Negli stessi anni in cui negli Stati Uniti viene formulata la teoria dell’ago ipoder-
mico (la prima metà del Novecento), si sviluppa in Germania la cosiddetta “teoria critica” per voce della Scuola di Francoforte, fondata nel 1923 e animata, fra gli altri, da Max Horkheimer (1895-1973) e Theodor Wiesengrund Adorno (1903-1969).
Dottrina marxiana e cultura di massa
Questi teorici, prendendo come riferimento la dottrina marxiana, radicalmente critica verso la forme borghesi della società e dell’economia che considerava fondate sul predominio e lo sfruttamento, vogliono penetrare il senso, gli effetti e le aberrazioni del capitalismo e dell’industrializzazione, elementi strutturali della società contemporanea. Su queste basi sviluppano una ricerca programmatica e specifica sulla società, che comprende anche una tesi precisa su comunicazione di massa e mass media. La teoria critica, innanzitutto, rifiuta il termine stesso di “cultura di massa”, sostituendolo polemicamente con quello di “industria della cultura” o “industria culturale”: questa espressione accentua il concetto che non si tratta di una cultura nata spontaneamente dalle masse, quanto di un sistema dominante e imposto dall’alto, sul modello industriale. L’industria culturale è un sistema formato da diversi settori in perfetta armonia fra loro, come film, radio e settimanali. I prodotti che l’industria culturale fornisce al pubblico sembrano sì vari, ma sono in realtà uniformi, standardizzati e di bassa qualità: le nuove tecnologie di comunicazione di massa, infatti, hanno ridotto i prodotti culturali a mere merci di scambio. Realizzando prodotti per un consumo distratto e stereotipato com’è il consumo di massa, l’industria culturale ha contribuito a costruire uno spettatore impotente e passivo che, schiacciato psicologicamente dal sistema dei media, aderisce in modo acritico ai valori imposti, ed è incapace di ragionare individualmente.
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Non libertà ma oppressione da parte del sistema
Dietro l’apparente libertà delle forme e delle scelte, l’industria culturale è un sistema oppressivo e limitante, che obbliga implicitamente lo spettatore al tipo di reazione attesa, e che – a differenza delle opere d’arte, dai teorici francofortesi vista come veicolo di liberazione – produce solo asservimento. Adorno dice che il consumatore non è sovrano come l’industria culturale vorrebbe fare credere, non è il suo soggetto bensì il suo oggetto e da essa viene costretto a contenuti di qualità mediocre che lo costringono al consumismo.
Rispetto alla teoria ipodermica, la teoria critica sviluppa una nozione assai importante: quella di “sistema“. La società va indagata come sistema complesso, frutto di una molteplicità di fattori (economici, sociali, politici e culturali) strettamente interrelati tra loro, senza poter isolare astrattamente le componenti. In questo modo, la teoria non si concentra tanto sugli effetti dei media, quanto sull’efficacia meccanica dei mezzi, e sulle intenzioni e volontà di chi quei mezzi controlla. Nell’intendere le comunicazioni di massa come uno strumento di potere funzionale ad asservire l’individuo, d’altra parte, la teoria critica richiama molti assunti già incontrati, come il modello comportamentista della teoria ipodermica. Pur contrapposte sul piano ideologico, e in aperta polemica fra loro, la teoria ipodermica e la teoria critica finiscono col convergere nei risultati: entrambe suppongono la profonda e diretta influenza dei media sui loro utenti, e sostengono che, dalla semplice esposizione al messaggio, il pubblico subisca un deciso e immediato condizionamento.
Limiti del comportamentismo e Audience analysis
Negli anni successivi, e già a partire dalla Seconda guerra mondiale, si intuisce che sia la teoria ipodermica che la teoria critica presentano alcuni evidenti limiti. Viene innanzitutto biasimata la loro natura più filosofico-politica che scientifica: le ipotesi non sono supportate da dati tecnici e sperimentali e si omette la verifica reale dei presunti effetti dei media. Secondariamente, il modello meccanicista trascura tutto ciò che avviene tra lo stimolo e la risposta: il comportamentismo parla infatti di una sorta di “scatola nera” (black box) tra i due momenti che è ininfluente ai fini della ricerca. In terzo luogo, si tratta di un modello profondamente individualistico: l’interazione tra individuo e ambiente si configura in uno spazio astratto e presunto come “sotto vuoto”, una sorta di condizione sperimentale, di laboratorio, che non ha nulla a che vedere con la vita reale fatta di interazione tra gli individui. Infine, il grande assente di queste teorie è il pubblico, dipinto come una massa uniforme, passiva, priva di volontà e di spirito d’azione. È al contrario evidente che le persone, per quanto omologate in una società di massa, sono dotate di spirito critico, gusti, volontà e predisposizioni proprie, e quindi reagiranno differentemente agli stimoli proposti dai media. Vengono quindi avviate ricerche approfondite, e un numero crescente di risultati attesta che la teoria del proiettile magico non trova corrispondenza nella realtà. Gli interessi si spostano dunque sull’Audience analysis, ovvero sull’analisi dei destinatari della comunicazione: gli studi vedranno il confluire di diverse discipline (sociologìa, psicologia individuale, psichiatria e psicanalisi) per rispondere di volta in volta a domande come:
- Quali sono le motivazioni degli individui?
- Quali le loro capacità?
- In che modo le loro predisposizioni influenzano la risposta agli stimoli?
- Qual è il peso del contesto sociale in cui le persone vivono?
- Quanto conta il loro ruolo sociale?.
Una delle principali direttive verso cui si mosse il superamento della teoria ipodermica è la ricerca svolta nell’ambito della psicologia sperimentale.
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Lo Staff di Medicina OnLine
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