Lo stretching fa bene o fa male? Tutte le verità scientifiche

MEDICINA ONLINE STRETCHING ATTIVO PASSIVO BALISTICO STATICO DINAMICO DIFFEREZE CORSA PALESTRA PESI ALLENAMENTO SPORT MUSCOLI TENDINI ALLUNGAMENTO DOLORE IPERTROFIA RUNNER MARATONA CORPOLo stretching è una delle armi più gettonate dai terapeuti per prevenire e curare gli infortuni sportivi; in realtà non è difficile capire che si tratta di un’arma un po’ sconosciuta e come tale non sempre proposta a dovere. Consideriamo alcuni fatti:

a) molti terapeuti non sono in grado di spiegare chiaramente perché lo stretching dovrebbe funzionare, non ne conoscono le motivazioni fisiologiche e, interrogati, si arrampicano sugli specchi, fornendo spiegazioni approssimative con la semplice logica del buon senso (del tipo: “se allunghi i muscoli, sono più pronti allo sforzo”).

b) Molti sono i runner che ci hanno scritto dicendo che i loro problemi sono cessati quando hanno smesso di fare stretching.

c) Sono stati proposti diversi metodi di stretching, il che è già indice di confusione anche fra gli addetti ai lavori. Per citarne uno, il metodo Wharton ebbe notevole fama nel 1992 quando fu usato dagli atleti americani alle olimpiadi di Barcellona; ma se funzionava veramente perché non fu più utilizzato a livello di team nazionale nelle olimpiadi successive? Scopo di questo articolo è pertanto quello di fare chiarezza sulla questione.

Lo stretching fa male? Cosa dice la ricerca

Rispondere alla domanda che dà il titolo a questo articolo non è poi così banale; peraltro i moltissimi studi effettuati sulla disciplina in questione non sempre aiutano a fare chiarezza. Cerchiamo pertanto di fare il punto sulla situazione.

Prove limitate – Le ricerche che per anni hanno promosso lo stretching come parte integrante dei programmi di fitness per diminuire il rischio di infortuni, per alleviare il dolore da rigidità o per migliorare la prestazione sportiva non contengono che generiche indicazioni, trasformate dai lettori in verità assodate e divulgate ai quattro venti. In queste ricerche si ipotizzano diverse soluzioni (a volte anche in contrasto) senza tuttavia fornire un’analisi e senza portare risultati sperimentali. Si tratta cioè di idee da sviluppare che sono state considerate già sviluppate!

I supposti benefici dello stretching – Si parte ovviamente da una diminuzione diretta della rigidità muscolare, definita come la forza richiesta per produrre un certo allungamento e causata da modifiche nella viscoelasticità passiva, arrivando a una diminuzione indiretta dovuta all’inibizione del riflesso e dei ponti actina-miosina. Ovviamente una diminuita rigidità consente un maggiore ampiezza di movimento.

Previene o no? – Ricerche successive hanno mostrato che lo stretching prima dell’esercizio non previene né gli infortuni cronici né quelli acuti. Tuttavia lo studio su animali ha mostrato come lo stretching continuo (cioè 24 ore al giorno!), confrontato con la classica seduta di pochi minuti al giorno, può produrre ipertrofia con quindi teorica prevenzione degli infortuni. Altre ricerche non sono riuscite a stabilire un livello minimo in termini di tempo al giorno perché lo stretching possa produrre risultati significativi.

Per il dolore? – Per quanto riguarda la funzione dello stretching nell’alleviare il dolore da indolenzimento, la ricerca ha messo in evidenza che non è importante diminuire la rigidità, quanto aumentare la tolleranza all’estensione. Cioè il paziente deve sentire meno dolore applicando la stessa forza al muscolo, anche se quest’ultimo mantiene la stessa rigidità. Lo stretching avrebbe cioè un effetto analgesico e la cosa non sempre può essere positiva.

I danni dello stretching – In effetti i danni derivano proprio dall’effetto analgesico. Il muscolo viene sollecitato oltre misura, ma, a causa dell’analgesia, il dolore è sopportabile: il successivo impegno fisico provoca un danno a breve irreversibile. Quindi una raccomandazione importante: mentre si fa stretching tensione sì, ma dolore o fastidio (lo stadio in cui l’analgesia è attiva) no.

Quale stretching? – Il problema è poi di definire come fare stretching. Alcune ricerche ritengono che il bouncing stretching (o ballistic stretching, quello balistico, ottenuto con movimenti armonici del corpo) possa essere addirittura pericoloso. Anche sui tempi non c’è accordo: a seconda dei vari autori si va dai 10 ai 60 secondi. Il problema è che chi propone un tempo diverso giudica inefficace o addirittura dannosa l’altrui scelta.

Caldo o freddo? – Una cosa che molti non sanno è che la ricerca afferma che senza fattori sinergici (rinforzanti) lo stretching perde gran parte della sua efficacia. Tali fattori sono il calore superficiale, il freddo superficiale (notare la contraddizione), il calore profondo e il riscaldamento (l’unico mezzo facilmente a disposizione).

Cercheremo adesso di rispondere alle seguenti questioni:

a) durata e frequenza dello stretching perché si possa ragionevolmente sperare in un effetto;

b) il ruolo reale della temperatura corporea nello stretching;

c) il reale scopo dello stretching.

Non considereremo situazioni patologiche.

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Durata e frequenza – Per capire come ottimizzare i due parametri, occorre capire il concetto di viscoelasticità. I muscoli non sono puramente elastici, ma viscoelastici. Una sostanza elastica si allunga sotto l’azione di una forza e ritorna alla sua naturale lunghezza dopo che la forza si è azzerata. L’effetto non dipende dal tempo. L’azione della stessa forza su una sostanza viscosa (si pensi alla melassa) è invece dipendente dal tempo.

Una sostanza viscoelastica ha entrambe le proprietà. Se si applica la forza a un muscolo questo si allunga; quando la forza cessa, ritorna lentamente alla sua originale lunghezza. Non si tratta di una deformazione plastica, poiché il ritorno alla lunghezza iniziale è completo: ci vuole solo del tempo.

Anche se lo stretching interessa i tendini e le altre strutture, la rigidità della struttura è dovuta alla viscoelasticità del muscolo: sono i suoi tempi che determinano il ritorno nella posizione di riposo.

Per la maggior parte dei soggetti è sufficiente una durata di 15-30 secondi; per una percentuale significativa occorre un tempo più lungo e diverse ripetizioni per il singolo gruppo muscolare.

L’aumento di escursione dinamica si ottiene per una diminuzione della viscoelasticità e per l’effetto analgesico descritto nella prima parte dell’articolo. Da notare che se si allunga il tempo di stretching si agisce solo sul fattore analgesico, cioè la viscoelasticità non aumenta. Da esperimenti su animali risulta invece che la viscoelasticità aumenta con quattro ripetizioni (34); esperimenti su umani hanno portato a cinque il valore massimo di ripetizioni per avere aumento di viscoelasticità. La situazione è complicata poi dal fatto che per alcuni gruppi muscolari (adduttori) è stato dimostrato da ricercatori statunitensi che non cambia nulla al variare della durata dello stretching (15, 45 secondi o due minuti!).

Alcuni autori hanno proposto, ragionevolmente, che la durata dello stretching deve dipendere dal gruppo muscolare interessato.

Gli effetti a lungo termine – Come abbiamo visto è molto difficile ottenere dati significativi da ricerche che considerano gli effetti immediati dello stretching.  Spostandoci su ricerche che studiano gli effetti a lungo termine le cose diventano meno contraddittorie. Dopo sei settimane l’estensibilità muscolare è massima se la durata degli esercizi è di 30 secondi (rispetto a 15) e non c’è nessun beneficio a portarla a un minuto. Altri studi mostrano che dopo sei settimane uno stretching di 30 secondi produce lo stesso effetto di 3 ripetizioni di 30 secondi (ovviamente per giorno). Altri ancora hanno mostrato poi che, se è vero che con stretching da 10 o 20 secondi in sei settimane non si ottiene molto, prolungandolo fino a dieci settimane si ottengono gli stessi effetti di uno stretching da 30 secondi per sei settimane.

Gli effetti della temperatura – Per ottenere il massimo aumento di viscoelasticità è necessario un riscaldamento iniziale, mentre il solo riscaldamento non l’aumenta (è per questo che chi evita lo stretching dovrebbe eseguire allunghi blandi dopo il riscaldamento e prima dell’allenamento). Su questi punti tutte le ricerche sono concordi (anche se molti runner eseguono lo stretching PRIMA del riscaldamento!).

Diverse sono le posizioni sull’effetto passivo del caldo e del freddo. Nello stretching statico per alcuni gruppi muscolari, fra cui il tricipite surale, il caldo ha migliorato la situazione; il freddo, se applicato nei primi secondi dell’esercizio (!), sembra funzionare. Nello stretching PNF (facilitazione neuromuscolare propriocettiva) non c’è nessun miglioramento con la variazione di temperatura superficiale.

Previene o meno gli infortuni? – Alla fine di questa lunga escursione nei meandri della ricerca possiamo concludere che:

1) nonostante la credenza comune, la ricerca clinica ha dimostrato che lo stretching non previene gli infortuni, mentre un corretto riscaldamento sì.

2) Lo stretching, aumentando l’estensione muscolare, è fondamentale per la prestazione.

3) Ricerche canadesi mostrano che, se si dà importanza più alla prevenzione che alla prestazione, sarebbe più opportuno aumentare i tempi di riscaldamento ed evitare lo stretching.

Qual è il più efficace? – Anche se alcuni risultati smentiscono la maggioranza delle ricerche, lo stretching PNF è quello che consente di aumentare maggiormente l’estensibilità. Fra le differenti tecniche (tanto per complicare la situazione) il metodoagonista-contrazione-relax è risultato migliore di quello contrazione-relax (cioè contrazione seguita da stretching passivo), a sua volta superiore alla più banale tecnica mantieni-relax (cioè contrazione isometrica con resistenza applicata gradualmente per nove secondi). In realtà si tratta di esercizi molto complessi che richiedono un apprendimento solido per evitare i rischi. Infatti, tutte le tecniche PNF aumentano l’estensibilità aumentando la tolleranza alla trazione e il muscolo è soggetto a una contrazione eccentrica durante lo stretching. La conseguente analgesia può migliorare la prestazione, ma aumenta i rischi di infortunio rispetto allo stretching statico.

Per quest’ultimo, si è visto che non è necessario eseguirlo ciclicamente (cioè stretching, relax e poi nuovamente stretching).

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Stretching: impara le basi per farlo bene!

MEDICINA ONLINE STRETCHING ATTIVO PASSIVO BALISTICO STATICO DINAMICO DIFFEREZE CORSA PALESTRA PESI ALLENAMENTO SPORT MUSCOLI TENDINI ALLUNGAMENTO DOLORE IPERTROFIA RUNNER MARATONA CORPOLo stretching è sicuramente una disciplina difficile: sono state scritte decine di libri e ancora non è stata detta la parola fine. Esiste perfino una macchina da palestra per l’esecuzione di tutti gli esercizi di stretching.

Il grosso problema (che anche il semplice uso della macchina senza un valido istruttore non risolve) è l’esecuzione degli esercizi. I libri infatti possono avere delle illustrazioni o dei commenti testuali del tipo “la posizione di allungamento va raggiunta lentamente e mantenuta fino a quando si ha la sensazione che il muscolo regga bene la tensione raggiunta” (la frase che uso nel mio libro); i dvd possono mostrare pure dei filmati. Nonostante ciò, continuo a vedere persone che eseguono male lo stretching (molti lo eseguono anche al momento sbagliato e con tempi errati): gli errori sono talmente tanti che non è facile correggerli con poche indicazioni.

Stretching: la teoria

Per capire i fondamenti dello stretching è importante conoscere:

a) le basi dell’elasticità muscolare e della flessibilità articolare

b) l’anatomia-fisiologia del muscolo.

Senza queste basi chi parla di stretching (atleti, allenatori, preparatori ecc.) parla a vanvera. Infatti lo stretching può far ben o far male a seconda delle decine di parametri che lo caratterizzano. Infatti, a  differenza di una normale contrazione muscolare, durante lo stiramento dei muscoli, l’actina e la miosina annullano l’effetto del legame elettrostatico tipico della contrazione. Interviene anche la terza proteina, la titina per garantire oltre l’elasticità, anche la resistenza, la cosiddetta tensione di riposo. Se lo stiramento continua nel tempo o nell’intensità, la struttura del sarcomero può essere compromessa fino ad arrivare alla rottura. La ricerca ha dimostrato che in media un sarcomero può stirarsi fino al 150% della sua lunghezza a riposo.

Gli organi di controllo – Le fibre nervose dei muscoli striati (volontari) possiedono due tipi di recettori in grado di rilevare lo stiramento: gli organi del Golgi e i fusi neuromuscolari. L’interazione fra recettori e stimolo dà origine a particolari riflessi e controlli del movimento. Gli organi del Golgi sono presenti nella zona fra muscoli e tendini, ma non all’interno dei tendini. Essi sono sensibili soprattutto alle tensioni generate dalla contrazione. I fusi invece sono posti parallelamente al muscolo con due terminazioni sensoriali, primarie e secondarie; solo le primarie reagiscono allo stiramento dinamico. La soglia di scarica degli organi del Golgi è 30 volte superiore a quella dei fusi; per questo motivo la risposta degli organi del Golgi è molto più lenta, mentre quella dei fusi è immediata. In ogni caso un allungamento di 30 secondi è più che sufficiente per stimolare anche gli organi del Golgi. Il funzionamento dei muscoli in genere avviene a coppie agonista/antagonista: quando si flette l’avambraccio si contrae il bicipite e si stira il tricipite, mentre accade il contrario quando si stende il braccio. Bicipite e tricipite formano la coppia. Quando un muscolo riceve un impulso di contrazione, il suo antagonista si rilascia perché non lo riceve.

I riflessi – Tutti conoscono il riflesso della rotula colpita con il martelletto. Il riflesso ha lo scopo di mantenere la tonicità muscolare ed è la risposta a un improvviso aumento della lunghezza del muscolo. Lo stiramento di un muscolo allunga le fibre e i fusi. Questa deformazione dei fusi attua un riflesso che contrae il muscolo per ridurre al minimo il suo allungamento (una sorta di principio di azione-reazione). Esiste però anche un riflesso che coinvolge gli organi del Golgi: è il riflesso miotatico inverso. È inverso perché il muscolo anziché contrarsi si rilascia. Quando lo stiramento o la contrazione muscolare oltrepassano un certo limite, gli organi del Golgi (ma anche altri recettori) intervengono e si produce un riflesso per bloccare la contrazione, il muscolo si rilascia e la tensione scompare.Questo riflesso è possibile perché gli impulsi degli organi del Golgi hanno la forza di neutralizzare quelli dei fusi. In realtà anche gli impulsi degli organi del Golgi possono essere neutralizzati da altri segnali provenienti da un livello superiore del sistema centrale. Spesso è proprio questa disattivazione del sistema di controllo del riflesso miotatico inverso che porta all’infortunio durante lo stretching.

Come si vede è veramente molto ottimistico sperare di eseguire bene lo stretching senza un acculturamento preciso! Diffidate di chi vi propina soluzioni senza essere preparato.

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Lo stretching: benefici e le 6 regole per eseguirlo bene

Lo stretching è una metodica di allenamento che consiste nell’allungare la muscolatura e la sua pratica costante aiuta a raggiungere una buona mobilità articolare.  Lo stretching, così come lo conosciamo in occidente, è stato divulgato in Europa da Bob Anderson.
Il suo metodo è il precursore di altre tecniche che si sono evolute nel corso degli anni.

I benefici dello stretching

A livello muscolo-scheletrico, lo stretching aumenta la flessibilità e l’elasticità dei muscoli e dei tendini, con un miglioramento globale della capacità di movimento.
Inoltre è un’ottima forma di prevenzione delle contratture muscolari, in alcuni casi diminuisce la sensazione di fatica e può prevenire traumi muscolari e articolari. Anche i benefici sulle articolazioni sono notevoli: consente infatti di migliorare l’elasticità dei muscoli e stimolare la “lubrificazione” articolare, contribuendo all’attenuazione delle malattie degenerative come l’artrosi. Di fatto mantiene “giovani” le articolazioni, rallentando la calcificazione del tessuto connettivo. Gli esercizi di allungamento aiutano inoltre anche a diminuire la pressione arteriosa favorendo la circolazione, favoriscono il rilassamento riducendo lo stress fisico e migliorano la coordinazione dei movimenti.

Le regole per eseguirlo correttamente

Per eseguire lo stretching in modo corretto, occorre seguire alcune regole:

  1. è importante individuare il gruppo muscolare da allungare, cercare una posizione comoda ma efficace che, una volta raggiunta, va mantenuta per un tempo da 15 a 30 secondi;
  2. è importante che l’allungamento non superi la soglia del dolore;
  3. prima dello stretching, è importante che il muscolo sia caldo, pertanto sembrerebbe più adatto dedicarsi allo stretching alla fine dell’allenamento, per aiutare il corpo a rilassarsi dopo la sessione di lavoro; va però sottolineato come alcuni autori suggeriscano, per aumentarne l’efficacia (soprattutto a livello del tessuto connettivo), di eseguire lo stretching a freddo;
  4. è importante usare un abbigliamento comodo, che permetta movimenti molto ampi e senza intralciare la respirazione;
  5. importante è anche l’ambiente in cui ci si allena: lo stretching solitamente prevede una serie di posture che si eseguono a terra. Il pavimento non deve essere dunque freddo ed è bene utilizzare un tappeto in modo che la superficie su cui ci si allunga sia relativamente confortevole;
  6. l’ambiente non dovrebbe essere rumoroso, perché questo non contribuisce al rilassamento.

FONTE

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