Le maratone di serie tv peggiorano il sonno e causano insonnia

MEDICINA ONLINE TABLET SMARTPHONE CELLULARE TELEVISIONE SERIE TV NETFLIX MARATONA FILM COMMEDIA DRAMMATICO LETTO DORMIRE DIVANO INSONNIA CERVELLO LUMINOSITAUna ricerca dell’Università di Leuven (Belgio) e di quella Michigan (USA) è arrivata a concludere che guardare in modo compulsivo le serie tv danneggia il sonno, lo rende peggiore come qualità, aumenta il senso di affaticamento e l’insonnia, ciò a causa del senso di allerta cognitiva provocato dalle maratone televisive, al fatto cioè che il cervello rimane attivo troppo a lungo. Per giungere a tali conclusioni i ricercatori hanno preso in esame 423 giovani, di età compresa tra 18 e 25 anni, il 74% per cento dei quali erano studenti. È stato chiesto loro di rispondere a un questionario online, e dai risultati è emerso che oltre l’80% dei partecipanti si sono identificati come spettatori compulsivi di serie tv, con il 20,2% che affermava di esserlo stato almeno un paio di volte alla settimana nel mese precedente.

Stanchezza diurna ed insonnia

Gli amanti delle maratone televisive – specie su smartphone e tablet – hanno riportato più stanchezza durante il giorno e sintomi di insonnia, scarsa qualità del sonno e un maggior senso di allerta prima di andare a dormire. Ulteriori analisi hanno evidenziato che avevano anche un 98% in più di probabilità di avere una qualità del sonno peggiore rispetto a chi la tv la guardava moderatamente. Ai fanatici delle serie, i ricercatori consigliano di ridurrne la visione e di effettuare tecniche di rilassamento per ridurre il senso di allerta del cervello prima di andare a letto. Inoltre suggeriscono che i servizi in streaming come Netflix dovrebbero consentire ai telespettatori di pre-selezionare una durata massima di visione, oltre la quale non andare.

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Black Mirror: trama e spiegazione del finale di Giochi pericolosi (Playtest)

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Se cercate la spiegazione del finale, andate direttamente in fondo all’articolo

Questa terza stagione di Black Mirror, di cui questo episodio è il secondo, prodotta da Netflix risulta indubbiamente più matura rispetto agli inizi, probabilmente grazie alla consapevolezza di aver ormai conquistato una fetta di pubblico decisamente maggiore rispetto a quando fu lanciata. Ma la cosa che mi fa piacere ancor di più questa serie incredibile è che questa consapevolezza non si esplica con il ripetersi, con quell’auto-citazione fine a se stessa che contraddistingue alcune serie e film che sembrano campare di rendita per il solo fatto di avere un nome ormai consolidato; e fortunatamente non si percepisce comunque alcuno sforzo di banalizzazione (leggi “commercializzazione”) mirata a raggiungere a tutti i costi un pubblico tanto ampio. No, al contrario, Black Mirror continua sulla stessa strada ideologica innovando al punto giusto, tirando fuori dal cappello idee nuove come solo la fantascienza più cerebrale e matura riesce a fare, fregandosene di ogni aspettativa, liberandosi da qualunque tipo di ansia di prestazione che può colpire quando si produce il seguito di qualcosa che già prometteva bene.
La sperimentazione è sempre stata una costante di questa serie, e in quest’ultima stagione questo è particolarmente evidente: ogni puntata, infatti, omaggia un genere diverso. In questa seconda puntata, i creatori riescono abilmente a giocare non solo con la fantascienza, che nelle loro mani è come il pongo per un bambino, ma anche con l’horror, fondendo i due aspetti in un inquietante finestra su un futuro decisamente non molto lontano, e sfruttando il potere della paura di raggiungere la parte più primitiva del nostro io. Non a caso, alla regia troviamo Dan Trachtenberg (noto ultimamente per quel piccolo gioiellino di 10 Cloverfield Lane), che dimostra che con il genere ci sa fare, e che, come nel sopracitato seguito di Cloverfield, si destreggia tra i cliché tipici dell’horror con la giusta dose di ironia e ci regala qualche riflessione interessante sul perché siamo così attratti da un genere tanto inquietante.

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Trama senza spoiler

La parte iniziale dell’episodio ci introduce al protagonista, Cooper, in viaggio alla ricerca di sé stesso ed in fuga da un passato con il quale ha un rapporto complesso. A Londra, l’incontro con una ragazza del luogo, Sonja, è la scusa per spiegare allo spettatore i motivi del viaggio e del complicato rapporto con la madre, che continua a chiamarlo inutilmente, essendo Cooper non intenzionato a sentirla fino al ritorno a casa. Quando, finalmente, egli sembra aver completato il suo lungo viaggio attorno al globo e si appresta a tornare, la mancanza di denaro lo spinge a sottoporsi alla sperimentazione pagata di un nuovo gioco, creato da una famosa casa di sviluppo di videogame horror. In linea con il suo atteggiamento, Cooper non ci pensa due volte e pur di ottenere i soldi per tornare si reca al centro di sviluppo del prestigioso brand. Qui lo spettatore comincia ad avere un assaggio di quella che sarà la puntata: paura. Senza voler fare eccessivo spoiler, cominciate a questo punto a porre estrema attenzione a quello che accade dopo l’entrata di Cooper nell’edificio dove avverrà la sperimentazione, anche agli elementi apparentemente secondari.

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Spaventare qualcuno che sa che sta per essere spaventato

Ma se il gioco da testare è horror, in quanto è noto che la casa produca giochi di genere, la domanda che viene da porsi è: come si fa a spaventare qualcuno che sa che sta per essere spaventato? È qui che entra in gioco la sperimentazione: il gioco si installa direttamente nel sistema nervoso, con un semplice chip sul retro del collo. E tramite l’analisi del cervello dell’individuo plasma le sue percezioni audiovisive per spaventarlo, studiando le sue debolezze, le sue paure, le sue conoscenze pregresse e i suoi “scheletri nell’armadio”. Questa è pressappoco la presentazione che il fondatore della “SaitoGemu” fa della sua creazione, mostrandosi entusiasta di aver raggiunto un nuovo livello di intrattenimento, certo che questa nuova tecnologia rivoluzionerà il mondo del gaming. Con queste premesse, la puntata non può che costruirsi in modo intricato (poiché, come vedremo, il fatto di trovarsi in un gioco mentale complica di molto le cose) e inquietante, sfruttando la paura dell’ignoto portata all’ennesima potenza (non è l’ignoto in fondo il fondamento della paura?) tanto da spingere lo spettatore stesso a mettere in dubbio quello che sta vedendo, ben oltre quello che la trama di per sé suggerisce.

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Inganno

È questo uno dei temi fondamentali della puntata: l’inganno, che supera i limiti dello schermo e si instilla direttamente nella testa di chi guarda. È straordinaria la capacità di immedesimare lo spettatore nello stesso inganno in cui si ritrova catapultato Cooper, nonostante il primo sia pronto ad ammettere che la simulazione possa andare ben oltre quello che invece il protagonista crede. Di fatto, quindi, non solo Cooper si autoinganna, ma anche la nostra mente, nel tentativo di giustificare gli eventi mostrati, tende ad ingannarci, portandoci a costruire una serie di scenari per spiegare la situazione: scenari certamente plausibili, così tanto da convincerci di essere esatti. Ma, esattamente come avviene al protagonista, i suddetti scenari si riveleranno poi con tutta probabilità errati, per il semplice motivo che è quello lo scopo del gioco, ed è quello lo scopo della puntata.

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Realtà aumentata

Veniamo quindi al secondo tema che segue logicamente il primo: la potenza della mente. Questa non è l’unica puntata di Black Mirror a sfruttare come pilastro narrativo una realtà simulata a livello percettivo, ma è la prima volta che tale realtà viene ad essere costruita puramente dalla mente di chi la vive. Ecco che una semplice regola forzata all’interno della mente (spaventati!) diventa un’ossessione, e le percezioni vengono plasmate di conseguenza, con una realtà che di fatto non è più possibile definire tale, riaccendendo il dibattito eterno tra realisti e nominalisti (esiste una realtà indipendente dall’uomo?). In questo caso è interessante notare come una volta che il nostro “strumento di analisi percettivo” (la mente) viene impostato su un certo obiettivo, la realtà perde completamente di significato, come avveniva nel film Inception per Mal, che una volta convintasi di star vivendo un sogno, forzava ogni percezione a diventare una prova a favore della sua ossessione. La puntata ci mostra però come una realtà esterna esista e come, anzi, questa abbia un valore importante nel modo in cui il protagonista costruisce la propria esperienza, riconducendo tutto ad un unico elemento, proposto fin dall’inizio dell’episodio, che funge da collante per tutta la storia (per chi non avesse visto l’episodio, quest’ultima affermazione potrebbe sembrare confusa, ma una volta visto diverrà chiaro). Molta della produzione fantascientifica moderna, non a caso, ha concentrato gli sforzi non più su mondi lontani, alieni, navi spaziali o simili, ma sull’individuo, sulle costruzioni mentali e sulle possibilità praticamente illimitate del nostro cervello (a livello di complessità, si paragonano spesso mente e universo, con la prima che spesso sembra detenerne il primato). Allo stesso modo, la scienza stessa, a partire dalla psicoanalisi e dal dibattito sulla conoscenza, ha cominciato sistematicamente a concentrarsi su questo magnifico strumento: nel tentativo di spiegarlo, si continua ad evidenziarne la complessità.

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Basta un particolare anche innocuo, per distruggere tutto

Veniamo dunque alla fine della puntata che, come la serie di ha abituato, lascia un profondo senso di rassegnazione, paura e inquietudine. Ma in che modo siamo guidati fino a queste emozioni? La risposta risiede in quella che potrebbe essere definita “provocazione narrativa”. Quel che accade, ancora una volta, è che nonostante la storia ci inganni in vari modi, l’inganno realmente disturbante è quello che sfrutta le conoscenze pregresse di uno spettatore moderno (esattamente come il gioco sfrutta le conoscenze di Cooper per ingannarlo). Siamo abituati ad associare ad un protagonista ottimista, positivo e allegro dei risvolti che in fine saranno proporzionali al suo carattere. È il ritorno finale alla realtà che scombussola lo spettatore, lo nausea, mostrando un contrasto netto tra il mondo delle costruzioni mentali, in cui tutto deve avere senso, positivo o negativo che sia, e quello della realtà, che non segue alcuno schema e non ha alcuno scopo. Nella realtà “reale” basta un particolare apparentemente innocuo e insignificante per distruggere qualsiasi cosa, anche la nostra stessa vita. La puntata funziona quindi come un’enorme monito sul potere della tecnologia in relazione però a prerogative tutte umane: se questa vuole imporsi come strumento con il quale il sogno dell’uomo dell’onnipotenza può finalmente prendere vita, la realtà sarà sempre un passo avanti, imprevedibile, spietata, e sempre completamente indifferente alla nostra volontà.

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Spiegazione del finale (SPOILER)

I momenti più importanti per capire il finale sono quattro, mentre i colpi di scena sono due:

MOMENTO 1: Cooper è nella stanza bianca del test assieme a Katie, l’assistente afroamericana del direttore Saito. Katie ritira e spegne il cellulare di Cooper. Katie esce un momento dalla stanza e Cooper ne approfitta per sbloccare la rete sul cellulare e scattare e inviare foto a Sonia, ma il ritorno di Katie gli impedisce di rimettere il cellulare in modalità aereo, e riceve l’ennesima chiamata dalla madre, che Katie blocca. Nonostante l’imprevisto, tutto procede bene e la donna gli inserisce dietro il collo un chip di controllo neurale che chiama “fungo”: dopo un primo momento di attivazione, Cooper vede gli ologrammi della talpa ed inizia a giocarci.

MOMENTO 2: Subito dopo il momento 1, Cooper viene portato da Saito e Katie collega il “fungo” di Cooper ad un cavo per qualche secondo, per caricare un “pacchetto di rete neurale”. Finita l’istallazione Katie lo accompagna presso la casa degli orrori.

MOMENTO 3: Cooper all’interno della casa, comincia ad aver davvero troppa paura e chiede di terminare l’esperimento, va nella “stanza di recupero” ed impaurito, tenta di estrarsi il fungo da solo, ma Katie, Saito e due collaboratori intervengono e lo fermano: a quanto pare il fungo ha interagito troppo a fondo con il sistema nervoso di Cooper, facendogli dimenticare il suo passato: Saito, dopo avergli chiesto scusa, ordina ai due assistenti di portarlo via. Cooper urla e si risveglia: è ancora nell’ufficio di Saito, che si scusa sentitamente: forse i parametri erano troppo alti e l’esperimento è durato solo un secondo.

COLPO DI SCENA 1: Arrivati al termine del “momento 3” lo spettatore capisce il “colpo di scena 1”: tutto quello che ha visto tra il momento 2 ed il momento 3 in realtà non è mai esistito, bensì è stato solo il frutto di quel secondo di “iperattività cerebrale” che ha provato Cooper grazie al pacchetto di rete neurale, mentre era seduto nella stanza di Saito. In pratica tutta la fase della casa degli orrori sarebbe solo una specie di “bad trip” causato dai “parametri troppo alti”. Lo spettatore è così rassicurato: Cooper sta bene e lo vede tornare a casa. Tutti vissero felici e contenti? Non proprio.

MOMENTO 4: Cooper tornato a casa, incontra la madre in lacrime in stato apparentemente confusionale, che non lo riconosce e gli dice che deve chiamare suo figlio per sapere come sta. La madre compone il numero e… Cooper nuovamente si risveglia nel momento in cui la madre lo aveva chiamato al suo incontro con Katie e muore in preda agli spasmi.

COLPO DI SCENA 2: Al termine del momento 4 il corpo di Cooper viene portato via. Lo spettatore capisce quindi che tutto quello che è successo tra il momento 2 ed il momento 4, in realtà non è esistito se non nella mente di Cooper: è stato tutto un enorme “bad trip” causato dall’interferenza della chiamata ricevuta sul cellulare che sarebbe dovuto essere spento. Questo bad trip include quindi buona parte della puntata: Cooper non è mai stato davvero nella casa degli orrori, non è mai stato seduto nella stanza di Saito, non ha mai subito l’istallazione del “pacchetto di rete neurale” e nemmeno ha mai giocato con le talpe virtuali. Tutto questo, come anche il colpo di scena 1, col protagonista che torna a casa, è stato solo immaginato da Cooper in quegli 0.04 secondi che sono stati la durata reale dell’esperimento.

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Riflessioni sul finale

Lo spunto di riflessione principale è dato dal fatto che la fine definitiva del gioco è dettata dal non rispetto di una regola che vietava l’utilizzo del cellulare durante la fase di beta testing, cellulare utilizzato al fine di raccogliere prove sulla nuova tecnologia da vendere alla stampa di settore. Un po’ come quando sull’aereo ti dicono di spegnere il cellulare ma tu lo vuoi lasciare acceso. La fatalità della chiamata ricevuta dalla madre nel momento più sbagliato possibile, a sua volta conseguenza proprio dell’irrisolutezza da parte di Cooper nell’affrontare la propria paura di riallacciare i rapporti con lei, contribuisce a chiudere il cerchio, nel momento in cui scopriamo che quasi tutto l’episodio è avvenuto – esclusivamente all’interno della mente iperstimolata del protagonista – nell’intervallo di 0,04 secondi, il tempo impiegato da Cooper per dire “Mamma”.

L’intero episodio si rivela, solo a questo punto, un excursus delle paure irrisolte del protagonista, un viaggio sempre più in profondità nella sua mente e nelle sue paure: la paura di rimanere solo, la paura di non ricordare, la paura del lutto familiare e la conseguente difficoltà di riallacciare un legame con i propri affetti rimasti, tutte terribilmente vissute in forma “reale” dal protagonista all’interno della propria mente.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
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La scoperta (2017): trama, recensione e spiegazione del film

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Probabilmente è ancora presto per parlare di un vero e proprio “filone”, ma è indubbio che ultimamente la fantascienza indie americana sia caratterizzata da precise idee ricorrenti e da una matrice comune, che restituisce alla science fiction la sua dimensione più psicologica e anti-spettacolare: un assunto speculativo di natura fantascientifica genera un dramma, e questo avviene perché tale assunto rispecchia ansie e timori del nostro presente. Questo film conferma l’interesse di Netflix per queste tendenze off-Hollywood, e incarna molti tòpoi della sci-fi indipendente americana, a partire dall’ossessione di indagare il sovrasensibile – ed eventualmente giustificarlo – attraverso la scienza. Lo abbiamo già visto nell’interessante “I, Origins” e nella serie The OA, ma qui il discorso si fa ancor più radicale.

Trama senza spoiler

Al centro della trama c’è lo scienziato Thomas Harbor (un Robert Redford ancora in forma), che dimostra l’esistenza dell’aldilà grazie a una macchina che cattura la lunghezza delle onde cerebrali a livello subatomico, osservandone l’abbandono del corpo durante la morte. Oltre la vita ci sarebbe quindi un altro piano dell’esistenza (il paradiso?) e questa consapevolezza scatena un’ondata di suicidi da parte di uomini e donne che non vedono l’ora di raggiungere questo secondo livello di esistenza. Addirittura una malattia terminale diventa una buona notizia, perché l’aldilà ci attende dopo il nostro ultimo battito cardiaco. Il figlio maggiore di Thomas, il neurochirurgo Will (Jason Segel), non approva gli studi del genitore, che nel frattempo ha fondato un istituto per accogliere ed assistere gli aspiranti suicidi. Will, in visita da suo padre e da suo fratello Toby (Jesse Plemons), s’imbatte nella tormentata Isla (Rooney Mara), e la salva da un tentato suicidio nelle acque dell’oceano. Fra di loro nasce una complessa storia d’amore, mentre Thomas sperimenta un dispositivo che registra l’esperienza dei defunti nell’aldilà, e dovrebbe quindi mostrare ciò che vedono dopo la morte. Quello che il dispositivo permetterà di vedere, lascerà il neurochirurgo senza parole.

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Fantascienza, non religione

Il paradosso di esplorare l’ultraterreno con metodi scientifici può sembrare moralmente ambiguo (quante volte la pseudo-scienza ha tentato di giustificare antiche superstizioni?), ma il regista Charlie McDowell e il co-sceneggiatore Justin Lader hanno l’accortezza – dal mio punto di vista quasi essenziale in un film di questo tipo – di escludere ogni sfumatura divina, affidandosi esclusivamente alle speculazioni della scienza/fantascienza: non si parla infatti di un aldilà religioso, ma di un secondo livello di percezione delle cose da parte del nostro sistema nervoso. Niente angeli, luci in fondo al tunnel o santi ad aspettarci dall’altra parte, ma solo un secondo piano di realtà…

ATTENZIONE SPOILER

…una realtà alternativa che gioca con il concetto dei loop temporali e con le infinite diramazioni dei mondi paralleli. Il film ci dice che nel cosiddetto “paradiso” ogni individuo genera, laicamente, il proprio aldilà, basato sui rimpianti della sua vita passata e sul desiderio che ognuno ha, di poter correggere gli errori fatti in vita. L’idea è molto incisiva, anche perché insiste su risvolti fantascientifici più che sovrannaturali, senza propinarci una razionalizzazione di principi religiosi preesistenti.

FINE SPOILER

L’approccio intimista e le implicazioni romantiche, tipici di molta sci-fi indipendente, focalizzano l’attenzione sulla vicenda privata più che sullo scenario globale, mediamente trascurato se si escludono gli sporadici accenni ai suicidi di massa. Certo, rispetto al precedente “The One I Love” manca l’analisi entomologica del rapporto amoroso, qui ritratto senza particolari giustificazioni, soprattutto se consideriamo l’atteggiamento contraddittorio di Isla. Anche diversi snodi narrativi appaiono inverosimili, eppure il finale riesce a giustificarne l’assurdità per mezzo di un “ribaltamento” piuttosto canonico, seppure inaspettato: la sovrapposizione di piani alternativi stravolge il punto di vista sulla vicenda, ma risulta un po’ frettoloso e didascalico, relegato ai minuti conclusivi senza il supporto di un climax adeguato. È qui che “La scoperta” rivela il suo lato più fragile: McDowell sembra compiacersi dei principali cliché del cinema indie, e li nutre con dialoghi sussurrati, tecnologia retro-futuristica e un personaggio femminile che risponde a tutti i requisiti della categoria, con la sua personalità sfuggente e provocatoria. La rappresentazione dei tòpoi in una realtà parallela potrebbe denudarne l’artificiosità, ma questa lettura metanarrativa non regge alla prova dell’epilogo, dove il regista prende chiaramente sul serio gli strascichi emotivi della storia. Così, persino il brusco taglio di montaggio sul nero dei titoli di coda (altrove molto suggestivo: si pensi a Donnie Darko), appare qui un semplice manierismo, sin troppo prevedibile per coinvolgere davvero. Restano l’ottima idea del ragionare su quello che accadrebbe scoprendo con sicurezza che la morte non è la fine, e la sobrietà della messinscena, tutta concepita per sottrazione, ma l’impressione di assistere a un bigino della fantascienza indie è piuttosto forte. A conti fatti però a me è piaciuto, da vedere almeno una volta (o anche due per capirlo meglio!) specie se siete appassionati di fantascienza umana, quella senza esplosioni o alieni che invadono la terra, ma con una sfumatura di mondi paralleli per certi versi in stile “Moon“, che in un film di fantascienza non è mai fuori posto.

Spiegazione del finale (ovviamente spoiler)

Il protagonista, il neurologo Will, è già morto quando la storia inizia. Tutto quello che accade durante la narrazione del film non è reale, bensì è semplicemente una delle molte realtà alternative in cui è entrata la mente di Will dopo la sua morte.

La vita è un sogno dal quale ci si sveglia morendo

Virginia Woolf

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Enter the Void (2009): trama, recensione e spiegazione del finale

MEDICINA ONLINE ENTER THE VOID 2009 GASPAR NOE TRAMA RECENSIONE SPIEGAZIONE FINALE PAZ DE LA HUERTA BROWN.jpgUn film di Gaspar Noé. Con Nathaniel Brown, Paz de la Huerta, Cyril Roy, Olly Alexander, Masato Tanno. Drammatico, durata 154 min. – Francia, Germania, Italia 2009

Trama
Oscar e la sorella Linda, orfani di padre e madre vivono da qualche tempo in un micro-appartamento a Tokyo e tirano avanti spacciando droga lui, e ballando in uno strip club lei. La loro situazione sembra alquanto problematica ma ciò che davvero conta è di esserci l’uno per l’altra. La sorte dei due ragazzi verrà stravolta una notte, quando carico di droga da smerciare, Oscar viene attirato per vendetta in un’imboscata ed ucciso da agenti di polizia dal grilletto troppo facile. Benché il trip surrealistico fosse già cominciato precedentemente, a causa dello sballo del protagonista fin dall’inizio del film, il vero viaggio australe inizia solo ora, cioè quando l’anima (o qualunque cosa sia) di Oscar si stacca dalle sue spoglie mortali e comincia a fluttuare per una sempre più vacua ed eterea Tokyo, così tramite lo sguardo onnipresente di questa entità, continuiamo a seguire le vicende degli altri personaggi, in particolare della sorella Linda.

Il balcone, stacci lontano. Tieni gli occhi aperti. Mi sta scoppiando la testa

Recensione
Rare volte nella storia del cinema si sono visti film talmente all’avanguardia e tanto coraggiosi da lasciare gli spettatori sbigottiti e deliziosamente confusi. Ebbene, anche se non raggiunge la grandezza delle opere più visionarie di Kubrick o Lynch, Enter the Void dell’argentino Gaspar Noé merita senza dubbio un posticino tra le avanguardie più coraggiose, perché di coraggio, questa pellicola, ne ha davvero da vendere. Quasi due ore e mezza per la maggior parte raccontate in modalità prima persona, al fine di far immedesimare lo spettatore con il protagonista Oscar, da quando vede i genitori mentre fanno sesso fino a quando vola dentro e fuori l’hotel “Love” (chiamato come uno dei successivi film di Noé).
Oscar lo vedremo in faccia pressoché unicamente quando si trova di fronte allo specchio, le altre volte o vediamo attraverso i suoi occhi o osserveremo la sua nuca. Ma questa non è certo la caratteristica più fulminante del film, ciò che veramente lascia senza parole è l’enorme lavoro artistico di tinte, colori, neon, riflessi e radiazioni luminose al limite dell’attacco epilettico che sommergono e stordiscono senza scampo lo spettatore per l’intera durata della vicenda, creando un vero e proprio viaggio sensoriale onirico eppure realistico, tra sesso esplicito, pianti di bambini disperati ricoperti dal sangue dei propri genitori e colori resi vividi dalle droghe. Impressionanti le inquadrature dall’alto, sia sulla città ipercromatica, che negli interni. Impressionante vedere la scena della “propria” morte e vedere il sangue che ci esce dal petto, mentre ci accasciamo in bagno e la nostra voce si fa sempre meno nitida. Impressionante vedere il frutto dell’aborto di Linda, e lo dico da medico. Impressionante l’ultima scena, in cui vediamo il mondo con gli occhi di un neonato. Emozionante, per il sottoscritto, sentire il “proprio” battito del cuore accelerato, fondersi con quello più lento di mia madre.

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Il libro tibetano dei morti
Il contenuto di Enter the Void non è affatto da prendere alla leggera, ciò di cui tratta, ciò a cui assisteremo durante la visione, viene esplicato in modo semplicemente geniale nei primi dieci minuti del film quando Alex, amico di Oscar, discute con lui del libro ‘The Tibetan Book of the Dead’, ovvero “Bardo Tödröl Chenmo” nel quale si parla del viaggio dell’anima dopo la morte. Oltre che una splendida esperienza surreale ed un tentativo di rappresentare ciò che avviene nell’aldilà, Enter the Void è anche un profondo ed appassionante dramma con al centro l’indissolubile legame dell’amore fraterno – diviso, poi ritrovato, poi di nuovo diviso – cullato dalle soavi note di un azzeccatissimo Bach, a volte modulato ottimamente. Un amore fraterno, velatamente incestuoso, che però fatalmente manca nella notte della morte di Oscar, perché Linda non risponde subito al telefono: in quel momento sta facendo sesso con il proprio capo, lo stesso capo che la farà in seguito abortire. Questo è un film sulle droghe usate “quasi come vitamine”, sul legame tra fratello e sorella, sull’amore. Ma più di ogni altra cosa, è un film sulla morte e su quello che potrebbe succedere a noi ed alla nostra coscienza, subito dopo l’ultimo respiro, nella nostra dimensione extracorporea. Stroncato da alcuni critici che – secondo il sottoscritto – dovrebbero davvero cambiare lavoro, io ve lo consiglio, ma solo se avete il coraggio di vedere qualcosa di diverso dal solito e siete pronti ad “entrare nel vuoto“, in una storia dove passato e presente si mischiano in modo destabilizzante.

Spiegazione del finale
Oscar, dopo la sua morte, nel finale vede Alex e Linda (sua sorella ed il suo amico), che hanno un rapporto sessuale che culmina in una gravidanza e nella nascita di un bimbo. Quel bimbo, i cui primi attimi di vita li viviamo in prima persona, è lo stesso Oscar che si è reincarnato in suo nipote.

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Resident Evil (2002): trama e recensione del film

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma RESIDENT EVILTRAMA RECENSIONE FILM Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgResident Evil, un film di Paul W.S.Anderson. Con Milla Jovovich, Michelle Rodriguez, Eric Mabius, James Purefoy, Martin Crewes. Fantascienza, durata 100 min. – Gran Bretagna, Germania, Francia 2002.

Trama senza spoiler
Qualcosa di tremendo si nasconde all’interno dell’Alveare, vasto e supertecnologico laboratorio sotterraneo gestito dalla multinazionale “Umbrella Corporation”. Qualcuno ha introdotto al suo interno un virus micidiale che ha indotto la Regina Rossa – supercomputer che controlla l’intera struttura – a sigillare l’intera area, intrappolando fatalmente al suo interno tecnici e ricercatori. Una squadra di militari viene inviata sul posto a ricostruire l’accaduto: scoprirà presto cosa sia successo e quale tremenda sorte sia toccata a tutto il personale dell’Alveare.

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Trama e recensione CON SPOILER
XXI secolo, Racoon City è uno dei tanti centri urbani tranquilli d’America, con bella gente e paesaggi carini, la città ideale per impiantare il nucleo di una delle più grandi multinazionali del mondo, l’Umbrella Corporation. Si tratta di una mastodontica potenza commerciale degli Stati Uniti, nove case su dieci utilizzano i suoi prodotti, la sua influenza politica e finanziaria si fa sentire ovunque. Ufficialmente l’Umbrella è il maggior fornitore di tecnologia per computer e di prodotti medici e sanitari, ma – all’insaputa dei suoi stessi impiegati – i suoi profitti più consistenti derivano da tecnologia militare, sperimentazione genetica e armi batteriologiche.
L’Alveare, il loro laboratorio top secret, è situato ad una notevole profondità sotto le strade di Racoon City ed ospita più di 500 dipendenti che studiano, lavorano e vivono sotto terra. Qui è stato dato alla luce il “Virus T”, un potente micro organismo in grado di rigenerare le cellule morte. A protezione di tutto questo c’è “la Regina Rossa”, il top dell’intelligenza artificiale, un computer che controlla tutto e tutti.
Quando una delle provette del virus viene rotta, dando il via alla sua diffusione per tutto l’Alveare, l’intervento della Regina Rossa è immediato: la versione “bambina” di HAL 9000 sigilla tutto il laboratorio e, senza farsi troppi scrupoli, stermina con il gas ed altre trappole qualsiasi essere vivente potenzialmente contaminato dal Virus T (cioè tutti i presenti nell’Alveare), questo perché la sua priorità è di evitare che il virus arrivi in superficie.
L’Umbrella decide di intervenire, mandando sul luogo del disastro un Team di soldati specializzati che però, a loro spese, saranno i primi testimoni dell’efficacia del Virus T: gli ex dipendenti dell’Umbrella, uccisi dal gas della Regina Rossa, resusciteranno diventando dei veri e propri zombie, molto difficili da uccidere. Nel corso del film, dove non mancano colpi di scena, si scoprirà chi e perché ha diffuso il Virus T. Questa è in sostanza la trama del film basato sull’omonimo e famosissimo videogame della Capcom e possiamo proprio considerarlo un tributo a tutti gli appassionati della versione videoludica.

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Differenze con il videogioco
Il film, affidato a Paul W.S. Anderson, già autore di pellicole come “Mortal Kombat” e “Alien vs Predator”, si discosta parecchio dalla storia e dai personaggi del primo capitolo del videogioco, ma riprende alcuni caratteri del secondo capitolo, come il famoso essere senza pelle e i “dolcissimi” dobermann con la carne a brandelli che tanto hanno tormentato i miei incubi da adolescente.
Potremmo quasi considerare questo “Resident Evil” cinematografico come una sorta di prequel della versione ludica. I personaggi, come già accennato, sono tutti diversi rispetto al videogame, introducendo così il fattore imprevedibilità da parte del regista. Buona la scelta della protagonista, la bellissima Milla Jovovich nella parte di Alice, accompagnata da un bravissimo Eric Mabius (Matt). Il film si svolge interamente sotto terra e non ci sono i famosi enigmi da decifrare come nel gioco. Questa mancanza è comunque compensata da dosi massicce di azione: il ritmo è incalzante sin dalla prima scena, aiutato anche da una colonna sonora grandiosa, che vede in prima linea Marilyn Manson.

Il ritorno degli zombie
Il merito del regista sta nel aver dato nuova linfa vitale al tema degli zombie che, abbandonati i buffi e statici movimenti che li hanno caratterizzati dagli anni ’70 a oggi, in “Resident Evil” si muovono come se seguissero una coreografia (da notare lo zombie con il camice e l’ascia in mano) e si rivelano molto reattivi al momento dell’attacco. La pellicola è conosciuta anche con altri titoli: Resident Evil 1, Resident Evil: Ground Zero, e Resident Evil: Genesis. Il film ha cinque seguiti: Resident Evil: Apocalypse, uscito il 10 settembre 2004, Resident Evil: Extinction, uscito il 12 ottobre 2007, Resident Evil: Afterlife, uscito nelle sale italiane il 10 settembre 2010 e Resident Evil: Retribution, uscito il 28 settembre 2012. Il sesto e ultimo capitolo è Resident Evil: The Final Chapter, uscito nel 2017.
I difetti di questa pellicola sono pochi, forse il regista in alcuni momenti avrebbe potuto impegnarsi di più e avere meno fretta nel girare alcune scene, mentre ogni tanto affiora un piccolo errore dovuto alla fase di montaggio.
Si tratta insomma di un action-horror a tutti gli effetti: la tensione c’è, la paura pure. Lo spettatore normale non rimarrà tranquillo, perché almeno una volta sobbalzerà dalla poltrona, lo spettatore che conosce il gioco rimarrà forse deluso da alcuni lati del film, ma non potrà non riallacciarsi al videogame, finendo per credere di avere in mano il Joypad anziché i pop-corn. Il film, pur arricchito da un paio di colpi di scena interessanti, ha un canovaccio collaudato, già visto in molti film del genere, come ad esempio Aliens – Scontro finale del 1986 diretto da James Cameron: una squadra di militari armati fino ai denti, con a seguito una superdonna come protagonista, che giunge in un posto “infetto” per risolvere i problemi (c’è anche la donna “maschiaccio” latina armata fino ai denti in entrambi i film!).
Questo primo capitolo della saga cinematografica di Resident evil ha incassato in tutto il mondo 102,400,000 dollari riscuotendo un grande successo al botteghino. Un film che piacerà ovviamente soprattutto agli appassionati di fantascienza, azione ed horror, con qualche scena splatter memorabile, come quella del laser che fa letteralmente a pezzi parte del gruppo di militari nel corridoio che porta alla stanza del supercomputer.

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Grey’s Anatomy: tutte le curiosità sulla serie e sugli attori

MEDICINA ONLINE grey's anatomy CAST SEASON LAST STREAMING ACTORS ATTORI PERSONAGGI STAGIONE FILM PROTAGONISTI OSPEDALE MEDICI SERIE TV TELEVISIONE PC COMPUTER.jpgInizialmente la serie doveva intitolarsi “Complications”Shonda Rhimes, autrice ed inventrice della serie, era ossessionata dal seguire in tv i programmi medici su Discovery Channel. Da lì è nata l’idea per Grey’s Anatomy e la scintilla, vuole leggenda, fu dopo che un medico le disse quanto fosse difficile radersi in una doccia di ospedale. Nonostante fosse di Chicago, decise di far spostare la città di ambientazione della serie a Seattle per non assomigliare troppo ad un’altra serie medicale di Chicago: E.R. Medici in prima linea.
Tutte le storie prendono spunto da eventi reali, presi da riviste mediche. Nel corso del tempo, gli stessi spettatori hanno segnalato storie mediche che gli autori visionano e selezionano per la serie.

Quando gli attori del cast devono mettere in scena un’operazione chirurgica, sono obbligati a studiare svariati manuali sulle procedure specifiche per cercare di riprodurle più fedelmente sul set. Tra gli organi che si vedono durante le operazioni, alcuni sono reali: ma sono di mucca.

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Curiosità sul cast e sugli attori (attenzione, spoiler!)

Ellen Pompeo, l’attrice che impersona Meredith Grey, voleva recitare per una serie diversa (Secret Service, scritta da Bob Orci e Alex Kurtzman per la ABC), ma fu rifiutata. Grazie a questo si rese disponibile per diventare la protagonista della serie medica più famosa della storia. L’attrice Pompeo rimase incinta durante la sesta stagione ma gli autori, anzichè mettere anche Meredith in gravidanza, svilupparono il capitolo in cui lei dona parte del fegato al padre separato Thatcher: in questo modo l’attrice potè recitare comodamente nel letto per il resto della serie. Viceversa, durante la stagione 10 il personaggio April Kepner resta incinta: due mesi la stessa attrice Sarah Drew ha annunciato di essere incinta nella vita reale.

Sandra Oh, l’attrice che impersona il chirurgo Cristina Yang, aveva sostenuto il provino per il ruolo della Bailey, ma fu lei ad insistere per avere il suo ruolo storico, che sentiva più vicino a se. Fu la stessa attrice ad avere l’idea di far avere un esaurimento nervoso al personaggio Cristina, e la Rhimes scrisse di conseguenza il capitolo in cui perde il bambino e non riesce a smettere di piangere nel letto d’ospedale. Quando Cristina scopre che il suo fidanzato Owenle ha mentito, gli lancia in faccia una ciotola di latte con cereali. Ma durante le riprese, causa scarsa mira dell’attrice, la scena si è dovuta ripetere 3 volte, con l’attore letteralmente coperto di latte. McKidd, come indica il cognome, è scozzese. Nella serie in lingua originale si sente il suo accento.

Il personaggio Arizona doveva inizialmente “durare” solo 3 episodi. L’attrice Jessica Capshaw fu prima considerata per il ruolo di un’amante di Derek Shepard, poi come amica “pazza” di Meredith, e infine per il ruolo di Arizona Robbins.
Quando Arizona perde la gamba, per rendere più verosimile la camminata l’attrice Capshaw si mette una protesi e ci cammina, con la sua gamba legata dietro, arto che verrà poi cancellato durante il montaggio digitale.

Il personaggio Miranda Bailey, nell’idea iniziale era l’unico con descrizione fisica precisa: “minuscola, bionda, riccia” (descrizione che ricordava la madre dell’autrice). Ma quando la Rihmes fece l’audizione a Chandra Wilson si convinse che era perfetta per quel ruolo.

Durante il primo provino di fronte all’autrice della serie, Patrick Dempsey era terrificato dalla sua espressione “glaciale”, che non lasciava presagire una promozione. In realtà la Rhimes era già concentrata ad immaginare nuovi dialoghi e nuovi sviluppi della serie perchè aveva trovato il suo attore ideale. Fino alla fine della prima serie, Patrick Dempsey non sapeva che il suo personaggio (Derek) fosse sposato. Anche Meredith (Ellen Pompeo) l’ha saputo solo mentre venivano girate le scene finali della prima stagione.

James Pickens Jr. (personaggio Dr. Richard Webber) ottenne la parte appena iniziato il provino: lesse le prime frasi del copione, gli fu subito chiesto di fermarsi e di uscire un attimo. Appena rientrato, gli venne offerta la parte.

L’attore Jesse Williams, prima di essere chiamato ad impersonificare il Dr. Jackson Avery, era un insegnante.

Quando il personaggio Lexie resta uccisa nell’incidente aereo della stagione 8, l’attrice Leigh è rimasta per circa 2 giorni sotto un rottame di aereo per girare la scena.

Il personaggio Alex Karev (Justin Chambers) non era previsto durante le prime riprese, e fu aggiunto dopo. Tutte le sue scene sono state aggiunte digitalmente all’episodio.

Tutti i personaggi principali della serie, prima o poi, sono finiti all’ospedale come pazienti. Ma non tutti si salvano…

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Datemi pure del populista, ma non riesco a non pensare a queste domande.

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo

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