In psicologia con “effetto cheerleader” (anche chiamato “effetto di attrazione di gruppo“, in inglese “cheerleader effect” o “group attractiveness effect“) si indica il bias cognitivo (cioè il “pregiudizio”) che induce le persone a pensare che gli individui siano più attraenti quando sono in un gruppo piuttosto che quando sono da soli. L’effetto cheerleader può essere riferito sia a gruppi di maschi che di femmine.
Origine del nome
L’espressione “effetto cheerleader” è stata coniata dall’esuberante personaggio immaginario Barney Stinson (portato in scena da Neil Patrick Harris) all’inizio di in un episodio della celebre serie televisiva How I Met Your Mother. L’episodio si chiama “La festa del non papà” (in originale “Not a Father’s Day”), è il settimo della quarta stagione ed è andato in onda per la prima volta negli USA il 10 novembre 2008 mentre in Italia il 26 agosto 2009. In questo episodio Barney indica ai suoi amici un gruppo di donne che inizialmente – viste nel loro insieme – sembrano attraenti, ma che invece sono tutte poco attraenti se esaminate individualmente. Sempre nello stesso episodio l’effetto cheerleader viene anche definito da Barney come “Paradosso della damigella“, “Sindrome della sorellanza” e “Cospirazione delle Spice Girls” (in inglese, rispettivamente: “Bridesmaid Paradox“, “Sorority Girl Syndrome” e “Spice Girls Conspiracy“). L’applicabilità dell’effetto sia alle femmine che ai maschi è ribadita da altri due personaggi, Ted Mosby (Josh Radnor) e Robin Scherbatsky (Cobie Smulders) più avanti nell’episodio, che notano che anche alcuni degli amici di Barney sembrano più attraenti quando sono visti in gruppo e decisamente meno quando sono presi da soli, sottolineando il fatto che – contrariamente a quello che pensa Barney – l’effetto cheerleader è applicabile non solo alle donne ma anche agli uomini.
Perché si verifica l’effetto cheerleader?
Le cause dell’effetto cheerleader non sono ancora note con esattezza, ma alcune ipotesi sono state avanzate. Per prima cosa il cervello umano – grazie a particolari “scorciatoie cognitive” dette “bias” – tende a percepire i volti di tante persone di un gruppo non come un insieme di facce diverse, ma invece come un unico “volto medio” che riassumerebbe le caratteristiche delle singole facce. Questo permette al cervello di semplificare la realtà che ci circonda e lavorare “di meno” e con più efficienza. Il risultato di questo amalgama sarebbe poi in qualche modo accostato ad un volto medio presente nella nostra memoria rappresentante un maschio (se il gruppo è di uomini) o una femmina (se il gruppo è di femmine) o una miscela tra i due (se il gruppo è misto). Questo volto amalgamato ed associato ad un nostro volto “standard” memorizzato, risulta statisticamente più attraente ai nostri occhi rispetto alle singole facce che lo compongono. Un gruppo di cheerleader si presta bene a verificare la reale esistenza di questo effetto proprio perché le varie componenti del gruppo hanno generalmente vestiti, altezza/struttura corporea, acconciature e trucco molto simili tra loro (vedi immagine in alto): ciò indirizza ancor di più il nostro cervello ad analizzare le singole componenti “raggruppandole” per semplicità cognitiva in una sola componente spingendolo a percepire come più bella ed affascinante anche la singola componente con caratteristiche meno piacevoli rispetto alle altre. Presa singolarmente questa persona, perdendo l’effetto alone derivato dal gruppo, torna ad essere analizzata singolarmente e quindi vista per quello che realmente è.
Studi
Nonostante il fatto che questo effetto sia stato coniato dal personaggio comico di una serie tv, l’esistenza del cheerleader effect è stata poi supportata dalla ricerca di Drew Walker e Edward Vul nel 2013 (Università della California di San Diego, studio pubblicato su Psychological Science). L’effetto è stato confermato anche da van Osch et al. (2015).
Nello studio di Walker e Vul (2013), i partecipanti alla ricerca hanno valutato l’attrattiva dei volti maschili e femminili quando mostrati in una foto di gruppo e in una foto individuale, con l’ordine delle fotografie randomizzato. Le persone fotografate hanno ottenuto punteggi più alti per le loro foto di gruppo. Secondo Walker e Vul questo effetto si verifica con gruppi di soli uomini, sole donne e di genere misto e gruppi sia piccoli che grandi. L’effetto si verifica nella stessa misura con gruppi di quattro e 16 persone. I partecipanti agli studi di Walker e Vul hanno dimostrato che l’effetto non si verifica perché le foto di gruppo danno l’impressione che gli individui abbiano più intelligenza sociale o emotiva: questo è stato dimostrato da uno studio che ha utilizzato singole foto raggruppate in un’unica immagine, piuttosto che foto scattate a persone in gruppo. Drew Walker ed Edward Vul hanno proposto che questo effetto derivi dall’interazione di tre fenomeni cognitivi:
- il sistema visivo umano prende “rappresentazioni di insieme” di volti in un gruppo;
- la percezione degli individui è sbilanciata verso questa media;
- i volti medi sono più attraenti, forse a causa della “media per idiosincrasie poco attraenti”.
Quando tutti e tre questi fenomeni vengono presi insieme, i volti individuali sembreranno più attraenti in un gruppo, poiché appaiono più simili al volto medio di un gruppo, che è più attraente dei volti individuali dei membri.
Nello studio del 2015 di van Osch et al. sono stati confermati i risultati ottenuti da Walker e Vul. Il team di ricerca di van Osch ha offerto due diverse spiegazioni per l’effetto di attrattiva del gruppo:
- attenzione selettiva ai membri del gruppo attraenti;
- il principio della Gestalt di somiglianza.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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