Differenze tra le varie scuole di psicoterapia: quale la più efficace?

Dott. Loiacono Emilio Alessio Medico Chirurgo Medicina Chirurgia Estetica Benessere Dietologia Sessuologia Ecografie Tabagismo Smettere di fumare Perchè è così difficile smettere di fumare Perchè mi sento depresso dopoI problemi oggetto di intervento dello psicoterapeuta vanno dal generico disagio esistenziale senza una sintomatologia psicopatologica manifesta, alle forme di disturbi più clinicamente strutturati (dalle strutturazioni e sintomatologie nevrotiche a quelle dei disturbi di personalità), fino all’intervento psicoterapeutico nelle più gravi forme di psicosi (psicopatologia con interpretazione delirante della realtà, spesso con allucinazioni uditive, visive o tattili). Possono essere affrontati fenomeni sintomatici quali l’ansia, la depressione, il disturbo bipolare, le fobie, le ossessioni, i disturbi del comportamento alimentare – anoressia e bulimia – e della sfera sessuale, il comportamento compulsivo, l’abuso di sostanze (alcol, droghe, farmaci, i cosiddetti “disturbi di asse I del DSM”); in psicoterapia è possibile affrontare anche i disturbi della personalità (“disturbi di asse II del DSM”), le forme di disagio personale non psicopatologicamente strutturato (difficoltà relazionali, affettive, interpersonali), ed i fenomeni relazionali complessi quali il mobbing, il conflitto coniugale ed altri. Lo psicoterapeuta si può occupare anche della riabilitazione di soggetti con disturbi psichiatrici e della riabilitazione di soggetti tossicodipendenti, sia all’interno di strutture sanitarie pubbliche (per esempio i CSM, Centri di Salute Mentale per i soggetti psichiatrici, e i SERT (Servizi Tossicodipendenze) nel caso delle tossicodipendenze), all’interno di Comunità Terapeutiche che possono essere sia pubbliche o private, o infine presso un ambulatorio o studio professionale privato.

Le varie scuole di psicoterapia
Esistono numerose definizioni di psicoterapia pertinenti a teorie della mente e modelli d’intervento diversi, spesso su basi epistemologiche differenti. Numerose sono anche le pratiche e le tecniche psicoterapeutiche legate ai diversi indirizzi teorici: psicoanalitico/psicodinamico, sistemico-relazionale, cognitivo-comportamentale, fenomenologico-esistenziale, eccetera, ciascuno dei quali, dal comune fondamento epistemologico, si è differenziato in scuole e metodologie diverse.
Pur avendo numerosi tratti in comune, storicamente, alcune scuole di psicoterapia si sono focalizzate maggiormente su particolari sintomatologie o determinate aree di intervento, come nel caso dell’indirizzo psicoanalitico tradizionale con la sua attenzione (anche se non esclusiva) alle cosiddette nevrosi (ansia, depressione, fobie, ossessioni) ed ai disturbi di personalità.
Altri, come il caso dei terapeuti cognitivo-comportamentali, si sono orientati maggiormente al trattamento di disturbi da stress, depressione, fobie, disturbi ossessivo-compulsivi, disturbi sessuali, alimentari, del sonno e dipendenze patologiche.
Altri ancora, come i terapeuti familiari sistemico-relazionali, si sono occupati in particolar modo (ma non esclusivamente) dei disturbi della condotta alimentare come anoressia e bulimia negli adolescenti, dei conflitti familiari, delle difficoltà di coppia, di disturbi di area evolutiva a matrice familiare.

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Quale psicoterapia è più efficace?
Non è ovviamente possibile rispondere in maniera univoca a questa domanda. I risultati delle metanalisi condotte negli ultimi quarant’anni rivelano un tasso medio di efficacia lievemente superiore per i trattamenti a orientamento cognitivo-comportamentale ed a orientamento psicodinamico breve rispetto ad altri; in particolare alcuni studi hanno evidenziato un’efficacia maggiore per le terapie a orientamento cognitivo-comportamentale, mentre alcune metanalisi hanno dimostrato l’efficacia della psicoterapia dinamica breve. Questi ultimi studi hanno preso in considerazione la terapia dinamica breve e non quella classica, o quella psicoanalitica, in quanto queste ultime durano generalmente anni anziché i pochi mesi della terapia breve, e quindi è più difficile valutarne i risultati in modo rigoroso; inoltre, essendo meno standardizzate rispetto ad altre terapie, l’efficacia è più variabile da terapeuta a terapeuta. Tuttavia va ricordato che le terapie dinamiche classiche di lunga durata e la psicoanalisi si pongono anche altri obiettivi, rimanendo valide per quei pazienti che ne necessitano. Altri risultati di interesse sono quelli del Depression Collaborative Research Program, che hanno dimostrato che, nel trattamento della depressione, la psicoterapia cognitivo-comportamentale risulta efficace almeno quanto gli psicofarmaci. Il risultato prende in considerazione la rapidità della rimozione del sintomo ed il mantenimento dell’efficacia nel tempo (esiguità di ricadute). I farmaci risultano più efficaci per le depressioni più gravi. Altri studi più recenti hanno esteso questi risultati anche ad altri tipi di disturbi.
Una serie di recenti studi hanno dimostrato l’efficacia della psicoterapia, in particolare quella cognitivo-comportamentale, anche tramite metodi di neuroimaging. Gli studi sperimentali si sono avvalsi delle attuali metodiche di visualizzazione in vivo del cervello, che sono la Tomografia ad emissione di positroni (PET) e la risonanza magnetica funzionale (fMRI). Sono stati esaminati gruppi diversi di pazienti, affetti da disturbo ossessivo-compulsivo, da fobia specifica o sociale, ed altri con disturbi depressivi maggiori o schizofrenici. Tra questi studi, Schwartz et al. hanno provato a confrontare l’efficacia dell’approccio psichiatrico attraverso psicofarmaci e la psicoterapia cognitivo-comportamentale, sia sul piano biologico che su quello comportamentale. I ricercatori hanno rilevato che la psicoterapia apporta significativi cambiamenti nell’attività funzionale cerebrale dei pazienti, e tali modificazioni sono strettamente correlate al miglioramento clinico. Tali cambiamenti, inoltre, riguardano l’attività funzionale delle aree, sia corticali sia sottocorticali, implicate nella specifica patologia, e non altre aree. Ma ciò che è veramente suggestivo è che la ricerca ha dimostrato che sia la psicoterapia che il farmaco sono entrambi efficaci nella cura delle diverse patologie psichiatriche, generando entrambe un efficace miglioramento clinico: entrambe le modalità di trattamento modificano l’attività neuronale, spesso delle medesime aree del cervello, ed inducendo anche cambiamenti nella stessa direzione di alcuni parametri biologici. In tutte le psicoterapie risultati migliori si ottengono sempre tanto maggiore è l’alleanza terapeutica o fiducia tra paziente e terapeuta stesso.

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Psicoterapia funzionale: le alterazioni dei meccanismi psicofisiologici

uomo-tristeLa psicoterapia ad indirizzo funzionale si sviluppa negli anni ’80 con le ricerche di Luciano Rispoli, fondatore della Scuola di Napoli, e si sviluppa con presupposti diversi dal primo funzionalismo.

La psicoterapia funzionale affronta la complessità della persona, prendendo in considerazione tutti i fenomeni che la riguardano, sia mentali che corporei. Quello che si ammala non è il corpo o la mente, ma l’intero organismo; non ci sono, quindi, disturbi solo psichici o solo somatici, né possiamo più dire che i disturbi somatici sono il riflesso di problemi e conflitti psichici.

Squilibri, problemi e difficoltà nella vita, e le stesse malattie fisiche e psichiche sono riconducibili tutti ad alterazioni e carenze dei funzionamenti di fondo, vale a dire quei meccanismi psicofisiologici e psicobiologici che sono alla base di comportamenti, pensieri, emozioni, atteggiamenti, gesti e movimenti; funzionamenti studiati e approfonditi dal neo-funzionalismo. Infatti, nella psicoterapia funzionale la diagnosi è la valutazione precisa del funzionamento complessivo del soggetto sui vari piani del Sé e, soprattutto, di come si sono andate conservando o alterando le esperienze di base[6](funzionamenti in età evolutiva) nella vita dei pazienti.

La diagnosi, quindi, non è né sui sintomi né sui comportamenti, ma è sui funzionamenti di fondo[7] del soggetto, calibrata specificamente sulla persona con la sua storia, la sua unicità, la sua configurazione del Sé. Viene esaltata l’unicità del quadro funzionale di ogni singolo individuo e al contempo anche la scientificità della rappresentazione, che permette di paragonare una situazione all’altra, di inquadrare le vicende singolari in una più ampia vicenda generale.

È possibile realizzare diagnosi precoci predittive, poiché si valutano i disfunzionamenti già esistenti prima dell’insorgere di vere e proprie patologie.

In una psicoterapia che integra corpo e mente emergono fenomeni intensi che riguardano vari livelli anche corporei, vengono recuperate sensazioni interne relative ad epoche molto precoci della vita dei pazienti. E questo perché il cambiamento non riguarda solo il cognitivo e le emozioni, ma anche sistemi psicofisiologici e neurobiologici (sistemi integrati).

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Le modalità stesse di intervento, le tecniche utilizzate si rivolgono il più possibile a tutti i piani psico-corporei che costituiscono il Sé (i vari sistemi integrati[8]), perché nel momento in cui si producono disfunzioni, alterazioni, patologie, i vari piani del Sé tengono a disconnettersi tra di loro e a rimanere chiusi in cortocircuiti senza più corrispondere alle condizioni esterne. Posture croniche ripetitive – ad esempio – tensioni muscolari continuativamente elevate, respiro toracico cronico, neurotrasmettitori che tendono alla attivazione anche quando non è necessario, possono essere modificati efficacemente con un intervento diretto non alla sola consapevolezza o al piano emotivo, ma a tutti i piani psico-corporei. La psicoterapia funzionale, dunque, recupera i funzionamenti di fondo che si erano persi o alterati (cioè le esperienze basilari del Sé ostacolate nello sviluppo evolutivo del soggetto).

Il processo in psicoterapia funzionale si sviluppa per fasi sequenziali (seguendo un preciso progetto terapeutico centrato sul paziente), nelle quali si modifica sia la relazione terapeutica stessa sia ciò che accade in terapia.

Per il neo-funzionalismo il processo terapeutico è costituito da una narrazione storica (rappresentata dall’unicità di ciò che accade tra quel paziente e quel terapeuta), e una narrazione scientifica (rappresentata da nodi del processo terapeutico, uguali e regolari in ogni terapia). I cambiamenti non avvengono casualmente ma secondo degli andamenti precisi, determinate leggi, secondo un’evoluzione di tipo modulato.

La terapia funzionale può essere definita “direttiva”, poiché il terapeuta, nelle fasi iniziali, assume totalmente la responsabilità dell’andamento della relazione terapeutica, prende pienamente in carico il paziente, dal momento che questi non conosce i processi terapeutici e non può stabilire quello che è utile e quello che non lo è; e dunque non può che affidarsi. Il paziente deve poter fare il suo “mestiere di paziente”; per cui non si parla più di resistenze ma di ovvie impossibilità a modificare il proprio comportamento su un determinato piano funzionale; è, quindi, il terapeuta che, prendendosi in carica la relazione, deve sapere verso quale direzione ed in che modo portare il paziente a recuperare i funzionamenti carenti superando le impossibilità prima esistenti.

Il terapeuta è un Sé ausiliario che guida il paziente verso una nuova strada con la sua presenza attiva ed il suo supporto, attraverso l’uso della voce, della prossemica e dei movimenti. E’, inoltre, il genitore nuovo, un genitore positivo che, con empatia e vicinanza, incoraggia, stimola e aiuta il paziente ad avere una nuova possibilità, per rivivere positivamente le esperienze di base che hanno subito alterazioni o sono rimaste chiuse nel corso della sua vita.

La psicoterapia funzionale si occupa della salute dell’uomo in tutte le sue sfaccettature, anche nelle complicate malattie psicosomatiche e nei disturbi psichiatrici. Per il funzionalismo, infatti, non c’è la “malattia”, ma esiste un organismo che si altera nei suoi funzionamenti di fondo neuronali, neurovegetativi, neuroendocrini, emotivi, immaginativi, cognitivi, sensoriali, motori, posturali.

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Il peggior tipo di uomo che “ci prova”, secondo le donne

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO AMORE COPPIA SESSO FIDANZATI FIORILi chiamano uomini-cozza o uomini-tellina. Il risultato cambia poco: si tratta dell’uomo che si appiccica alla propria donna senza mollarla nemmeno un istante. Il tipo appiccicoso, per intenderci. Quello che affida tutta la sua arte seduttiva prevalentemente all’eloquio, soprattutto attraverso delle “frasi tipo” che ormai le donne un po’ più sveglie hanno imparato a memoria.

Solitamente racconta fin dai primi approcci tutta la sua vita passata, comprese le vicende legate alle sue ex. Il lato peggiore di questo genere di soggetti è che, di solito, decidono tutto a modo loro senza chiedere mai alla donna cosa pensa o cosa vorrebbe fare. Ovviamente si incolla come una sorta di ventosa e segue la compagna ovunque vada lasciandole poco o nessuno spazio per sé, per le sue faccende o anche solo per un’uscita con le amiche.

L’uomo appiccicoso sa promettere cose che, a conti fatti, nessuno riuscirebbe a mantenere eppure si dilunga nel progettare un futuro improbabile accanto a chi dice di amare. Riempie la sua lei di messaggi, e-mail, telefonate e squilletti per tutto il giorno. A questo punto, signori uomini, se i vostri sistemi di corteggiamento o i vostri comportamenti sono tra quelli appena elencati, sappiate che rientrate a pieno titolo nella tipologia degli “appiccicosi” e sappiate anche che le donne, in generale, vi sopportano pochissimo. Ergo: o cambiate stile ed approccio o dovrete cercarvi una santa disposta a tollerarvi!

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Sesso dopo i 50 anni: come cambia la donna a letto?

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO MAMMA DONNA BAMBINA NATURA RELAX FAVOLA ALLEGRIA FELICITA FAMIGLIA MADRE FIGLIA ALBEROLa passione di una donna non invecchia e la vita sessuale prosegue dopo gli “anta” e dopo uno o più figli. Ovviamente il segreto è accettare i cambiamenti. Secondo studi recenti le donne più attive sessualmente sarebbero proprio le quarantenni e le cinquantenni. Tanto che sono sempre di più le donne di questa età che ricercano partner più giovani, che possano loro garantire appagamento. Una vita sessuale appagante pare sia l’ingrediente fondamentale per tenere alta l’autostima, sentirsi in forma e psicologicamente serene. Non è necessario essere stati grandi amanti nel passato. In questa nuova fase della vita si possono scoprire altre forme di approccio alla sessualità. Il sesso dopo i 50 anni si può assaporare con una nuova intimità che gli impegni passati hanno impedito. La sessualità nella seconda metà della vita poi, aiuta a ritrovare la voglia di vivere e condividere, di amare in maniera più pura, esperta, libera da condizionamenti sociali e familiari. Insomma: il sesso dopo i 50 anni deve essere consapevole.

Accettare il proprio corpo che cambia

Per vivere un sesso appagante dopo i cinquant’anni bisogna adattare le aspettative. È impossibile sperare di avere le stesse prestazioni di un tempo, e non si può pretendere che il nostro corpo sia come quello di vent’anni prima. Fondamentale è sapersi accettare e adattarsi a nuovi stimoli senza paura. La cura di sé è fondamentale e serve a comunicare a se stessi e agli altri amore per la vita.
Non bisogna buttarsi giù e vedere solo difetti, perché la sessualità e la passionalità si basa su un equilibrio tra fattori emotivi e fisici. Bisogna anche cercare di non avere paure ingiustificate che rischiano altrimenti di compromettere il rapporto. In sostanza, non bisogna avere aspettative, ma solo la consapevolezza che nella vita si cambia.

Come cambia la donna dopo i 50 anni?

Quando una donna entra in menopausa, non vive solo cambiamenti fisici, ma soprattutto psicologici. Le loro modalità di espressione (ansia, irritabilità, depressione) causano nella donna un disturbo di identità. Se prima la vita sessuale e sociale era piena e gratificante potrà esserlo ancora. Se il calo degli ormoni e altri fattori causano calo della libido, basta parlarne con il medico che prescriverà rimedi a base di estrogeni. Pelle, lineamenti, capelli: tutto cambia. L’importante è non arrendersi, parlarne con serenità, e accettare il naturale scorrere del tempo con dignità e serenità.

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Autostima: come ritrovarla dopo un fallimento ed avere successo al tentativo successivo

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO UOMO FACCIA BARBA CAPELLI FOLTI OCCHI BELLEZZA PELI FELICE CIELO ALLEGRO CONTENTO FELICITA RELAXQuando si fallisce in qualcosa, a prescindere dal tipo di azione o percorso intrapreso, rimane dentro di te quella sensazione di vuoto, di incompiuto che ti porta a pensare di non aver mai fatto abbastanza, di aver perso, senza possibilità di ripresa. Oggi vedremo come evitare questa emozione, come rialzarsi dopo un fallimento, qualsiasi esso sia.

Reazioni diverse al fallimento

Quando si parla di autostima e fallimento devi venire a patto con una realtà ineluttabile: ognuno di noi è diverso e vi sono migliaia di reazioni diverse rispetto quest’ultimo e altrettante migliaia ripercussioni su ciò che pensiamo di noi stessi. La stessa parola “fallimento” può essere applicata in più situazioni: perdere una partita di calcetto è un fallimento, ma anche non riuscire a superare un concorso importante lo è. Tutto ciò passa attraverso il nostro modo di vedere la vita: chi è più ottimista e nella vita ha “fallito poche volte” si riprenderà subito, i pessimisti e chi ha fallito molte volte avranno periodi “peggiori” e nei casi più estremi non si riprenderanno mai del tutto.

I passi da seguire per riprendersi

Piccolo o grande che sia il fallimento, nella maggioranza dei casi – a meno che il paziente non soffra di particolari patologie come la depressione, ad esempio, dove il caso si complica un po’ – la possibilità di riprendere le redini della propria vita e tornare “a vincere” sono alla portata di tutti. Di solito sono pochi gli step che è necessario intraprendere per riprendersi da un fallimento, ma è assolutamente necessario che questi siano affrontati, uno dopo l’altro e senza remore. Per comprendere che, quando si sbaglia, c’è sempre la possibilità di rimediare, partendo però sempre dall’umile presupposto che non sempre si è capaci di riuscire al meglio in qualsiasi campo della vita. Il “metodo” che voglio suggeriti oggi è ovviamente basato su piccoli passi che devi compiere su te stesso aiutato dal pensiero positivo e dalla tua capacità di analisi di ciò che ti accade.

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1) Prendi un bel respiro. Partiamo dal nostro corpo e più in particolare dal nostro apparato respiratorio: la respirazione è un’arma potente a nostro vantaggio, e non solo perché è capace di calmarci e rilassarci, ma perché contribuisce alla nostra ossigenazione e si sa che un cervello ben ossigenato ragiona meglio. Riflettici, fallire in qualcosa non è la fine del mondo. Prenditi un attimo per pensare, cerca di guardare ciò che è accaduto nella giusta prospettiva. Anche il fallimento è una piccola cosa rispetto al grande quadro della vita.

2) Esprimi ciò che senti. Quando fallisci è normale provare dei sentimenti. La maggior parte delle volte si tratta di sensazioni che fanno male, che corrodono l’animo. Trattenerle non può farti bene. E’ meglio tirar fuori tutto ciò che si prova, dare alla propria mente ed a se stessi lo spazio necessario per trovare il modo di reagire. Nascondere le proprie emozioni non aiuta a mantenere alta la propria autostima, ricordatelo. Possono infatti ripresentarsi quando meno te lo aspetti.

3) Ridefinisci il fallimento. Non prenderlo come tale ma vivilo come un semplice feedback della tua esperienza. In questo modo diventa qualcosa dal quale partire per migliorare e non qualcosa sul quale piangere lacrime amare. Non ha fallito la persona, è il metodo che ha fallito e quest’ultimo si può sempre cambiare.

4) Ricordati che il fallimento è una cosa temporanea. Qualsiasi cosa accada la vita va avanti. Ed il fallimento è solo una minima porzione della stessa. Un piccolo frammento dal quale è necessario riprendersi senza perdere la speranza né la fiducia che si ha in se stessi. Non è l’atto del fallire a dire chi siamo ma la capacità che abbiamo di riprenderci da una delusione o di combattere i fatti avversi della vita.

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5) Ricordati che non puoi sempre fare tutto perfettamente. E’ importante ricordare questo: non siamo perfetti e possiamo sbagliare. Ecco perché fallire può essere contemplato nel quadro generale della vita. Senza farsi troppi problemi ma al contempo impegnandoci a non cadere negli stessi errori.

6) Pensa positivo e ricomincia. Altro punto chiave: tira fuori l’ottimismo che c’è in te e rimettiti al lavoro. Pensare positivo è un toccasana, non dimenticarlo! Tuttavia nel rimettersi al lavoro, per minimizzare il rischio di un nuovo fallimento, la cosa migliore da fare è cambiare il metodo!

7) Cambia metodo. Qualsiasi sia l’azione intrapresa risoltasi in un fallimento, cambiare metodo di messa in pratica è sempre un ottimo mezzo per rialzarsi. Devi chiederti cosa puoi fare di differente rispetto a ciò che hai fatto e guardare a chi ha intrapreso quell’azione prima di te per chiedere consiglio e trovare l’ispirazione.

8)Fai il primo passo per ricominciare. E’ la cosa più difficile da fare, per questo l’abbiamo messo come ultimo punto, ma è di primaria importanza compiere questa azione. E’ contemporaneamente un passaggio e l’obiettivo da raggiungere.

Se credi di avere una bassa autostima ed hai bisogno di supporto, prenota subito la tua visita e, grazie ad una serie di colloqui riservati, riusciremo insieme a risolvere il tuo problema.

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