Alimentazione e disfagia nel paziente con morbo di Parkinson

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma ALIMENTAZIONE DISFAGIA MORBO PARKINSON Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgI muscoli e i nervi che controllano la digestione possono essere influenzati dalla malattia, con conseguente costipazione e gastroparesi (il cibo rimane nello stomaco per un periodo di tempo più lungo del normale). Una alimentazione equilibrata, sulla base di periodiche valutazioni nutrizionali, è consigliata e deve essere finalizzata ad evitare la perdita o il guadagno di peso e a ridurre al minimo le conseguenze delle disfunzioni gastrointestinali.

Disfagia nella malattia di Parkinson

Con l’avanzare della malattia, può comparire la disfagia, ossia la difficoltà nella deglutizione. In questi casi può essere utile usare addensanti per l’assunzione di liquidi e assumere una postura eretta quando si mangia, poiché entrambe le misure riducono il rischio di soffocamento. Nei casi più gravi si può ricorrere alla gastrostomia per far giungere il cibo direttamente nello stomaco.

Dieta e levodopa

Il farmaco levodopa (usato nel trattamento della malattia di Parkinson) e le proteine utilizzano, in concorrenza, lo stesso sistema di trasporto nell’intestino e nella barriera emato-encefalica. Questo comporta che, se assunti insieme, l’efficacia del farmaco appaia ridotta. Pertanto, quando si fa uso di levodopa, si sconsiglia il consumo eccessivo di proteine e viene raccomandata una dieta mediterranea equilibrata. Negli stadi avanzati, l’assunzione supplementare di prodotti ipoproteici, come pane o pasta, viene consigliata per ragioni analoghe. Per minimizzare l’interazione con le proteine, la levodopa deve essere assunta 30 minuti prima dei pasti.

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Diagnosi e diagnosi differenziale del morbo di Parkinson

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma DIAGNOSI DIFFERENZIALE MORBO PARKINSON Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgIl morbo di Parkinson può essere diagnosticato partendo dalla storia clinica e da un esame neurologico. Non esiste attualmente un test che identifichi chiaramente la malattia, ma scansioni tomografiche cerebrali sono a volte utilizzate per escludere patologie che potrebbero dare luogo a sintomi simili. L’osservazione di corpi di Lewy nel mesencefalo, in sede di autopsia, è solitamente considerata la prova che il paziente soffriva della malattia di Parkinson. Le linee guida consigliano di valutare periodicamente la diagnosi, poiché la progressione della malattia può far cambiare opinione su di essa.

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Criteri standard di diagnosi
Organizzazioni mediche hanno creato criteri per facilitare e standardizzare il processo diagnostico, soprattutto nelle fasi iniziali della malattia. I più conosciuti provengono dalla britannica Parkinson’s Disease Society Brain Bank e dalla statunitense National Institute of Neurological Disorders and Stroke. I criteri del primo istituto citato richiedono la presenza di lentezza nei movimenti (bradicinesia) più rigidità, tremore a riposo o instabilità posturale. Le altre possibili cause di questi sintomi devono essere escluse. Infine, tre o più delle seguenti caratteristiche sono necessarie durante l’insorgenza o l’evoluzione: esordio unilaterale, tremore a riposo, progressione nel tempo, asimmetria dei sintomi motori, risposta alla levodopa per almeno cinque anni, decorso clinico di almeno dieci anni e verificarsi di discinesie indotte dall’assunzione eccessiva di levodopa. La precisione di questi criteri diagnostici, valutati dopo l’autopsia, è del 75-90%, con gli specialisti in neurologia che hanno le percentuali di diagnosi corrette più elevate.

Diagnostica per immagini nel paziente con Parkinson
La tomografia computerizzata (TC) e la risonanza magnetica (MRI) del cervello di persone con malattia di Parkinson appaiono di solito normali. Queste tecniche sono comunque utili per escludere altre malattie che possono essere cause secondarie del parkinsonismo, come i tumori vascolari, patologie dei gangli della base e idrocefalo. Una tecnica particolare di risonanza magnetica, l’imaging con tensore di diffusione, è stata trovata utile nel discriminare tra parkinsonismo tipico e atipico, anche se il suo esatto valore diagnostico è ancora oggetto di studio. Inoltre, sono utilizzate la risonanza magnetica funzionale e la spettroscopia a risonanza magnetica. Di recente introduzione vi è la sonografia transcranica, una nuova metodica che permette di studiare in modo non invasivo e a basso costo il parenchima dei nuclei della base e del mesencefalo. Tutto ciò con l’ausilio della finestra temporale.
La medicina nucleare permette uno studio accurato della patologia dal punto di vista anatomico e funzionale. Essa sfrutta l’uso di traccianti radioattivi iniettati nell’organismo, i quali vanno a depositarsi nei distretti corporei oggetto di studio, evidenziandone il metabolismo, e quindi in maniera diretta o indiretta, caratteristiche come la vitalità o l’attività. Essendo la malattia di Parkinson una patologia a carico del sistema dopaminergico, i traccianti sono diretti verso il trasportatore della dopamina e verso il trasportatore vescicolare delle monoamine di tipo 2 e verso l’enzima DOPA decarbossilasi. La posizione in cui i traccianti vanno a depositarsi viene rilevata tramite PET e SPECT. Esempi di radiotraccianti utilizzabili sono: lo ioflupane (123I) (nome commerciale DaTSCAN) e iometopane (Dopascan) per la SPECT, il fluorodesossiglucosio (18F-FDG) e la fluoroDOPA per la PET. Un modello sulla riduzione dell’attività dopaminergica nei gangli basali può aiutare nella diagnosi della malattia di Parkinson.

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Diagnosi differenziale
Altre cause che possono secondariamente produrre una sindrome parkinsoniana sono: la malattia di Alzheimer, l’ictus cerebrale e il parkinsonismo farmaco-indotto. Nella diagnosi devono essere escluse sindromi come la paralisi sopranucleare progressiva e l’atrofia sistemica multipla. Tassi di progressione veloci, precoce disfunzione cognitiva o instabilità posturale, tremore minimo o simmetrico all’esordio, possono indicare la presenza di una sindrome ulteriore, piuttosto che la malattia di Parkinson stessa. Le forme genetiche sono di solito classificate come “malattia di Parkinson”, anche se i termini di “malattia familiare di Parkinson” e “parkinsonismo familiare” sono utilizzati per i soggetti con malattia autosomica dominante o recessiva.

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Morbo di Parkinson: fattori di rischio e fattori di protezione

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma MORBO PARKINSON FATTORI RISCHIO PROTEZIO Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgMolti fattori di rischio e molti fattori protettivi sono stati proposti, a volte in relazione alle teorie riguardanti i possibili meccanismi della malattia, ma nessuno è stato definitivamente individuato da prove certe. Quando gli studi epidemiologici sono stati condotti per verificare la relazione tra un dato fattore e la malattia di Parkinson, spesso i risultati sono apparsi contraddittori.

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Fattori di rischio
Le correlazioni più frequentemente proposte per aumentarne il rischio, sono quelle in cui viene coinvolta l’esposizione ai fitofarmaci e idrocarburi solventi, mentre sembra esserci una riduzione del rischio nei fumatori.
Iniezioni della neurotossina MPTP sintetica producono una serie di sintomi simili a quelli della malattia di Parkinson, essi possono essere bloccati interrompendo l’assunzione di tale sostanza. L’osservazione di questo fenomeno ha portato a teorizzare che l’esposizione ad alcune tossine ambientali possa aumentare il rischio di sviluppare la condizione. Le tossine che sono state correlate alla malattia e ritenute in grado di aumentare del doppio il rischio di soffrirne, comprendono alcuni insetticidi, come il rotenone, e erbicidi, come il disseccante paraquat e il defoliante Agente Arancio. Le misure indirette dell’esposizione, come quelle effettuate su persone che vivono in ambienti rurali, hanno evidenziato un aumento del rischio di sviluppare la malattia di Parkinson. Anche l’esposizione ai metalli pesanti è stata proposta come fattore di rischio per la malattia, attraverso il possibile accumulo nella substantia nigra, tuttavia gli studi sull’argomento si sono rivelati inconcludenti.
Alcuni studi hanno messo in correlazione il verificarsi di ripetuti traumi cranici e lo sviluppo della malattia. Si sospetta che i pugili professionisti, a seguito dei violenti colpi al capo cui sono soggetti, possano sviluppare una sindrome di Parkinson di carattere progressivo (il caso di Cassius Clay ne potrebbe essere una dimostrazione).Uno studio compiuto su praticanti boxe thailandese ritirati, ha evidenziato un aumento del rischio.
Da non trascurare, infine, l’ipotesi legata all’età. La malattia presenta un picco di insorgenza attorno ai sessant’anni, e nell’adulto sano la perdita di cellule e pigmento nella sostanza nera è maggiore proprio intorno al sessantesimo anno d’età. Viene meno così la protezione delle cellule contenenti dopamina e il cervello delle persone anziane è, inevitabilmente, più predisposto al Parkinson. Si ritiene, inoltre, che disturbi psichiatrici, come la depressione, siano un ulteriore fattore di rischio per la malattia.
Secondo i dati elaborati da uno studio pubblicato nel 2011, tra le sostanze organiche che aumentano il rischio di sviluppare la patologia in caso di prolungata esposizione vi sono il tricloroetilene, il percloroetilene e il tetracloruro di carbonio.

Fattori di protezione
È stato dimostrato che il consumo di caffeina è in grado di proteggere dalla malattia di Parkinson. Studi epidemiologici condotti su un ampio campione (374 003 soggetti) hanno evidenziato che il rischio di sviluppare la condizione diminuisce progressivamente con il consumo di caffè e di altri alimenti contenenti caffeina. Sebbene il fumo di tabacco sia devastante per la longevità e per la qualità della vita, è stato correlato ad una diminuzione del rischio di avere la malattia. Tale rischio, nei fumatori, può arrivare ad essere minore fino a un terzo rispetto ai non fumatori. Il motivo di ciò non è noto con certezza, ma si ritiene che la nicotina possa avere un effetto stimolante sulla dopamina. Il fumo di tabacco contiene composti che agiscono come inibitori della monoamino ossidasi che potrebbero anche loro contribuire a questo effetto. Gli antiossidanti, come le vitamine C e D, sono stati proposti come sostanze protettive dalla malattia, ma i risultati degli studi sono stati contraddittori e nessun effetto positivo è stato dimostrato. Anche gli studi sull’assunzione di acidi grassi e grassi alimentari non hanno portato a risultati chiari. Infine, vi sono state indicazioni preliminari di un possibile ruolo protettivo degli estrogeni e dei farmaci anti-infiammatori non steroidei.

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Scala di Hoehn e Yahr e aspettativa di vita nel morbo di Parkinson

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma SCALA HOEHN YAHR VITA MORBO PARKINSON Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgLa scala di Hoehn e Yahr viene usata in campo medico per descrivere i sintomi della progressione del morbo di Parkinson. È stata originariamente pubblicata nel 1967 sulla rivista Neurology da Melvin Yahr e Margaret Hoehn e comprendeva gli stadi da 1 a 5. Da allora, è stata proposta una scala modificata, con l’aggiunta degli stadi 1,5 e 2,5 che descrivono il decorso intermedio della malattia.

Stadio Scala di Hoehn e Yahr Scala di Hoehn e Yahr modificata
1 Coinvolgimento unilaterale, solitamente con solo una minima o nessuna disabilità funzionale Solo coinvolgimento unilaterale
1.5 Coinvolgimento unilaterale e assiale
2 Coinvolgimento bilaterale o mediano senza compromissione dell’equilibrio Coinvolgimento bilaterale senza compromissione dell’equilibrio
2.5 Lieve coinvolgimento bilaterale senza recupero sul test a trazione
3 Coinvolgimento bilaterale da medio a moderato; alcune difficoltà posturali; fisicamente indipendente Da lieve a moderato coinvolgimento bilaterale; instabilità posturale; fisicamente autosufficiente
4 Malattia gravemente debilitante, ancora in grado di camminare o stare in piedi senza assistenza Grave disabilità; ancora in grado di camminare o stare in piedi senza assistenza
5 Costretto a letto o sulla sedia a rotelle Costretto a letto o sulla sedia a rotelle

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Mortalità e aspettativa di vita
L’aspettativa di vita dei malati di Parkinson appare ridotta. I tassi di mortalità sono circa il doppio di quelli delle persone non affette. Il declino cognitivo e la demenza, l’esordio in vecchiaia, uno stato di malattia più avanzato e la presenza di problemi nella deglutizione, sono tutti fattori che aumentano il rischio di mortalità. D’altra parte, una malattia caratterizzata principalmente da tremore rispetto alla rigidità, prevede una sopravvivenza più lunga. La morte da polmonite ab ingestis è due volte più frequente nei soggetti con malattia di Parkinson rispetto alla popolazione sana.

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Terapie chirurgiche nel paziente con morbo di Parkinson

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma MORBO PARKINSON TERAPIE CHCIRURGICHE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgPrima della scoperta del farmaco levodopa, trattare i sintomi motori con un intervento chirurgico, era una pratica comune, ma dal momento che venne introdotta la terapia farmacologica il numero degli interventi diminuì. Gli studi degli ultimi decenni hanno portato a grandi miglioramenti nelle tecniche chirurgiche, con la conseguenza che la chirurgia è nuovamente utilizzata nelle persone sofferenti la malattia di Parkinson e per le quali la terapia farmacologica non è più sufficiente.

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Attualmente la tecnica più utilizzata è la chirurgia stereotassica che permette di trattare punti in profondità nel parenchima cerebrale con precisione millimetrica, grazie all’ausilio di dispositivi radiologici. Il trattamento chirurgico prevede diverse tecniche. I settori di intervento sono il talamo, il globo pallido o il nucleo subtalamico.
La stimolazione cerebrale profonda (DBS) è il trattamento chirurgico più comunemente utilizzato e permette una buona remissione clinica e una significativa riduzione della dipendenza da levodopa. Esso comporta l’impianto di un dispositivo medico, chiamato pacemaker cerebrale, che invia impulsi elettrici a zone specifiche del cervello. La DBS è raccomandata per i pazienti con Parkinson che soffrono di forte tremore che non viene adeguatamente controllato da farmaci o in coloro che sono intolleranti al trattamento farmacologico. Uno studio pubblicato nel Journal of the American Medical Association ed effettuato su un campione di 225 malati, ha evidenziato, nel 71% dei casi, decisivi miglioramenti nei movimenti e nella diminuzione dei tremori in seguito alla DBS, rispetto al 32% che prendeva solo farmaci.
Altre, ma meno comuni, terapie chirurgiche comportano la creazione di lesioni in specifiche aree sottocorticali (una tecnica nota come pallidotomia, nel caso che la lesione sia prodotta nel globo pallido).

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Riabilitazione e fisioterapia nel paziente con morbo di Parkinson

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma FISIOTEPAPIA NEL MORBO PARKINSON Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgI problemi di linguaggio e di mobilità del paziente con morbo di Parkinson, seppur irreversibili, possono comunque parzialmente migliorare grazie ad un adeguato progetto riabilitativo. L’esercizio fisico regolare, specialmente con la fisioterapia, può essere utile per mantenere e migliorare la mobilità, la flessibilità, la forza, l’andatura e la qualità della vita. Inoltre, quando un programma di esercizio viene svolto sotto la supervisione di un fisioterapista, si possono riscontrare maggiori miglioramenti sia nella mobilità, che nelle funzioni mentali ed emotive, che nelle attività quotidiane della vita.

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Per migliorare la capacità di movimento nei pazienti che presentano rigidità, sono stati proposti esercizi e tecniche di rilassamento, come dolci dondolii, che aiutano a diminuire l’eccessiva tensione muscolare. Altre efficaci tecniche includono lenti movimenti di rotazione degli arti e del tronco, la respirazione diaframmatica e tecniche di meditazione. Per quanto riguarda la deambulazione, i fisioterapisti possono proporre una serie di strategie per migliorare la mobilità e la sicurezza funzionale. Queste puntano a migliorare la velocità di andatura, la lunghezza del passo, il movimento del tronco e del braccio. Gli esercizi studiati per rafforzare la muscolatura si sono dimostrati utili per migliorare la funzionalità motoria nei pazienti con debolezza muscolare e debolezza relativa all’inattività. Tuttavia, i rapporti mostrano una significativa interazione tra la forza e il momento in cui sono stati assunti i farmaci. Pertanto, si raccomanda che i pazienti eseguano gli esercizi da 45 minuti a un’ora dopo l’assunzione dei medicinali, ovvero quando la condizione del paziente è ottimale. Inoltre, a causa della postura flessa in avanti e delle disfunzioni respiratorie presenti nella fase avanzata della malattia, gli esercizi di respirazione profonda diaframmatica sono utili per migliorare la mobilità della parete toracica e della funzionalità vitale. L’attività fisica può migliorare la stitichezza.
Uno dei trattamenti più ampiamente praticati per i disturbi del linguaggio associati al morbo di Parkinson è la terapia vocale con il metodo Lee Silverman (LSVT). La logopedia e in particolare la LSVT possono migliorare il linguaggio. La terapia occupazionale mira a promuovere la salute e la qualità della vita, aiutando le persone con la malattia a compiere molte delle loro attività della vita quotidiana il più autonomamente possibile. Gli studi sull’efficacia della terapia occupazionale sono stati pochi e di bassa qualità, nonostante ciò, vi sono prove che essa possa migliorare le capacità motorie e la qualità della vita dei pazienti affetti dalla malattia di Parkinson.

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Levodopa ed altri farmaci usati nella terapia del morbo di Parkinson

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma LEVODOPA TERAPIA MORBO PARKINSON Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.pngAttualmente non esiste una terapia definitiva per il morbo di Parkinson, ma il trattamento farmacologico, la chirurgia e la gestione multidisciplinare sono in grado di fornire un parziale sollievo ai sintomi. I farmaci principalmente utilizzati nel trattamento di sintomi motori sono la levodopa (di solito in combinazione con un inibitore della dopa-decarbossilasi e un inibitore delle COMT), gli agonisti della dopamina e gli inibitori MAO-B (Inibitore della monoamino ossidasi). La fase della malattia determina quale famiglia di farmaci sia più utile. Due fasi sono di solito distinte:

  • una prima fase in cui l’individuo con la malattia ha già sviluppato qualche disabilità e per la quale vi è la necessità di un trattamento farmacologico;
  • una seconda fase in cui in un individuo si sviluppano complicanze motorie legate all’utilizzo della levodopa.

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Il trattamento nella fase iniziale ha come obiettivo un compromesso ottimale tra il buon controllo dei sintomi e gli effetti collaterali derivanti dalla valorizzazione della funzione dopaminergica. L’inizio del trattamento con levodopa (o L-DOPA) può essere ritardato utilizzando altri farmaci come gli inibitori MAO-B e gli agonisti della dopamina, nella speranza di ritardare la comparsa delle discinesie. Nella seconda fase l’obiettivo è quello di ridurre i sintomi. Quando i farmaci non sono più sufficienti a controllarli, la chirurgia e la stimolazione cerebrale profonda possono rivelarsi utili. Nelle fasi finali della malattia, le cure palliative vengono offerte per migliorare la qualità di vita.

  • Levodopa. La Levodopa è il trattamento più ampiamente usato fin dagli anni settanta. L-DOPA è convertito in dopamina nei neuroni dopaminergici (neuroni che producono dopamina) mediante DOPA-decarbossilasi. Poiché i sintomi motori sono prodotti da una mancanza di dopamina nella substantia nigra, la somministrazione di L-DOPA diminuisce temporaneamente i sintomi motori. Solo il 5-10% dell’L-DOPA attraversa la barriera ematoencefalica. Il resto è spesso metabolizzato altrove in dopamina, provocando una serie di effetti collaterali tra cui nausea, discinesia e rigidità articolare. La carbidopa e la benserazide sono inibitori periferici della DOPA-decarbossilasi, che aiutano a bloccare il metabolismo della L-DOPA, prima che raggiunga i neuroni dopaminergici, riducendo pertanto gli effetti collaterali e aumentando la biodisponibilità. Essi sono generalmente somministrati in preparazioni associate alla levodopa.I preparati esistenti sono carbidopa/levodopa (co-careldopa) e benserazide/levodopa (co-beneldopa). La levodopa è stata correlata alla sindrome da disregolazione dopaminergica, che consiste in un uso eccessivo e compulsivo del farmaco. Vi sono alcune versioni a rilascio controllato e lento di levodopa, tuttavia esse non hanno mostrato un maggiore controllo dei sintomi e delle complicanze motorie rispetto a preparazioni a rilascio immediato. Il tolcapone inibisce l’enzima COMT, degradante la dopamina, prolungando gli effetti della levodopa. Tuttavia, la sua utilità è limitata da effetti collaterali, come ad esempio i possibili danni al fegato. L’uso dell’entacapone, un farmaco altrettanto efficace, non evidenzia alterazioni significative della funzionalità epatica. I preparati a base di levodopa portano a lungo termine allo sviluppo di complicanze motorie caratterizzate da movimenti involontari chiamati discinesie e fluttuazioni nella risposta al trattamento farmacologico. In questo caso, un paziente affetto da malattia di Parkinson può sperimentare dei periodi con buona risposta ai farmaci con alcuni sintomi (fase on) e periodi con nessuna risposta al trattamento e sintomi motori significativi (fase off). Per questo motivo, le dosi di levodopa vengono somministrate in quantità minime. È pratica comune ritardare l’inizio della terapia con levodopa utilizzando alternative, come gli agonisti dopaminergici e gli inibitori della monoamino ossidasi. Una strategia utilizzata in passato per ridurre le complicanze motorie era quella di sospendere il trattamento con L-DOPA per un certo tempo. Ora ciò è sconsigliato, dal momento che può portare a effetti collaterali pericolosi, come la sindrome neurolettica maligna.
  • Agonisti dopaminergici. Numerosi agonisti della dopamina, che si legano ai recettori dopaminergici post-sinaptici del cervello, hanno effetti simili a quelli della levodopa.. Inizialmente venivano usati, come terapia complementare alla levodopa, negli individui che accusano fluttuazioni on-off e discinesie, ora sono utilizzati principalmente come terapia unica iniziale per i sintomi motori, con l’obiettivo di ritardare l’assunzione di levodopa e le sue complicazioni motorie. Gli agonisti dopaminergici stimolano, con diversa specificità rispetto ai diversi tipi, i recettori per la dopamina. Si dividono in ergolinici (bromocriptina, pergolide, lisuride, cabergolina) e non ergolinici (pramipexolo, ropinirolo, apomorfina). Gli agonisti della dopamina producono significativi, anche se di solito lievi, effetti collaterali, tra cui sonnolenza, allucinazioni, insonnia, nausea e stipsi. A volte gli effetti collaterali appaiono anche con una minima dose clinicamente efficace, che porta il prescrivente alla ricerca di un farmaco diverso. Rispetto alla levodopa, gli agonisti della dopamina possono ritardare le complicanze motorie, ma sono meno efficaci nel controllare i sintomi. Tuttavia, solitamente appaiono sufficienti per gestire i sintomi nei primi anni di malattia. Essi tendono ad essere più costosi della levodopa. Tali farmaci sono stati correlati a disturbi del controllo degli impulsi, come l’ipersessualità, l’alimentazione compulsiva e il gioco d’azzardo e lo shopping patologici, in maniera anche più importante rispetto alla levodopa. Apomorfina, un agonista della dopamina, somministrata attraverso iniezioni sottocutanee, può essere utilizzata nella malattia avanzata per ridurre le fasi off e la discinesia. Dato che gli effetti secondari, come la confusione e le allucinazioni sono comuni, i pazienti che ricevono l’apomorfina devono essere attentamente monitorati. Recentemente sono stati trovati due agonisti della dopamina che vengono somministrati attraverso cerotti (lisuride e rotigotina) e risultano essere utili nei pazienti nella fase iniziale della malattia, mentre vi sono ancora degli studi alla fase preliminare riguardo alla loro efficacia nei pazienti in stato avanzato.
  • Inibitori della monoamino ossidasi (inibitori MAO-B). Gli inibitori della monoamino ossidasi (inibitori MAO-B), selegilina e rasagilina, sono in grado di aumentare il livello di dopamina nei gangli della base, bloccandone il metabolismo. Essi bloccano la deaminazione ossidativa delle ammine endogene catalizzata dalle monoaminossidasi mitocondriali. La riduzione della attività della monoamino ossidasi, comporta un aumento di L-DOPA nello striato. Come gli agonisti della dopamina, gli inibitori MAO-B sono utilizzati in monoterapia per migliorare i sintomi motori e ritardare la necessità di assumere levodopa nella malattia precoce, ma producono effetti più negativi e sono meno efficaci rispetto alla levodopa. Vi sono pochi studi sulla loro efficacia in fase avanzata, anche se i risultati suggeriscono che essi sono utili per ridurre le fluttuazioni tra le fasi on e off. Uno studio iniziale ha indicato che la selegilina, in associazione con levodopa, aumenta il rischio di morte, ma ciò è stato in seguito smentito.
  • Altri farmaci. Altri farmaci, come l’amantadina e gli anticolinergici, possono essere utili nel trattamento dei sintomi motori. Tuttavia, le prove a loro sostegno mancano di qualità e ciò comporta che non siano considerati trattamenti di prima scelta. Oltre ai sintomi motori, la malattia di Parkinson è accompagnata da una vasta gamma di sintomi. Un certo numero di farmaci sono stati utilizzati per il trattamento di alcuni di questi problemi. Ne sono un esempio l’uso della clozapina nella psicosi, degli inibitori della colinesterasi per la demenza e il modafinil per l’eccessiva sonnolenza diurna. Una meta-analisi del 2010, ha riscontrato che l’uso di farmaci anti-infiammatori non steroidei (tranne il paracetamolo e l’aspirina), sono stati correlati ad almeno il 15% di una minore incidenza di sviluppo della malattia di Parkinson.

Il farmaco levodopa e le proteine utilizzano, in concorrenza, lo stesso sistema di trasporto nell’intestino e nella barriera emato-encefalica. Questo comporta che, se assunti insieme, l’efficacia del farmaco appaia ridotta. Pertanto, quando si fa uso di levodopa, si sconsiglia il consumo eccessivo di proteine e viene raccomandata una dieta mediterranea equilibrata.

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Morbo di Parkinson: sintomi motori e non motori, iniziali e tardivi

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma SINTOMI MOTORI INIZIALI MORBO PARKINSON Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgIl morbo di Parkinson colpisce prevalentemente il movimento, producendo sintomi motori cronicamente ingravescenti, ma non solo: sintomi non motori sono anch’essi comuni, specie nelle fasi più avanzate della malattia, e sono principalmente

  • insufficienza autonomica,
  • problemi neuropsichiatrici (alterazioni dell’umore, della cognizione, del comportamento o del pensiero),
  • difficoltà sensoriali e del sonno.

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Sintomi motori
Quattro caratteristiche motorie sono considerati come la base sintomatologica della malattia di Parkinson e sono presenti in modo lieve già nelle prime fasi della malattia: il tremore, la rigidità, la bradicinesia e l’instabilità posturale.

  • Il tremore è il sintomo più evidente e più comune, anche se circa il 30% degli individui con malattia di Parkinson all’esordio non lo mostra. Il tremore è tipicamente “a riposo”, con bassa frequenza, scompare durante i movimenti volontari e in genere peggiora nelle situazioni di stress emozionale, mentre è assente durante il sonno. Esso coinvolge maggiormente la porzione più distale dell’arto e all’insorgenza appare tipicamente in un unico braccio o gamba, divenendo successivamente bilaterale. La frequenza del tremore parkinsoniano è compresa tra i 4 e 6 hertz (cicli al secondo) ed è descritto come l’atto di “contare le monete” o come pill-rolling, un termine che deriva dalla somiglianza tra il movimento nei pazienti e la tecnica utilizzata in farmaceutica per preparare manualmente le pillole.
  • La bradicinesia (lentezza dei movimenti) è un’altra caratteristica della malattia ed è associata a difficoltà in tutto il processo del movimento, dalla pianificazione alla iniziazione e, infine, all’esecuzione. Il movimento sequenziale e simultaneo viene ostacolato. La bradicinesia è il sintomo più invalidante nei primi stadi della malattia. Queste manifestazioni comportano diversi problemi durante l’esecuzione delle attività quotidiane che richiedono un controllo preciso dei movimenti, come la scrittura, il cucito o il vestirsi. La valutazione clinica si basa su prove riguardanti operazioni simili. La bradicinesia non è uguale per tutti i movimenti, alcuni pazienti risultano in grado di camminare con grandi difficoltà, ma tuttavia riescono ancora ad andare in bicicletta. Generalmente gli individui che presentano bradicinesia mostrano difficoltà minori se gli vengono forniti degli ausili.
  • La rigidità e la resistenza al movimento degli arti è causata da una contrazione eccessiva e continua dei muscoli. Nel parkinsonismo la rigidità può essere uniforme (a “tubo di piombo”) o a scatti (“a ruota dentata”). La combinazione di tremore e l’aumento del tono muscolare sono considerati l’origine della rigidità a ruota dentata. La rigidità può essere associata a dolore articolare; tale dolore è una frequente manifestazione iniziale della malattia. Nelle fasi iniziali, la rigidità è spesso asimmetrica e tende a influenzare i muscoli del collo e delle spalle, rispetto ai muscoli del viso e degli arti.
  • L’instabilità posturale è tipica delle ultime fasi. Ciò comporta disturbi dell’equilibrio e frequenti cadute che possono causare fratture ossee. L’instabilità è spesso assente nelle fasi iniziali, soprattutto nelle persone più giovani. Fino al 40% dei pazienti possono andare incontro a cadute e circa il 10% cade settimanalmente, con un numero di cadute correlabile alla gravità della malattia. La deambulazione avviene tipicamente mediante piccoli passi, strisciati, con un avvio molto problematico e spesso si osserva il fenomeno della “festinazione”, cioè la progressiva accelerazione della camminata sino a cadere. Vi possono essere disturbi della deglutizione, il linguaggio può divenire monotono, poco espressivo, lento (bradilalia); la mimica facciale è scarsa e l’espressione impassibile. Anche la scrittura in un certo senso evolve nello stesso modo (micrografia parkinsoniana) con grafia che tende a rimpicciolirsi. Tuttavia, la gamma dei sintomi motori può essere molto più vasta.

Sintomi neuropsichiatrici
La malattia di Parkinson può causare disturbi neuropsichiatrici, che possono essere da lievi a gravi, e che includono disturbi del linguaggio, della cognizione, dell’umore, del comportamento e del pensiero. Disturbi cognitivi possono verificarsi nelle fasi iniziali della malattia e, talvolta, prima della diagnosi. La prevalenza di essi aumenta con la durata della malattia. Il deficit cognitivo più comune è la disfunzione esecutiva, che può comprendere difficoltà nella pianificazione, nella flessibilità cognitiva, nel pensiero astratto, nell’avvio di azioni appropriate e nell’inibizione delle operazioni inappropriate. Le fluttuazioni dell’attenzione e il rallentamento della velocità cognitiva sono ulteriori problemi a livello cognitivo. La memoria viene influenzata, in particolare, nel ricordare le informazioni apprese. Tuttavia appare un miglioramento quando il richiamo dei ricordi viene aiutato da stimoli.
Una persona con malattia di Parkinson ha un rischio di soffrire di demenza da 2 a 6 volte maggiore rispetto alla popolazione in generale. La prevalenza della demenza aumenta con il decorso della malattia. La demenza è associata con una forte riduzione della qualità della vita, sia nei pazienti che in chi li assiste. Inoltre, ciò comporta un aumento della mortalità e una maggiore probabilità che si renda necessaria un’assistenza infermieristica.
Alterazioni del comportamento e dell’umore sono più comuni nella malattia di Parkinson rispetto alla popolazione in generale. I problemi più frequenti sono la depressione, l’apatia e l’ansia. Possono verificarsi difficoltà nel controllo degli impulsi, che possono portare all’abuso di farmaci, all’alimentazione compulsiva, all’ipersessualità, al gioco d’azzardo patologico. Questi aspetti sono stati correlati ai farmaci usati per combattere la malattia. Sintomi psicotici, come allucinazioni o deliri, si verificano nel 4% dei pazienti e si presume che la causa principale sia un eccesso di dopamina secondario al trattamento, diventano infatti più comuni con l’aumentare dell’età e con l’assunzione di levodopa.

Altri sintomi
Oltre ai sintomi cognitivi e motori, la malattia di Parkinson può compromettere altre funzioni dell’organismo. Problemi di sonno sono una caratteristica della malattia e possono essere aggravati dai farmaci. I sintomi possono manifestarsi con eccessiva sonnolenza diurna, disturbi del sonno nella fase REM o insonnia. Le alterazioni del sistema nervoso autonomo possono portare a ipotensione ortostatica (pressione del sangue bassa in posizione eretta), pelle grassa e eccessiva sudorazione, incontinenza urinaria e alterata funzione sessuale. La costipazione e i disturbi della motilità gastrica, possono essere abbastanza importanti, tanto da creare disagio e mettere in pericolo l’individuo. La condizione comporta alterazioni nella vista, secchezza degli occhi, inseguimento oculare carente l’immagine (difficoltà a mantenere fissa sulla retina l’immagine) e movimenti saccadici (rapidi movimenti involontari di entrambi gli occhi, nella stessa direzione), difficoltà a dirigere lo sguardo verso l’alto e visione offuscata o doppia. Modifiche nella percezione possono comprendere: alterazione dell’olfatto, sensazione di dolore e parestesie (formicolio e intorpidimento della pelle). Tutti questi sintomi possono verificarsi anche per anni prima che venga fatta la diagnosi della malattia.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo

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