Tumore al seno nell’uomo sintomi, dolore, sopravvivenza e guarigione

MEDICINA ONLINE MAMMELLA SENO PETTO DONNA UOMO QUADRANTI Q1 Q2 Q3 Q4 FEMMINA FEMMINILE MASCHILE CAPEZZOLO AREOLA MUSCOLI PETTORALI CASSA TORACICA DOTTI GALATTOFORI INTROFLESSO PAGET TESSUTO ADIPOSO ECOGRAFIA MAMMOGRAFIAIl cancro al seno viene erroneamente considerato una patologia esclusivamente femminile, ma in realtà può svilupparsi – pur raramente – anche negli uomini: dal punto di vista istologico, sono presenti anche nell’uomo piccole quantità di tessuto mammario che possono mutare e dare il via alla formazione del cancro e alla sua successiva diffusione negli organi vicini.

Diffusione del tumore al seno maschile e femminile

Il cancro al seno è tumore più diffuso tra le donne dal momento che colpisce una donna su 10, ma nell’uomo è molto raro (meno del’1% di tutti i tumori maschili). In Italia attualmente il 99,5% di tutti i tumori al seno sono riferiti a pazienti donne, il restante 0,5% a uomini. Si stima che in Italia interessi attualmente un uomo ogni 520 circa. L’incidenza sta tuttavia lievemente aumentando (nel 2012 i casi erano 400 all’anno), come per la donna, e si estende alla fascia di età sotto i 45 anni, anche se l’età più a rischio resta quella tra i 60 e i 70 anni. Entrambi i sessi sono accomunati dalla zona che il tumore predilige: sia nell’uomo che nella donna l’incidenza è maggiore nella mammella sinistra, nel cavo ascellare e nel quadrante mammario superiore esterno.

Perché tra gli uomini è meno diffuso?

La minore diffusione tra i maschi è in parte dovuta al fatto che il tessuto mammario che si può trasformare in senso tumorale è molto scarso nell’uomo e, in parte, anche alla diversa esposizione di questo tessuto agli ormoni nei due sessi: manca infatti nell’uomo l’esposizione costante agli ormoni femminili che promuovono la crescita delle cellule mammarie.

Tipologie

Il tumore del seno viene definito carcinoma duttale se si sviluppa a partire dalle cellule dei dotti o lobulare, se prende invece il via dalle cellule dei lobuli. Inoltre, la malattia può essere infiltrante, quando supera la parete di dotti e lobuli e si diffonde anche ai tessuti vicini, o in situ se le cellule malate non danno origine a metastasi.
Nell’uomo, il carcinoma duttale infiltrante è la forma più diffusa (8 casi su 10), mentre il tumore lobulare è piuttosto raro dal momento che il tessuto lobulare è molto scarso.

La malattia di Paget (o morbo di Paget) della mammella, è un tipo di tumore che si sviluppa nelle cellule dei dotti e si diffonde al capezzolo e all’areola, provocando cambiamenti visibili nella pelle di quell’area che appare arrossata e come ricoperta da una sorta di eczema.

Esistono anche forme benigne di tumore del seno, come per esempio la ginecomastia  – l’aumento della quantità di tessuto mammario – molto più diffusa nell’uomo rispetto al tumore maligno. In caso di ginecomastia è possibile sentire e a volte anche vedere, masse di tessuto mammario nell’area vicina al capezzolo, noduli che devono sempre essere tenuti sotto controllo. Negli adolescenti e negli anziani la ginecomastia è spesso legata ai cambiamenti ormonali che caratterizzano queste due fasi della vita, ma più in generale può essere associata, in tutte le età, a farmaci (per esempio quelli usati per trattare insufficienza cardiaca, ipertensione e ulcera) o, in rari casi, alla presenza di malattie delle ghiandole che producono ormoni (endocrine), a patologie del fegato, obesità e altre condizioni cliniche che aumentano la produzione di ormoni femminili nell’uomo.

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Evoluzione

Lo stadio di un tumore indica quanto la malattia è estesa e, nel caso del tumore del seno, si possono distinguere cinque diversi stadi, definiti in base al sistema di stadiazione TNM, dove T indica la dimensione del tumore, N lo stato dei linfonodi e M la presenza di metastasi. Lo stadio 0, il più basso, è il tumore in situ che non ha ancora raggiunto linfonodi e altri organi, mentre lo stadio IV, il più alto, include i tumori che hanno dato metastasi in organi lontani. Stabilire lo stadio del tumore – tramite indagine istologica – è molto importante per determinare la prognosi: più basso è lo stadio, maggiori sono le possibilità di curare la malattia.

Sintomi

In genere il cancro del seno nelle sue fasi iniziali non provoca dolore o altri sintomi particolari e per questo motivo gli unici campanelli d’allarme sono rappresentati dalla formazione di noduli che possono essere riconoscibili al tatto o addirittura visti e da cambiamenti nel seno come, per esempio:

  • un ispessimento diverso dagli altri tessuti della mammella,
  • una mammella che diventa più grande o più bassa,
  • un capezzolo che cambia posizione, morfologia o si ritrae (capezzolo introflesso),
  • la presenza di una increspatura della pelle o di fossette, “pelle a buccia d’arancia”,
  • un arrossamento cutaneo, specie se intorno a un capezzolo,
  • una secrezione purulenta e/o ematica dal capezzolo,
  • dolore costante in una zona della mammella o dell’ascella,
  • un gonfiore sotto l’ascella o intorno alla clavicola.

La presenza di dolore (“mastodinia“) può essere indicativo sia di tumore ma anche di altre patologie. I sintomi sono tanto più indicativi di malattia maligna quanto più si presentano monolateralmente (cioè ad una sola mammella e non ad entrambe).

Fattori di rischio

Tutti i segni e sintomi finora elencati sono ancora più indicativi di cancro mammario, se il paziente presenta i seguenti fattori di rischio:

  • età avanzata (>40 anni);
  • fumo di sigaretta;
  • genetica (altri casi in famiglia);
  • esposizione ad inquinamento atmosferico;
  • elevati livelli di alcuni ormoni;
  • dieta ricca di grassi;
  • sedentarietà;
  • obesità.

Alcuni di questi fattori di rischio sono non modificabili (ad esempio l’età), ma altri possono essere evitati modificando abitudini e stile di vita, ad esempio seguendo una dieta corretta, mantenendo un adeguato peso, facendo attività fisica e smettendo di fumare.

Con l’avanzare dell’età  aumenta anche nell’uomo il rischio di tumore del seno, che in genere viene diagnosticato poco prima dei 70 anni, mentre quando la malattia colpisce un uomo giovane, si può pensare a fattori di rischio di tipo ereditario o genetico. La presenza di casi di tumore al seno in familiari molto stretti può essere un campanello d’allarme: un uomo su cinque con tumore del seno ha parenti stretti – maschi o femmine – colpiti dalla stessa malattia. A livello genetico, sono molto importanti le mutazioni presenti nel gene BRCA2, responsabili del 10% circa dei tumori mammari maschili, mentre quelle nel gene BRCA1 sembrano meno legate all’aumento del rischio. Infine, anche alcune sindromi genetiche presenti alla nascita, come la sindrome di Klinefelter, o l’esposizione del torace a radiazioni, a causa per esempio di un trattamento di radioterapia, possono influenzare in modo negativo il rischio.

Come nella donna, anche nell’uomo gli ormoni giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo e nella crescita del tumore del seno e tutto ciò che sposta l’equilibrio ormonale può far aumentare il rischio di malattia: problemi a livello dei testicoli (rimozione, discesa incompleta o assente eccetera), terapia ormonale in caso di tumore della prostata, obesità  (che induce la produzione di livelli più elevati di estrogeni), ma anche abuso di alcol e malattie del fegato.

Va infine ricordato che la presenza dei segni e sintomi elencati non assicurano una diagnosi corretta: quest’ultima si dovrà infatti avvalere di esami strumentali (ecografia, mammografia, biopsia…) e di laboratorio.

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Screening e diagnosi precoce

Per gli uomini non esistono screening specifici (mammografia eccetera) che permettano di identificare il tumore nelle sue fasi iniziali, soprattutto perché il tumore del seno maschile è molto raro e sottoporre a questo tipo di esami tutta la popolazione non avrebbe senso. Nonostante ciò, i maschi figli o fratelli di donne portatrici delle  mutazioni BRCA1 e BRCA2  dovrebbero fare anch’essi il test genetico, poiché se risultano portatori del gene mutato sono anch’essi a rischio elevato di sviluppare un cancro del seno.

Diagnosi

È più semplice scoprire la presenza di un nodulo mammario in un uomo che in una donna, dal momento che la quantità di tessuto lobulare e adiposo è molto scarsa nel seno maschile, ciononostante spesso gli uomini si accorgono di avere un tumore quando la malattia è già in fase avanzata. Questo succede perché erroneamente si crede che il tumore del seno sia una malattia esclusivamente femminile.

La diagnosi di tumore del seno nell’uomo si basa innanzitutto sulla visita dal medico che, dopo aver analizzato la storia familiare e aver valutato eventuali noduli, decide se procedere con ulteriori esami di approfondimento.

In questo caso, anche per l’uomo vengono utilizzati ecografia e mammografia per visualizzare la struttura del seno oppure l’analisi del liquido  che in alcuni casi fuoriesce dal capezzolo, ma l’esame che permette di formulare una diagnosi certa è la biopsia, cioè il prelievo di una parte del tessuto “sospetto” e la sua analisi in laboratorio alla ricerca di cellule tumorali.

Una volta diagnosticato il cancro, è possibile determinare alcune caratteristiche delle cellule tumorali come la presenza/assenza di recettori per gli ormoni (estrogeni e progesterone) o i livelli della proteina HER2neu, molto importanti per guidare il medico nella scelta del trattamento più efficace.

Infine, risonanza magneticatomografia computerizzata (TC), tomografia a emissione di positroni (PET), ecografia e  scintigrafia ossea sono gli esami più comunemente utilizzati per identificare la presenza di metastasi in altri organi.

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Cure

La maggior parte delle informazioni relative al trattamento del tumore del seno derivano dall’esperienza di medici e ricercatori nel trattamento della malattia nelle donne: negli uomini, infatti, questo tumore è molto raro e di conseguenza è molto difficile riuscire ad organizzare uno studio clinico che coinvolga solo pazienti maschi.
Anche per l’uomo, comunque, la scelta del trattamento dipende da molti fattori come, per esempio, il tipo e la posizione della malattia, la sua eventuale diffusione ad altri organi e le condizioni del paziente.

Terapia chirurgica e guarigione

La chirurgia rappresenta una delle prime scelte di trattamento per il tumore del seno maschile e di norma richiede un ricovero di un paio di giorni in ospedale, anche se sono sempre più frequenti gli interventi in day-hospital. In genere nell’uomo, al contrario che nella donna dove si predilige preservare la mammella per motivi estetici, è piuttosto rara la chirurgia conservativa, cioè l’intervento che asporta solo una parte del tessuto mammario (per esempio uno o più lobuli), mentre è molto più diffusa la mastectomia – che rimuove tutto il tessuto mammario, non molto abbondante nell’uomo. Quando l’intervento si limita a rimuovere il tessuto mammario e capezzolo senza toccare linfonodi o tessuto muscolare circostante si parla di mastectomia semplice o totale, mentre nella mastectomia radicale si asportano anche i linfonodi e i muscoli della parete toracica al di sotto del seno. Per verificare se il tumore ha già dato il via al processo di metastasi ai linfonodi, anche nell’uomo è possibile utilizzare la tecnica del linfonodo sentinella: si preleva e si esamina il linfonodo ascellare che per primo viene in contatto con eventuali cellule del tumore e lo si analizza. In base al risultato di questo esame il medico deciderà se è necessario procedere con altri trattamenti. Se il tumore è ben circoscritto, non ha dato avvio a metastasi ed è stato ben operato, le possibilità di guarigione totale sono molto elevate.

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Radioterapia e chiemioterapia

La radioterapia, in particolare quella esterna, viene utilizzata per colpire le cellule del tumore “sfuggite” al bisturi, ma non è molto utilizzata per la cura del tumore del seno maschile, visto che gli interventi chirurgici in genere rimuovono tutto il tessuto mammario. In casi particolari, molto rari tra gli uomini, può essere usata anche la brachiterapia che consiste nel posizionare “semi” radioattivi in zone molto vicine al tumore, per rilasciare le radiazioni in modo più mirato. Resta valida nell’uomo la possibilità di far ricorso alla chemioterapia sistemica, somministrata con tempi e combinazioni di farmaci diverse a seconda dei singoli casi, e che può essere utilizzata anche come terapia adiuvante – dopo l’intervento chirurgico, per eliminare cellule tumorali rimaste dopo l’operazione – o neoadiuvante – prima dell’intervento chirurgico, per ridurre le dimensioni del tumore e renderlo più facilmente asportabile.

Terapia ormonale e nuovi farmaci

La terapia ormonale è un trattamento efficace in tutti i casi di tumore del seno che presentano sulla superficie delle cellule i recettori ormonali (9 tumori del seno su 10 nell’uomo) e può essere rappresentata sia da farmaci specifici sia da rimozione chirurgica dei testicoli, organi che producono ormoni capaci di favorire la crescita del cancro. Secondo uno studio pubblicato nel 2013 sulla rivista Cancer, risulta l’81% dei carcinomi mammari maschili è sensibile agli ormoni (contro il 60-70% di quelli femminili); il 15% è HER2 positivo (contro il 25-30% nelle donne) e il 4% è triplo negativo (cioè non è sensibile ad alcun ormone, contro il 10-15% tra le donne). Infine, sono stati recentemente inseriti tra le terapie disponibili anche i cosiddetti farmaci intelligenti che mirano a bersagli precisi presenti sulle cellule tumorali senza danneggiare le altre: tra i bersagli principali la proteina HER2/neu e proteine coinvolte nell’angiogenesi  (processo di formazione di nuovi vasi da parte del tumore).

Prognosi e sopravvivenza

La prognosi, come per altri tipi di tumore, è strettamente correlata al tipo di tumore ed alla sua diffusione, tuttavia – nonostante il cancro del seno maschile venga scoperto in uno stadio e a un’età più avanzata che nella donna – ha una prognosi generalmente migliore. Tale affermazione deriva da un recente studio pubblicato sul Journal of Clinical Oncology, che ha preso in esame quasi 500.000 casi di tumore della mammella nelle donne e quasi 3.000 nell’uomo, in Danimarca, Norvegia, Finlandia, Svizzera, Svezia e Singapore nell’arco di oltre 40 anni. Se la diagnosi arriva per le donne intorno ai 62 anni in media, per l’uomo l’età media sale a 70 anni. La sopravvivenza a cinque anni è apparentemente inferiore per l’uomo ma se viene corretta per l’età risulta invece più favorevole di quella nelle donne. Gli autori dello studio, un gruppo di epidemiologi del Memorial Sloan-Kettering di New York, non hanno una spiegazione definitiva per la migliore prognosi: l’ipotesi più convincente è che il corpo maschile risponda diversamente non solo alle terapie ormonali ma anche alla chemioterapia.

Prevenzione del tumore al seno maschile

Non aumentare troppo di peso ed evitare di eccedere con l’alcol rappresentano due preziose regole di prevenzione del tumore del seno nell’uomo, ma dal momento che non tutte le cause della malattia sono ben note, è impossibile stabilirne altre capaci di garantire una prevenzione ottimale. È comunque importante anche per gli uomini a rischio effettuare frequentemente la palpazione e non sottovalutare eventuali noduli o cambiamenti nella forma del seno e del capezzolo. E’ importante inoltre non farsi cogliere da imbarazzi (in Italia ancora molti uomini si vergognano di avere una “malattia da donna“) o paure non giustificati: un parere del medico può chiarire se sono necessari esami di approfondimento.

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Gli uomini possono avere il tumore al seno?

MEDICINA ONLINE MAMMELLA SENO PETTO DONNA QUADRANTI Q1 Q2 Q3 Q4 FEMMINA FEMMINILE MASCHILE CAPEZZOLO AREOLA MUSCOLI PETTORALI CASSA TORACICA DOTTI GALATTOFORI INTROFLESSO PAGET TESSUTO ADal momento che il tessuto della mammella è istologicamente identico nella femmina e nel maschio, il carcinoma mammario può certamente colpire anche l’uomo. E’ necessario però ricordare che – nei paesi occidentali – mentre il tumore della mammella è il tumore più diffuso tra le donne (25% circa di tutti i tumori femminili), invece è estremamente raro tra gli uomini (meno del’1% di tutti i tumori maschili).

In Italia attualmente il 99,5% di tutti i tumori al seno sono riferiti a pazienti donne, il restante 0,5% a uomini.

Entrambi i sessi sono accomunati dalla zona che il tumore predilige: sia nell’uomo che nella donna l’incidenza è maggiore nella mammella sinistra, nel cavo ascellare e nel quadrante mammario superiore esterno.

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Breast Unit salvavita: -18% di mortalità in caso di cancro al seno

MEDICINA ONLINE MAMMELLA SENO PETTO DONNA QUADRANTI Q1 Q2 Q3 Q4 FEMMINA FEMMINILE MASCHILE CAPEZZOLO AREOLA MUSCOLI PETTORALI CASSA TORACICA DOTTI GALATTOFORI INTROFLESSO PAGET TESSUTO ADIPOSO ECOGRAFIA MAMMOGRAFIA.jpgLe unità di senologia denominate “Breast Unit”, molto spesso possono salvare la vita: la cura del temuto cancro della mammella in queste unità specializzate riduce infatti la mortalità del 18%, perché è più alta l’adesione alle linee guida, migliore l’esperienza degli specialisti ed è garantito un approccio multidisciplinare. A livello europeo, è stabilito che possano definirsi Breast Unit solo i centri che trattano almeno 150 nuovi casi ogni anno, ma in Italia, delle 449 strutture ospedaliere che eseguono più di 10 interventi chirurgici per questa neoplasia, solo 123 (27%) presentano volumi di attività superiori a 150 interventi annui.

Il tumore più frequente tra le donne

La fotografia delle Breast Unit nel nostro Paese arriva dal XIX Congresso nazionale dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom) che si è aperto alcuni giorni fa a Roma, con la partecipazione di oltre 2.500 medici specialisti. Un dato su tutti: uno studio su 25.000 donne ha dimostrato che la sopravvivenza a 5 anni, nelle pazienti con tumore al seno, aumenta del 9% negli ospedali che trattano più di 150 casi. Nel 2017 in Italia sono stimate 50.500 nuove diagnosi di tumore del seno, il più frequente fra le donne. È dimostrato da molti studi che, “dove si concentra più esperienza, si riduce il numero degli interventi demolitivi e aumenta quello degli interventi conservativi del seno.

La sinergia di vari specialisti

I buoni risultati che si ottengono in una Breast Unit devono essere attribuiti non soltanto a una migliore chirurgia ma anche al giusto integrarsi delle varie discipline. Questo è particolarmente evidente nei casi più complessi in cui si stanno affacciando armi innovative. Alla chemioterapia, ormonoterapia, ai farmaci anti-HER2 si è aggiunta ad esempio una nuova classe di farmaci che intervengono nel rallentare la progressione del tumore del seno in fase metastatica, inibendo due proteine. Più farmaci da collocare e inserire dunque nella strategia di cura, anche considerando che nel nostro Paese vivono 766.957 donne dopo la diagnosi di tumore del seno (+26% dal 2010 al 2017)”. La multidisciplinarità è l’elemento fondante del Centro di Senologia ed il lavoro efficiente di un gruppo multidisciplinare produce appropriatezza, coerenza e continuità, traducendosi in un miglioramento dell’utilizzo delle risorse umane ed economiche.

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Quadranti mammari, tumore al seno, quadrantectomia e mastectomia radicale

MEDICINA ONLINE PETTO MAMMELLA FORMICOLIO CIRCOLAZIONE CANCRO TUMORE DONNA MORTALITA MORTE PROGNOSI   CANCRO TUMORE SENO LINFATICI METASTASI SENTINELLA CARCINOMA DOTTI DUTTALE.jpgLa mammella femminile può essere suddivisa in quattro quadranti (Q1, Q2, Q3,e Q4) costituiti da due linee perpendicolari che si intersecano presso il capezzolo, il quale forma – assieme all’areola – una quinta zona chiamata “complesso areola capezzolo” (CAP, Q5). Il maggior rischio di cancro alla mammella si verifica statisticamente nella zona del cavo ascellare e nel quadrante superiore esterno. E’ maggiormente colpita la mammella sinistra.

Quando il tumore è circoscritto in un singolo quadrante, al posto della mastectomia radicale (Halsted e Handley) e radicale modificata (Patey e Madden) che sono interventi demolitivi, si effettua se possibile una quadrantectomia, un intervento proposto da Umberto Veronesi negli anni ’70 del secolo scorso, che prevede l’asportazione solo di una porzione di ghiandola mammaria con la cute soprastante e la sottostante fascia del muscolo grande pettorale, associando all’intervento l’exeresi della catena linfatica ascellare e l’irradiazione del parenchima residuo.

Nelle mammelle piccole la exeresi può coincidere con uno dei quattro quadranti in cui anatomicamente si divide la mammella. In quelle più voluminose corrisponde alla asportazione di uno spicchio di mammella. La quadrantectomia, rispetto alla mastectomia radicale, è un intervento che dà ottimi risultati estetici pur conservando, in associazione con la radioterapia, un elevato potere terapeutico.

La quadrantectomia rappresenta un passo avanti decisivo nella lotta al cancro mammario, ma purtroppo è possibile solo per le forme iniziali della malattia e quindi rigorosamente destinata a casi ben stadiati e non in fase avanzata. L’ulteriore progresso nel campo della diagnosi precoce consente oggi di eseguire, ma sempre per tumori svelati in fase iniziale, interventi – ancora meno invasivi – di tumorectomia.

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Quanti tipi di chemioterapia esistono?

MEDICINA ONLINE CURA CHEMIOTERAPIA SISTEMICA REGIONALE LOCALE RADIOTERAPIA CHIRURGIA FARMACO FA MALE AIUTO INFERMIERA AMORE CURA FA MORIRE TUMORE CANCRO SENO EFFETTI COLLATERALI CALVI CAPELLI PASTIGLIA DURATA COME FUNZIONACon “chemioterapia” in medicina oncologica si descrive una modalità terapeutica che distrugge le cellule neoplastiche attraverso la somministrazione di farmaci particolari, chiamati chemioterapici. La chemioterapia può essere sistemica o loco-regionale (a seconda del campo d’azione del farmaco) e può essere neoadiuvante o adiuvante.

I farmaci impiegati sono definiti farmaci citotossici, in quanto possiedono un’attività tossica nei confronti delle cellule. La tossicità di tali farmaci si esplica, generalmente, andando ad interferire con la sintesi e la funzione di DNA, RNA e di proteine indispensabili per la vita cellulare.
Un farmaco antineoplastico ideale dovrebbe essere “tessuto- e cellula-specifico”; dovrebbe cioè essere in grado di agire selettivamente solo sul tessuto affetto dalla patologia e solo sulle cellule tumorali, lasciando inalterate quelle sane per non incorrere in effetti collaterali. Purtroppo, il chemioterapico ideale ancora non esiste e gli effetti indesiderati si manifestano, spesso e soprattutto, nei confronti di quei tessuti caratterizzati da un grande ricambio cellulare.

Chemioterapia neoadiuvante

La chemioterapia neoadiuvante ha l’obiettivo di ridurre il volume della massa tumorale PRIMA che venga trattata con un’operazione chirurgica o con la radioterapia, così da raggiungere tre scopi fondamentali:

  • rendere l’intervento chirurgico meno demolitivo;
  • limitare l’irradiazione radioterapica a zone più ristrette.

Chemioterapia adiuvante

La chemioterapia adiuvante ha l’obiettivo di prevenire il ritorno della malattia DOPO che sia stata trattata con un intervento chirurgico o con la radioterapia, eliminando cellule tumorali che possono essersi staccate dal tumore e diffuse in altre parti del corpo, pur non avendo ancora dato luogo a metastasi rilevabili con gli strumenti diagnostici attualmente a disposizione, così da raggiungere tre scopi fondamentali:

  • rendere l’intervento chirurgico più efficace;
  • limitare il rischio di metastasi;
  • limitare il rischio di ricadute.

Obiettivi comuni

Entrambi i tipi di chemioterapia hanno obiettivi comuni, che sono principalmente:

  • aumentare in generale l’efficacia della terapia antitumorale;
  • prolungare la sopravvivenza o ritardare la progressione della malattia  quando questa non può essere eliminata del tutto, per esempio perché già diffusa nell’organismo;
  • migliorare i sintomi provocati dalla massa tumorale  quando questa non si può asportare chirurgicamente,  per limitare gli effetti legati all’ostruzione di canali (per esempio un bronco o l’intestino) e alla compressione degli organi vicini (per esempio all’interno della scatola cranica).

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Modalità di assunzione

La chemioterapia può essere sistemica o loco-regionale:

  • chemioterapia sistemica: i farmaci sono assunti per bocca in forma di compresse, oppure iniettati per via endovenosa o intramuscolare ed in questo caso i farmaci entrano nella circolazione sanguigna e raggiungono e distruggono le cellule neoplastiche che si sono diffuse a distanza.
  • chemioterapia loco-regionale: il farmaco chemioterapico è somministrato direttamente nella colonna spinale, in una cavità organica, quale l’addome, o in un organo. In questo caso il farmaco agisce principalmente sulle cellule neoplastiche presenti in una data regione specifica.

Il metodo con cui la chemioterapia viene somministrata varia in base al tipo di cancro, alla sua localizzazione, allo stadio in cui si trova e alle condizioni del paziente. Le principali vie di somministrazione sono di seguito elencate.

VIA ENDOVENOSA

Questa modalità di somministrazione prevede un accesso al circolo sanguigno (accesso venoso), che dev’essere mantenuto aperto per il tempo necessario al completamento della cura.
La chemioterapia può essere somministrata tramite:

  • Siringa, quando il farmaco è somministrato in tempi brevi (al massimo alcuni minuti);
  • Flebo, quando il farmaco dev’essere somministrato in un intervallo che va da trenta minuti ad alcune ore;
  • Pompa per infusione, quando il farmaco dev’essere somministrato lentamente (goccia a goccia) anche per giorni;
  • Infusione continua per un periodo che va da settimane a mesi, in questo caso il paziente avrà sempre con sé la pompa per infusione.

La chemioterapia endovenosa comporta una ripetuta iniezione di sostanze irritanti che possono provocare flebiti. Per cercare di ovviare a questo problema sono stati ideati metodi alternativi di somministrazione endovenosa; con questi metodi l’accesso venoso è mantenuto aperto e non è necessario dover cercare ogni volta una vena per somministrare il farmaco.
Fra questi metodi alternativi troviamo:

  • Agocannula o catetere venoso periferico: è costituito da un tubicino sottile che, tramite un ago, è inserito in una vena della mano o del braccio. Con questo sistema possono essere sia somministrati farmaci che prelevati campioni di sangue. Può essere tenuto per alcuni giorni.
  • Cateteri venosi centrali, sono tubicini di materiale compatibile con l’organismo (di solito silicone o poliuretano) che raggiungono le grosse vene che si trovano vicino al cuore. Questi cateteri possono essere
    • esterni, vengono inseriti in anestesia locale, in ambiente sterile;
    • interni, sono inseriti con un piccolo intervento chirurgico.

VIA ORALE

L’assunzione di chemioterapici per via orale può essere utilizzata da sola o in associazione a terapie per via endovenosa. Nel caso in cui si tratti di capsule o compresse, queste possono essere fornite direttamente al paziente, che può assumerle a casa.
In questo caso è importante che siano seguite con diligenza tutte le direttive del medico sulla modalità di assunzione e che sia letto attentamente il foglietto illustrativo.

VIA ARTERIOSA

Consiste nell’inserimento di una cannula all’interno dell’arteria principale che irrora la zona in cui è presente il tumore. Di solito è utilizzata per carcinomi al fegato (in tal caso i chemioterapici vengono somministrati attraverso l’arteria epatica).
È una tecnica che richiede un alto livello di qualificazione e viene praticata solo in centri specializzati.

VIA INTRACAVITARIA

La somministrazione avviene in una cavità naturale dell’organismo:

  • Via intravescicale, il chemioterapico è somministrato direttamente nella vescica attraverso l’uso di un catetere;
  • Via intraperitoneale, la somministrazione avviene fra i due strati costituenti il peritoneo (la membrana che riveste la parete e i visceri addominali);
  • Via intrapleurica, la somministrazione avviene fra i due strati che costituiscono la pleura (la membrana che riveste il torace e i polmoni).

VIA INTRATECALE

Impiegata solo in alcuni tipi di tumori cerebrali e leucemie. Il chemioterapico viene somministrato nel fluido cerebrospinale attraverso la colonna vertebrale.

VIA INTRAMUSCOLARE

È una via poco utilizzata. È praticata a livello della coscia o dei glutei e determina un rilascio del chemioterapico più lento rispetto alla via endovenosa.

VIA SOTTOCUTANEA

Questa via è impiegata soprattutto per farmaci ematologici. La somministrazione avviene a livello della coscia, dell’addome o del braccio.

Chemioterapia antineoplastica di combinazione

La chemioterapia antineoplastica di combinazione consiste nell’utilizzo di due o più farmaci antitumorali (cocktail di farmaci), con lo scopo ti trarre vantaggio dalle diverse modalità con cui questi agiscono sul tumore.
L’approccio chemioterapico combinato si basa sul presupposto che più farmaci, con diversi meccanismi d’azione, possano dare effetti sinergici (cioè operare insieme per ottenere un effetto non ottenibile se usati singolarmente) e/o che possano ritardare l’insorgenza della resistenza al singolo farmaco.
Talvolta, grazie alla somministrazione combinata, i farmaci possono essere somministrati con dosaggi inferiori rispetto a quelli che sarebbero necessari se venissero somministrati singolarmente. La somministrazione di un dosaggio minore di farmaci potrebbe tradursi in una riduzione della tossicità e degli effetti collaterali.
Tuttavia, questo approccio terapeutico può anche presentare svantaggi, quali l’eventuale insorgenza di effetti collaterali multipli e la possibilità che si verifichino interazioni negative fra i componenti del cocktail una volta che questi sono stati somministrati.

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La chemioterapia uccide? Il lato oscuro della terapia antitumorale

MEDICINA ONLINE MORTE COSA SI PROVA A MORIRE TERMINALE DEAD DEATH CURE PALLIATIVE TERAPIA DEL DOLORE AEROPLANE TURBINE CHOCOLATE AIR BREATH ANNEGATO TURBINA AEREO PRECIPITA GRATTACIELO GLa chemioterapia può nuocere al 50% dei pazienti, questo l’allarmante risultato di una ricerca pubblicata tempo fa su Lancet Oncology, relativa ad uno studio inglese, firmato Public Health England e Cancer Research Uk dove viene sottolineata la necessità di mettere in evidenza gli effetti nocivi di certe cure contro il cancro.

Per la prima volta i ricercatori hanno esaminato il numero dei malati deceduti dopo 30 giorni dall’inizio della chemioterapia, cosa che secondo l’indagine proverebbe che la morte è stata provocata dai farmaci e non dal tumore. L’indagine prende in considerazione 23.000 donne con cancro al seno e circa 10.000 uomini con carcinoma polmonare non a piccole cellule: 9.634 sono stati sottoposti a chemioterapia nel 2014 e 1.383 sono morti entro 30 giorni. La ricerca mostra che l’8,4% degli ammalati di tumore ai polmoni e il 2,4% di quelli colpiti da cancro al seno sono morti entro un mese dall’inizio del trattamento. Ma in molti ospedali la percentuale è di molto superiore. Ad esempio, in quello di Milton Keynes, il tasso di mortalità per chemioterapia contro il carcinoma polmonare è risultato addirittura del 50,9%, anche se la statistica si basa su un piccolo numero di pazienti. Al Lancashire Teaching Hospitals il tasso di mortalità a 30 giorni è risultato del 28%.

Comunque, come riporta La Repubblica, gli oncologi italiani fanno chiarezza su questa ricerca che potrebbe creare solo confusione sull’efficacia della chemioterapia. Come ha illustrato Carmine Pinto, presidente nazionale dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom), lo studio dimostra solo la pessima assistenza sanitaria inglese: “Non a caso il tasso di sopravvivenza per tumore in Gran Bretagna è il più basso di tutta l’Europa occidentale”. Un altro aspetto che emerge da questa ricerca è che

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Divisione in quadranti della mammella (Q1 Q2 Q3 Q4)

MEDICINA ONLINE seno mammelle donna gravidanza cambia capezzoli areolaLa mammella femminile può essere idealmente suddivisa in quattro quadranti, costituiti da due linee perpendicolari che si intersecano presso il capezzolo.

  • QSE quadrante superiore esterno (Q1);
  • QSI quadrante superiore interno (Q2);
  • QIE quadrante inferiore esterno (Q3);
  • QII quadrante inferiore interno (Q4).

L’area tonda che include capezzolo ed areola, che ha il suo centro nel punto in cui si incontrano le due linee perpendicolari, prende il nome di “complesso areola capezzolo” (CAP, Q5).

Per meglio comprendere la disposizione dei quadranti, vedi quest immagine che raffigura i quattro quadranti della mammella

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Chemioterapia in gravidanza: può far male al bambino?

MEDICINA ONLINE GRAVIDANZA INCINTA DIARREA FECI LIQUIDE FETO PARTO CESAREO DIETA FIBRA GRASSI ZUCCHERI PROTEINE GONFIORE ADDOMINALE MANGIARE CIBO PRANZO DIMAGRIRE PANCIA PESO INTESTINOUna donna che debba sottoporsi a chemioterapia nel corso della gravidanza, dovrebbe preoccuparsi per la salute del suo bambino? No, almeno secondo una ricerca effettuata in Belgio, Paesi Bassi e Repubblica Ceca e recentemente pubblicata sotto la responsabilità del professor Federic Amant dell’università di Lovanio (Belgio): lo sviluppo cardiovascolare e dei processi mentali del bambino non sarebbero infatti influenzati dall’assunzione di farmaci chemioterapici.

Lo studio

Nel corso dello studio osservazionale, settanta bambini nati fra il 1991 ed il 2010 da donne in cura con la chemioterapia, sono stati monitorati per un periodo di due anni. Oltre alla salute, sono stati presi in considerazione parametri come il quoziente intellettivo, la capacità mnemonica verbale e non verbale, la capacità di concentrazione ed eventuali disturbi emotivi o comportamentali. I ricercatori sono arrivati alla conclusione che le donne incinte malate di tumore non debbano ritardare le cure o interrompere la gravidanza, dato che hanno riscontrato con certezza che i benefici della chemioterapia per la madre superino di gran lunga i potenziali danni per il nascituro.
Si tratta comunque di un argomento molto controverso, sugli sviluppi del quale si discute da molto tempo.

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I rischi maggiori

Approssimativamente dal secondo trimestre di gravidanza in poi gli schemi chemioterapici standard non dovrebbero comportare problemi per lo sviluppo del feto, a meno che non esistano ulteriori fattori di rischio. La letteratura recente sembra suggerire che l’interruzione della gravidanza non sia necessaria, almeno nella maggior parte dei casi, e soprattutto che non è necessario sottoporre né la madre ai rischi legati da un ritardo nell’inizio dei trattamenti antineoplastici né il nascituro al rischio di un parto anticipato. Diverso è il discorso per i farmaci biologici (come trastuzumab e lapatinib) sui quali ci sono solo dei casi aneddotici e le terapie ormonali per le quali esistono evidenze di possibili danni al feto. Nel corso del primo trimestre di gestazione è invece necessario, contemperando i rischi, rimandare l’inizio delle terapie (che avrebbero certamente un’influenza più consistente sullo sviluppo del nascituro) o procedere all’interruzione della gravidanza. È comunque da considerare il fatto che ci sono ancora poche evidenze sugli effetti a lungo termine sulla salute del bambino e specialmente sulla possibilità che la chemioterapia somministrata alla gestante possa influire sulle probabilità del nascituro di sviluppare neoplasie in età adulta. Anche nel caso sia necessario arrestare la gestazione, le donne in età fertile hanno la possibilità di preservare il proprio tessuto ovarico, anche senza la stimolazione ormonale per poter avere figli senza problemi anche dopo la terapia.

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