie dopo le 5 del pomeriggio, prediligendo invece bevande rilassanti come la camomilla.

Leggi anche:

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o unisciti al nostro gruppo Facebook o ancora seguici su Twitter, su Instagram, su YouTube, su LinkedIn, su Tumblr e su Pinterest, grazie!

Differenze tra atrofia muscolare progressiva e sclerosi laterale amiotrofica

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma DIFFERENZE TRA SCLEROSI LATERALE AMIOTROFICA SCLEROSI MULTIPLA Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata.jpg

Stephen Hawking, uno dei più grandi scienziati dei nostri tempi, soffre di una malattia del motoneurone ancora non diagnosticata con certezza: atrofia muscolare progressiva o sclerosi laterale amiotrofica

L’atrofia muscolare progressiva viene spesso confusa con la sclerosi laterale amiotrofica. Hanno alcune caratteristiche in comune e sono entrambe patologie neurodegetative a carico del motoneurone, tuttavia alcune differenze sono presenti. Pur essendo stata considerata inizialmente, probabilmente in modo erroneo, soltanto una variante clinica o una sintomatologia della SLA, l’atrofia muscolare progressiva se ne differenzia, oltre che per alcuni aspetti sintomatologici, per una sopravvivenza superiore ai dieci anni, considerata invece il limite massimo della SLA (anche se ci sono casi rari di sopravvivenze fino a 20 anni). Con adeguato supporto medico e infermieristico, il malato di atrofia muscolare progressiva può vivere invece anche più di 30-40 anni dalla diagnosi.

Leggi anche:

In contrasto con la SLA, l’atrofia muscolare progressiva si distingue per l’assenza di:

  • Riflessi vivaci
  • Spasticità
  • Segno di Babinski
  • Labilità emotiva
  • Progressione rapida
  • Lesione del neurone motorio superiore (colpisce solo il neurone motorio inferiore)

Infine la sclerosi laterale amiotrofica è molto più diffusa nella popolazione (è la più comune forma di malattia del motoneurone), mentre l’atrofia muscolare progressiva è molto più rara.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Atrofia muscolare progressiva: cause, sintomi, cura, aspettativa di vita

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma ATROFIA MUSCOLARE PROGRESSIVA CAUSE VITA Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgL’atrofia muscolare progressiva, detta anche atrofia muscolare di Duchenne-Aran o malattia di Duchenne-Aran, nota anche con l’acronimo AMP o in inglese PMA (Progressive muscular atrophy), è una malattia neurologica configurabile attualmente quale rara forma di malattia del motoneurone (Motor neurone disease, MND), considerata talvolta relativa o collegata alla sclerosi laterale amiotrofica. La PMA colpisce solo il 2° motoneurone, lasciando intatto il 1°.

Leggi anche:

Caratteristiche

La PMA è simile ad altre malattie del motoneurone, per eziologia (in gran parte sconosciuta), sintomatologia e trattamento. Provoca, come detto dal nome, una lenta e progressiva atrofia muscolare, che colpisce la muscolatura volontaria (tranne gli occhi) e la muscolatura respiratoria, a causa del danno ai mitocondri dei motoneuroni del tronco encefalico (che muoiono), e della seguente mancanza di impulsi motori e nutrimento del tessuto muscolare.

Differenze con la SLA

Pur essendo stata considerata inizialmente, probabilmente in modo erroneo, soltanto una variante clinica o una sintomatologia della sclerosi laterale amiotrofica, se ne differenzia per diverse caratteristiche; per approfondire leggi: Differenze tra atrofia muscolare progressiva e sclerosi laterale amiotroficaDifferenze tra atrofia muscolare progressiva e sclerosi laterale amiotrofica

Cura ed aspettativa di vita

Al momento non esiste una cura per questa malattia. Gli effetti più gravi possono essere in qualche modo arginati con fisioterapia e stretto controllo medico, per impedire i danni ed i rischi provocati dalla lunga immobilizzazione, come le lesioni da decubito e le infezioni ricorrenti, specie le polmoniti. Una persona affetta da questa atrofia può vivere anche per 25 anni dopo la diagnosi.

Casi clinici celebri

La AMP è nota al grande pubblico per essere la malattia del celebre fisico britannico Stephen Hawking. Si va ormai allontanando l’idea che Hawking, il più famoso personaggio affetto da malattia del motoneurone, sia, come creduto per lungo tempo, affetto da SLA, in quanto la malattia, diagnosticata nel 1963, avrebbe una durata abnormemente lunga, assolutamente inusuale per le sue caratteristiche (il famoso fisico ha infatti superato i 50 anni di sopravvivenza alla diagnosi). Va invece appunto prendendo corpo l’ipotesi che la sua malattia effettiva sia la meno fatale atrofia muscolare progressiva. Tale affermazione è però contestata da molti medici e dallo stesso Hawking. Molti esperti che lo hanno curato ed analizzato il suo caso, sostengono che Hawking abbia una forma di SLA ad esordio giovanile, meno virulenta, e non l’AMP.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Differenze tra sclerosi laterale amiotrofica (SLA) e sclerosi multipla

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma DIFFERENZE SCLEROSI LATERALE AMIOTROFICA SCLEROSI MULTIPLA Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata.jpgLa sclerosi multipla, SM, e la sclerosi laterale amiotrofica, SLA, vengono confuse molto spesso tra i non “addetti ai lavori”, questo a causa del termine “sclerosi” che le due patologie hanno in comune, pur essendo molto diverse tra loro.

Sclerosi laterale amiotrofica e sclerosi multipla: caratteristiche comuni

Pur essendo molto diverse tra loro, sclerosi laterale amiotrofica e sclerosi multipla hanno però in comune alcune caratteristiche:

  • sono malattie che interessano il sistema nervoso;
  • sono croniche;
  • determinano disturbi neuromotori;
  • degenerano progressivamente nel tempo;
  • non possono essere curate: le terapie servono solo per ridurre i sintomi e rallentare la loro progressione.

Leggi anche: Morbo di Parkinson: cause, sintomi, decorso, terapie

Differenze nell’età e nell’incidenza

La sclerosi laterale amiotrofica interessa principalmente gli adulti over 50, in particolare tra i 50 e i 70 anni, con una leggera prevalenza negli uomini rispetto alle donne e con un’incidenza generale decisamente inferiore rispetto alla sclerosi multipla. La sclerosi multipla, invece, viene anche detta la malattia invalidante del giovane adulto, in quanto riguarda prevalentemente soggetti tra i 20 e i 40 anni. In questo, soprattutto donne.

Leggi anche: Morbo di Alzheimer: cause, sintomi, decorso, terapie

Differenze nelle cause

Sia per quel riguarda la SLA che per la sclerosi multipla, le cause che determinano la loro insorgenza sono ancora oggi difficili da definire. Per quanto riguarda la SLA si sa, però, che è una malattia multifattoriale, dovuta a cause diverse e concomitanti. Ad esempio carenza di nutrienti per le cellule del sistema nervoso, eccesso di anticorpi, virus. Una buona dose di responsabilità è da attribuire all’ereditarietà e alla predisposizione genetica, a differenza della sclerosi multipla per cui l’elemento ereditario ha minor impatto sull’insorgenza della malattia. Influiscono invece fattori ambientali e geografici: la sclerosi multipla si manifesta soprattutto in luoghi lontani dall’equatore. Le persone che vivono molto più vicino all’equatore sono esposte ad una grande quantità di luce solare per tutto l’anno e per questo tendono ad avere dei livelli più alti di vitamina D che previene l’insorgenza della sclerosi multipla.

La sclerosi multipla intacca la mielina, che garantisce la corretta conduzione degli stimoli nervosi. Non a caso la SM è soprannominata malattia demielinizzante, proprio perché provoca la perdita di mielina, da cui dipendono i danni neurologici e il rallentamento dell’impulso nervoso. Il nome sclerosi si deve alla formazione di cicatrici in varie zone mentre il termine Multipla si riferisce al fatto che la malattia può intaccare le diverse parti in tempi diversi. Le zone colpite dalle cicatrici che si vanno formando sono:

  • il sistema nervoso centrale;
  • il cervello;
  • il midollo spinale.

La SLA, anche detta “malattia dei motoneuroni“, intacca invece solo i motoneuroni, cellule adibite al controllo del movimento muscolare, che progressivamente muoiono. Anche in questo caso la malattia provoca la formazione di cicatrici che però indeboliscono solo i muscoli, localizzate nei cordoni laterali del midollo spinale. Ne consegue che il soggetto colpito dalla SLA perde progressivamente forza muscolare e in alcuni casi l’indebolimento può addirittura sfociare in paralisi. I motoneuroni colpiti possono essere di due tipologie:

  • I motoneurone, detto anche centrale o corticale, localizzato nella corteccia cerebrale, adibito al trasporto del segnale dal cervello al midollo spinale
  • II motoneurone, detto anche periferico o spinale, localizzato nel midollo spinale, adibito al trasporto del segnale in periferia ai muscoli.

Leggi anche:  Differenza tra morbo di Alzheimer e morbo di Parkinson: sintomi comuni e diversi

La sclerosi mutipla viene solitamente diagnosticata valutando i vari episodi di disturbi neurologici disseminati nel tempo, che possono fornire una mappa per ricostruire il quadro clinico del paziente. Sebbene sia caratterizzata anche da alcuni sintomi tipici, essi spesso non sono sufficienti a permetterne l’individuazione precisa. Tuttavia esistono anche alcuni esami mirati, come la RM e l’analisi del liquido cerebrospinale, che permettono di diagnosticarla con maggiore sicurezza e facilità. La diagnosi di SLA è invece più difficile perché questa patologia non comporta sintomi specifici, quindi si va spesso per esclusione dopo aver effettuato un esame neurologico per individuare eventuali lesioni del I e II motoneurone associato ad altri esami strumentali.

Per quanto riguarda la sclerosi multipla si possono individuare alcuni sintomi e segni tipici, sebbene ciò che aiuta a individuare la patologia sia più che altro la storia clinica del paziente, attraverso l’individuazione di disturbi neurologici disseminati nel tempo e localizzati nelle zone caratteristiche. I sintomi e segni più comuni della SM sono:

  • disturbi motori più o meno gravi;
  • formicolii;
  • sensazione di punture;
  • calo o sdoppiamento della vista;
  • vertigini accompagnate spesso da vomito e nausea;
  • instabilità, barcollamento, disturbi dell’equilibrio;
  • disturbi intestinali;
  • a volte disturbi urinari;
  • a volte disturbi sessuali.

La sclerosi multipla può comunque determinare virtualmente qualsiasi sintomo e segno relativo al sistema nervoso. Può anche determinare patologie psichiatriche, come la despressione (sia in risposta alla notizia della diagnosi, sia a causa del danno del tessuto nervoso).

Per quanto riguarda la SLA, essa colpisce solo il sistema motorio provocando sintomi a livello muscolare. Tra i sintomi e segni più comuni, ricordiamo:

  • debolezza sempre più intensa, che di solito parte dalle mani e dai piedi per poi intaccare il resto del corpo;
  •  rigidità;
  • crampi muscolari;
  • contrazioni involontarie.

Nel caso della sclerosi multipla, ad oggi non esiste una cura definitiva: le terapie cercano di ridurre e prevenire le ricadute e rallentare il decorso della malattia. Esse includono principalmente la somministrazione di farmaci appositi, in particolare i farmaci antinfiammatori steroidei quali l’adrenocorticotropina (conosciuto come ACTH), il prednisone, il metilprednisolone, il prednisolone, il betametasone e il dexametasone. Durante gli attacchi sintomatici, la somministrazione di alte dosi di corticosteroidi per via endovenosa, come il metilprednisolone, è la terapia di routine per le recidive acute della malattia in forma recidivante-remittente, in quanto ha dimostrato efficacia nel ridurre la gravità e la durata delle esacerbazioni. Recentemente sono stati approvati alcuni i farmaci modificanti la malattia, tra cui: l’interferone beta-1a, l’interferone beta-1b, il glatiramer acetato, il mitoxantrone (un immunosoppressore usato anche in chemioterapia), il natalizumab (un anticorpo monoclonale umanizzato immunomodulatore che impedisce la migrazione delle cellule T dal torrente circolatorio al sistema nervoso centrale), il fingolimod e il teriflunomide, rispettivamente il primo e il secondo farmaco a somministrazione orale a essere disponibili. I trattamenti modificanti la malattia sono in grado di ridurre il tasso di progressione della malattia, ma non di arrestarla. Con la progressione della sclerosi multipla, la sua sintomatologia tende ad aumentare. La malattia è associata a una varietà di sintomi e deficit funzionali che si traducono in una serie di menomazioni e disabilità progressive. La gestione di questi deficit è quindi molto importante. Sia la terapia farmacologica che la neuroriabilitazione hanno dimostrato di poter alleviare alcuni sintomi, anche se non influenzano la progressione della malattia. Alcuni sintomi, come l’incontinenza urinaria e la spasticità, hanno una buona risposta ai farmaci, mentre la gestione di molti altri risulta più complessa. Le persone colpite da sclerosi multipla necessitano, inoltre, di una terapia rivolta alle eventuali malattie collaterali, alle infezioni delle vie urinarie e alle piaghe da decubito. Molto utili contro la spasticità degli arti si sono dimostrati i farmaci miorilassanti e la fisiochinesiterapia. Nell’ambito delle terapie sintomatiche, è possibile usare, a seconda del tipo di disturbi e della loro entità, farmaci per la spasticità, la fatica, le disfunzioni vescicali, i disturbi delle sensibilità e così via. Il farmaco di prima scelta nel trattamento della spasticità è il baclofen.

Per la SLA non esistono ancora farmaci specifici capaci di curare del tutto la patologia: l’unico farmaco approvato dalla FDA è il riluzolo, che agisce sui livelli di glutammato, la cui assunzione può rallentare la progressione della malattia. Test clinici in pazienti con SLA hanno mostrato che il riluzolo prolunga la sopravvivenza fino a soli tre mesi, e può estendere il tempo di sopravvivenza soprattutto nei pazienti con SLA ad inizio bulbare. Il farmaco estende anche il tempo durante il quale il paziente può rimanere libero dal supporto ventilatorio. Il riluzolo non può invertire il danno subito dai motoneuroni, ed i pazienti che prendono il farmaco devono essere monitorizzati per il danno epatico ed altri possibili effetti collaterali. Sono previsti trattamenti il cui scopo è migliorare la qualità della vita del paziente, riducendo il più possibile eventuali complicanze. Tra essi si annoverano:

  • riabilitazione;
  • ventilazione di supporto;
  • somministrazione di appositi integratori alimentari.

Le cure palliative vengono fornite al meglio da team multidisciplinari costituiti da professionisti dell’assistenza come medici, farmacisti, fisioterapisti, terapisti occupazionali, e logopedisti; nutrizionisti; assistenti sociali; ed infermieri specializzati nell’assistenza domiciliare e negli hospice per lungodegenti. Lavorando con i pazienti ed il personale sanitario, questi “team di assistenza” possono pianificare un piano individualizzato di terapia medica e fisica e fornire apparecchiature speciali destinate a mantenere i pazienti nella migliore situazione di mobilità e comfort che si possa ragionevolmente raggiungere.

Le ricadute nella sclerosi multipla, anche dette recidive, riacutizzazioni, peggioramenti, attacchi, consistono nella comparsa acuta o sub-acuta di anormalità neurologiche per 24 ore senza che compaiono febbre o infezioni di alcun tipo. Tra una ricaduta e l’altra possono trascorrere alcune settimane o addirittura anni a seconda dei casi e purtroppo non c’è modo di prevedere l’episodio nè di individuarne le cause, nonostante le tante ipotesi formulate dalle ricerche a tema. Tra queste si annoverano eventuali traumi, stress, infezioni e vaccinazioni,ma come premesso si tratta solo di supposizioni non confermate da dati certi. Sebbene le ricadute si guariscano spontaneamente, di solito al paziente vengono somministrati steroidi per pochi giorni in modo da ridurre al minimo la gravità e la durata. Diverso è il caso della SLA poiché questa malattia ha un decorso diverso rispetto alla SM: essa progredisce man mano che i motoneuroni muoiono nel corso di mesi o anni, in modo progressivo, senza le ricadute tipiche della sclerosi multipla. Nella SLA si verifica quindi un peggioramento progressivo, di pari passo alla morte dei motoneuroni.

Per approfondire:

Leggi anche:

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o unisciti al nostro gruppo Facebook o ancora seguici su Twitter, su Instagram, su Mastodon, su YouTube, su LinkedIn, su Tumblr e su Pinterest, grazie!

Sclerosi laterale amiotrofica (SLA): cause, sintomi, diagnosi e prognosi

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma SCLEROSI LATERALE AMIOTROFICA SLA MORTE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgLa SLA, Sclerosi laterale amiotrofica, conosciuta anche come “malattia dei motoneuroni“, “malattia di Lou Gehrig” (dal nome del giocatore di baseball la cui malattia nel 1939 fu portata all’attenzione pubblica) o “malattia di Charcot” (dal cognome del neurologo francese che per la prima volta descrisse questa patologia nel 1860), è una malattia neurodegenerativa progressiva che colpisce i motoneuroni, ovvero le cellule nervose cerebrali e del midollo spinale in grado di regolare l’attività di contrazione dei muscoli volontari. La morte di queste particolari cellule avviene gradualmente, in un lasso di tempo che può andare da diversi mesi a diversi anni, e la gravità può variare molto da un paziente all’altro.

Leggi anche:

Che cos’è la malattia dei motoneuroni o sclerosi laterale amiotrofica (SLA)?

Le cause della Sla, descritta per la prima volta nel 1860, sono ancora sconosciute sebbene sia stato ipotizzato un coinvolgimento di diversi fattori. Attualmente sono circa 5.000 i malati in Italia, con una lieve preponderanza nel sesso maschile. Prevalentemente colpisce persone di età compresa fra i 40 e i 70 anni (anche se non mancano casi di soggetti colpiti dalla malattia tra i 17 e i 20 anni, così come tra i 70 e gli 80 anni).
La malattia inizia a manifestarsi quando la perdita dei motoneuroni danneggiati non riesce più a essere compensata dalla presenza dei neuroni superstiti: si arriva così a una progressiva paralisi di tutti i muscoli volontari. La patologia non influisce in nessun modo sulle funzioni sensoriali, sessuali, vescicali e intestinali, che vengono preservate del tutto, e su quelle cognitive: anche nelle fasi più avanzate della patologia tutte le funzioni cognitive restano attive ed efficienti in un corpo che diventa sempre più immobile.

Leggi anche:

Quali sono le cause della SLA?

Nonostante le cause di questa malattia siano ancora sconosciute, gli studi effettuati fino a oggi hanno permesso di stabilire che, molto probabilmente, la Sla non origina da una sola causa da ma più fattori (malattia multifattoriale). Tra i fattori riconosciuti come coinvolti nello sviluppo della patologia ci sono:

  • eccesso di glutammato (aminoacido usato dalle cellule nervose come segnale chimico): quando il suo tasso è elevato determina un’iperattività delle cellule nervose che può risultare nociva;
  • predisposizione genetica;
  • carenza di fattori di crescita, il cui ruolo all’interno del nostro organismo è quello di aiutare la crescita dei nervi e facilitare i contatti tra i motoneuroni e le cellule muscolari;
  • fattori tossico-ambientali: esistono diversi elementi (alluminio, mercurio o piombo) e alcune sostanze usate in agricoltura (erbicidi e insetticidi) che possono danneggiare le cellule nervose e i motoneuroni.

Leggi anche:

Quali sono i sintomi della SLA?

La malattia inizia a manifestarsi quando la perdita dei motoneuroni danneggiati non riesce più a essere compensata dalla presenza dei neuroni superstiti: si arriva così a una progressiva paralisi di tutti i muscoli volontari. La patologia non influisce in nessun modo sulle funzioni sensoriali, sessuali, vescicali e intestinali, che vengono preservate del tutto, e solo in una modesta percentuale interessa le funzioni cognitive.

Leggi anche:

Diagnosi

La diagnosi di Sclerosi laterale amiotrofica non è semplice: ad oggi, infatti, non esiste alcun test o procedura per confermare senza alcun dubbio la diagnosi di Sla. Gli strumenti a disposizione attualmente sono un attento esame clinico ripetuto nel tempo da parte di un neurologo esperto, e una serie di esami diagnostici effettuati per escludere altre patologie.

Trattamenti

Purtroppo ad oggi non esiste alcuna terapia in grado di guarire la Sla: l’unico farmaco approvato è il Riluzolo, che agisce sui livelli di glutammato, la cui assunzione può rallentare la progressione della malattia. L’impiego di alcuni farmaci può però essere di aiuto per migliorare l’autonomia personale, il movimento e la comunicazione.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Sclerosi multipla: cause, sintomi, diagnosi e prognosi

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma SCLEROSI MULTIPLA CAUSE MORTE SINTOMI Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Ano Pene

La sclerosi multipla è una patologia neurodegenerativa caratterizzata dalla perdita di mielina (la sostanza che riveste le fibre nervose della sostanza bianca) in più aree (da cui il nome “multipla”). Il processo di demielinizzazione può determinare danni o perdita della mielina e la formazione di lesioni (placche) che possono evolvere da una fase infiammatoria iniziale a una fase cronica in cui assumono caratteristiche simili a cicatrici da cui deriva il termine “sclerosi“.

Leggi anche: Sclerosi laterale amiotrofica (SLA): cause, sintomi, diagnosi e prognosi

Che cos’è la sclerosi multipla?

La sclerosi multipla insorge in ogni età della vita, ma i soggetti maggiormente colpiti risultano essere quelli tra i 20 e i 40 anni; le donne risultano colpite in numero doppio rispetto agli uomini. La prognosi è molto variabile: la forma più comune è caratterizzata da fasi in cui la patologia si manifesta intervallata da fasi di remissione di diversa durata. Nelle prime fasi della malattia la regressione dei segni risulta pressoché completa, ma con il passare del tempo i sintomi persistono sempre più a lungo dando vita a invalidità progressiva.

Leggi anche: Cervelletto: anatomia esterna ed interna

Quali sono le cause della sclerosi multipla?

Le cause all’origine della sclerosi multipla sono ancora sconosciute. Attualmente si ritiene che la sclerosi multipla sia una malattia autoimmune: alla base della perdita di mielina c’è infatti un’alterazione nella risposta del sistema immunitario che attaccherebbe la mielina come se fosse un agente esterno da combattere (uno dei principali bersagli della risposta immunitaria alterata è la “proteina basica della mielina”, ovvero uno dei costituenti della mielina stessa).

Diversi i fattori che giocano un ruolo di una certa importanza nell’insorgenza della sclerosi multipla, sui quali si sta ancora studiando:

  • l’ambiente (i Paesi a clima temperato sono a maggior rischio);
  • l’etnia (l’origine caucasica determina una maggiore predisposizione);
  • l’esposizione ad agenti infettivi (virus, batteri), soprattutto nei primi anni di vita;
  • la predisposizione genetica.

Leggi anche: Demenza senile: cause, sintomi, decorso e cure

Sintomi e segni

Diversi sono i modi in cui si può presentare la sclerosi multipla. Sebbene i sintomi possano essere diversi da persona a persona, ce ne sono alcuni che risultano più frequenti di altri, in particolare nelle prime fasi della malattia:

  • disturbi visivi (calo rapido e significativo della vista; sdoppiamento della vista; movimenti non controllabili dell’occhio);
  • disturbi della sensibilità: rilevanti e persistenti formicolii; intorpidimento degli arti; perdita di sensibilità al tatto; difficoltà a percepire il caldo e il freddo;
  • fatica e debolezza: difficoltà a svolgere anche le semplici attività quotidiane, perdita di forza muscolare.

Prevenzione

Non essendo ancora note le cause di questa patologia, attualmente non è purtroppo possibile parlare di un percorso di prevenzione.

Leggi anche: Morbo di Parkinson: cause, sintomi, decorso, terapie

Diagnosi

La diagnosi della sclerosi multipla si basa principalmente sull’osservazione dei segni e della sintomatologia riportata dal paziente. Gli esami che possono portare alla diagnosi, sono:

  • la risonanza magnetica, che consente di visualizzare le placche demielinizzate;
  • l’esame dei potenziali evocati (registrazione dell’attività elettrica cerebrale) permettono di ricercare lesioni ancora latenti, stabilendo così il carattere multifocale delle placche demielinizzate tipico della sclerosi multipla;
  • l’esame del liquido cerebrospinale mediante puntura lombare, che può evidenziare la presenza di globuli bianchi e l’aumento delle proteine e degli anticorpi, a testimonianza dell'”attivazione” del sistema immunitario;
  • l’esame del sangue, anche per escludere altre patologie.

Fondamentali, per diagnosticare la sclerosi multipla, risultano essere inoltre la storia clinica del paziente e l’esito della visita neurologica.

Terapie

Attualmente purtroppo non esistono farmaci per di trattare definitivamente la malattia. L’utilizzo combinato di alcuni farmaci è in grado però di ridurre l’incidenza e la severità degli attacchi nella maggior parte dei casi:

  • corticosteroidi, che abbreviano le ricadute e ne riducono la gravità;
  • immunomodulanti e immunosoppressori, che prevengono le ricadute e ritardano la progressione della malattia.

Per massimizzare l’indipendenza del soggetto, ridurre la disabilità e prevenire complicanze secondarie è molto importante anche inserire il paziente all’interno di un percorso riabilitativo (non solo dal punto di vista fisico, ma anche psicologico e sociale).

Leggi anche:

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o unisciti al nostro gruppo Facebook o ancora seguici su Twitter, su Instagram, su Mastodon, su YouTube, su LinkedIn, su Tumblr e su Pinterest, grazie!

Morbo di Alzheimer: screening e diagnosi nelle fasi iniziali della malattia

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma MORBO ALZHEIMER SCREENING DIAGNOSI INIZI Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgDiversi test di screening neuropsicologico vengono utilizzati per la diagnostica nei casi di Alzheimer. I test valutano diverse funzioni e competenze cognitive, come il saper copiare disegni simili a quelli mostrati nella foto, ricordare parole, leggere e sottrarre numeri in serie.

Leggi anche:

Test neuropsicologici come il Mini Mental State Examination (MMSE), sono ampiamente utilizzati per valutare i disturbi cognitivi che vengono considerati per la formulazione della diagnosi. Una batteria di test più completa è necessaria per garantire la massima affidabilità dei risultati, in particolare nelle prime fasi della malattia. L’esame neurologico nelle prime fasi della malattia solitamente presenta risultati normali, fatta eccezione per evidenti deficit cognitivi che non differiscono però da quello derivanti da altre malattie di tipo demenziale.
Ulteriori esami neurologici sono cruciali nella diagnosi differenziale di Alzheimer dalle altre malattie. Colloqui con gli altri membri della famiglia sono inoltre utilizzate nella valutazione funzionale della malattia. I caregiver possono, infatti, fornire importanti informazioni sulla capacità di vita quotidiana, così come la diminuzione, nel tempo, della funzione mentale della persona. Il punto di vista di chi assiste il malato è particolarmente importante, dato che una persona con Alzheimer è spesso inconsapevole del suo deficit. A volte le famiglie hanno difficoltà nella rilevazione esatta dei primi sintomi di demenza nelle sue fasi iniziali, e per questo non riescono sempre a comunicare informazioni accurate al medico.
Un altro indicatore oggettivo delle prime fasi della malattia è l’analisi del liquido cerebrospinale per la ricerca di beta-amiloide o di proteine tau. La ricerca di queste proteine è in grado di prevedere l’insorgenza della malattia di Alzheimer con una sensibilità compresa tra il 94% e il 100%. Quando è utilizzata in combinazione con le tecniche di neuroimaging esistenti, i medici sono grado di identificare i pazienti che stanno già sviluppando la malattia.  Gli esami del liquido cerebrospinale sono disponibili più facilmente, a differenza delle tecnologie di neuroimaging più moderne.
Altri test clinici supplementari forniscono informazioni aggiuntive su alcune caratteristiche della malattia, o vengono utilizzati per escludere altre diagnosi. È comune eseguire test di funzionalità tiroidea, valutare i livelli di vitamina B12, escludere la sifilide, escludere problemi metabolici (tra cui test per la funzione renale, i livelli di elettroliti e per il diabete), valutare i livelli di metalli pesanti (ad esempio il piombo e il mercurio) e l’anemia. È anche necessario escludere la presenza di sintomatologia psichiatrica, come deliri, disturbi dell’umore, disturbi del pensiero di natura psichiatrica, o pseudodemenze depressive. In particolare vengono utilizzati test psicologici per la rilevazione della depressione, dal momento che la depressione può essere concomitante con l’Alzheimer, essere un segno precoce di deficit cognitivo, o esserne addirittura la causa.

Leggi anche:

Imaging diagnostico
La Tomografia a emissione di fotone singolo (SPECT) e la Tomografia a emissione di positroni (PET), possono essere utilizzati per la conferma di una diagnosi di Alzheimer in associazione con le valutazioni dello stato mentale. In una persona già affetta da demenza, la SPECT sembra essere superiore nel differenziare la malattia di Alzheimer da altre possibili cause, rispetto all’analisi della storia familiare e all’osservazione del paziente. I progressi hanno portato alla proposta di nuovi criteri diagnostici di imaging biomedico.
Una nuova tecnica nota come PiB-PET è stata sviluppata per visualizzare direttamente e chiaramente immagini di depositi di beta-amiloide in vivo, utilizzando un radiotracciante che si lega selettivamente ai depositi A-beta.
La PiB-PET utilizza il carbonio-11 per la scansione PET. Studi recenti suggeriscono che la PiB-PET è precisa all’86% nel predire quali persone, già affette da decadimento cognitivo lieve, svilupperanno la malattia di Alzheimer entro due anni, e al 92% in grado di escludere la probabilità di sviluppare il malattia di Alzheimer.
Un radiofarmaco per PET chiamato (E)-4-(2-(6-(2-(2-(2-([18F]-fluoroethoxy) ethoxy) ethoxy) pyridin-3-yl) vinyl)-N-methyl benzenamine, o 18F AV-45, o florbetapir-fluorine-18, o semplicemente florbetapir, contenente il più duraturo radionuclide fluoro-18, è stato recentemente realizzato e testato come possibile supporto diagnostico nella malattia di Alzheimer. Il florbetapir, come il PiB, si lega alla beta-amiloide, ma grazie all’uso del fluoro-18 ha un’emivita di 110 minuti, in rapporto al tempo di dimezzamento radioattivo PiB che è di 20 minuti. La maggior durata permette di accumulare maggior tracciante nel cervello di persone con malattia di Alzheimer, in particolare nelle regioni note per essere associate a depositi di beta-amiloide.
La risonanza magnetica volumetrica è in grado di rilevare cambiamenti nella dimensione delle regioni del cervello. L’atrofia di queste regioni si sta mostrando come un indicatore diagnostico della malattia. Essa può risultare meno costosa di altre tecniche di imaging attualmente in fase di studio.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!