Il disturbo ossessivo compulsivo omosessuale (anche chiamato “DOC omosessuale” o “DOC omosex“ è un raro tipo di disturbo ossessivo-compulsivo che si manifesta con pensieri ossessivi inerenti la propria sessualità. Le persone con DOC omosessuale hanno pensieri ricorrenti e intrusivi (ossessioni) sulla possibilità di essere o di diventare omosessuali, nonostante riferiscano di Continua a leggere
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Disturbo ossessivo-compulsivo di personalità: cause, sintomi, diagnosi, terapie, farmaci
Il disturbo ossessivo-compulsivo di personalità (da cui l’acronimo DOCP), in inglese “Obsessive–compulsive personality disorder” (da cui l’acronimo OCPD) è un disturbo di personalità caratterizzato da: preoccupazione per l’ordine e Continua a leggere
Terapia dell’esposizione narrativa: rievocare la propria esperienza traumatica per superarla
La terapia dell’esposizione narrativa (in inglese “Narrative Exposure Therapy” da cui l’acronimo “NET“) è una terapia a breve termine per individui che soffrono del disturbo post-traumatico da stress. Il trattamento prevede l’esposizione emotiva ai Continua a leggere
Terapia espositiva: essere esposti alla propria fobia per superarla
La terapia espositiva (o “tecnica espositiva“) in medicina e psicologia è uno degli strumenti usati nel trattamento di varie condizioni e patologie come le fobie ed il Continua a leggere
Agorafobia: test, conseguenze, rischi, terapia espositiva, psicoterapia e farmaci
Con “agorafobia” (pronuncia “agorafobìa”, con l’accento sulla “i”) in psicologia e medicina si indica la sensazione di paura o grave disagio che un soggetto prova quando si Continua a leggere
Agorafobia: diffusione, sinonimi, cause, sintomi, caratteristiche e diagnosi
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Medicina Narrativa: cos’è, a cosa serve, quando si usa?
Negli ultimi anni ho imparato a curare molti miei pazienti – affetti da disturbi d’ansia e da dipendenze – senza l’ausilio farmacologico, dal momento che la maggior parte dei farmaci usati in questi casi crea dipendenza e tende a dare un sollievo soltanto temporaneo al paziente, facendolo ripiombare nel baratro al termine dell’assunzione. La potente arma che mi ha permesso in tanti anni di curare i problemi psicologici di molti miei pazienti senza l’ausilio farmacologico è una branca della medicina che studio ed applico da molti anni ma ancora poco nota in Italia, anche se già molto conosciuta negli Stati Uniti: la Medicina Narrativa.
Cos’è la Medicina Narrativa”?
Con “Medicina Narrativa” (in inglese “Narrative Medicine”) si intende una metodologia d’intervento clinico-assistenziale basata sulla narrazione – da parte del paziente – delle problematiche alla base della malattia stessa o del trauma che ha subito. Tale narrazione permette la costruzione condivisa di un percorso di cura personalizzato. La narrazione del paziente e di chi se ne prende cura è un elemento imprescindibile della medicina contemporanea, fondata sulla partecipazione attiva dei pazienti: le persone, attraverso le loro storie, diventano loro stesse protagoniste del loro processo di cura.
Dal “curare” a “prendersi cura” del paziente
I traumi e le malattie sono ciò che vive e racconta il paziente, non soltanto segni, sintomi, radiografie e numeri di laboratorio. Ogni caso ha la sua storia: narrarla è terapeutico per il paziente, ascoltarla significa – per il medico – passare dal curare al prendersi cura della persona sofferente. La medicina narrativa è nata per valorizzare il vissuto dei malati e dei traumatizzati, non considerando più la patologia o il trauma un semplice fatto biomedico. Il paziente non è più “un numero a cui dare farmaci”, ma diventa una persona con un vissuto che va ascoltata e capita, ed una persona ascoltata e capita ha molte più possibilità di guarire, specie quando la patologia ha una forte componente psicologica ed emotiva.
Quali sono le metodologie utilizzate?
Il mio personale approccio medico-narrativo fa riferimento a differenti metodologie analitiche, diagnostiche e terapeutiche derivanti da diversi ambiti disciplinari:
- Narratologico (letteratura)
- Fenomenologico-ermeneutico (filosofia)
- Psicoterapeutico (psicologia)
- Psicopedagogico (scienze umane)
- Neurologico-psichiatrico (medicina)
- Socio-antropologico (scienze sociali)
Come si svolge una terapia in Medicina Narrativa?
Una terapia che usi il mio approccio medico-narrativo, si svolge tipicamente con una serie di colloqui, solitamente uno a settimana, in cui si lascia libero il paziente di spiegare il proprio problema e le modalità che lo hanno portato ad averlo. Io medico ho il ruolo di contenere la dimensione del racconto, finalizzandolo ad un risvolto operativo nelle cure, senza però mai forzare il paziente, bensì aiutando quest’ultimo – tramite opportune domande – ad arrivare al nucleo del problema ed affrontarlo. Seduta dopo seduta il paziente riuscirà quindi a capire quali sono i nodi fondamentali che lo hanno portato ad avere il suo problema o la sua dipendenza e gli permetterà di affrontarlo, con il mio aiuto.
Per quali patologie si usa l’approccio medico-narrativo?
Questo tipo di approccio medico può essere usato per molte condizioni e patologie in cui è presente una importante componente emotiva e psicologica, come ad esempio: disturbi del comportamento alimentare (come anoressia nervosa e bulimia), elaborazione del lutto, vigoressia, disturbi di personalità, anaffettività, depressione, dipendenza affettiva, sindrome da abbandono, malattie terminali, bassa autostima, mental couching, crescita sociale, professionale e sportiva, sindrome di hikikomori, dipendenze da sostanze (alcol, fumo, droghe), dipendenze comportamentali (in particolare gioco d’azzardo patologico, shopping compulsivo e masturbazione compulsiva), superare una delusione amorosa, aborto spontaneo, paraplegia e tetraplegia, malattie neurodegenerative, sindrome del cuore infranto e dipendenza da pornografia. Ad ogni modo l’approccio medico-narrativo non solo è utile per affrontare in modo migliore condizioni e patologie di interesse psicologico e psichiatrico, ma migliora le possibilità di cura e la qualità della vita del paziente in virtualmente qualsiasi malattia esistente.
Ascoltare la storia di malattia non è solo un atto terapeutico, ma è dare dignità alla voce del malato.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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Paura dei luoghi chiusi e claustrofobia: cos’è e come si cura
La claustrofobia (dal latino claustrum, “luogo chiuso” e dal greco φόβος, phobos, “fobia”) è la paura di luoghi chiusi e ristretti come camerini, ascensori, sotterranei, metropolitane, strumenti per eseguire risonanze magnetiche e di tutti i luoghi angusti in cui il soggetto si ritiene accerchiato e privo di libertà spaziale attorno a sé. Oltre alle classiche manovre di fuga di fronte alla situazione fobica (letteralmente il soggetto si allontana con rapidità dal luogo ristretto, il claustrofobico cerca di fronte alle altre persone delle giustificazioni apparentemente logiche che spieghino il motivo di una scelta che altri possono considerare poco usuale: ad esempio il claustrofobico evita l’ascensore e preferisce salire le scale (anche se deve fare molti piani!) dicendo agli altri che così può fare un po’ di moto.
La claustrofobia è una delle fobie specifiche: le persone che ne soffrono manifestano una sensazione di malessere generale che risveglia paure archetipe (solitudine, vuoto, impotenza) e si può manifestare con attacchi di panico, senso di oppressione, difficoltà di respirazione, iperventilazione, sudorazione e nausea.
Claustrofobia e agorafobia
Nella claustrofobia il soggetto ha paura dei posti chiusi mentre nell’agorafobia – semplificando – ha invece paura degli spazi aperti. La claustrofobia è generalmente considerata in “antitesi” all’agorafobia, con la quale condivide i sintomi generali anche se motivati da diverse basi di partenza (l’agorafobico infatti teme di non essere soccorso in caso di panico e cerca la presenza di altri), con differenze anche di personalità di individui: il claustrofobico è infatti di norma autonomo, anche se imposta il suo stile di vita cercando di evitare le situazioni di accerchiamento e chiusura. Tuttavia, in molti casi, la presenza di legami relazionali troppo opprimenti potrebbe essere un’altra causa scatenante della claustrofobia e il soggetto potrebbe cercare una sua maggiore libertà evitando così la relazione con l’altro.
Trattamento
La terapia prevede:
- la terapia espositiva;
- la psicoterapia;
- l’uso di psicofarmaci.
Se non vi sono altri disturbi psicologici, il trattamento della claustrofobia è di norma un percorso che si basa su un approccio cognitivo-comportamentista con terapia espositiva, associato o meno ai farmaci.
Terapia espositiva
La terapia espositiva “costringe” il paziente ad affrontare la situazione (o le situazioni) che gli genera l’attacco di fobia: il soggetto è invitato a parlare e/o scrivere ripetutamente del peggior evento traumatico che ha affrontato (o dei peggiori eventi), rivivendo nel dettaglio tutte le emozioni associate alla situazione. Attraverso questo processo molti pazienti subiscono un “abituarsi” alla risposta emotiva scatenata dalla memoria traumatica, che di conseguenza, col tempo, porta a una remissione dei sintomi della fobia quando la situazione si ripresenta nella realtà. La terapia espositiva – praticata per un periodo di tempo adeguato – secondo la nostra esperienza aiuta circa 9 pazienti su 10. Per approfondire, leggi questo articolo: Terapia espositiva: essere esposti alla propria fobia per superarla
Psicoterapia
La psicoterapia che ha mostrato fornire buoni risultati con la claustrofobia, è quella cognitivo comportamentale. La terapia cognitivo-comportamentale standard per il trattamento della claustrofobia, oltre agli interventi comportamentali basati sull’esposizione situazionale, prevede una psicoeducazione iniziale e interventi cognitivi. All’interno della psicoterapia cognitivo-comportamentale, le tecniche di esposizione si sono dimostrate utili nel ridurre i comportamenti che alimentano l’ansia claustrofobica (vedi paragrafo precedente). Recentemente sono state implementate strategie volte a incrementare la capacità dei soggetti di stare in contatto con l’attivazione ansiosa senza temerne le conseguenze catastrofiche. Favorendo l’accettazione e diminuendo il bisogno di controllo dei sintomi d’ansia.
Farmaci
Vengono usati farmaci ansiolitici e antidepressivi. Tra gli ansiolitici, le benzodiazepine (come il Valium) possono essere utili poiché generano un sollievo sintomatologico ansiolitico istantaneo, tuttavia tra gli effetti collaterali (se usate per lunghi periodi) ritroviamo il rischio di dipendenza da farmaco. Tra gli antidepressivi, particolarmente utili sono gli SSRI (Inibitori Selettivi del Reuptake della Serotonina). I farmaci generalmente funzionano bene per controllare la fobia, tuttavia, i sintomi della claustrofobia tendono a ripresentarsi alla loro sospensione.
Se credi di avere un problema di claustrofobia, prenota la tua visita e, grazie ad una serie di colloqui riservati, riuscirai a risolvere definitivamente il tuo problema.
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