Differenza delle lesioni dei legamenti crociato anteriore e posteriore

MEDICINA ONLINE LESIONE LEGAMENTO CROCIATO ANTERIORE POSTERIORE DIFFERENZE LATERALE MEDIALE GINOCCHIO TENDINI MUSCOLI ORTOPEDIA ANATOMIA FUNZIONI GAMBA COSCIA MOVIMENTO.jpgIl legamento crociato anteriore (LCA) ed il legamento crociato posteriore uniscono il femore con la tibia. I legamenti crociati controllano i movimenti di traslazione antero-posteriore tra il femore e la tibia. Il LCA impedisce lo scivolamento in avanti della tibia rispetto al femore, mentre il legamento crociato posteriore (LCP) lo scivolamento indietro. Il LCA controlla anche la rotazione del ginocchio ed impedisce la sua sublussazione nei movimenti di rotazione della gamba.

Lesione del legamento crociato anteriore

La lesione del legamento crociato anteriore avviene quando il ginocchio viene forzato in rotazione od in iperestensione. La maggior parte delle lesioni è legata all’attività sportiva.

Nell’immediato il paziente:

  • avverte uno schiocco (crac) quando il legamento si rompe;
  • avverte dolore e deve abbandonare l’attività;
  • sviluppa una tumefazione entro poche ore dovuto al sanguinamento all’interno del ginocchio (può anche non essere presente);
  • sente il ginocchio instabile.

I sintomi della fase cronica sono: dolore, gonfiore e cedimento. Il dolore e il gonfiore solitamente si risolvono dopo due-quattro settimane, ma può persistere l’instabilità.
All’inizio, i sintomi possono essere avvertiti soltanto praticando attività sportiva ma in seguito si possono manifestare anche nelle attività quotidiane.
L’instabilità cronica può portare all’insorgenza di lesioni della cartilagine articolare ed all’instaurarsi precoce di artrosi per i movimenti anormali tra femore e tibia. Il LCA è dotato di una scarsa vascolarizzazione che ne impedisce la guarigione in caso di rottura. L’unica possibilità terapeutica è rappresentata quindi, in questo caso, dalla sua ricostruzione.

Lesione del legamento crociato posteriore

Il legamento crociato posteriore (LCP) agisce specularmene rispetto al legamento crociato anteriore e limita la traslazione posteriore della tibia. Questo legamento si lesiona generalmente per traumi ad energia, più frequenti incidenti stradali o per traumi a bassa energia, più frequenti negli sport. La lesione risultante si può classificare come isolata, quando riguarda solo legamento posteriore o combinata/associata quando si lesionano anche altre strutture capsulari e/o legamentose.

Le lesioni del legamento crociato posteriore sono di solito meglio tollerate rispetto a quelle del Legamento crociato anteriore, la rottura isolata del legamento posteriore non causa infatti fenomeni di instabilità articolare ma solo un a sintomatologia dolorosa di intensità variabile ed un’alterazione della normale motilità/meccanica articolare che si può produrre nel tempo in un aumentato rischio di alterazioni/usura/lesioni a carico della cartilagine articolare e dei menischi. Le lesioni associate o combinate di altri legamenti causano una a instabilità articolare che può essere presente anche nelle attività quotidiane.

La diagnosi di lesione/rottura del legamento crociato posteriore è basata sulla valutazione clinica mirata con test specifici integrato da esami strumentali come la RMN e la radiografie sotto stress. La RMN è di particolare utilità in fase acuta quando la valutazione clinica e più difficoltosa e può consentire nei casi cronici di valutare anche l’evoluzione della cicatrice del Legamento nelle lesioni incomplete, le radiografie sotto stress consentono di valutare e di misurare quanto la tibia si sposti posteriormente.

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Lesione del legamento crociato anteriore: ricostruzione in artroscopia

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma Ecografia Spalla Ginocchio Traumatologia Gambe Esperto Referto THD Articolare Sesso Sessualità Uomo ARTICOLAZIONE GINOCCHIO FATTA ESAMI PATOLOGIE Medicina Estetica Radiofrequenza Cavitazione Grasso HDIl legamento crociato anteriore (LCA) ed il legamento crociato posteriore (LCP) uniscono il femore con la tibia. I legamenti crociati controllano i movimenti di traslazione antero-posteriore tra il femore e la tibia.
LCA impedisce lo scivolamento in avanti della tibia rispetto al femore, mentre LCP lo scivolamento indietro. LCA controlla anche la rotazione del ginocchio ed impedisce la sua sublussazione nei movimenti di rotazione della gamba.
La rottura del legamento crociato anteriore rappresenta una delle lesioni di più frequente riscontro nella pratica clinica e dopo le lesioni meniscali è la lesione piu’ comune negli atleti.
La ricostruzione artroscopica del legamento crociato anteriore è divenuta nel corso degli anni la tecnica chirurgica di elezione.

Meccanismo della lesione
La lesione del legamento crociato anteriore avviene quando il ginocchio viene forzato in rotazione od in iperestensione. La maggior parte delle lesioni è legata all’ attività sportiva.

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Come accorgersi della lesione al crociato anteriore?
Nell’immediato il paziente:

  • avverte uno schiocco (crac) quando il legamento si rompe,
  • avverte dolore e deve abbandonare l’attività,
  • sviluppa una tumefazione entro poche ore dovuto al sanguinamento all’ interno del ginocchio,
  • sente il ginocchio instabile.

Fase cronica
I sintomi della fase cronica sono: dolore, gonfiore e cedimento.
Il dolore e il gonfiore solitamente si risolvono dopo due-quattro settimane, ma può persistere l’instabilità. All’inizio, i sintomi possono essere avvertiti soltanto praticando attività sportiva ma in seguito si possono manifestare anche nelle attività quotidiane. L’instabilità cronica può portare all’insorgenza di lesioni della cartilagine articolare ed all’instaurarsi precoce di artrosi per i movimenti anormali tra femore e tibia.

Una lesione del legamento crociato anteriore può guarire?
Il LCA è dotato di una scarsa vascolarizzazione che ne impedisce la guarigione in caso di rottura. L’unica possibilità terapeutica è rappresentata quindi, in questo caso, dalla sua ricostruzione.

Perché dovrei sottopormi ad un intervento chirurgico per ricostruire il legamento crociato anteriore?
La ricostruzione del legamento crociato anteriore è necessaria se si è fisicamente attivi e soprattutto se si praticano sport di contatto e che prevedono la rotazione del ginocchio come pallacanestro, pallavolo, rugby, calcetto e calcio. Se si praticano tali sport solo il 10% dei pazienti con una lesione del legamento crociato anteriore riesce a riprendere senza sottoporsi all’ intervento.
Alcuni pazienti possono usare un tutore, modificano però la loro attività e abbandonano lo sport. La soluzione migliore per i soggetti che praticano attività sportiva è l’intervento chirurgico per prevenire episodi di cedimento dovuti alla lesione dell’LCA. Con i successivi episodi di cedimento, c’è il rischio di ulteriori lesioni sia al menisco che alla cartilagine articolare. LCA può essere ricostruito con ottimi risultati, ma la prognosi a lungo termine dipende anche dalle lesioni meniscali e cartilaginee.
L’obiettivo dell’intervento chirurgico è stabilizzare il ginocchio e prevenire altri danni al menisco e alla cartilagine.

Ho bisogno dell’intervento chirurgico se non pratico sport di contatto?
Non sempre. LCA è coinvolto solo nei movimenti di rotazione. A volte la sensazione di cedimento può essere dovuta alla lesione meniscale, che può venire trattata con un intervento chirurgico più semplice.
Chi pratica sport a livello amatoriale ed ha un età più avanzata può anche evitare l’intervento chirurgico modificando le proprie attività ed utilizzando un tutore. Ogni intervento chirurgico comporta dei rischi, quindi chi riesce ad evitare i movimenti di rotazione nella propria attività, può fare a meno della chirurgia ed avere un ginocchio ben funzionante. 

Cosa dovrei fare se ho subito una lesione del LCA e voglio continuare con gli sport da contatto?
Continuando l’attività sportiva probabilmente si verificheranno episodi di cedimento con dolore e tumefazione. Chi vuole continuare a praticare gli sport da contatto deve sottoporsi all’intervento chirurgico.

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Come si può essere sicuri che il LCA è completamente rotto?
Non importa se il LCA è completamente o solo parzialmente rotto. Se il ginocchio è lasso, e ciò può essere misurato con l’esame clinico, il LCA non è più capace di proteggere il ginocchio dai movimenti di rotazione. La RMN può determinare se il legamento è completamente rotto, ma non può differenziare il grado di lassità e non è indispensabile nella maggior parte dei casi per la diagnosi. Trova invece grande utilità nel caso in cui si sospetti la presenza di lesioni associate (di altri legamenti, cartilagine articolare, menischi)

E’ possibile che altre strutture siano interessate oltre il LCA?
Dopo il trauma iniziale, c’è un 50% di possibilità di lesione al menisco (più frequentemente il menisco laterale). Nella fase acuta il menisco può essere riparato. Nella fase cronica la percentuale di lesione meniscale sale al 75% (più frequentemente il menisco mediale), ed in genere la porzione danneggiata va rimossa.

Cosa accade all’ articolazione se il menisco viene rimosso?
A lungo termine, la rimozione totale, o di parte del menisco, è associata ad un aumento dell’incidenza di osteoartrosi. In alcuni particolari tipi di lesione (circa il 10% delle lesioni) tuttavia il menisco può essere riparato.
In altri casi in cui si sia costretti a rimuovere la maggior parte del menisco, questo può essere sostituito con una protesi meniscale biologica.

Quando posso riprendere a camminare dopo l’intervento
Il giorno dopo l’intervento con le stampelle che vanno usate per le prime 4 settimane.

Quanto è mediamente il tempo di ripresa per l’attività sportiva dopo l’intervento?
4-6 mesi. A volte può essere necessario anche un anno per la completa ripresa.

Quanto tempo è necessario per tornare al proprio lavoro?
Dipende dal tipo di lavoro svolto. Se il lavoro comporta un’attività fisica assimilabile all’attività sportiva possono essere necessari 3-4 mesi; se il lavoro è di tipo sedentario si può riprendere in 3-4 settimane.

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Quando si può riprendere a guidare l’automobile?
Tale attività può essere ripresa quando si è in grado di deambulare senza stampelle. In genere 4 settimane

La fisioterapia riabilitativa è necessaria? E’ impegnativa?
Si è sia necessaria che impegnativa. Dopo l’intervento, è infatti necessaria una corretta fisioterapia riabilitativa impostata in modo da evitare eccessive sollecitazioni al trapianto durante la fase di guarigione che possano condurre alla sua rottura od al suo allungamento. La fisioterapia è necessaria dalla prima fino a circa la dodicesima settimana dall’intervento. Lo scopo della fisioterapia è di ridurre il dolore e la tumefazione, riottenere l’escursione articolare e di aumentare il tono muscolare. La terapia può essere modificata in base ai progressi individuali durante il periodo riabilitativo.

Le fasi del Programma di Riabilitazione prevedono:

  • Fase post-operatoria immediata (0-3° settimana) Recupero escursione articolare – Controllo del quadricipite –  Deambulazione;
  • Fase post-operatoria intermedia (4°-8° settimana) Forza – Propriocezione – Normali attività della vita quotidiana;
  • Fase funzionale (9°-24° settimana) Ritorno graduale all’attività sportiva.

Naturalmente la fisioterapia deve essere adeguata perché eccessive sollecitazioni potrebbero indurre sia ad una nuova rottura sia ad un allungamento eccessivo del legamento stesso 

C’è bisogno di un altro intervento per rimuovere i mezzi di sintesi?
No, frequentemente i mezzi di sintesi utilizzati sono costruiti con un particolare materiale che viene progressivamente riassorbito ed anche quando si utilizzano mezzi di sintesi metallici non è necessario rimuoverli.

Quanto è il tempo di degenza in ospedale?
Il ricovero in ospedale è di 1-2 giorni.

Avrò necessità di una ginocchiera dopo l’intervento?
Nella maggior parte dei casi non utilizzo nessun tipo di ginocchiera dopo l’intervento chirurgico 

Il cedimento può causare dolore anche passata la fase acuta?
Si. Può anche causare un danno ancora maggiore alla cartilagine delle superfici articolari ed ai menischi, portando in seguito alla osteoartrosi.

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TECNICHE CHIRURGICHE
La ricostruzione del legamento crociato anteriore è stata sottoposta a numerose modifiche in relazione alla tecnica chirurgica, al neolegamento utilizzato ed al tipo di fissazione. Le strutture tendinee autologhe più frequentemente utilizzate per la ricostruzione del legamento crociato anteriore sono il terzo centrale del tendine rotuleo ed i tendini del semitendinoso e del gracile.

Qual è il trapianto migliore tra semitendinoso e rotuleo?
La scelta tra i due trapianti non è fondamentale per il risultato dell’intervento. Il risultato finale della ricostruzione del LCA dipende non tanto dal tipo di trapianto utilizzato, quanto piuttosto dalla tecnica chirurgica impiegata, dal tipo di fissazione e dalla riabilitazione post-operatoria.

Trapianti artificiali?
In genere, non utilizzo tale tipo di trapianti, per la più alta incidenza di fallimenti. I trapianti artificiali possono essere indicati in situazioni particolari, come le lesioni legamentose multiple o alcuni re-interventi.

E per quanto riguarda i trapianti da cadavere?
Sono trapianti appunto ottenuti da cadavere. In questo caso esiste, anche se minimo, il rischio di trasmissione di malattie infettive. Il trapianto inoltre impiega più tempo per integrarsi con l’osso e spesso può determinare un allargamento del tunnel. I risultati a lungo termine presentano una più alta incidenza di fallimenti utilizzando questi trapianti. Possono essere indicati in caso di lesioni legamentose multiple o nei re-interventi.

Che tipo di anestesia farò?
In genere per questo tipo di intervento viene utilizzata una anestesia loco-regionale (blocco del nervo sciatico, del nervo otturatorio e del nervo femorale) che inibisce soltanto l’arto da operare seguita da una sedazione. Le altre possibilità sono rappresentate dall’anestesia epidurale che inibisce entrambi gli arti inferiori o dall’anestesia di tipo generale nella quale il paziente non è cosciente.
La scelta comunque del tipo di anestesia verrà concordata insieme all’anestesista in base alle possibili diverse indicazioni.

Come si svolge l’intervento?
Le metodiche che utilizzo più di frequente sono quelle che prevedono come trapianto i tendini del semitendinoso e del gracile (70% dei casi) o il tendine rotuleo (30% dei casi)

Semitendinoso e gracile: i tendini del semitendinoso e del gracile vengono prelevati, attraverso una incisione cutanea di circa 5 cm sulla faccia antero-mediale del ginocchio, con un apposito strumento (tendon stripper) che scolla i tendini dal muscolo.

Tendine rotuleo: si utilizza una striscia di circa 1 cm prelevato dalla parte centrale del tendine rotuleo con due bratte ossee alle sue estremità attraverso una incisione cutanea di circa 5 cm sulla faccia anteriore del ginocchio. Successivamente, in entrambi i casi, la ricostruzione viene eseguita interamente in artroscopia (tecnica chirurgica che permette di osservare l’articolazione del ginocchio attraverso piccole incisioni di circa 1 cm), in modo da ottenere un recupero funzionale più rapido ed un minor dolore post-operatorio. Il tendine viene fatto passare all’interno dell’articolazione attraverso due fori, uno sulla tibia (l’osso della gamba) e l’altro sul femore (l’osso della coscia) utilizzando dei puntatori specifici e viene generalmente fissato con mezzi di sintesi riassorbibili (2 chiodini sul femore ed una vite sulla tibia; oppure un mezzo di sintesi metallico, in titanio, sul femore ed una vite riassorbibile sulla tibia).

Quanto dura l’intervento?
L’intervento di ricostruzione del legamento crociato anteriore in artroscopia dura da 40 minuti ad un’ora. Naturalmente l’intervento può durare più a lungo se vi è necessità di trattare altre lesioni (menisco, cartilagine).

Quali sono le complicazioni potenziali nella ricostruzione dell’ LCA?
Grazie al miglioramento delle tecniche chirurgiche le complicanze post operatorie sono piuttosto rare anche se possibili. Le complicanze generali per questo tipo di intervento, sono le stesse che per ogni altro tipo di intervento: infezioni e flebotrombosi profonda (occlusione di una vena). Le complicanze specifiche sono diminuzione dell’escursione articolare del ginocchio (artrofibrosi), dolore anteriore del ginocchio, dolore e tumefazione persistenti e lassità residua del legamento dovuta al fallimento dell’intervento. Una lesione nervosa o vascolare dopo questo tipo di intervento è estremamente rara.

Le complicanze più frequenti sono quelle elencate di seguito

  • Infezioni della ferita o intra-articolari (artrite settica) (< 1%).
  • Sanguinamemto ed ematoma, frequente ma solitamente di nessun significato.
  • Dolore anteriore di ginocchio (dal 12% al 18%)
  • Lesioni nervose o vascolari: di solito vi è una diminuzione della sensibilità (ipoestesia o anestesia) intorno alla ferita per un danno su un ramo nervoso (il ramo infrapatellare del nervo safeno), ma raramente sono danneggiati i nervi o i vasi arteriosi che controllano l’arto inferiore.
  • Condromalacia della rotula: perdita di consistenza della cartilagine articolare (in particolare con il prelievo del tendine rotuleo).
  • Fratture della rotula (in particolare con il prelievo del tendine rotuleo).
  • Tendiniti del tendine rotuleo
  • Perdita del tono del quadricipite.
  • Rottura degli strumenti chirurgici dentro l’articolazione: rara.
  • Fallimento del trapianto: 5-10% a 10 anni.
  • Rigidità articolare. Questa può essere corretta durante la riabilitazione, può però residuare con una grave diminuzione del movimento dell’articolazione e può quindi essere necessario un nuovo intervento chirurgico.
  • Trombosi venosa profonda.
  • Complicanze legate all’anestesia.

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Tendine e muscolo semitendinoso: anatomia, funzioni ed uso chirurgico

MEDICINA ONLINE MUSCOLI DI ANCA E COSCIA GAMBA VISTI POSTERIORMENTE GLUTEI tendine muscolo semitendinoso muscoli posteriori coscia muscolo bicipite femorale semimembranoso anatomia funzioni uso chirurgico.jpgIl muscolo semitendinoso è un muscolo che fa parte dei muscoli della coscia ed è in­nervato dal nervo tibiale (L4-S1).

Funzioni

Il muscolo semitendinoso agisce esten­dendo la coscia e flettendo il ginocchio insieme agli altri ischiocrurali permettendo di ruotarlo medialmente quando questo è piegato.

Anatomia

Il muscolo semitendinoso è posto superficialmente nella parte postero-mediale della coscia; è un muscolo carnoso nella porzione su­periore, tendineo in quella inferiore. Origina in alto dalla tuberosità ischiatica e discende verti­calmente fino alla parte media della coscia, do­ve continua in un lungo tendine, il tendine semitendinoso, che concorre al­la costituzione della zampa d’oca, inserendosi nella parte superiore della faccia mediale della tibia. La zampa d’oca corrisponde all’inserzione dei muscoli sartorio, gracile e semitendinoso sulla porzione superiore della faccia antero-mediale della tibia, che assume appunto una forma che ricorda quella della zampa di un’oca. Poste­riormente è in rapporto, in alto, con il muscolo grande gluteo e quindi con la fascia femorale; anteriormente corrisponde ai muscoli grande adduttore e semimembranoso. Insieme al tendi­ne del muscolo semimembranoso costituisce il limite supero-interno della fossa poplitea.

medicina online tendine muscolo semitendinoso muscoli posteriori coscia muscolo bicipite femorale semimembranoso anatomia funzioni uso chirurgico

Uso in chirurgia ortepedica

In caso di lesione del legamento crociato anteriore, il terzo centrale del tendine rotuleo ed i tendini del semitendinoso e del gracile, sono le strutture tendinee autologhe più frequentemente utilizzate per la sua ricostruzione.

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Sindrome del piriforme: sintomi, esercizi, cura e recupero

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma SINDROME DEL PIRIFORME SINTOMI ESERCIZI Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Ano PeneLa Sindrome del muscolo piriforme o più comunemente “Sindrome del piriforme“, è una patologia che provoca un dolore di tipo sciatalgico, tanto che viene anche definita “falsa sciatalgia“. Il primo autore a ipotizzare il ruolo del muscolo piriforme quale causa di dolore di tipo sciatalgico fu W. Yoeman, nel 1928.

Cos’è il muscolo piriforme e dove si trova?
Prima di iniziare a parlare della patologia, facciamo un rapido accenno anatomico. Il muscolo piriforme è appunto un muscolo, piuttosto sottile, inizialmente è appiattito e poi si trasforma in un ventre dalla forma rotondeggiante. È costituito da tre fasci che originano dal secondo e terzo forame sacrale. È posizionato sia all’interno che all’esterno della pelvi (regione anatomica costituita dalle ossa delle anche, dal sacro e dal coccige). La parte intrapelvica è posizionata contro la parete laterale e ha di fronte il plesso sacrale, i vasi ipogastrici e il retto; la parte extrapelvica decorre fra il margine inferiore del piccolo gluteo posizionato superiormente e i muscoli gemelli e il muscolo otturatore interno che sono invece posizionati inferiormente. Le arterie glutee e il nervo ischiatico possono passare al di sopra o al di sotto del muscolo.

A che serve il muscolo piriforme?
Ha funzione extrarotatoria (ruota in fuori la coscia) con lieve componente di abduzione e di estensione. In fase di appoggio, il piriforme stabilizza il femore e ne impedisce la rotazione all’interno.

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Quali sono le cause della Sindrome del piriforme?
Il piriforme è un muscolo che può facilmente essere soggetto a fenomeni ipertrofici e di irrigidimento e sono appunti questi che scatenano la sindrome dolorosa descritta in questo articolo. Se fra le cause di tale dolore si possono escludere con certezza condizioni patologiche quali un’ernia del disco, una stenosi lombare, una massa neoplastica o un ematoma a livello dei muscoli ischio-crurali è sicuramente opportuno effettuare indagini a livello del muscolo piriforme; è possibile infatti che una sofferenza del piriforme (che può essere dovuta ai motivi più svariati) sia il responsabile della dolorabilità sciatalgica.
La sintomatologia causata da questa condizione può derivare dalla compressione del nervo sciatico contro l’arcata ossea del grande forame ischiatico o dalla strozzatura dello stesso nervo nel ventre del muscolo.
Dal punto di vista eziologico la Sindrome del muscolo piriforme è multifattoriale; dai dati presenti in letteratura sembra che la causa più frequente sia di tipo traumatico; altre cause sono:

  • la compressione diretta sulla natica, detta anche “sindrome del portafoglio”, in quanto proprio l’abitudine di tenere oggetti nelle tasche posteriori, specie da seduti, può portare (se protratta nel tempo) alla tumefazione del ventre muscolare, con conseguente tensione e compressione del nervo sciatico a quel livello;
  • le dismetrie/asimmetrie degli arti inferiori: rendono il bacino obliquo con sforzo compensatorio a carico anche del muscolo piriforme, specie se vi è associata una rotazione esterna dell’arto;
  • le miositi (infiammazioni) del piriforme;
  • dismorfismi o disfunzioni a carico del piede: portano ad una eccessiva pronazione del piede;
  • gli interventi chirurgici per problematiche relative all’anca.

Quali sono gli sport più frequentemente associati alla Sindrome del piriforme?
Alcune tipologie di attività, che richiedono un intenso utilizzo delle gambe, possono favorire l’insorgenza del problema; in ambito sportivo, per esempio, la Sindrome del piriforme interessa i ciclisti, i podisti, i ballerini e anche coloro che praticano il canottaggio.

Quali sono i sintomi della Sindrome del piriforme?
La sintomatologia della Sindrome del piriforme è alquanto variegata. Spesso si avverte dolore, talvolta accompagnato da parestesie, al tratto lombare, alla regione dei glutei, nelle zone posteriori della gamba e della coscia e anche alla pianta del piede. Chi soffre della Sindrome del piriforme, sente un dolore intenso al centro del gluteo, che si può irradiare lungo la parte posteriore della coscia, sino a dietro al ginocchio. I movimenti più dolorosi sono proprio le rotazioni, in particolare quando si accavallano le gambe da seduti o ci si gira nel letto. Altri segni e sintomi che possono comparire sono deficit di tipo motorio, riduzioni della sensibilità in alcune zone degli arti inferiori e gonfiore esteso nella zona che va dal sacro al gran trocantere. La sintomatologia è spesso acutizzata se il soggetto è rimasto a lungo seduto (in particolar modo con il femore intraruotato) oppure se si sono svolte attività sportive o lavorative caratterizzate da notevole intensità (corsa, danza ecc.).

Come si fa la diagnosi della Sindrome del piriforme?
La diagnosi della sindrome del muscolo piriforme viene effettuata, di norma, attraverso un esame di tipo clinico con accurata anamnesi (con particolare interesse alle abitudini lavorative e sportive del paziente); talvolta può essere necessario ricorrere a indagini supplementari (elettromiografia, per valutare la conducibilità nervosa del nervo sciatico, TAC e risonanza magnetica). Fra i test clinici maggiormente usati per la diagnosi della patologia in questione ricordiamo il test di Freiberg e il test di Pace e Nagle.

  1. Test di Freiberg: il paziente è in posizione prona, flette in modo passivo il ginocchio a 90° e porta la gamba all’esterno allo scopo di imprimere una rotazione interna al femore; il test viene ritenuto positivo nel caso lo stiramento del muscolo provochi dolore e un sintomo da compressione del nervo sciatico.
  2. Test di Pace e Nagle: il paziente, in posizione seduta, compie un’abduzione-extrarotazione isometrica delle anche contro le mani del medico. L’aumento del diametro del muscolo unito alla tensione causata dalla contrazione scatena, in caso di positività, dolori miofasciali e compressivi. Altri tipi di test usati per la diagnosi sono la palpazione della natica, il test di Saudek e il test di Mirkin.

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Come si cura la Sindrome del piriforme?
Esistono diverse modalità di trattamento della Sindrome del muscolo piriforme, queste sono sia di tipo farmacologico sia di tipo fisico.

  1. Farmaci: il trattamento farmacologico comprende l’assunzione orale di farmaci antinfiammatori non steroidei (per esempio l’ibuprofene o il naprossene; questi farmaci, che oltre ad attenuare il dolore, riducono anche l’infiammazione) e di farmaci miorilassanti, iniezioni locali di farmaci anestetici e di corticosteroidi e, in casi particolari, quando lo spasmo è resistente ai trattamenti prima elencati, inoculazione diretta di tossina botulinica di tipo A che risulta spesso efficace nel rilassamento del muscolo.
  2. Terapie fisiche: quelle consigliate sono:
  • gli ultrasuoni;
  • i massaggi trasversali profondi;
  • lo stretching;
  • la tecarterapia.

Sindrome del piriforme: rimedi casalinghi
Quando compare il dolore, può risultare di una certa utilità l’applicazione di un impacco freddo sulla parte dolorante per alcune volte al giorno per circa un quarto d’ora ogni volta. Per rilassare la parte può essere utile applicare una borsa dell’acqua calda.

Sindrome del piriforme: esercizi di stretching consigliati
Alcuni esercizi di stretching possono aiutare a recuperare il normale allungamento del piriforme durante i movimenti di adduzione-intra-rotazione del femore poiché il muscolo viene gradualmente stirato.

1° esercizio: Distesi su un tappetino in posizione supina (in posizione orizzontale, con la schiena appoggiata a terra) afferrate il ginocchio destro con entrambe le mani appoggiando il piede sinistro sul ginocchio destro. Portatelo verso il petto e mantenere questa posizione 5-6 secondi. Tornate lentamente alla posizione di partenza e poi ripetete con l’altra gamba.

2° esercizio: Sedetevi sul tappetino con le gambe allungate e flettete la gamba destra verso l’interno coscia, mentre la gamba sinistra verso l’esterno. Mantenete questa posizione per 5-6 secondi e rilasciate, poi ripetete con l’altra gamba.

3° esercizio: Seduti su una sedia mettete il piede destro sulla coscia sinistra, facendo una leggera pressione con la mano sul ginocchio della gamba che è coinvolta nell’allungamento. Mantenete questa posizione da 30 secondi ad 1 minuto e poi ripetete lo stesso esercizio con l’altra gamba.

Quali sono i tempi di recupero?
La ripresa dell’attività sportiva (o lavorativa) deve avvenire in modo graduale. Durante il periodo di trattamento può essere utile, nelle ore di sonno, posizionare un cuscino tra le ginocchia allo scopo di favorire il rilassamento del muscolo.

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Femore rotto: tipi di frattura, sintomi, intervento, riabilitazione e conseguenze

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma FEMORE ROTTO TIPI FRATTURA INTERVENTO  Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgIl femore è il più lungo osso del nostro corpo ed è dotato di una straordinaria resistenza, tuttavia la frattura del femore è un incidente molto diffuso, che colpisce principalmente gli anziani a causa dell’osteoporosi e di un’elevata fragilità ossea in seguito alla quale anche un trauma lieve può comportare una frattura. Per approfondire anatomia e fisiologia di questo importante osso umano, leggi anche: Femore: anatomia e funzioni in sintesi

Frattura di femore negli anziani
Nella mia esperienza la maggior parte degli anziani con frattura di femore che seguo nel percorso riabilitativo post intervento, riferisce che la frattura è stata causata da banali cadute, quasi sempre accadute durante lo svolgimento di normali attività quotidiane, come lavarsi, cucinare, pulire casa. La frattura del femore negli anziani non è affatto banale anzi il suo evento può configurare una vera e propria tragedia, immobilizzando a letto per lunghi periodi (anche mesi nei casi più gravi) dei soggetti già debilitati, frequentemente diabetici e cardiopatici e che spesso hanno poca voglia di collaborare con medici, OSS, infermieri e fisioterapisti durante il periodo riabilitativo a causa dei forti dolori e della debolezza muscolare. I pazienti anziani tendono a “lasciarsi andare” ed a voler rimanere a letto, con tutti i rischi connessi, come ad esempio decubiti (da cui il frequente uso di materassi antidecubito ad aria). Molto del mio lavoro in questo caso è spronare con motivazioni convincenti l’anziano affinché compia i suoi giornalieri esercizi riabilitativi. La stessa cosa devono fare i famigliari del paziente.

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Com’è fatto il femore?
Il femore è l’osso più grande dello scheletro umano. Esso è contenuto nella coscia ed è formato da una parte centrale “diafisi” e due “epifisi”: la prossimale e la distale. La prossimale con una testa rotonda che si innesta nell’acetabolo del bacino forma l’articolazione dell’anca, la distale con tibia e rotula forma l’articolazione del ginocchio.
La testa del femore è legata alla diafisi tramite il collo del femore che forma con la diafisi stessa un angolo di circa 125°. Come già detto la testa tonda del femore è inserita nell’acetabolo del bacino ed è mantenuta in posizione da una forte capsula articolare che si lega alla base del collo del femore. Detta capsula articolare è coadiuvata nei movimenti di estensione dell’articolazione da robusti legamenti e contiene al suo interno i vasi sanguigni che sovraintendono al nutrimento della testa del femore.
Lateralmente al collo il femore presenta inoltre due sporgenze il piccolo trocantere e il grande trocantere, dove si inseriscono i muscoli.

Cosa significa “frattura del femore”?
La frattura del femore è quell’evento nel quale – in seguito ad un trauma di varia natura – il femore perde la sua continuità e si divide in due o più pezzi o se semplicemente subisce una lesione.

Un evento diffuso e pericoloso
Come accennato all’inizio dell’articolo, la frattura del femore è un evento diffusissimo, specie tra gli anziani ed anche piuttosto grave: degli 80000 e più casi che in Italia si verificano ogni anno, 15000 hanno esito funesto, 35000 degenerano invalidità più o meno grave e di questi 15000 richiedono, successivamente, un’assistenza continua. Di tutti questi drammatici eventi circa il 75% interessa donne anziane, per le quali il tasso di mortalità per frattura femorale è pari se non superiore a quello per il cancro al seno.

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Prevenire le fratture di femore
Per ridurre il rischio di caduta occorre riconoscere le classi a rischio (anziani e in particolare le donne), i fattori di rischio e intervenire su questi ultimi con interventi multifattoriali. I principali fattori di rischio per le fratture di femore sono:

  • età avanzata;
  • sesso femminile;
  • osteoporosi;
  • storia di precedenti cadute;
  • terapia con farmaci che agiscono sul sistema nervoso centrale;
  • difficoltà motorie e paura di cadere;
  • alterazione della vista.

La prevenzione dell’osteoporosi prevede invece misure non farmacologiche e farmacologiche. Gli interventi non farmacologici, fondamentali, sono: l’attività fisica ed una adeguata alimentazione. L’esercizio fisico anche moderato deve essere incoraggiato, specie nell’anziano, per mantenere una buona tonicità muscolare e una corretta coordinazione dei movimenti; la dieta deve essere adeguata, specie nell’apporto di calcio.

Classificazione delle fratture di femore
La frattura del femore, come ogni altra frattura, può essere di vari tipi:

  • Composta se in seguito al trauma l’osso conserva il suo naturale allineamento.
  • Scomposta se i tronconi dell’osso si allontanano dal consueto allineamento.
  • Una frattura scomposta del femore può essere esposta se uno o più frammenti ossei bucano muscoli e cute e fuoriescono.

A seconda del numero di interruzioni, la frattura può classificarsi in:

  • unifocale se vi è una sola rima (sede) di frattura
  • bifocale, se vi sono due rime
  • pluriframmentata se vi sono più rime di frattura.

In base alla sede anatomica si suddividono le fratture del femore in:

  • fratture della diafisi (parte centrale del femore)
  • fratture dell’epifisi prossimale o distale

Le fratture prossimali o distali possono a loro volta dividersi in

  • extra articolari o laterali se avvengono all’esterno della articolazione e che possono la base del collo, il grande trocanterio o il piccolo trocanterio (fratture trocanteriche).
  • intra articolari o mediali se avvengono all’interno dell’articolazione e che possono interessare il collo e la testa del femore. Le fratture infra articolari sono quelle più pericolose perché danneggiano i vasi sanguigni che sono deputati alla vascolarizzazione dell’articolazione e se tale danno non viene curato in maniera adeguata può procurare necrosi del tessuto osseo.
  • Se la frattura si localizza subito al di sotto della testa sferica dell’osso è detta sotto capitata.

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Quali sono i sintomi di una frattura di femore?
La frattura del femore ha una sintomatologia che varia in funzione delle tipologie sopra elencate, tuttavia vi sono dei sintomi comuni quali:

  • il dolore circoscritto
  • tumefazione e gonfiore
  • impossibilità di muovere l’arto e di stare in piedi.

Le fratture chiuse (in cui la cute non è lacerata) può verificarsi un sanguinamento interno che provoca un’ecchimosi viola nerastra (livido).

Quali sono le cause di frattura di femore?
In pazienti giovani ed in buona salute la frattura scomposta del femore è un evento molto raro conseguente a violentissimi traumi come può essere un incidente stradale o una rovinosa caduta di alcuni sportivi soprattutto ciclisti o sciatori di fondo. Purtroppo il discorso è totalmente diverso in caso di frattura del femore negli anziani che può essere anche conseguenza di un incidente lieve. Le cause di ciò possono essere varie:

  • mancanza di riflessi e tono muscolare dovuti al declino psicofisico legato all’età,
  • ambiente domestico non adatto alle persone di età avanzata,
  • capogiri o malesseri passeggeri,
  • alcuni farmaci quali analgesici antidepressivi e diuretici,
  • osteoporosi, malattia per cui si modifica la micro architettura delle ossa che in seguito a tale cambiamento vengono ad avere una densità più bassa (aumento della porosità),
  • cali di pressione,
  • problemi visivi.

Giovani ed anziani possono, inoltre, essere soggetti a fratture patologiche del femore, ovvero a fratture che possono verificarsi anche in assenza di trauma, causate da patologie che indeboliscono lo scheletro tra cui:

  • Infezioni, quali artriti o osteomielite (infiammazione del tessuto osseo dovuta a batteri),
  • tumori ossei o metastatici,
  • anoressia: la cattiva nutrizione, infatti provoca precoce osteoporosi e decalcificazione delle ossa,
  • iperparatiroidismo: disfunzione delle ghiandole paratiroidi che provoca una diminuzione dell’ormone paratormone deputato alla regolazione del calcio corporeo,
  • osteomalacia: patologia metabolica che causa fragilità ossea.

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Terapia delle fratture di femore
La diagnosi di una frattura del femore è alquanto facile. Comunque l’esame radiografico evidenzia chiaramente la frattura ed il conseguente stato dell’allineamento dei tronconi ossei. La miglior terapia possibile per la cura di fratture del femore è la riduzione con intervento chirurgico. Solo nei casi in cui complicanze di carattere internistico rendano impossibile l’intervento allora si procede all’immobilizzazione. Ma i progressi delle tecniche di anestesia hanno reso ormai possibile interventi su pazienti di 90/95 anni di età.

Riduzione della frattura di femore con intervento chirurgico
L’intervento (da praticarsi nelle 24/48 ore successive) non solo è consigliato ma è obbligatorio per un decorso privo di pericolose complicazione e per una completa riabilitazione funzionale. L’intervento varia al variare del punto di frattura e dell’età del paziente e può comportare l’utilizzo di perni, placche, protesi parziali o addirittura totali. Se il paziente ha più di 65 anni si preferisce impiantare una protesi completa dell’anca allo scopo di poterlo mettere in condizione di camminare nel più breve tempo possibile per evitare complicanze dovute a trombosi o embolie. Nel caso di pazienti più giovani e con una lunga aspettativa di vita l’intervento mira alla osteosintesi ovvero alla formazione del callo osseo, rimettendo in contatto le pari ossee con applicazioni di chiodi e placche. Una tecnica moderna nota come chiodo gamma, una protesi composta da un chiodo che va inserito nell’osso lungo e una vite che va inserita nel collo del femore, consente la ripresa funzionale subito dopo l’intervento.

Riabilitazione dopo una frattura di femore
Come si fa una corretta riabilitazione dopo una frattura di femore trattata chirurgicamente? Come controllare il dolore ed evitare i fenomeni trombotici tipici? Per rispondere a queste domande, leggi: Femore rotto: riabilitazione, profilassi antitrombotica e controllo del dolore

Conseguenze a breve e lungo termine delle fratture di femore
Quali sono le conseguenze di una frattura di femore? A tale proposito leggi anche: Fratture di femore: conseguenze a breve e lungo termine

I migliori prodotti per la cura delle ossa e dei dolori articolari 
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
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Articolazione del ginocchio: com’è fatta, quali sono le patologie, i sintomi e gli esami da fare

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Il ginocchio è un’articolazione che unisce la coscia e la gamba, le quali, insieme al piede, compongono l’arto inferiore. Il ginocchio è composto in realtà da due articolazioni: una tra femore e tibia, e l’altra tra femore e rotula. L’incavo posteriore è chiamato cavità poplitea. Il ginocchio consente movimenti in flessione ed estensione.

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Ossa e superfici articolari

L’articolazione del ginocchio è un ginglimo angolare, con un grado di libertà consente quindi il movimento di flessione-estensione; Prevede un secondo grado di mobilità, la rotazione su asse longitudinale della gamba, che si verifica solo a ginocchio flesso. Sul piano frontale, grazie agli assi longitudinali del femore e della tibia, è possibile notare il comune fisiologico valgismo di circa 170°. Le ossa coinvolte nell’articolazione del ginocchio sono il femore, la rotula (o patella) e la tibia. La patella è il più grande osso sesamoide del corpo umano. È un osso piatto che possiede due superfici, una anteriore ed una posteriore, tre lati ed un apice diretto inferiormente ma la sua forma è molto variabile. La superficie anteriore è molto ricca di fori nutritizi (dove penetrano rami delle arterie genicolate e della ricorrente anteriore tibiale) ed appare scabra, con rilievi longitudinali che possono essere più o meno marcati a seconda dell’individuo e che sono le aree di inserzione del tendine del muscolo quadricipite femorale. Prossimalmente presenta un’area più liscia dove si inseriscono i muscoli vasto intermedio e retto del femore. Lungo i lati mediale e laterale si inseriscono rispettivamente il retinacolo patellare mediale e il retinacolo patellare laterale. La superficie posteriore è invece più liscia di quella anteriore. La porzione superiore è divisa longitudinalmente da un rilievo, detto spigolo, in due faccette articolari, con la laterale più estesa della mediale. Tramite le due faccette la patella si articola con la superficie patellare del femore. La porzione inferiore sino all’apice è invece molto scabra, qui infatti si inserisce il tendine patellare che la collega alla tibia. La patella è costituita da una lamina di osso compatto superficiale che ricopre una più spessa porzione trabecolare, con le trabecole parallele alla superficie dell’osso nella porzione anteriore, più raggiate in quella posteriore. La superficie articolare del femore è costituita dalla sua epifisi distale espansa. L’epifisi distale del femore è costituita dai due condili, mediale e laterale, che anteriormente si fondono per poi formare la diafisi, mentre posteriormente divergono lateralmente; lo spazio che ne deriva è la fossa intercondiloidea. Superiormente e lateralmente ad esso, ciascun condilo possiede il corrispondente epicondilo. La porzione superiore dell’epicondilo mediale forma una sporgenza detta tubercolo adduttorio, poiché vi si inserisce una parte del tendine del muscolo grande adduttore. La superficie dell’epifisi distale posteriore compresa tra le due linee sopracondiloidee (mediale e laterale), detta poplitea, è scabra appena superiormente ai condili. Scabra è anche la superficie anteriore dei condili e degli epicondili, ma è liscia posteriormente sui condili e nella fossa intercondiloidea. Anteriormente all’epifisi distale vi è un’area triangolare liscia, la superficie patellare che si articola con la patella; è concava trasversalmente e convessa verticalmente. La superficie articolare del femore, costituita dalla superficie inferiore dei due condili è liscia ed ha la forma di una “U” rovesciata, essa si articola con il piatto tibiale, cioè la superficie superiore dell’epifisi prossimale della tibia, mentre non prende contatto con il perone.

Capsula articolare

Come ogni diartrosi, il ginocchio è circondato da una capsula articolare, formata da membrane fibrose, separate da depositi di grasso. La capsula è costituita da una parte esterna e da una interna, che costituisce la membrana sinoviale, che delimita una cavità dove è presente liquido sinoviale. Anteriormente la membrana sinoviale è attaccata al margine delle cartilagini del femore e della tibia. Esistono altre capsule che non sono comunicanti con questa, presenti tra la cute e la patella.

Menischi

I dischi articolari del ginocchio sono chiamati menischi. I menischi sono costituiti da tessuto connettivo con fibre di collagene contenente cellule cartilaginee, hanno una forma appiattita e sono fusi lateralmente con la membrana sinoviale. Ne troviamo due: il menisco laterale e il menisco mediale, che sono uniti tra loro dal legamento trasverso del ginocchio posto anteriormente ad essi. Il menisco laterale ha una forma quasi circolare, mentre quello mediale è più grande ed ha una forma semilunare. Entrambi prendono inserzione sull’eminenza intercondiloidea della tibia. I menischi servono a proteggere le estremità delle ossa dallo sfregamento e ad assorbire gli urti. Possono venire danneggiati o strappati quando il ginocchio è sottoposto a una rotazione o piegamento forzato.

Legamenti

Molti legamenti circondano il ginocchio, essi hanno la funzione di tenere in sito il ginocchio e dare stabilità, limitando i movimenti e proteggendo la capsula articolare.

Intracapsulari

Il ginocchio è stabilizzato attraverso i legamenti crociati (anteriore e posteriore), che prendono inserzione sull’eminenza intercondiloidea e si incrociano a livello della fossa intercondiloidea,. Il legamento crociato anteriore si estende dal condilo laterale del femore all’area intercondilare anteriore. Questo legamento impedisce che la tibia sia spinta anteriormente rispetto al femore. Il legamento crociato posteriore si estende dal condilo mediale del femore all’area intercondilare posteriore. Questo legamento impedisce lo spostamento posteriore della tibia rispetto al femore. Il legamento traverso si estende dal menisco laterale al menisco mediale. Passa davanti ai menischi e li collega anteriormente. Nel 10% della popolazione è suddiviso in più legamenti. I legamenti meniscofemorali posteriori e anteriori si estendono dal corno posteriore del menisco laterale al condilo femorale mediale. Il legamento meniscofemorale posteriore è più comune; più raramente sono presenti entrambi i legamenti. Il legamento meniscotibiale (o coronarico) si estende dai margini inferiori dei mensichi alla periferia del plateau tibiale.

Extracapsulari

Il legamento patellare unisce la patella alla tuberosità tibiale. Viene anche chiamato tendine patellare vista la mancanza di separazione tra il tendine quadricipite (che circonda la patella) e l’area che collega la patella alla tibia. Lateralmente e medialmente al legamento patellare, il retinacoli laterale e mediale connettono le fibre del muscolo vasto laterale e mediale alla tibia. Alcune fibre del tratto iliotibiale si irradiano nei retinacoli e ricevono fibre trasversali derivanti dall’epicondilo femorale mediale. I legamenti collaterali, (mediale o tibiale, e laterale o fibulare), si originano dagli epicondili femorali per poi prendere inserzione rispettivamente sulla tibia e sulla testa del perone.

Muscoli

I muscoli responsabili del movimento del ginocchio appartengono al compartimento anteriore, mediale o posteriore della coscia. In generale, i muscoli estensori appartengono al compartimento anteriore e i flessori al posteriore. Esistono due eccezioni: il gracile, un flessore, appartiene alla zona mediale e il sartorio, un flessore, all’anteriore.

Circolazione sanguigna

L’arteria femorale e l’arteria poplitea contribuiscono a formare la rete arteriosa che circonda l’articolazione del ginocchio. Esistono sei rami principali: due arterie genicolari superiori, due arterie genicolari inferiori, l’arteria genicolare discendente e il ramo ricorrente dell’arteria tibiale anteriore. Le arterie genicolari mediali penetrano nel ginocchio.

Funzione

L’articolazione del ginocchio permette movimenti di estensione e flessione della gamba rispetto alla coscia. I movimenti di rotazione sono limitati dalla presenza dei legamenti crociati e collaterali. Il ginocchio consente la flessione e l’estensione su un asse trasversale virtuale, nonché una leggera rotazione mediale e laterale attorno all’asse della gamba inferiore. Il giunto del ginocchio è mobile perché il femore e il menisco laterale si muovono sulla tibia durante la rotazione, mentre il femore ruota e scorre su entrambi i menischi durante la flessione e l’estensione. Il centro dell’asse trasversale dei movimenti di estensione e flessione si trova nell’incrocio tra i legamenti collaterali e i legamenti crociati. Il punto centrale si muove verso l’alto e all’indietro durante la flessione, mentre la distanza tra il centro e le superfici articolari del femore cambia con la diminuzione della curvatura dei condili femorali.

Le patologie

Diverse sono le patologie che coinvolgono l’articolazione del ginocchio. La più comune riguarda pazienti con età avanzata: l’artrosi è una malattia degenerativa cronica che coinvolge capsula, legamenti e cartilagine e porta ad una graduale usura dell’articolazione.

Ma le malattie del ginocchio sono diagnosticabili anche in pazienti giovani, come le lesioni meniscali o le rotture del legamento crociato anteriore, causate da traumi o da sforzi ripetuti anche di natura sportiva. Causa di dolore al ginocchio possono poi essere poi patologie da sovraccarico o post-traumatiche come borsiti o tendiniti.

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Lesioni meniscali

Le lesioni meniscali sono molto frequenti, avvengono o per trauma distorsivo del ginocchio o per usura cronica del menisco, sono più a rischio persone che “usano” molto le ginocchia: calciatori, pavimentatori, operai, pallavolisti eccetera.
Le lesioni del menisco si differenziano secondo la loro localizzazione, quindi sarà facile trovare uno di questi termini nel referto della vostra ecografia al ginocchio:

  • a “manico di secchio”: dal corpo del menisco si alza un frammento semilunare, derivante dall’aggravarsi di una lesione più piccola, e rischia di rimanere incastrato e causare un blocco.
  • longitudinale: lesione in senso longitudinale rispetto al corpo del menisco
  • trasversale: lesione in senso trasversale, quindi perpendicolare, rispetto al corpo del menisco.

Sintomi e segni

Il sintomo più tipico che allarma il paziente è il dolore (gonalgia). La sede del dolore dipende dalla struttura colpita dalla patologia e dal compartimento interessato. Nei pazienti anziani il dolore è tipicamente mediale, compartimento colpito più frequentemente dalle fasi iniziali dell’artrosi.

Le modalità di insorgenza variano a seconda della patologia che lo determinano. Il dolore a comparsa lenta con progressivo peggioramento in un paziente anziano fa sospettare l’insorgenza di una gonartrosi, il dolore acuto in un paziente giovane dopo trauma discorsivo o sforzo, fa sospettare l’insorgenza di una lesione meniscale. Il dolore causato dall’articolazione del ginocchio viene evocato dal carico (cammino) o dalla mobilizzazione passiva eseguita dall’esaminatore ai gradi massimi di articolarità.

Spesso il dolore può essere accompagnato dalla zoppia causata dal tentativo del paziente di ridurre al minimo il momento dell’appoggio dell’arto con ginocchio doloroso. Tale tentativo produce uno squilibrio nell’andatura per effetto della minore durata del passo con appoggio sull’arto “malato” rispetto al passo con appoggio sull’arto sano.

Altrettanto spesso il dolore può essere accompagnato da gonfiore. La tumefazione dell’articolazione, talvolta evidente alla semplice osservazione, è causato dall’aumento della quantità di liquido intrarticolare. Quando il liquido in eccesso è liquido sinoviale, come nel caso dell’infiammazione della parete interna della capsula (sinovite) la tumefazione viene definita idrartro. Tipica è la presenza di idrartro in caso di artrosi severa. Quando il liquido in eccesso contiene sangue, causato da una frattura o da una lesione legamentosa intrarticolare dopo un trauma, si parla di emartro.

Più rara è la comparsa di rigidità, spesso dovuta al consumo severo della superficie articolare ed a comparsa di calcificazioni che diminuiscono l’escursione articolare.

Il blocco articolare è invece una limitazione articolare che consente pochi gradi di escursione articolare, spesso accompagnati da intenso dolore. Il blocco ha sempre una causa meccanica, più frequentemente è causata da un frammento di menisco rotto che si interpone tra le due superfici articolari impedendone lo scivolamento l’una sull’altra.

L’instabilità definisce un cedimento dell’articolazione durante il carico. Può essere causata nei pazienti anziani dalla degenerazione dei legamenti collaterali e dal consumo dell’osso femorale o tibiale o nei pazienti giovani nella lesione del legamento crociato anteriore.

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Gli esami

Nella maggior parte dei casi è il medico di famiglia che prescrive l’esecuzione di una radiografia standard in proiezione antero-posteriore e laterale del ginocchio affetto che lo aiuta a formulare la diagnosi. La proiezione assiale di rotula (tangenziale a ginocchio flesso) mette in rilievo anomalie ossee dell’articolazione femoro-rotulea.

La radiografia del ginocchio visualizza le parti ossee (chiare, cioè radiopache), permette quindi di valutare la forma del femore, della tibia e della rotula, l’assenza di fenomeni patologici come le calcificazioni o le lesioni litiche (consumo dell’osso). Permette inoltre di valutare l’ampiezza dello spazio articolare cioè lo spessore delle cartilagini femorale e tibiale che essendo radiotrasparenti (scure) sono identificabili nello “spazio vuoto” tra i condili femorali ed il piatto tibiale.

La TC (o TAC) è utile nel caso si vogliano approfondire le indagini per quanto riguarda il versante osseo, meniscale o legamentoso

La risonanza magnetica serve a valutare la presenza di sofferenza ossea (es. sofferenza dell’osso del piatto tibiale o dei condili femorali in fase iniziale, non visibili alla radiografia), di lesioni del menisco laterale o mediale, di lesioni dei legamenti crociati o collaterali o di problemi dei tessuti molli circostanti (es. borsiti, cisti,..).

L’ecografia muscolo tendinea è una metodica non invasiva e assolutamente non dannosa per l’organismo (relativamente economica in relazione al suo impatto sui costi sociali) che utilizza ultrasuoni ovvero onde sonore ad alta frequenza per studiare i fasci muscolari, i tendini e le neoformazioni dei tessuti molli come le cisti e i lipomi. È un esame che spesso riesce ad offrire informazioni preliminari sulle cause possibili del dolore articolare. I vantaggi dell’ecografia sono che è un esame indolore, rapido (l’esame dura 10-15 minuti), economico, permette una visione in tempo reale anche con l’articolazione in movimento (impossibile con altre metodiche), può essere eseguito anche se il paziente è portatore di pacemaker e non espone il soggetto a radiazioni. Per quel che riguarda il ginocchio, l’ecografia è utile per:

  • lo studio dei tendini e delle loro lesioni;
  • lo studio delle lesioni muscolari;
  • lo studio delle cisti tendinee e articolari;
  • lo studio preliminare delle neoformazioni del sotto cute;
  • lo studio delle fasce muscolari e delle borse sierose.

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La sciatalgia ti blocca? Ecco i rimedi e gli esercizi che ti salveranno!

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO YOGA RELAX MEDITAZIONE DONNA TRANQUILLITA MENTE RILASSAMENTO NATURA PALESTRA ESERCIZIO PESI MUSCOLI STRETCHING TAPPETINOViene descritto come un dolore insopportabile e caratteristico che non permette le normali attività lavorative e sociali. Vediamo di cosa si tratta e come combatterlo! In medicina per sciatalgia (anche chiamata “sciatica”) si intende un dolore che si estende alla gamba partendo dalla parte bassa della schiena (a livello lombare), in genere solo su un lato del corpo. In alcuni casi può associarsi mal di schiena e lombalgia. La causa primaria è una radicolopatia, o meno frequentemente una mielopatia o una neuropatia, ai danni della radice del nervo ischiatico (“nervo sciatico”), dovute a diversa origine: circa il 90% dei casi di sciatica sono dovuti ad una ernia del disco che determina avvicinamento di due vertebre lombari o di una vertebra lombare ed una sacrale, col risultato di determinare irritazione del nervo e dolore sul suo decorso. Altre patologie che possono portare alla sciatica, più rare, includono la spondilolistesi, la stenosi spinale, la sindrome del piriforme, la spondilosi vertebrale, la spondilite anchilosante, tumori pelvici, lesioni spinali, infezioni dei dischi vertebrali e compressione dovuta alla testa di un feto durante la gravidanza.

Terapie e consigli

La terapia di una sciatalgia dipende dalla causa a monte che l’ha determinata. Quando la causa della sciatica è l’ernia del disco a livello lombare o lombo-sacrale, la maggior parte dei casi si risolvono spontaneamente nel corso di settimane o di qualche mese, con la disidratazione spontanea della massa polposa fuoriuscita, potendo però perdurare alcuni sintomi se le vertebre premono sui nervi. Sicuramente si raccomanda il riposo (o un esercizio fisico a basso impatto, sotto la supervisione di un fisioterapista o un personal trainer titolato, per rinforzare i muscoli della schiena e dei lombi), bere molta acqua (per favorire l’idratazione del disco erniato), eliminare il fumo di sigaretta, mantenere una postura corretta, lo stretching e l’evitare di alzare pesi curvando la schiena (in qualsiasi movimento la schiena deve infatti sempre rimanere diritta). E’ importante evitare le correnti d’aria ed i colpi di freddo. Molto importante, in caso di sovrappeso od obesità, seguire una dieta ipocalorica per ridurre il grasso corporeo.

Utili sono alcuni esercizi mirati, da eseguire preferibilmente con la supervisione di un fisioterapista o un personal trainer titolato. Ad esempio:

  • mettiti in posizione supina (stesi per terra con un tappetino, a pancia in alto), con le gambe distese e le braccia allungate lungo il corpo; le ginocchia vanno portate verso il petto, per essere circondate dalle braccia, in modo allungare le prime vertebre;
  • mettiti in posizione supina, piega le ginocchia mantenendo saldamente sul pavimento i piedi; appoggia la caviglia sinistra sul ginocchio destro tirando con entrambe le mani la coscia destra all’altezza dell’angolo del ginocchio) verso il petto. Mantieni questa posizione per alcuni secondi, poi ripeti con l’altra gamba;
  • mettiti carponi a terra sulle ginocchia, poi distendi la colonna vertebrale allungandoti all’indietro con le mani;
  • assumi una posizione supina e solleva la gamba, piegando il ginocchio che va preso con l’altra mano e tirato lievemente, fino a sentire la tensione delle prime vertebre e del bacino;
  • “esercizio del gatto”: mettiti carponi a terra sulle ginocchia poggiando le mani a terra posizionate sotto alle spalle; le ginocchia devono risultare allineate ai fianchi; ingobbisci la schiena formando una U rovesciata, contraendo gli addominali e spingendo verso l’alto; mantieni la posizione per alcuni secondi, poi rilascia ed arcua la schiena in senso opposto: incurvala spingendo i glutei in alto e l’addome verso il basso.

L’attività fisica regolare è ottima, ma deve essere eseguita senza sforzi intensi e sempre sotto la supervisione di un personal trainer titolato. Gli sport più adatti contro la sciatica sono:

  • passeggiata a passo medio/veloce;
  • nuoto;
  • acquagym.

Frequentemente i farmaci sono prescritti per il trattamento della sciatica, vi sono prove a sostegno degli antidolorifici. In particolare, i FANS (farmaci intinfiammatori come l’aspirina) sembrano migliorare il dolore immediato e tutti i FANS appaiono circa equivalenti nella loro efficacia, tuittavia consigliamo sempre l’uso di ibuprofene (massimo 1200 mg al giorno, divisi in due o tre assunzioni) per via della sua minore gastrolesività. In caso di dolori più lievi, sarebbe preferibile evitare i FANS, specie per chi soffre di gastrite, ed assumere paracetamolo (Tachipirina). In coloro con sciatica a causa della sindrome del piriforme, le iniezioni di tossina botulinica possono migliorare il dolore e la funzionalità. Vi sono prove anche per l’efficacia degli steroidi. Alcuni evidenze supportano l’uso del gabapentin per alleviare il dolore acuto nei pazienti con sciatica cronica.

La chirurgia per sciatica unilaterale comporta la rimozione di una parte del disco intervertebrale, una procedura conosciuta come discectomia. Sebbene in genere si hanno benefici a breve termine, quelli a lungo termine sembrano essere equivalenti all’approccio conservativo.[3][26] Il trattamento della causa sottostante della compressione è necessaria in caso di ascesso epidurale, tumori epidurali e sindrome della cauda equina.

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