In psicologia un “bias cognitivo” indica un giudizio/ pregiudizio non necessariamente corrispondente all’evidenza, sviluppato sulla base dell’interpretazione delle informazioni in possesso, anche se non logicamente o semanticamente connesse tra loro, che porta quindi ad un errore di valutazione a volte anche grossolano o comunque a mancanza di oggettività di giudizio. L’effetto alone (in inglese “halo effect”) è un particolare tipo di bias cognitivo in cui la percezione di un tratto è influenzata positivamente o negativamente dalla percezione di uno o più altri tratti positivi o negativi dell’individuo o dell’oggetto. Esempi tipici sono i seguenti:
- giudicare intelligente o onesto, a prima vista, un individuo sconosciuto, solamente perché di bell’aspetto;
- giudicare stupido o disonesto, a prima vista, un individuo sconosciuto, solamente perché di aspetto sgradevole.
L’effetto alone non si limita alla sola bellezza ma a molte altre caratteristiche, sia positive che negative. Semplicemente la bellezza è la caratteristica più immediata, la prima che possiamo osservare in una persona e – di conseguenza – è quella che ci permette di vedere più semplicemente gli aspetti pratici dell’effetto alone, ma non è l’unica. Ad esempio una persona sconosciuta appare statisticamente più intelligente, rassicurante e onesta se appare ricca, ben vestita, di carnagione bianca, alta di statura e curata, rispetto ad una persona che appare povera, mal vestita, di carnagione scura, bassa e poco curata. L’effetto alone, come intuibile, conduce al pregiudizio (positivo o negativo) e – di conseguenza – può sfociare nel razzismo.
Perché “alone”?
L’effetto alone trae il suo nome dal fatto che un alone sia una sfumatura che percepiamo attorno a una fiamma o a un’altra sorgente luminosa. Un fenomeno ottico dato dall’impressione che la luce illumini un’area maggiore rispetto a quella reale: allo stesso modo una data qualità di un individuo lo “illumina” e lo rende migliore ai nostri occhi, anche se questa è una percezione soggettiva e non data da valutazioni oggettive.
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L’esperimento “What is beautiful is good”
Dion e Berscheid (1972) condussero uno studio sul rapporto tra attrazione e effetto alone dal nome di What is beautiful is good (Ciò che è bello è buono). Presero parte all’esperimento sessanta studenti della University of Minnesota, metà maschi e metà femmine. A ciascun soggetto furono date tre foto diverse da esaminare: uno di un individuo attraente, uno di un individuo di attrattività media, e uno di un individuo poco attraente. Ai partecipanti fu chiesto di giudicare i soggetti di ogni foto, scegliendo tra 27 tratti di personalità diverse (tra cui l’altruismo, la convenzionalità, l’affermazione di sé, la stabilità, l’emotività, l’affidabilità, l’estroversione, la gentilezza, e la promiscuità sessuale). Ai partecipanti fu poi chiesto di prevedere la felicità generale dei soggetti di ogni foto e come si sentirebbero per il resto della loro vita, compresa la felicità coniugale (meno probabilità di divorziare), la felicità dei genitori (più probabilità di essere un buon genitore), la felicità sociale e professionale (auto-realizzazione nella vita), e la felicità generale. Infine, ai partecipanti fu chiesto se i soggetti sarebbero in possesso di uno status di lavoro elevato, o uno status medio o basso. I risultati mostrarono che la stragrande maggioranza dei partecipanti credeva che i soggetti più attraenti avessero caratteristiche di personalità socialmente più desiderabili rispetto ai soggetti mediamente attraenti o poco attraenti. I partecipanti inoltre credevano che le persone attraenti conducessero una vita generalmente più felice, con matrimoni più felici, che fossero migliori genitori, e che avessero una carriera di successo più brillante rispetto agli individui poco o meno attraenti. Inoltre i risultati mostrarono che le persone attraenti si credeva fossero più propense a mantenere posti di lavoro sicuri e prestigiosi rispetto ai soggetti poco attraenti.
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Effetto alone nei processi giudiziari
La bellezza assume un forte peso anche nell’ambito dei processi giudiziari. A parte i casi in cui la bellezza fosse stata sfruttata per fini criminosi, le persone belle tendono ad essere trattate più favorevolmente dal sistema giudiziario. Stewart (1980) analizzò le caratteristiche fisiche di 74 imputati maschi all’inizio dei processi. Quando, tempo dopo, fu controllato l’esito dei processi sugli atti giudiziari, fu accertato che i più belli avevano ottenuto sentenze più favorevoli. In pratica avevano il doppio delle possibilità di evitare la detenzione. La relazione tra il crimine stesso e l’attrattività è soggetta all’effetto alone. Uno studio (Sigall e Ostrove, 1975) presentò due ipotetici reati: un furto e una truffa. Il furto con scasso coinvolse una donna che aveva ottenuto illegalmente una chiave e rubò 2.200 dollari; la truffa coinvolse una donna che riuscì a manipolare un uomo per investire 2,000 dollari in un business. I risultati mostrarono che, quando il reato non dipendeva dall’attrattività (in questo caso, il furto), l’imputata non attraente fu punita più severamente di quella attraente. Tuttavia, quando il reato è stato collegato all’attrattività (la truffa), l’imputata più attraente fu punita più severamente rispetto a quella poco attraente. I partecipanti avrebbero potuto credere che la persona attraente aveva più probabilità di manipolare le persone con lo sguardo.
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L’esperimento di Joshua Bell
Una mattina un uomo vestito in modo normale si mette a suonare il proprio violino all’ingresso della metropolitana di Washington, venendo praticamente ignorato dai passanti frettolosi e racimolando ben pochi soldi. Scene come queste sono piuttosto comuni nelle grandi città, ma la singolarità di questo evento sta nel fatto che l’uomo di cui stiamo parlando non era un musicista di strada “comune”, bensì Joshua Bell, uno dei più grandi violinisti al mondo, e che il violino suonato in pubblico era un rarissimo Stradivari del ‘700 del valore di 4 milioni di dollari. Solo tre giorni prima Bell, vestito elegantemente, aveva fatto il tutto esaurito alla rinomata Symphony Hall di Boston, dove il prezzo per il biglietto era di 100 dollari, mentre come suonatore di strada invece riuscì a racimolare poco più di 30 dollari in 45 minuti, e praticamente nessuno dei migliaia di passanti si ferma ad ascoltarlo. Bell ha quindi dimostrato che le sue qualità oggettive sono enfatizzate dalla situazione soggettiva. Sebbene l’esperimento di questo musicista abbia fatto molto clamore per le sue conclusioni, in realtà scene del genere avvengono quotidianamente nei rapporti sociali, solo che, ad essere totalmente ignorate, non sono tanto le abilità musicali, quanto piuttosto altri tipi di qualità personali che, in altre circostanze e sotto altre vesti, verrebbero magari apprezzate ed elogiate.
I vantaggi dei belli
Oltre a “What is beautiful is good” e all’esperimento di Bell, moltissimi altri studi hanno dimostrato che i “belli” sono decisamente avvantaggiati nella vita, sottolineando che:
- Le persone belle ottengono trattamenti più favorevoli in sede processuale, vengono condannate a pene più miti rispetto a quelle brutte e al pagamento di somme più basse in caso debbano risarcire un danno. Stewart (1980) Kulka e Kessler (1978).
- Le persone belle tendono ad ottenere punteggi mediamente più elevati in sede d’esame rispetto alle brutte. Landy e Sigall (1974) .
- La bellezza in un colloquio di lavoro è più importante dei titoli di studio e dell’esperienza ai fini dell’assunzione. Mack e Rainey (1990).
- Migliorare l’aspetto fisico dei carcerati con la chirurgia diminuisce nettamente le probabilità che essi commettano nuovi reati una volta scarcerati,molto più dei vari programmi di riabilitazione. Stewart (1980) .
- I candidati politici più belli vengono eletti molto più spesso rispetto ai più brutti, ben due volte e mezzo di più. Efran e Patterson (1976) .
- Le persone belle hanno più probabilità di ricevere soccorso in caso di emergenza. Benson (1976).
Gli studenti più belli tendono – almeno inizialmente – ad essere considerati più bravi rispetto ai meno belli, inoltre – sempre per l’effetto alone – un insegnante tenderà a giudicare più positivamente uno studente qualora sia seduto allo stesso banco o sia amico di uno studente considerato bravo, mentre tenderà a giudicare più negativamente uno studente seduto allo stesso banco o amico di uno studente considerato scarso. L’effetto alone crea dei pregiudizi positivi o negativi anche solo osservando il gruppo di appartenenza del soggetto: una persona sconosciuta ci appare più onesta e piacevole se inserita in un gruppo di persone esteticamente piacevoli rispetto alla stessa persona inserita in un gruppo di persone “brutte”. L’estetica influenza perfino le nostre chance di sopravvivenza nel momento in cui ci dovessimo sentire male in pubblico. A tal proposito guarda il video contenuto in questo articolo: Sentirsi male in strada: quanto conta l’abito?
Marketing, grafica, pubblicità e halo effect
L’effetto alone è utile soprattutto per chi si occupa di marketing e per i grafici. Basti pensare a quando, da utenti, approdiamo su un sito web esteticamente bello: è molto probabile che continueremo ad averne un giudizio positivo e torneremo a visitarlo, magari anche molto di più di altri siti che hanno contenuti oggettivamente migliori, ma ci appaiono graficamente più brutti. Stesso vale per il contrario: un sito esteticamente sgradevole difficilmente torneremo a visitarlo, anche se i contenuti sono buoni ed anche se quel sito sia successivamente migliorato. Allo stesso modo un qualsiasi prodotto ben incartato e dalla confezione accattivante ha più chance di essere acquistato al supermercato, rispetto ad un prodotto migliore ma con confezione anonima.
Nella pubblicità l’effetto alone è decisamente usato, basti pensare agli endorser: se Johnny Depp, bello e vincente, usa un certo profumo di una data marca, quell’oggetto acquisirà le caratteristiche dell’endorser e sarà acquistato dal consumatore nell’inconscia convinzione che – con quel determinato profumo – parte di quelle qualità si “riverberino” su di lui, trasformandolo in una persona bella e vincente. Per lo stesso motivo un endorser, colpito da scandali (ad esempio un atleta scoperto a doparsi o un attore coinvolto in reati sessuali) viene presto “abbandonato” dai milionari contratti di sponsorizzazione: i produttori temono infatti che le caratteristiche negative dell’endorser “riverberino” sull’oggetto sponsorizzato, determinando un calo nelle vendite, dal momento che nessun consumatore vuole proiettato su di sé, l’alone di uno scandalo.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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