Disfunzione sessuale post-SSRI: sintomi, effetti a lungo termine e cure

MEDICINA ONLINE ANSIA DA PRESTAZIONE SESSO TRISTE SESSUALE PENE EREZIONE IMPOTENZA DISFUNZIONE ERETTILE PAURA TIMORE COPPIA MENTE PSICOLOGIA LETTO PENETRAZIONE MATRIMONIO FIDANZATI UOMO DONNA LIBIDO SPERMA PIACERE SEXGli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (noti anche con la sigla abbreviata SSRI, dall’inglese selective serotonin reuptake inhibitors) sono una classe di psicofarmaci che rientrano nell’ambito degli antidepressivi. Tra gli effetti collaterali degli SSRI, rientra anche un particolare tipo di quella che una volta veniva definita “impotenza”, la “la disfunzione sessuale post-SSRI”.

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Disfunzione sessuale post-SSRI

La disfunzione sessuale post-SSRI (in inglese “post-SSRI sexual dysfunction“, da cui l’acronimo “PSSD“) è una patologia iatrogena (cioè dovuta ad un farmaco) causata dagli inibitori del reuptake della serotonina (SSRI) e inibitori del reuptake di serotonina-noradrenalina (SNRI) caratterizzata da disfunzioni sessuali ed emotive che insorgono durante l’assunzione del farmaco e che persistono per un tempo indefinito dopo la sospensione degli SSRI\SNRI. Può altresì comparire alla sospensione del trattamento, rappresentando uno specifico sottotipo di sindrome da sospensione degli SSRI\SNRI. Questa condizione non è stata ancora ben definita e studiata e le cause rimangono ancora non ben precisate. Sembra che a provocare questa sindrome siano solo gli Inibitori selettivi del Reuptake della Serotonina (SSRI) e della serotonina-noradrenalina (SNRI). Per la similarità con il meccanismo d’azione, si potrebbe supporre che anche alcuni triciclici possano essere in grado di indurre tale sindrome ma ad oggi non sono presenti rapporti che lo indicano.

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Quanto è diffusa?

La prevalenza della PSSD deve ancora essere determinata con esattezza. Sembra che la maggior parte delle persone ritrovino la loro normale funzione sessuale dopo l’arresto del SSRI\SNRI. Alcuni studi sembrano però indicare che una significativa parte di assuntori possa sperimentare, almeno in forma leggera, una qualche forma di disfunzione persistente. In 3 ampi studi versus placebo effettuati secondo il metodo del doppio cieco, con lo scopo di evidenziare gli effetti benefici degli SSRI nel trattamento dell’eiaculazione precoce, è stato rilevato che l’effetto ritardante sull’eiaculazione persisteva nel tempo (per oltre 6 mesi) dopo l’interruzione del farmaco su un’ampia percentuale dei pazienti trattati (oltre il 60%), segno che forse il farmaco ha indotto dei cambiamenti persistenti nella funzionalità sessuale.

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Sintomi e segni

Al di là del nome, la patologia non consiste solo in un insieme di sintomi che colpiscono la sfera sessuale ma è spesso caratterizzata da una più ampia difficoltà a provare esperienze edoniche ed emotive in genere, di cui i disturbi sulla sessualità sono solo i riflessi più evidenti. I sintomi più comuni, che possono essere presenti contemporaneamente o meno, consistono in:

  • assenza\riduzione libido: incapacità di provare attrazione sessuale; può venire meno il piacere legato alla sessualità, la necessità di esprimere bisogni fisici legati alla sessualità (come la masturbazione o la ricerca di materiale pornografico), il desiderio di ricercare un rapporto e le fantasie erotiche; possono essere assenti sogni erotici;
  • perdita o diminuzione della risposta fisica agli stimoli sessuali;
  • anestesia tattile o riduzione della sensibilità ai genitali: può essere diminuita o venire meno la sensibilità tattile e alla temperatura delle aree genitali (pene, vagina e talvolta anche capezzoli);
  • disfunzione erettile, diminuita lubrificazione vaginale: negli uomini raggiungere e mantenere una erezione risulta difficoltoso sia per via psicogena (pensieri a sfondo sessuale, visione di immagini erotiche) sia che per stimolazione fisica; nelle donne può venire meno la congestione genitale. Riduzione o assenza delle erezioni notturne e mattutine (la cui presenza è usata come indicatore per distinguere una disfunzione sessuale di origine psicogena da una fisiologica);
  • incapacità o difficoltà a raggiungere l’orgasmo (anorgasmia) o eiaculazione precoce, sindrome da eccitazione sessuale persistente nelle donne (PGAD);
  • anedonia orgasmica: può permanere la sensazione dell’orgasmo associata alle contrazioni muscolari ma queste non trasmettono più piacere;
  • ottundimento emotivo ed anedonia: può essere diminuita la capacità di provare emozioni (sia positive che negative, può risultare ad esempio difficile piangere o provare “sensazioni forti”), sensazioni edoniche in genere e di legame emotivo, può venire meno il desiderio di intimità di coppia; possono essere presenti apatia, mancanza di motivazione e di stimolo di fare, diminuita la capacità creativa. Musica, hobby o attività prima coinvolgenti possono non risultare più particolarmente attraenti o gratificanti; i pazienti potrebbero essere in grado di discernere questi sintomi da quelli causati da eventuali patologie depressive di fondo;
  • riduzione della viscosità e del volume dello sperma.

Generalmente non sembrerebbero essere presenti sintomi psicologici residui di depressione ed ansia mentre è spesso descritto in senso generale di “distacco” e alienazione. Tali sintomi possono comparire durante l’assunzione e persistere dopo l’interruzione, oppure peggiorare o comparire con la sospensione del trattamento.

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Disfunzioni in corso di trattamento

Accade molto comunemente che chi assume antidepressivi SSRI (e anche SNRI) lamenti effetti collaterali sulla sfera sessuale che si configurano in disfunzione erettile nell’uomo e difficoltà nella lubrificazione nella donna, incapacità di raggiungere l’orgasmo, calo della libido e del piacere legato alla sessualità e più raramente diminuzione della sensibilità genitale. La percentuale di persone che sperimenta questo tipo di effetti collaterali varia molto in base agli studi: i primi ne stimavano una prevalenza attorno al 8-14% (ma ciò si è rivelato un dato sottostimato perché i pazienti non erano propensi a riportare spontaneamente tali effetti ed i medici evitavano di chiederlo a causa dello stigma sociale legato alle disfunzioni sessuali) mentre le attuali indagini post-marketing portano tale percentuale al 70%. Alcuni studi arrivano ad una prevalenza del 100%.

Uno studio del 2009 condotto da un team di ricercatori dell’università di Oxford ha trovato che gli SSRI causano nella maggior parte dei pazienti trattati ottundimento emotivo, espresso come apatia e una minore capacità di provare empatia ed emozioni positive in genere. A causa di ciò alcuni pazienti hanno sviluppato ideazioni suicidarie ed uno è arrivato ad azioni di autolesionismo nella speranza di provare “emozioni”. In questo studio è risultato che i pazienti erano in grado di distinguere tra i deficit emozionali causati dal trattamento e quelli dovuti alla loro patologia depressiva. In un altro studio pubblicato nel 2014 si è evidenziato come gli SSRI (ed anche i TCA anche se in misura minore) abbiano un impatto negativo significativo sui sentimenti di “amore” e “attaccamento” verso la partner, in particolare negli uomini.

La diminuzione della pulsione, la disfunzione erettile e il diminuito interesse per le attività piacevoli e quotidiane sono un sintomo tipico anche di diverse patologie ansioso-depressive specie di grado severo, tuttavia la perdita della libido, delle reazioni automiche (quali erezioni spontanee), la difficoltà a raggiungere l’orgasmo, l’anestesia genitale, l’ottundimento emotivo sembrano invece essere speciale caratteristica degli antidepressivi serotoninergici.

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Altri farmaci che causano disfunzioni sessuali simili

  • Gli antipsicotici sono noti per causare, in corso di trattamento, disfunzioni sessuali simili alla PSSD, soprattutto a causa dei loro effetti antagonisti sui recettori D2 della dopamina, così come l’antagonismo di H1, Î ± 1 e Î ± 2.
  • Il farmaco finasteride, che viene utilizzato nel trattamento della calvizie maschile e dell’ipertrofia prostatica benigna, è stato mostrato causare anch’esso disfunzione sessuale persistente in un sottogruppo di pazienti trattati.
  • L’isotretinoina, un farmaco usato per curare l’acne, sembra causare una sindrome dalla sintomatologia molto simile.
  • Anche gli assuntori di MDMA (ecstasy), una neurotossina in grado di aumentare notevolmente le quantità cerebrali di serotonina, possono sviluppare una sintomatologia molto simile caratterizzata da anedonia, apatia, disfunzioni sessuali.

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Trattamento

Purtroppo attualmente non esiste ancora una cura nota per la PSSD, capace di invertirne gli effetti, soprattutto perché la sua eziologia è ancora sconosciuta. Le possibili opzioni di trattamento sono state esaminate solo teoricamente sulla base degli approcci utilizzati per la disfunzione sessuale indotta da SSRI durante il trattamento e sulla base di ipotesi teoriche. Vi è evidenza per le seguenti strategie di gestione: per la disfunzione erettile, l’aggiunta di un inibitore PDE5 come il sildenafil o altri farmaci approvati allo scopo (come soluzioni topiche di alprostadil, iniezioni intracavernose di prostaglandina E1, trattamenti orali a base di apomorfina); per la diminuzione della libido, un farmaco che agisce sulla trasmissione dopaminergica o farmaci volti a ripristinare eventuali scompensi ormonali, anche se non sono stati condotti studi in merito per verificarne l’efficacia.

In degli studi sono stati utilizzati agonisti dei recettori 5HT-1A (come il buspirone), antagonisti dei recettori 5HT-2 e 5HT-3 (come trazodone e mirtazapina) ed il naltrexone (un antagonista oppioide) che sarebbero in grado di agevolare la trasmissione dopaminergica ed alleviare i disturbi sessuali nei pazienti in trattamento con SSRI\SNRI. La cabergolina, che è un agonista dei recettori D2, che a sua volta diminuisce la prolattina, nei soggetti che stavano sperimentando una disfunzione sessuale durante il trattamento con un SSRI\SNRI, ha completamente restaurato l’orgasmo in un terzo dei soggetti anorgasmici, e parzialmente ripristinato l’orgasmo in un altro terzo dei soggetti. Tuttavia non sono stati svolti studi volti a verificarne l’efficacia nel trattamento della sindrome.
Alcune prescrizioni off-label di molecole che aumentano la trasmissione dopaminergica sono: pramipexolo, ropinirolo, yohimbina, metilfenidatoo amfetamina, selegilina e levodopa. La maggior parte degli studi sulla disfunzione sessuale sono stati fatti sugli uomini, anche se alcuni studi condotti sulle donne hanno mostrato benefici dal bupropione (a dosi > 300 mg/die a causa della sua debole azione dopaminergica). Uno studio mostra il beneficio sulla funzione orgasmica con il sildenafil, anche se nessun cambiamento nel desiderio o nell’eccitazione.

La terapia prevede anche un approccio di tipo psicoterapico per aiutare il paziente a comprendere, accettare e, in alcuni casi, in parte superare, la malattia.

Se credi di soffrire di disfunzione sessuale post-SSRI ed hai bisogno di supporto, prenota subito la tua visita ed insieme proveremo a risolvere il tuo problema.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Fluoxetina (Fluoxeren): uso in gravidanza ed allattamento

MEDICINA ONLINE FARMACO FARMACI EFFETTI COLLATERALI INDICAZIONI CONTROINDICAZIONI EFFETTO DOSE DOSAGGIO PILLOLE CREMA PASTIGLIE SUPPOSTE SIRINGA INIEZIONE EMIVITA FARMACOCINETICAFluoxetina cloridrato – comunemente fluoxetina – è un principio attivo appartenente alla classe degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina usato, al pari degli altri SSRI, per il trattamento di disturbi psichiatrici come depressione maggiore, disturbi d’ansia (attacchi di panico, ansia generalizzata, disturbi ossessivi-compulsivi) e bulimia.

Gravidanza ed allattamento

Per la Food and Drug Administration la fluoxetina è un farmaco da gravidanza di classe C, ovvero i cui studi sugli animali hanno rilevato effetti dannosi sul feto oppure per i quali non sono disponibili studi controllati, né su esseri umani né su animali. Di conseguenza la somministrazione di tali farmaci in gravidanza ed allattamento è sconsigliata oppure raccomandata solo dopo un’attenta analisi dei potenziali benefici per la paziente rispetto ai potenziali rischi per il feto ed il neonato.

La depressione può arrivare a colpire fino al 20% delle donne in stato di gravidanza ed è associata a ritardo di crescita uterina e a basso peso del nascituro. La depressione materna non trattata può inoltre alterare il rapporto madre-neonato (scarsa capacità genitoriale).

Il passaggio transplacentare degli SSRI può provocare emorragie nel neonato. Non sono noti gli effetti dovuti all’esposizione in gravidanza agli SSRI sullo sviluppo neurocomportamentale dei bambini tuttavia ci sono evidenze di aumentato rischio di autismo e aumentata probabilità di depressione in età adolescenziale.

Gli studi clinici relativi all’impiego degli SSRI (intesi come classe terapeutica) hanno evidenziato un basso rischio di anomalie congenite. L’esposizione agli SSRI durante il terzo trimestre di gravidanza può provocare nel neonato la comparsa della sindrome da astinenza da SSRI e ipertensione polmonare persistente.

Sindrome da astinenza

I sintomi più frequenti relativi alla sindrome da astinenza del farmaco in gravidanza includono agitazione, irritabilità, ipo/ipertonia, iperriflessia, sonnolenza, problemi nella suzione, pianto persistente. Più raramente si sono manifestati ipoglicemia, difficoltà respiratoria, anomalie della termoregolazione e convulsioni.

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Antidepressivi SSRI: meccanismo d’azione e farmacocinetica

MEDICINA ONLINE FARMACO FARMACIA PHARMACIST PHOTO PIC IMAGE PHOTO PICTURE HI RES COMPRESSE INIEZIONE SUPPOSTA PER OS SANGUE INTRAMUSCOLO CUORE PRESSIONE DIABETE CURA TERAPIA FARMACOLOGICGli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (noti anche con la sigla abbreviata SSRI, dall’inglese selective serotonin reuptake inhibitors) sono una classe di psicofarmaci che rientrano nell’ambito degli antidepressivi.

Meccanismo d’azione

Gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina sono in grado di bloccare, probabilmente per inibizione competitiva, l’attività del “trasportatore della serotonina” (Serotonin transporter, SERT), una delle proteine trasportatrici di membrana deputate a raccogliere la serotonina, rilasciata dal neurone presinaptico, dallo spazio sinaptico per ritrasportarla all’interno del neurone presinaptico dove verrà riciclata (cioè inglobata in nuove vescicole, pronta per essere rilasciata al successivo impulso nervoso), oppure degradata da enzimi (i più importanti dei quali sono le monoammino ossidasi). Il blocco del reuptake si crede porti quindi ad un aumento della concentrazione di serotonina nelle sinapsi che può stimolare più a lungo i rispettivi recettori. Al di là del nome, gli SSRI non sono completamente selettivi verso il loro target farmacologico, dato che dimostrano una spesso non trascurabile affinità per altri meccanismi che contribuiscono all’instaurarsi di effetti collaterali: ad esempio la paroxetina è nota per interagire i recettori colinergici e ciò è causa di effetti collaterali. Inoltre la modulazione del tono serotoninergico è noto alterare indirettamente altri sistemi trasmettitoriali (come ad esempio quello dopaminergico) che possono contribuire sia all’instaurarsi dell’effetto terapeutico che di quelli collaterali.

Il loro razionale d’uso si basa sulla “ipotesi monoaminergica”, una teoria empirica secondo cui l’origine della depressione sarebbe da ricercarsi in una diminuzione della quantità di neurotrasmettitori nel cervello, in particolare della serotonina. Gli SSRI sono in grado di bloccare il processo di reuptake, e quindi aumentare la concentrazione di serotonina nel vallo sinaptico, entro poche ore dalla somministrazione, eppure gli effetti antidepressivi si cominciano a manifestare solo diverse settimane dopo l’inizio del trattamento. Non c’è una spiegazione univoca per questa latenza d’azione, le ipotesi più accreditate la imputano al fatto che affinché si manifestino gli effetti antidepressivi devono verificarsi degli adattamenti nei meccanismi di regolazione e nella chimica del neurone, come ad esempio la desensibilizzazione degli autorecettori della serotonina (che mediano un meccanismo regolativo nel rilascio di questa da parte del neurone di tipo feedback) e l’induzione di fattori neurotrofici, come il BDNF (la cui carenza, secondo più recenti teorie, sarebbe la responsabile della depressione).

Più recentemente si è dimostrato che gli SSRI sono in grado di stimolare già a partire da dosi molto basse a cui sono inattivi nell’inibire il reuptake della serotonina, la sintesi di neurosteroidi quali ad esempio l’allopregnenolone: molti di questi composti influenzano la trasmissione cerebrale, agendo ad esempio da agonisti del recettore GABA-A e possedendo quindi effetto ansiolitico, e ciò può quindi contribuire agli effetti terapeutici degli SSRI ma anche ad alcuni collaterali.

Farmacocinetica

I primi effetti clinici di questa classe di farmaci si manifestano a partire dalla seconda settimana e possono richiedere sino a quattro settimane e oltre per raggiungere la loro massima efficacia. La terapia viene normalmente protratta per alcuni mesi, anche dopo la risoluzione dei sintomi nell’ottica di una terapia di mantenimento e di prevenzione delle ricadute. Non creando tolleranza, dipendenza e sedazione, vengono preferiti alle benzodiazepine nella cura dei disturbi d’ansia generalizzata e nella gestione del disturbo da attacco di panico.

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SSRI: efficacia in depressione, disturbo ossessivo compulsivo, ansia ed eiaculazione precoce

MEDICINA ONLINE FARMACO FARMACIA PHARMACIST PHOTO PIC IMAGE PHOTO PICTURE HI RES COMPRESSE INIEZIONE SUPPOSTA PER OS SANGUE INTRAMUSCOLO CUORE PRESSIONE DIABETE CURA TERAPIA FARMACOLOGICA EFFETTI COLLATERALI CONTROGli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (noti anche con la sigla abbreviata SSRI, dall’inglese selective serotonin reuptake inhibitors) sono una classe di psicofarmaci che rientrano nell’ambito degli antidepressivi.

Efficacia

Il profilo d’efficacia dei vari farmaci SSRI in commercio è pressoché equivalente e non mostrano differenze clinicamente rilevati, se non nell’incidenza di alcuni effetti collaterali, per cui la scelta è effettuata per lo più in base alla tollerabilità individuale, anche se la tollerabilità a lungo termine tra le varie molecole è comunque simile.

Depressione maggiore

Nel trattamento della depressione maggiore e dei disturbi d’ansia, il NICE (National Institute of Clinical Excellence) raccomanda l’uso di antidepressivi solo quando altri interventi di tipo psicologico e comportamentale hanno fallito nel migliorare i sintomi, abbinandoli sempre alla terapia psicologica. Generalmente la scelta del trattamento farmacologico di prima linea ricade sugli SSRI che si ritiene siano efficaci nel trattare in monoterapia il 60% circa dei casi di depressione maggiore. La loro efficacia è direttamente proporzionale alla gravità dei sintomi iniziali, dato che mostrano una certa efficacia nel caso di disturbi gravi ma non forniscono benefici nel caso di depressioni di media-lieve entità, per cui il loro uso dovrebbe essere limitato ai casi comprovati di depressione maggiore o cronica. Inoltre il loro utilizzo in bambini e soggetti giovani non è raccomandato sia per l’aumentato rischio di suicidio sia per la scarsa efficacia in questa classe di pazienti. La loro reale efficacia nel trattamento della depressione maggiore in monoterapia è dibattuta: degli studi ritengono che fino all’82% dell’effetto antidepressivo sperimentato dagli assuntori possa essere in realtà dovuto all’effetto placebo. Inoltre, secondo i dati ufficiali dell’FDA, solo il 43% degli studi clinici hanno dimostrato una superiorità degli SSRI rispetto al placebo nel trattamento della depressione maggiore.

Una review sistematica con meta analisi del 2017, comprendente 131 studi (per un totale di oltre 27000 pazienti esaminati), sull’uso degli SSRI per il trattamento della depressone maggiore, è giunta alla conclusione che “la qualità degli studi che ne attesta l’efficacia è soggetta al rischio di bias e perciò il significato clinico può non essere certo, i potenziali piccoli benefici derivanti dalla loro assunzione non sembrano bilanciare i loro effetti collaterali”.

Secondo alcuni autori, l’uso a lungo termine di antidepressivi può portare allo sviluppo di depressione cronica: gli iniziali miglioramenti sono a volte seguiti, dopo mesi di trattamento, dalla ricomparsa di forme ansioso-depressive stavolta resistenti al trattamento farmacologico. Ciò prende il nome di “Disforia tardiva”. Alcuni autori criticano l’uso degli agenti serotoninergici (come gli SSRI) come trattamento di prima linea per la depressione a causa dello scarso rapporto tra efficacia ed effetti collaterali.

Disturbo Ossessivo Compulsivo

Il National Institute for Health Excellence (UK) raccomanda l’uso degli SSRI come trattamento di seconda linea del disturbo ossessivo compulsivo di media-lieve entità (quando la psicoterapia ha fallito) e come trattamento di prima linea nel caso di disturbo severo. I pazienti trattati con SSRI hanno all’incirca il doppio di probabilità di sperimentare una riduzione dei sintomi rispetto a quelli trattati con il placebo. Dosaggi elevati di farmaco, spesso vicini ai massimali raccomandati, possono essere richiesti per il trattamento della fase acuta della patologia, che deve essere mantenuto per almeno 3 mesi prima di poterne valutare appieno l’efficacia. L’efficacia è stata dimostrata sia nel trattamento a breve termine (6-24 settimane) che a lungo termine (52 settimane).

Ansia generalizzata

Il National Institute for Health Excellence (UK) raccomanda l’uso degli SSRI per il trattamento dell’ansia generalizzata quando altri interventi di tipo psicologico si sono rivelati inefficaci nel trattare i sintomi. Dagli studi sembra emergere che gli antidepressivi sono efficaci quanto le benzodiazepine nel trattamento dell’ansia, permettendo una riduzione da modesta a moderata dei sintomi con meno effetti collaterali di sedazione e rallentamento cognitivo. Sintomi d’ansia, espressi come un senso di profonda irrequietezza interna, sono però un possibile effetto collaterale degli SSRI che può essere confuso con la patologia trattata.

Eiaculazione precoce

Gli SSRI sono particolarmente efficaci nel posticipare l’eiaculazione, sia nei pazienti sani (dove rappresenta uno dei più comuni effetti collaterali) sia in quelli che soffrono di eiaculazione precoce. Vengono perciò utilizzati a tale scopo nei pazienti affetti da disturbo grave quando altri approcci di tipo farmacologico e psicologico hanno fallito. Il loro effetto si può manifestare già dopo poche ore dall’assunzione ma tende ad aumentare con un trattamento cronico nel corso di alcune settimane. La paroxetina sembra essere il più efficace in tal senso, mentre la dapoxetina è specificatamente approvata per l’uso al bisogno. In 3 ampi studi con lo scopo di evidenziare gli effetti benefici degli SSRI nel trattamento dell’eiaculazione precoce, è stato rilevato che l’effetto ritardante sull’eiaculazione persisteva nel tempo (per oltre 6 mesi) dopo l’interruzione del farmaco su un’ampia percentuale dei pazienti trattati (oltre il 60%). Il meccanismo d’azione alla base di tale effetto terapeutico si ritiene essere sia centrale (per aumento diretto del tono serotoninergico) che periferico, in alcuni studi si è infatti dimostrato che l’assunzione di SSRI provoca una diminuzione della sensibilità tattile della cute genitale.

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Farmaci Inibitori Selettivi della Ricaptazione della Serotonina (SSRI): cosa sono ed a che servono

MEDICINA ONLINE FARMACO FARMACIA PHARMACIST PHOTO PIC IMAGE PHOTO PICTURE HI RES COMPRESSE INIEZIONE SUPPOSTA PER OS SANGUE INTRAMUSCOLO CUORE PRESSIONE DIABETE CURA TERAPIA FARMACOLOGICGli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (noti anche con la sigla abbreviata SSRI, dall’inglese selective serotonin reuptake inhibitors) sono una classe di psicofarmaci che rientrano nell’ambito degli antidepressivi. Si ritiene che siano in grado di modificare la concentrazione nel cervello di alcuni neurotrasmettitori responsabili della regolazione del tono dell’umore (in particolare aumentando quella della serotonina) bloccando il principale processo biologico di eliminazione di questa dal vallo sinaptico (reuptake). Vengono perciò utilizzati per un’ampia varietà di disturbi psicologici quali depressione maggiore, disturbi d’ansia (attacchi di panico, ansia generalizzata, disturbo ossessivo-compulsivo), disturbi dell’alimentazione (bulimia, binge-eating), disturbo post traumatico da stress: rappresentano attualmente gold standard della medicina psichiatrica, grazie anche alla minore incidenza di effetti collaterali (transitori ed in caso di overdose) rispetto a classi di farmaci più vecchi come i triciclici.

Il loro uso non si limita però all’ambito psicologico, sono infatti approvati per un’ampia varietà di patologie come ad esempio fibromialgia, prevenzione dell’emicrania, neuropatia diabetica, disturbi del sonno, eiaculazione precoce solo per citarne alcuni. Avendo un numero così elevato di indicazioni terapeutiche sono letteralmente utilizzati da milioni di persone: secondo lo studio IPSAD del CNR (Italian popoulation Survey on Alcohol and other drugs) il 5,5% della popolazione italiana (cioè quasi 2,5 milioni di persone) assume antidepressivi e il loro uso è in continua crescita.

Lista di SSRI

Le sei principali molecole appartenenti alla categoria dei farmaci SSRI sono:

  • fluoxetina (Prozac, Fluoxeren, Azur, Clexiclor, Cloriflox, Diesan, Flotina, Ipsumor, Xeredien);
  • sertralina (Zoloft, Tatig, Tralisen);
  • citalopram (Seropram, Elopram, Felipram, Frimaind, Feliximir, Frimaind, Kaidor, Marpram, Percitale, Return, Ricap, Sintopram, Verisan);
  • escitalopram (Cipralex, Entact);
  • fluvoxamina (Dumirox, Fevarin, Maveral);
  • paroxetina (Daparox, Dapagut, Dropaxin, Eutimil, Sereupin, Seroxat, Stiliden).

Possono essere prescritti sia dagli specialisti che dai medici di medicina generale e sono tutti totalmente rimborsati dal SSN, anche ciò ne spiega la loro elevata diffusione e la prolungata assunzione. Capita spesso che chi comincia un trattamento con antidepressivo lo porti avanti anche per anni nell’ottica di una terapia di mantenimento o di prevenzione delle ricadute: secondo delle ricerche, negli USA il 60% delle persone che inizia un trattamento antidepressivo lo continua per almeno 2 anni, il 14% per 10 anni.

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Citalopram (Elopram): lista degli effetti collaterali del farmaco

MEDICINA ONLINE FARMACO FARMACIA AEROSOL ASMA PHARMACIST PHOTO PIC IMAGE PHOTO PICTURE HI COMPRESSE INIEZIONE SUPPOSTA PER OS INTRAMUSCOLO PRESSIONE DIABETE CURA TERAPIA FARMACOLOGICA EFFETTI COLLATERALI CONTROINDICAZIONIIl citalopram è una molecola della famiglia degli SSRI (selective serotonin reuptake inhibitors) utilizzata per il trattamento della depressione maggiore e dei disturbi d’ansia (attacchi di panico, ansia generalizzata, disturbo ossessivo compulsivo). Al pari di altri SSRI ha anche utilizzi off-label come per il trattamento del disturbo disforico premestruale, neuropatia diabetica e dismorfofobia, per citarne alcuni.

Effetti collaterali

Il profilo di effetti collaterali del Citalopram è sovrapponibile a quello dell’Escitalopram. Gli effetti collaterali più comuni (sperimentati da più del 10% dei pazienti) consistono in:

  • Disturbi gastrointestinali (nausea, diarrea)
  • Disfunzioni sessuali (disfunzione erettile, calo della libido, anorgasmia)
  • Sonnolenza, sedazione e affaticamento, insonnia
  • Ansia, nervosismo, tremori
  • Sudorazione, bocca secca
  • Sogni vividi, incubi

Questi effetti collaterali, in genere di lieve entità, tendono a diminuire e scomparire spontaneamente nel corso delle prime settimane di trattamento; gli effetti collaterali sulla sfera sessuale tendono invece a comparire nel corso delle prime settimane di trattamento e a persistere nel corso dell’assunzione (può accadere che alcuni effetti collaterali, specie le disfunzioni sessuali, persistano per un tempo indefinito, anche anni, dopo la sospensione del trattamento, generando la così detta Sindrome Post-SSRI).

Nel 2004 la FDA allerta per il rischio di un aumento di ideazioni suicide per un peggioramento del comportamento, soprattutto negli adolescenti in terapia con gli SSRIs. Un’analisi condotta dalla FDA mostrò però una variazione statisticamente insignificante di aumento della percentuale di suicidio negli adulti trattati con citalopram.

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SSRI: effetti a breve e lungo termine

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Effetti a breve termine degli SSRI

Durante l’assunzione di un SSRI sono state evidenziate numerose alterazioni neuroendocrine, della struttura cerebrale, del funzionamento e nella chimica dei neuroni, alcune delle quali potrebbero essere direttamente coinvolte nella genesi delle disfunzioni sessuali.

Tra queste, si citano ad esempio:

  • inibizione dell’attività dei neuroni dopaminergici, che hanno un ruolo fondamentale nel regolare le risposte emotive e nella sintesi di ormoni;
  • inibizione della sintesi del GnRH (Central Gonodotropin Releasing Hormone) che svolge un ruolo centrale nei fenomeni riproduttivi;
  • aumento della quantità di triptofano idrossilasi, enzima limitante la sintesi della serotonina;
  • ridotta funzione dell’asse ipotalamo-ipofisi-testicolo (HPTA);
  • diminuzione dell’espressione delle proteine nNOS (Neuronal Nitric Oxide Synthase), l’ossido nitrico svolge un ruolo fondamentale nell’erezione;
  • interferenza nella steroidogenesi;
  • desensibilizzazione dei recettori della serotonina che si è dimostrato persistere dopo la sospensione del trattamento;
  • diminuzione della funzionalità e della concentrazione del trasportatore della serotonina (SERT) in maniera apparentemente simile a quella causata dall’MDMA;
  • diminuzione dei livelli di testosterone;
  • riduzione della conta spermatica che ha mostrato un notevole miglioramento dopo l’interruzione e ridotta qualità spermatica con DNA danneggiato dello sperma, che è reversibile con la sospensione;

Pochi studi sono stati però svolti per cercare di capire se queste alterazioni sono reversibili con la sospensione e quali sono legate alla persistenza delle disfunzioni sessuali. Altri studi hanno addirittura messo in evidenza come gli SSRI possano esercitare effetti epigenetici cioè alterazioni nell’espressione genica.

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Effetti a lungo termine

Il trattamento con Fluoxetina (Prozac) ha dimostrato causare persistente desensibilizzazione dei recettori 5HT1A della serotonina, con conseguente diminuzione di circa il 30% della secrezione di ossitocina, dopo la rimozione di SSRI nei ratti. Inoltre, il loro uso è stato dimostrato causare alterazioni nella struttura cerebrale e nella struttura dei neuroni serotoninergici, in particolare in alcune aree direttamente implicate nella risposta agli stimoli sessuali, che potrebbero essere molto lentamente reversibili. Queste modifiche di adattamento a lungo termine dei recettori 5-HT, così come più complessi cambiamenti globali, si pensa siano mediati da alterazioni dell’espressione genica che si pensa siano il risultato di una alterazione del DNA causata del rimodellamento della cromatina (in particolare la modificazione epigenetica degli istoni) e il silenziamento genico indotto dalla metilazione del DNA (a causa della maggiore espressione delle delle proteine trasportatrici di metile MeCP2 e MBD1). È stato osservato che durante l’assunzione di un SSRI/SNRI, l’induzione del suddetto metile legante le proteine è accompagnata ad una maggiore sintesi dell’mRNA del gene che codifica per l’enzima HDAC2 (uno degli enzimi preposti a deacetilare gli istoni) e ad una contemporanea diminuita acetilazione dell’istone H3 in tre aree di proiezione della serotonina: il caudato-putamen (corpo striato), la corteccia frontale e il giro dentato dell’ippocampo. Nel loro insieme sembra che questa aumentata espressione di MDB1, MeCP2, HDAC2 giochino un ruolo nella regolazione dell’acetilazione degli istoni e nella metilazione del DNA; la repressione dell’espressione genica è una risposta generalizzata al trattamento con fluoxetina.

Conseguenze sulla persona

L’espressione genica alterata e il rimodellamento della cromatina possono essere coinvolti nella – paradossale – eziologia di diverse patologie psichiatriche e la modificazione dell’espressione genica sembra avere un ruolo nell’effetto terapeutico di alcuni farmaci nel meccanismo d’azione della terapia elettroconvulsiva (ECT). Poiché i descritti cambiamenti dell’espressione genica sono complessi, e possono comportare modifiche persistenti, è stato suggerito che l’uso di SSRI può provocare una alterazione persistente dell’espressione genica cerebrale che porta a una compromissione della neurotrasmissione catecolaminergica e disturbi neuroendocrini.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Depressione maggiore e minore, suicidio, diagnosi e cura: fai il test e scopri se sei a rischio

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma DEPRESSIONE MAGGIORE MINORE SUICIDIO TEST CURA   Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari.jpgQuante volte, nella nostra vita, in un periodo triste abbiamo detto “sono depresso”? La realtà è che la depressione, nelle sue varie forme, è qualcosa di completamente diverso alla “semplice” tristezza: è il non provare più piacere, il sentirsi inutili, la fine di ogni speranza, il non vedere vie di uscita se non – a volte – addirittura il suicidio. Nel depresso non c’è bisogno che arrivi la sera per sentirsi avvolto dalle tenebre.

Cos’è la depressione maggiore?

La depressione maggiore (anche chiamata “depressione endogena” o “depressione unipolare” o “disturbo depressivo maggiore”) è un disturbo psichiatrico che appartiene al gruppo dei disturbi dell’umore, che colpisce ogni anno circa il 5% della popolazione, in particolare le donne tra i 30 ed i 40 anni, e può avere gravi conseguenze sulla qualità della vita di un individuo. Il disturbo depressivo maggiore si manifesta in prevalenza nel sesso femminile, con un rapporto di circa 2:1 rispetto al sesso maschile L’Organizzazione Mondiale della Sanità valuta la depressione maggiore come uno dei disturbi più invalidanti al mondo. Diversamente da una normale sensazione di tristezza o di un passeggero stato di cattivo umore, la depressione maggiore presenta caratteristiche di persistenza e può interferire pesantemente sul modo di pensare di un individuo, sul suo comportamento, sulle condizioni dell’umore, sull’attività ed il benessere fisico. Una considerevole parte (oltre la metà) di coloro che sono stati colpiti da un primo episodio di depressione potranno presentare altri episodi depressivi durante il resto della vita. Alcune persone sono colpite da più episodi durante l’anno; in questo caso si parla di depressione ricorrente. Qualora non vengano curati, gli episodi di depressione possono durare dai sei mesi a un anno. La Depressione Maggiore è solo una delle varie forme di disturbo depressivo. Altre forme di depressione sono la distimia (depressione minore), e la depressione bipolare (che è poi la fase depressiva del disturbo bipolare, anche chiamato disturbo maniaco-depressivo). Il disturbo depressivo maggiore è stato inserito nel 1980 all’interno del DSM-III, il Manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali. La depressione maggiore è inserita anche nella quinta e più recente edizione del DSM (il DSM-5).

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Cos’è la depressione minore?

La depressione minore, o distimia o ancora disturbo distimico, è un disturbo cronico caratterizzato dalla presenza di umore depresso che persiste per la maggior parte del giorno ed è presente nella maggior parte dei giorni. Secondo la quarta e penultima edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-IV) le più caratteristiche manifestazioni del disturbo erano sentimenti di inadeguatezza, colpa, irritabilità e rabbia; ritiro sociale; perdita di interesse, inattività e mancanza di produttività. Il termine “distimia”, indicativo “di cattivo umore”, fu introdotto nel 1980 e modificato in disturbo distimico nel DSM-IV. Prima del 1980, la maggior parte dei pazienti ora classificati come affetti da disturbo distimico era classificata come affetta da nevrosi depressiva (detta anche depressione nevrotica). Il disturbo distimico è comune nella popolazione generale e colpisce il 3-5% di tutti gli individui. II disturbo distimico è più frequente tra le persone non sposate e giovani e in quelle a basso reddito. Inoltre, il disturbo distimico spesso coesiste con altri disturbi mentali, soprattutto il disturbo depressivo maggiore, i disturbi d’ansia (in particolare quello da attacchi di panico), l’abuso di sostanze e probabilmente il disturbo borderline di personalità.
I criteri diagnostici del DSM per il disturbo distimico richiedono la presenza di umore depresso per la maggior parte del tempo per almeno due anni. Perché i criteri diagnostici siano soddisfatti, il soggetto non dovrebbe presentare sintomi me­glio classificabili come disturbo depressivo maggiore. Il paziente non dovrebbe aver mai avuto un episodio maniacale o ipomaniacale.
II disturbo distimico è un disturbo cronico caratterizzato non da episodi di malattia, ma piuttosto dalla costante presenza dei sintomi. Tuttavia, il paziente con disturbo distimico può presentare alcune variazioni temporali nella gravità dei sintomi. Gli stessi sintomi sono simili a quelli del disturbo depressivo maggiore e la presenza di umore depresso – cioè il sentirsi triste, giù di corda, il vedere tutto nero e la mancanza di interesse nelle abituali attività – è un aspetto centrale del disturbo. La gravità dei sintomi depressivi nel disturbo distimico è di solito minore che nel disturbo depressivo maggiore, ma è la mancanza di episodi discreti a far pesare la bilancia a favore della diagnosi di disturbo distimico.
I pazienti con disturbo distimico possono spesso essere sarcastici, nichilisti, meditabondi, esigenti e reclamanti; possono essere tesi e rigidi e resistenti nei confronti degli interventi terapeutici, pur presentandosi regolarmente agli appuntamenti. Come risultato, il medico può provare rabbia nei confronti del soggetto e persino trascurarne le lamentele. Per definizione le persone con disturbo distimico non hanno sintomi psicotici.
I sintomi associati comprendono alterazioni dell’appetito e del sonno, ridotta autostima, perdita di energia, rallentamento psicomotorio, ridotta pulsione sessuale e preoccupazione ossessiva per i problemi di salute.
Una difficoltà nei rapporti sociali è talora la ragione per cui i pazienti con disturbo distimico cercano una cura. In effetti divorzio, disoccupazione e problemi sociali sono comuni in questi pazienti. Essi possono lamentarsi di avere difficoltà di concentrazione e riferire che le loro prestazioni scolastiche o lavorative sono scadenti. Lamentandosi di essere malati fisicamente, i pazienti possono perdere giorni di lavoro e appuntamenti sociali. I soggetti con disturbo distimico possono avere problemi coniugali derivanti da disfunzioni sessuali (ad esempio impotenza) o dall’incapacità di mantenere l’inti­mità emotiva.
Depressione doppia: il 40% circa dei soggetti con disturbo depressivo maggiore soddisfa anche i criteri per disturbo distimico. Questa combinazione di disturbi viene spesso definita depressione doppia. I dati disponibili sostengono la conclusione che i pazienti con depressione doppia hanno una prognosi peggiore di quelli con solo disturbo depressivo maggiore. Il trattamento dei casi di depressione doppia dovrebbe essere diretto verso entrambi i disturbi, poiché la risoluzione dei sintomi di un disturbo depressivo maggiore in tali pazienti li lascia ancora con un significativo problema psichiatrico.

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Differenze tra i vari tipi di depressione

Il disturbo depressivo minore è caratterizzato da episodi di sintomi depressivi meno gravi di quelli osservati nel disturbo depressivo maggiore. La differenza fra disturbo distimico e disturbo depressivo minore è legata principalmente alla natura episodica dei sintomi nel secondo. Fra un episodio e l’altro, i pazienti con disturbo depressivo minore hanno infatti umore eutimico, mentre quelli con disturbo distimico non hanno praticamente periodi eutimici.

Cause

Possibili cause di depressione maggiore e minore, sono:

1) Eventi della vita e stress ambientali. Un’osservazione clinica di vecchia data che è stata replicata è che eventi stressanti della vita molto più spesso precedono i primi episodi di disturbo dell’umore rispetto a episodi successivi. Questa associazione è stata riportata per pazienti sia con disturbo depressivo maggiore sia con disturbo bipolare I. Una teoria proposta per spiegare questa osservazione è che lo stress che accompagna il primo episodio determini alterazioni durature nella biologia del cervello. Tali alterazioni perduranti possono risultare in cambiamenti nello stato funzionale dei vari neurotrasmettitori e dei sistemi intraneuronali e possono anche includere la perdita di neuroni e una riduzione eccessiva nei contatti sinaptici. Il risultato netto di questi cambiamenti è che essi aumentano nella persona il rischio di manifestare episodi successivi di un disturbo dell’umore, anche in assenza di un evento stressante esterno. Da una prospettiva psicodinamica, il medico è sempre interessato al significato del fattore stressante. La ricerca ha dimostrato che il fattore stressante percepito dal paziente come maggiormente condizionante in modo negativo l’autostima più probabilmente produce depressione. Inoltre quello che può sembrare un fattore stressante relativamente lieve a persone esterne può essere devastante per il paziente a causa dei significati particolarmente idiosincrasici connessi all’evento. Alcuni medici sono assolutamente convinti che gli eventi della vita giochino un ruolo primario o principale nella depressione; altri suggeriscono che abbiano solo un ruolo limitato nell’esordio e nella cadenza degli episodi depressivi.
I dati più significativi mostrano che l’evento vitale più frequentemente associato al successivo sviluppo di depressi­ne è la perdita di un genitore prima dell’età di 11 anni. Lo stress ambientale maggiormente associato all’esordio di un episodio depressivo è la perdita del coniuge.

2) Famiglia. Molti articoli teorici e molte segnalazioni aneddotiche riguardano la relazione fra il funzionamento della famiglia e l’inizio o il decorso di un disturbo dell’umore, in particolare il disturbo depressivo maggiore. Numerosi dati mostrano che la psicopatologia osservata nella famiglia durante il periodo in cui il paziente identificato è stato trattato tende a rimanere anche dopo che il soggetto si è rimesso. Inoltre, il grado di psicopatologia nella famiglia può condizionare il tasso di recupero, la ricomparsa dei sintomi e l’adattamento del paziente dopo il recupero. Dati clinici e aneddotici sostengono l’importanza di valutare la vita familiare di un individuo e di prendere in esame tutti gli eventi stressanti riconosciuti come correlati alla famiglia.

3) Fattori della personalità premorbosaNessun tratto singolo e nessun tipo di personalità predispone da solo un soggetto alla depressione; tutti gli esseri umani, con qualunque personalità, possono diventare e in effetti divengono depressi in circostanze appropriate. Tuttavia alcuni tipi di personalità – dipendenti, ossessivo-compulsivi e isterici – possono avere un maggiore rischio di depressione rispetto a tipi di personalità antisociale, paranoide o altri tipi che possono utilizzare la proiezione e altri meccanismi difensivi di estemalizzazione per proteggere se stessi dalla rabbia interna. Nessuna evidenza indica che un particolare disturbo di personalità sia associato allo sviluppo successivo di un disturbo bipolare I, ma quelli con disturbo distimico e ciclotimico hanno un rischio maggiore di sviluppare successivamente un disturbo bipolare I.

Sintomi

I sintomi principali della depressione maggiore e minore, sono:

  • un persistente umore triste o irritabile;
  • importanti variazioni nelle abitudini del dormire (insonnia e altri disturbi del sonno), dell’appetito e del movimento;
  • difficoltà nel pensare, della concentrazione, e della memoria;
  • mancanza di interesse o piacere nelle attività che invece prima interessavano;
  • sentimenti di colpa, di inutilità, mancanza di speranze e senso di vuoto;
  • pensieri ricorrenti di morte o di suicidio;
  • sintomi fisici persistenti che non rispondono alle cure come mal di testa, problemi di digestione, dolori persistenti e generalizzati.

Non tutti questi sintomi possono essere presenti contemporaneamente.

Come si manifesta la depressione?

E’ raro che una persona depressa abbia contemporaneamente tutti i sintomi riportati precedentemente, ma se soffre quotidianamente dei primi due sintomi su descritti e di almeno altri tre è molto probabile che abbia un disturbo depressivo.
Spesso la depressione si associa ad altri disturbi, sia psicologici (frequentemente di ansia) sia medici. In questi casi la persona si deprime per il fatto di avere un disturbo psicologico o medico. 25 persone su 100 che soffrono di un disturbo organico, come il diabete, la cardiopatia, l’HIV, l’invalidità corporea fino ad arrivare ai casi di malattie terminali, si ammalano anche di depressione. Purtroppo la depressione può portare ad un aggravamento ulteriore, dato che quando si è depressi si ha difficoltà a collaborare nella cura, perché ci si sente affaticati, sfiduciati, impotenti e si ha una scarsa fiducia di migliorare. Inoltre, la depressione può complicare la cura anche per le conseguenze negative che può avere sul sistema immunitario e sulla qualità di vita già compromessa dalla malattia medica.
I sintomi depressivi possono alternarsi, e a volte presentarsi in contemporanea, a sintomi di eccitamento (euforia, irritazione, impulsività, loquacità, pensieri veloci che si accavallano e a cui è difficile stare dietro, sensazioni di grandiosità, infinita potenzialità personale o convinzioni di essere perseguitati). In questo caso si tratta di episodi depressivi o misti all’interno di un disturbo bipolare dell’umore.

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Decorso e conseguenze della depressione

La depressione è un disturbo spesso ricorrente e cronico. Chi si ammala di depressione può facilmente soffrirne più volte nell’arco della vita. Mentre nei primi episodi l’evento scatenante è facilmente individuabile in un evento esterno che la persona valuta e sente come perdita importante e inaccettabile, nelle ricadute successive gli eventi scatenanti sono difficilmente individuabili perché spesso si tratta di eventi “interni” all’individuo come un normale abbassamento dell’umore, che per chi è stato depresso già diverse volte è preoccupante e segnale di ricaduta.
Il disturbo depressivo può portare a gravi compromissioni nella vita di chi ne soffre. Non si riesce più a lavorare o a studiare, a iniziare e mantenere relazioni sociali e affettive, a provare piacere e interesse nelle attività. 15 persone su 100 che soffrono di depressione clinica grave muoiono per suicidio. Più giovane è la persona colpita, più le compromissioni saranno gravide di conseguenze. Per esempio un adolescente depresso non riesce a studiare e ad avere relazioni, e quindi non riesce a costruire i mattoni su cui costruire il proprio futuro.

Diagnosi

Secondo la quanti a più recente edizione del Manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali (DSM-5), per poter stabilire una diagnosi di depressione maggiore, devono essere presenti almeno cinque dei seguenti sintomi:

  • perdita di interesse e piacere nel fare qualsiasi cosa;
  • agitazione psicomotoria o rallentamento psicomotorio;
  • difficoltà nel pensare e restare concentrati, oppure patologica indecisione;
  • stanchezza cronica;
  • umore depresso (ad esempio sentire di non avere un futuro, essere tristi, vuoti, senza speranza);
  • significativa perdita di peso o aumento di peso;
  • sentimenti di indegnità o sensi di colpa eccessivi o inappropriati;
  • ricorrenti pensieri di morte o di suicidio oppure reali tentativi di suicidio.

Per raggiungere una diagnosi, almeno uno dei sintomi sopra elencati deve essere umore depresso o perdita di interesse nel fare qualsiasi cosa.

Terapie

Come si cura la depressione? Esistono varie terapie disponibili. Le principali cure sono rappresentate da farmaci e psicoterapia, che agiscono in sinergia tra loro.

Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale

La psicoterapia Cognitivo-Comportamentale (TCC): ha mostrato scientificamente una buona efficacia sia sui sintomi acuti che sulla ricorrenza. A volte è necessario associare la TCC ai farmaci antidepressivi o ai regolatori dell’umore, soprattutto nelle forme moderate-gravi. L’associazioni della Terapia Cognitivo-Comportamentale e i farmaci aumentano l’efficacia della cura. Nel corso della Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale la persona viene aiutata a prendere consapevolezza dei circoli viziosi che mantengono e aggravano la malattia e a liberarsene gradualmente attraverso la riattivarsi del comportamento e l’acquisizione di modalità di pensiero e di comportamento più funzionali. Inoltre, dal momento che la depressione è un disturbo ricorrente, la TCC prevede una particolare attenzione alla cura della vulnerabilità alla ricaduta. Per far questo utilizza anche specifici protocolli, come la Schema-Therapy, il lavoro sul Benessere Psicologico e la Mindfulness.

Farmaci

I primi farmaci antidepressivi furono scoperti verso la metà degli anni Cinquanta. Da allora numerosi sono stati gli antidepressivi immessi nel mercato. Non tutti hanno avuto successo, alcuni hanno resistito all’arrivo dei nuovi farmaci, altri sono usciti dal commercio perché o poco efficaci di per sé o perché surclassati dai nuovi arrivati o perché gravati da maggiori effetti collaterali. Generalmente gli antidepressivi si suddividono in gruppi in funzione della struttura chimica o del/i neuromediatore/i su cui agiscono. Ecco alcuni farmaci usati in caso di depressione:

  • gli inibitori delle monoaminoossidasi o I-MAO,
  • gli antidepressivi triciclici o TCA,
  • gli antidepressivi Atipici,
  • inibitori selettivi del reuptake di uno o più neuromediatori:
  • gli SSRI: serotonin selective reuptake inhibitors,
  • i NaRI: noradrenalin reuptake inhibitors,
  • gli SNRI: serotonin-noradrenalin reuptake inhibitors,
  • i NaSSA: noradrenergic and specific serotonergic antidepressants, modulatori della trasmissione serotoninergica e noradrenergica.

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Come può una sostanza chimica modificare emozioni e sentimenti?

Per comprendere come delle sostanze chimiche possano agire sulle emozioni e sui sentimenti è necessario fare una breve premessa sul funzionamento del cervello . Le cellule che consentono il funzionamento del cervello sono i neuroni, delle cellule specializzate nella trasmissione degli impulsi. I neuroni sono collegati tra loro a formare dei circuiti deputati prevalentemente a specifiche funzioni (sensazioni, movimento, emozioni/sentimenti, integrazione di esperienze diverse, funzioni vegetative, ecc.). Il sistema che si attiva quando il soggetto prova delle emozioni o agisce sotto la spinta delle emozioni è il sistema limbico. In condizioni di normale equilibrio, i neuroni di questo sistema controllano l’umore, l’iniziativa, la volontà, ecc. in risposta a stimoli provenienti dall’esterno e dall’interno del nostro organismo. Quando questo equilibrio si altera per qualsiasi ragione, interna o esterna, i neuroni non riescono più a comunicare tra loro in maniera efficiente perché i neuromediatori che consentono il passaggio dello stimolo tra i neuroni sono ridotti e/o è alterata la sensibilità dei rispettivi recettori. È così che compaiono i sintomi dei disturbi dell’umore. Nel caso si sviluppi la malattia, queste alterazioni tendono a stabilizzarsi e richiedono, perciò, un intervento terapeutico per essere riportate al normale funzionamento. Se è l’alterazione dei neuromediatori, ed in particolare di Noradrenalina, Serotonina e Dopamina, alla base dell’alterato funzionamento del sistema limbico e quindi del disturbo dell’umore, è ipotizzabile che normalizzando questi neuromediatori si possa ripristinare il funzionamento del sistema e riportare così l’umore al suo normale equilibrio.

Farmaci antidepressivi: quali i rischi?

Gli antidepressivi comportano – in varia misura – effetti indesiderati e rischi: in linea generale, la tollerabilità e la sicurezza di questi farmaci sono molto migliorate passando da quelli di prima generazione a quelli ad attività selettiva su specifici neuromediatori.

  1. Gli I-MAO comportano interazioni anche gravi se assunti assieme a determinati farmaci o alimenti; questo li rende farmaci da usare con molta cautela ed in pazienti che garantiscano (magari anche con l’aiuto dei familiari) il massimo rispetto delle regole alimentari e/o terapeutiche.
  2. I TCA sono farmaci gravati da numerosi effetti indesiderati, generalmente sgradevoli ma non pericolosi; gli elementi più critici, nel trattamento normale, sono rappresentati dal glaucoma ad angolo chiuso, dall’ipertrofia prostatica, dall’infarto miocardico recente e dai disturbi della conduzione cardiaca che possono aggravarsi provocando situazioni di rischio. I problemi maggiori sono legati all’overdose (accidentale o a scopo suicidario), che può risultare letale, ed all’associazione con gli I-MAO.
  3. Gli Antidepressivi Atipici si pongono, in generale, un gradino al di sopra rispetto ai TCA per tollerabilità e sicurezza (con le dovute eccezioni, danno meno effetti indesiderati e sono meno pericolosi anche nell’overdose (ma sono, forse, anche un po’ meno efficaci) e mantengono l’incompatibilità con gli I-MAO.
  4. Gli inibitori selettivi del reuptake sono molto più sicuri in caso di overdose, ma rimane la possibilità di effetti negativi, come la sindrome serotoninergica (una condizione tossica iperserotoninergica, la cui causa più comune è l’interazione tra agenti serotoninergici, come gli SSRI ed i TCA, e gli I-MAO).
  5. Degli SSRI (e di alcuni di essi in particolare) si è parlato, anche del tutto recentemente, come di farmaci potenzialmente capaci di indurre il suicidio in alcuni casi specifici. Generalmente, i principali effetti collaterali indotti dagli inibitori selettivi del riassorbimento della serotonina sono: nausea, diarrea, agitazione, ansia, insonnia e disfunzioni della sfera sessuale.

Test di autovalutazione della depressione

Per una valutazione iniziale, potete eseguire un test per valutare in modo autonomo la possibile presenza di una depressione, fermo restando che la diagnosi vera e propria spetta solo al medico. Per fare il test, scarica questo pdf e segui le istruzioni: test-di-autovalutazione-della-depressione-zung

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