Moon (2009): trama, recensione e spiegazione del film

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma MOON FILM 2009 TRAMA SPIEGAZIONE RECENSIO NE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Pene.jpgMoon, un film di Duncan Jones. Con Sam Rockwell, Kevin Spacey, Dominique McElligott, Kaya Scodelario, Matt Berry. Fantascienza, drammatico, durata 97 min. – Gran Bretagna 2009

“Sono qui per proteggerti, Sam. Voglio aiutarti”

Trama generale senza spoiler
La multinazionale Lunar Industries ha trovato il modo di risolvere il problema della mancanza di energia che attanaglia la terra: generarne in maniera pulita e non dannosa sfruttando il materiale di cui sono composte le rocce presenti sul lato oscuro della Luna. A sorvegliare il lavoro dei macchinari è stata posta una base sul satellite naturale della Terra abitata unicamente da un computer tuttofare dalla voce umana e da un uomo, solo, quasi arrivato al termine dei suoi tre lunghissimi anni di contratto e sempre più vittima degli scherzi che stanchezza e solitudine gli procurano, come le allucinazioni visive. Tutto però sembra procedere normalmente, finché non sarà un incidente quasi mortale a dare il via ad una serie di avvenimenti che metteranno il protagonista di fronte a se stesso e le sue paure.

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Analisi senza spoiler
Duncan Jones, figlio del celebre cantante David Bowie, è al debutto come regista cinematografico dopo il cortometraggio Whistle del 2002. Uno dei pochi “figli di” che sembra veramente avere grandi qualità e potenzialità. Duncan ama i film di fantascienza, specie quelli degli anni ’70 e ’80, e in Moon si nota chiaramente quanto il genere abbia influenzato il suo modo di fare film. Le citazioni sono tante e divertenti da scovare: da Hall di 2001 alle allucinazioni spaziali di Solaris, da Alien (1979) ad Atmosfera zero (1981) solo per citare le più evidenti, fino ad arrivare al mostrare – da vero nerd – la rivista “Take Off”, che anche io collezionavo da bambino. Ma Moon non è solo questo, come i film di fantascienza non sono soltanto una navicella che vola a velocità supersonica. La solitudine del protagonista Sam Bell (un eccezionale Sam Rockwell), il rapporto con se stesso e con Gerty il computer che lo “assiste” (la cui voce in versione originale è di Kevin Spacey) nonché il suo comportamento in tutte le vicende post incidente, sono un pretesto per far riflettere su tematiche fondamentali per l’uomo di oggi come per quello del futuro. La relazione fra l’uomo e la macchina, laddove l’uomo diventa freddo e spietato come fosse senza anima e la macchina diventa un compagno complice dell’umanità è un chiaro monito affinché i più importanti valori etici si accompagnino sempre agli sviluppi tecnologici.
In questo film Sam Rockwell dà un’ottima prova di sé: recita in maniera perfetta, non creando confusione nello spettatore se non quella voluta, ma esprimendo la giusta suspense ed ambiguità nei momenti più adatti. La pellicola nonostante sia incentrata su un solo personaggio non perde di ritmo, sin da subito sono disseminati indizi su come svelare l’arcano finale, che risulta, come è buona tradizione dei film di genere, solo una scusa per poter introdurre altri contenuti.

“GERTY, noi non siamo programmi. Siamo persone, è chiaro?”

La “vecchia scuola”
Qualcuno potrebbe dire che è lento, ma questo non è un film “solo” fantascientifico. Non aspettatevi inseguimenti nell’iperspazio, azione ed esplosioni, non aspettatevi nessuna creatura extraterreste, è un film su un uomo e sull’uomo, come erano una volta i film di fantascienza. E non aspettatevi neanche effetti speciali da super computer grafica: qui ogni cosa – per fortuna, aggiungo io – è “old school”: Jones ha preferito utilizzare modellini piuttosto che affidarsi all’animazione digitale e si è procurato specialisti che avevano già lavorato per “2002: la seconda odissea”, con risultati naturali, semplici ma efficaci e di forte impatto. Il film è stato realizzato con un budget limitato (5 milioni di dollari), cercando di ridurre al minimo i costi di produzione, riducendo al minimo il cast, sostanzialmente composto da un solo attore ed effettuando in studio tutte le riprese. Queste ultime hanno avuto luogo negli Shepperton Studios, nel Regno Unito, per la durata di 33 giorni tra febbraio e marzo del 2008. Per ricreare le atmosfere lunari, Jones si è ispirato alle immagini della missione spaziale giapponese SELENE e al libro fotografico Full Moon di Michael Light, riproducendo immagini dai colori ovattati simili al bianco e nero. Sono stati inoltre assunti una serie di designer, già attivi nel team di Alien, per la progettazione del rover lunare usato nel film. Infine gli effetti visivi sono stati curati dalla londinese Cinesite, specializzata nella creazione di effetti speciali per film indipendenti.

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Da qui in poi spiegazione ed ENORMI SPOILER, consiglio vivamente di godersi il film prima di leggere questa parte
Sam Bell, dopo l’incidente e gli avvenimenti che ad esso seguono, si rende conto di alcuni incredibili fatti:

  • Sam Bell è un clone.
  • Entrambi i Sam Bell sono cloni.
  • I ricordi della loro vita precedente – come quelli della moglie e della figlia – non appartengono a loro, ma al Sam Bell originale e sono stati solo successivamente innestati nella loro mente.
  • Le comunicazioni in diretta sono impedite volutamente per isolare Sam, grazie a delle antenne limitrofe alla base che emettono un forte disturbo.
  • Tess è ormai morta e la figlia, che Sam credeva bambina piccola, ha ormai 15 anni, da cui si deduce che i cloni fin’ora sono stati almeno 5 dal momento che ogni clone ha massimo 3 anni di esistenza.
  • A casa di Sam Bell, con la figlia, c’è il Sam Bell “originale”, da cui sono stati ottenuto i cloni che sono stati nascosti sulla base lunare.
  • I cloni precedenti venivano inceneriti vivi al termine dei tre anni del contratto con quella che essi credevano sarebbe stata la capsula che li avrebbe ricondotti sulla Terra. Nelle registrazioni, essi manifestavano gli stessi disturbi accusati da Sam.

FINE SPOILER


Diventicatevi il grottesco Matt Damon di “Sopravvissuto – The Martian“, questa è una storia che toccherà corde dell’universo della vostra anima che non pensavate di possedere. In The Martian il solito super eroe americano vi fa fare una spensierata ed allegra gita da liceo su Marte, in Moon un essere umano incredulo e pieno di paure – e quindi reale, simile a quello che saremmo noi nella sua condizione –  vi porterà a provare cosa significa la solitudine, quella vera, persi claustrofobicamente da soli nello spazio, dove tutti attorno a te sembrano volerti solo usare a loro vantaggio e perfino l’affetto della tua famiglia è sintetico. Questa è la fantascienza che adoro, cioè quella possibile, realistica, quella di un mondo dove davvero un robot a breve si porrà un dilemma morale, combattuto tra gli interessi di una spietata multinazionale ed i sentimenti di un essere umano che deve proteggere. La fantascienza introspettiva, che si chiede fino a dove può spingersi il cinismo umano quando si tratta di legare in catene degli schiavi, solo per interessi economici. Tra i film di fantascienza di recente uscita, questo Moon, insieme ad Another Earth di Mike Cahill, è uno dei miei preferiti in assoluto: regia, storia, fotografia, recitazione, musiche, tutto ad altissimi livelli. Per notare i numerosi particolari incomprensibili disseminati all’inizio e finalmente capirli e apprezzarli, è un film da vedere almeno due volte, o anche tre. Io sono già alla quinta!

“Adesso mi devi dire chi è. Voglio sapere chi diavolo è?”

“Sam Bell.
Tu sei Sam Bell”

(in originale “you are Sam Bell” che nella lingua scritta può essere tradotto con “tu sei Sam Bell” ma anche “voi siete Sam Bell”)

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
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Il mistero della pietra azzurra (anime): trama e recensione

MEDICINA ONLINE IL MISTERO DELLA PIETRA AZZURRA TRAMA CURIOSITA RECENSIONE ANIME CARTONE ANIMATO MANGIA GIAPPONESE NADIA JEAN NEMO ELETTRA NAUTILUS ARGO.jpgNel 1990, in Giappone, la prima generazione cresciuta con manga e anime è ormai adulta, e in certi casi diventa lei stessa creatrice e produttrici di fumetti e cartoni animati: succede così a Hideaki Anno, che con alcuni colleghi e amici fonda la casa di produzione Gainax, che inventerà alcuni anime di successo e innovativi.
Il primo grande successo sarà Fushigi no umi no Nadia, da noi Il mistero della pietra azzurra, 39 episodi e un film poco legato alla serie tv, che proveranno a reinventare la fantascienza, in una prospettiva più vicina a quella di Jules Verne e a certe interpretazioni che aveva detto del maestro dello steam punk ottocentesco francese Hayao Miyazaki.

Il mistero della pietra azzurra non è tratto da Ventimila leghe sotto i mari, da cui però prende il personaggio del capitano Nemo, là principe indiano spodestato dagli inglesi, qui erede dell’antica stirpe di Atlantide, in lotta contro una fazione ribelle che vuole sottomettere il mondo per ristabilire un primato ormai perduto e superato di superiorità. Sempre da Verne deriva il nome del Nautilus, il sommergibile di Nemo, macchina da guerra di una tecnologia misteriosa: la vicenda dell’anime, ambientata comunque in un mondo fine Ottocento molto vicino alle opere di Verne, si distacca nettamente fin dall’inizio dalle opere dell’autore francese, con altri personaggi, tematiche, eventi.
L’incontro fortuito tra Jean, ragazzino francese con il pallino delle invenzioni, e Nadia, fanciulla di origini africane con una pietra azzurra misteriosa al collo, porta a una serie di avventure che coinvolgono i due e altri personaggi, tra continenti, misteri del passato, crudeltà presenti, ipotesi extraterrestri, momenti buffi e momenti tragici, con colpi di scena verso un finale appassionante.
Ci sono richiami all’animazione precedente: i tre finti cattivi, Grandis, Hanson e Sanson, sono ricalcati sui tre pasticcioni della serie delle Time Bokan, ci sono reminescenze dei film di Miyazaki, Il castello di Cagliostro e soprattutto Laputa, echi di Yamato, Capitan Harlock e dei robottoni di Go Nagai, ma tutto reinterpretato non come citazioni ma come una nuova storia, tra fantascienza e Ottocento, con tematiche anche molto interessanti.
Ne Il mistero della pietra azzurra si parla di rapporti tra le generazioni, di crescere, di scoprire le proprie radici, di sopraffazione e dominio, di speranza nel futuro, di creazione e distruzione: tematiche che torneranno poi nell’altro grande successo anni Novanta della Gainax, Neon Genesis Evangelion, e che qui sono trattate se vogliamo in un’ottica più soft ma non meno efficace.

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Un passato avveniristico in cui gli eredi di Atlantide, creatori extraterrestri del genere umano sulla Terra tramite esperimenti scientifici, lanciano un attacco a una Terra in preda ai nazionalismi e alle divisioni per riportarla su una presunta retta via e vengono contrastati dal vero erede di Atlantide e da sua figlia, offre vari spunti di riflessione, vari interrogativi e un’ambiguità di fondo. Se i cattivi si riveleranno terrestri in preda a smanie di conquista e di sentirsi Dio, la professione di fede di Nemo nei confronti dell’umanità risulta anche un po’ azzardata. Ma Il mistero della pietra azzurra può essere letto sotto vari aspetti, oltre che come bella, divertente e appassionante avventura di fantascienza, con un finale che ti lascia un groppo in gola.
Sul modello delle eroine di Miyazaki ma anche delle majokko anni Ottanta, la protagonista della vicenda è comunque una ragazzina, Nadia: ma si tratta di un personaggio molto diverso, di rottura nel mondo degli anime, e la sua carica innovativa non verrà più ripresa in altre storie. Nadia è, in un mondo come quello giapponese dove la presenza di stranieri dalla pelle scura è meno che irrisoria, una ragazza mulatta: il suo unico precedente era forse la Jun de Il Grande Mazinga di Go Nagai. Effetto di esotismo, certo, ma molto raro nell’animazione di un paese in cui gli eroi e gli antieroi sono di tutti i colori ma stranamente non di colore.

Nadia è decisamente poco simpatica e accomodante, non è l’eroina tutta d’un pezzo alla Candy Candy: ha molte caratteristiche di tante protagoniste degli anime, dall’animaletto da compagnia, il leoncino King, al fatto di essere un’orfana, ma non ne ha certo l’abnegazione, la voglia di sacrificarsi, l’essere accomodante. Altro elemento di rottura: per essere una ragazzina, è decisamente sexy e poco vestita. Non siamo certo di fronte a un anime erotico, ma gli ammiccamenti di Nadia sono molto più di quelli che sarebbero consentiti a una protagonista di un anime per un target non di adulti come il suo. Infine, cosa che ha creato non poche polemiche: Nadia è vegetariana e in un Paese come il Giappone, la cui dieta è basata sul pesce e in parte sulla carne, non mangiare prodotti di origine animale è visto molto peggio che non in Europa o negli Stati Uniti, dove i vegetariani hanno ben altri spazi alimentari e possibilità di prodotti autoctoni.
A vent’anni di distanza, Il mistero della pietra azzurra serie tv e il film non eccelso ma interessante che ha fatto da seguito, resta un bell’esempio di fantascienza steam punk, genere in definitiva poco frequentato sia dagli anime sia dal cinema tout court. Un’avventura morale tra gli orrori di un passato remoto, gli eventi di un presente ormai lontano, in vista di un futuro fosco ma con una luce di speranza.

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Differenza tra single coil e humbucker

MEDICINA ONLINE DIFFERENZA PICK UP SINGLE COIL HUMBUCKER CHITARRA ELETTRICA GUITAR.jpgI pickup per chitarra elettrica si dividono principalmente in due grandi gruppi: single coil e humbucker, ed ognuno di essi ha caratteristiche costruttive e sonore diverse.

single coil hanno un solo avvolgimento, questo li rende sensibili ai campi elettromagnetici esterni che sono potenziali, se non certe, fonti di rumore. Maggiore è il numero di spire della bobina è maggiore è il rumore. Difficilmente quindi si avrà un suono libero da fruscio aumentando il livello di gain del distorsore ad alti livelli: il livello di rumore sarebbe troppo elevato non usando un soppressore di noise. Tipici delle Fender Stratocaster e Telecaster, il suono dei pick up singoli è generalmente pronto, dinamico e ricco di alte e basse frequenze, solitamente scavato sulle medie, con un attacco rapidissimo e forte. Questa sonorità rende i pickup a singolo avvolgimento l’ideale per i suoni puliti o con un leggero overdrive, tipici del funky e del blues, anche se – spinti adeguatamente – alcuni single coil con output elevati sono perfetti per un certo tipo di rock ed hard rock. Ottimi per accordi ed arpeggi puliti tipici della musica pop, un po’ meno adatti per il metal, anche se un certo Yngwie Malmsteen non sarebbe d’accordo.

Gli humbucker hanno due bobine avvolte in senso opposto e magneti orientate, anch’esse, in senso contrario tra loro. Il segnale è elevato (circa doppio rispetto ai monobobina), il livello di rumore prodotto è estremamente basso, se confrontato a un single coil, quindi sono pickup che si prestano più ai suoni distorti con gain da medio ad elevato, tipici di generi rock, hard rock e metal, anche se non è raro ascoltare arpeggi con suoni puliti. Tipici su Gibson, Ibanez, PRS e tutte le chitarre orientate a generi “potenti”, il suono è più grasso, compresso, ricco di sustain e generalmente spinto sulle medie frequenze, il che li rende molto buoni in caso di suoni distorti solisti.

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Mi manchi così tanto che…

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma MI MANCHI COSI TANTO CHE BROKEBACK MOUNTAIN Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Pene.jpgIl fatto è che a volte mi manchi così tanto che ho paura di non farcela…

Dal film “I segreti di Brokeback Mountain” uno splendido film del 2005 diretto da Ang Lee con le grandi prove di Heath Ledger e Jake Gyllenhaal.

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Differenza tra morte corporale e secunda

MEDICINA ONLINE DIFFERENZA MORTE CORPORALE SECUNDA CANTICO CREATURE SANTO FRANCESCO ASSISI POESIA ITALIA 1224.jpg

Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare: guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no ‘l farrà male.

Nel Cantico delle creature di Francesco d’Assisi del 1224, qual è la differenza tra “morte corporale” e “morte secunda”?

  • la morte corporale è quella naturale, quella del corpo materiale, ma non dello spirito, che sopravvive;
  • la morte secunda è quella dello spirito peccatore, che non essendo meritevole non rinascerà nel giorno del giudizio finale. L’uomo giusto non deve temere la morte secunda, mentre ciò non avviene per il peccatore. La morte dell’anima è quindi corrispondente alla dannazione eterna.

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Rendete straordinaria la vostra vita

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma RENDETE STRAORDINARIE LE VOSTRE VITE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgCarpe diem, cogliete l’attimo ragazzi, rendete straordinaria la vostra vita.

Prof. John Keating (Robin Williams) nel film del 1989 L’attimo fuggente (Dead Poets Society), diretto da Peter Weir.

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Cassa Mesa Boogie Recto Cab 2×12 Vintage30: recensione

MEDICINA ONLINE Cassa Mesa Boogie Recto Cab 2x12 Vintage30 recensione.jpgIl chitarrista medio passa tantissimo tempo nella scelta della sua chitarra elettrica, nei suoi legni, nei suoi pick up, nella sua forma, tutto ciò è giustissimo: in fondo la chitarra deve vestirci addosso come un guanto, deve avere una tastiera comoda che si adatti bene alla nostra mano e deve avere una forma che rispecchia esattamente la nostra postura nel suonare. Trovata la chitarra, o meglio ancora dopo essersela fatta fare su misura da Molinelli o Jacaranda, si passa alla ricerca del proprio amplificatore (l’altra metà del suono) e infine ci si diverte a cercare qualche variopinto pedale che abbellisca il nostro suono con effetti di ambiente, modulazioni, overdrive, booster… Per chi sceglie la via del combo la scelta dell’amplificatore sarà relativamente più semplice ma nel caso di una testata (o sistema rack) e cassa sarà tutto molto più complesso: trovata una bella testata che rispecchia ogni nostra necessità bisogna anche accoppiarla con una cassa che ne valorizzi, ed in alcuni casi, che lo migliori addirittura! Molti si dimenticano che la cassa è una delle componenti più importanti del percorso che il suono si fa dalle nostre dita alle orecchie di chi ascolta, è il trasduttore per eccellenza! Oggi vi parlo della mia cassa Mesa Boogie che riesce, almeno per i miei gusti, a creare dei suoni molto interessanti!

LA CASSA

La cassa in questione è una Mesa Boogie Recto Cab con due coni Celestion vintage 30, la cassa è molto robusta, pesa infatti 75 libbre, è in configurazione closed back (cioè completamente chiusa nella parte posteriore) il che permette una maggiore botta ed escursione sulle basse frequenze. Visivamente è simile a tutte le casse mesa standard, tipo quelle che vedete ammassate come armadi alle spalle di Petrucci nel G3, nera, 8 paraspigoli neri, griglia nera, scritta coatta MESA engineering sulla griglia. Nel posteriore troviamo l’input e un’uscita parallela per collegare appunto in parallelo un’ulteriore cassa aggiuntiva. I legni usati per questa recto cab sono un multistrato di betulla molto spesso per la cassa e, mi pare l’MDF per la baffle board. All’interno i due coni celestion, attaccati alla una robusta baffle board, sono da 16 ohm l’uno collegati in parallelo il che dà una risultante totale di 8 ohm di impedenza in entrata che permette alla cassa di essere collegata con praticamente qualsiasi testata esistente. La cassa supporta fino a 140 watt quindi si comporta bene con tutte le testate moderne ad alto gain da 100 watt (Masotti, Bogner, Diezel, Mesa, Engl…). I coni celestion v30 hanno una efficienza incredibile, circa 103 db, che gli permette di rivitalizzare anche finali dotati di  un basso wattaggio. Sicuramente non è il top della praticità ma vi assicuro che è un ottimo compromesso tra le casse a 1 cono (pratiche ma dal suono “mono-conico”) e quelle a 4 coni (bel suono ma manco mi entrerebbe in macchina!).

IL SUONO

Questa recto cab è in mio possesso da diverso tempo quindi posso dire di conoscerla ormai abbastanza bene. La uso collegata ad una testata Mesa Boogie F-50 tramite un grosso cavo di potenza costruitomi a mano da Pierangelo Mezzabarba alla Masotti (un nome una garanzia!). Inizio subito col dire che è uno scatolone nero dotato di molto carattere, molto lontano dall’essere una cassa neutra che rispecchia fedelmente il suono della nostra testata, lo trasforma sempre in qualche modo in maniera decisiva e, secondo me, lo fa in maniera molto positiva. L’ottima cassa artigianale Dragoon di Giniski ad esempio, rispetto alla Mesa, riesce a rimanere molto più trasparente e fedele al suono della vostra testata, alla fine è una scelta soggettiva: a me piace che la cassa tenda a modificare il suono originale, naturalmente deve modificarlo in un modo che ci piaccia! detto questo va anche considerato che tutto ciò non significa che ogni testata suonerà uguale attaccata alla Mesa perdendo il proprio, di carattere! Anzi, ho effettuato alcune prove con diverse testate (tra cui Engl Powerball, Randall RM100, Marshall JCM2000, Mesa Stiletto, Masotti X100M modern e, ovviamente, Mesa Dual Recto che sarebbe la testata per cui originariamente è stata creata questa cassa) ed ogni amplificatore manteneva le proprie caratteristiche anche se molto influenzate dalla cassa mesa. La prima sensazione che si ha collegando la cassa è di una pasta molto americana, molto “bassosa” (soprattutto grazie alle dimensioni generose e alla configurazione closed back), con una botta impressionante, molto “boomy” come direbbero oltreoceano! L’aria che questa cassa fa muovere è da terremoto! Il suono è carico di basse (a volte fin troppe a seconda del genere suonato) definite e fluide, molte medio-basse, medie-alte poco in evidenza ed una bella presenza molto aggressiva (anche qui fin troppa a seconda del genere suonato!). La cosa che sconvolge sempre tutti di questa cassa è proprio la risposta sulle basse frequenze, da drum&bass, davvero sconvolgente se si pensa che stiamo parlando di una 2×12: ci sono più basse qui che su una Marshall 4×12 che pure ha una cassa di ben altri “litraggi”! Questo scatolone nero non farebbe una piega neanche con una gibson les paul con dei pick up humbucker Invader della Seymour Duncan. Fa esprimere al meglio una bella chitarra metallona con accordature detuned e rivitalizza i bassi di docili single coil. Un discorso a parte va fatto per l’efficienza di questa cassa! Quest’ultima fa infatti suonare più forte qualsiasi testata, mi spiego: prendete una 2×12 “normale” e collegatela ad una certa testata settata con un certo volume, avrete un volume percepito dalle vostre orecchie ad esempio come 6 su una scala da 1 a 10. Poi collegate la stessa testata settata con lo stesso volume a questa cassa mesa e, magia, avremo un volume percepito almeno di 8 nella solita scala da 1 a 10! Tutto questo è un bene perchè lo scatolone riesce a stillare fuori ogni goccia di suono dalle vostre valvole finali, tuttavia questo si trasforma in un’arma a doppio taglio se cercate di ottenere un buon suono anche a volumi bassi.. Anche a settaggi minimi di volume sulla vostra testata, la cassa suonerà di suo comunque troppo forte per un uso casalingo: se dovete suonare allo stadio Olimpico va bene, se vi siete costruiti un ampli da 1 watt va bene, ma se volete suonare a casa con una Bogner Ecstasy siate pronti alle denunce da parte dei vicini oppure a rivendervela per comprarvi una cassa con coni meno efficienti! Da ricordarsi pure che i V30 sono coni molto rigidi, vanno suonati e fatti urlare a volumi elevati per assaporarli in pieno, danno il loro meglio dal vivo in grossi spazi dove il loro carattere vi permetterà di ritagliarvi i vostri ruoli nel suond della band con una bella presenza (e, all’occorenza, visti i bassi da scossa tellurica, di suonare senza bassista!!!). Ricordo poi che i V30, come tutti i coni, vanno ammorbiditi col tempo: più passano i mesi e meglio suonano! Un’ultima cosa molto interessante, almeno per quelli come me a cui piace sperimentare, è provare ad abbinare una cassa americaneggiante come questa ad una testata dal carattere più british, vedrete che si riescono ad ottenere dei risultati interessanti! Naturalmente sarà difficile vedere una testata Vox di 30 anni fa posata sopra questa cassa ma… è proprio quando ci allontaniamo dai canoni tradizionali che riusciamo ad ottenere suoni personali e che ci distinguono dalla solita massa (cosa che secondo me dovrebbe essere l’obbiettivo finale di molti noi chitarristi). In definitiva descriverne il suono a parole è difficile, scontato dirlo: se potete provatela di persona!

I GENERI MUSICALI

Che generi si possono suonare con questa cassa? Naturalmente molto dipende dalla testata a cui l’abbinate! Gli riesce comunque bene un pò di tutto a patto di dosare bene l’equalizzazione sulla testata per magari mitigare l’infinita scorta di bassi che questa scatolona possiede. I Vintage 30 sono tra i coni più utilizzati nel mondo dell’amplificazione delle sei corde, una garanzia! Naturalmente è una cassa di impostazione moderna, difficile suonare “Johnny be goode” su questo ordigno nucleare, molto meglio spaziare dal rock al metal, territorio dove la recto cab in distorsione si muove che è un piacere! Sul pulito, anche se forse non è proprio la cassa ideale, si comporta molto onestamente e in maniera molto “americana”, ha una buona dinamica e si ottengono discreti suoni percussivi. Non è certo per tutti i palati, alcuni rocker anni 70 preferirebbero altri coni, magari certi greenback più “inglesi” e meno rigidi. Io ci suono dal jazz al metal con risultati decisamente buoni e non ho mai avuto grossi rimpianti.

PARAGONI

Ho provato altre casse con configurazioni 1×12, 2×12, 4×10, 4×12, di diverse marche (dalle belle Soldano alle Brunetti, dalle Randall fino alle economiche Behringer), con diversi tipi di coni (greenback, century…) e alla fine ho preferito questa recto cab, bassi più definiti, presenza presuntuosa, medi più avvolgenti! ero partito per comprare una 4×12 V30 Mesa Boogie ed alla fine le ho preferito di gran lunga questa, e non solo per la praticità!

CONCLUSIONI

La consiglio a tutti, vi durerà tutta la vita (è un carro armato), non si svaluterà facilmente, suonerà sempre meglio anno dopo anno, farete una bella figura sia per il suono sia per l’esibizionismo insito nel possedere una cassa con scritto sopra Mesa!

PS note dolenti: Il prezzo è un po’ altino… forse conviene autocostruirsela!

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L’incredibile storia delle fotografie ritrovate di Vivian Maier

MEDICINA ONLINE STORIA FOTO VIVIAN MAIER FOTOGRAFIE.jpgVivian Maier è il nome di una donna che probabilmente non avete mai sentito nominare in vita vostra, tuttavia la sua storia è molto interessante a partire da uno strano fatto: scattò migliaia di foto senza svilupparne nessuna. Per quale motivo? Per difficoltà economiche? Scelta? Non si sa con esattezza. Dopo la sua morte furono trovati i negativi e divenne famosa per foto che quindi lei stessa non aveva mai visto. C’è un bellissimo documentario di Maloof e Siskel che la raccontano.

Vivian Maier è stata una fotografa statunitense, della cui attività artistica si sapeva ben poco fino a pochi anni prima della scomparsa. Come per altri artisti rimasti sconosciuti o semisconosciuti durante la loro vita, Vivian Maier e, soprattutto, la sua vasta quantità di negativi è stata scoperta nel 2007, grazie alla tenacia di John Maloof, anche lui americano, giovane figlio di un rigattiere. Il ragazzo, nel 2007, volendo fare una ricerca sulla città di Chicago, e avendo poco materiale iconografico a disposizione, decise di comprare in blocco per 380 dollari, in un’asta, il contenuto di un box zeppo degli oggetti più disparati, espropriati per legge ad una donna che aveva smesso di pagare i canoni di affitto.

Mettendo ordine tra le varie cianfrusaglie (cappelli, vestiti, scontrini e perfino assegni di rimborso delle tasse mai riscossi), Maloof reperì una cassa contenente centinaia di negativi e rullini ancora da sviluppare. Dopo aver stampato alcune foto, Maloof le pubblicò su Flickr ottenendo un interesse entusiastico e virale e l’incoraggiamento della community ad approfondire la sua ricerca. Pertanto fece delle indagini sulla donna che aveva scattato quelle fotografie: venne a sapere che Vivian non aveva famiglia ed aveva lavorato per tutta la vita come bambinaia soprattutto nella città di Chicago; durante le giornate libere e i periodi di vacanza era solita scattare foto della vita quotidiana di città come New York, Chicago e Los Angeles.

La maggior parte delle sue foto sono “street photos” ante litteram e può essere considerata una antesignana di questo genere fotografico. Inoltre, scattò molti autoritratti, caratterizzati dal fatto che non guardava mai direttamente verso l’obiettivo, utilizzando spesso specchi o vetrine di negozi come superfici riflettenti. Dal momento della sua scoperta, Maloof ha svolto una grande attività di divulgazione della sua opera fotografica, organizzando mostre itineranti in tutto il mondo. Vivian Maier, per scattare le sue immagini, utilizzava una macchina fotografica Rolleiflex e un apparecchio Leica IIIc. La sua vita e il suo lavoro sono stati oggetto di libri e documentari.

 

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