Lo scompenso cardiaco (o “insufficienza cardiaca“) è una condizione patologica caratterizzata dalla incapacità del cuore a pompare una quantità di Continua a leggere
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Pallone va e vieni: cos’è, come funziona, a che serve
Con “pallone va e vieni” o, più semplicemente “va e vieni”, si intende un presidio medicale, generalmente monouso, usato per la ventilazione artificiale del paziente intubato. Consiste in un sacco di gomma non autoespandibile che necessita, per il Continua a leggere
La AS Roma conferma: rottura del crociato per Karsdorp
Si allunga la già nutrita lista di atleti della Roma calcistica che hanno subito la rottura del crociato (12 negli ultimi 3 anni). Un dolore, una corsa notturna a Villa Stuart, poi la diagnosi impietosa: rottura del legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro per Rick Karsdorp, terzino destro della Roma ieri all’esordio contro il Crotone dopo aver recuperato da un’altra operazione all’altro ginocchio, effettuata il 3 luglio scorso. Un 26 ottobre nero per la Roma visto che un anno fa, lo stesso identico giorno, era Alessandro Florenzi a infortunarsi allo stesso modo nel match contro il Sassuolo.
Ecco il comunicato del club:
“Nell’immediato post partita di Roma-Crotone, Rick Karsdorp è stato visitato dallo staff medico della Roma per riferito trauma distrattivo-distorsivo al ginocchio sinistro, subito durante il secondo tempo della gara. A seguito dell’immediato sospetto clinico di compromissione legamentosa, il calciatore è stato sottoposto in nottata a un controllo strumentale che ha confermato la rottura del legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro. Nel pomeriggio di oggi l’atleta sarà sottoposto a un controllo specialistico da parte del Prof. Mariani per pianificare l’iter terapeutico”.
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Roberto Baggio: il “divin codino” che ha incantato il mondo del calcio
Roberto Baggio, uno dei più grandi campioni che l’Italia abbia avuto, uno dei più noti a livello mondiale, nasce il 18 febbraio 1967 a Caldogno, in provincia di Vicenza.
E’ un ragazzino quando il padre tenta di trasmettergli l’amore per il ciclismo. Ma Roberto giocava a calcio e lo faceva già con grande fantasia, tecnica ed estro. Inizia a giocare nella squadra della sua città. All’età di 15 anni passa al Vicenza, in serie C. Non ancora maggiorenne, nella stagione 1984/85, segna 12 reti in 29 partite e aiuta la squadra a passare in serie B. Alla serie A non sfugge il talento di Roberto Baggio: viene ingaggaiato dalla Fiorentina.
Esordisce nella massima serie il 21 settembre 1986 contro la Sampdoria. Il suo primo gol arriva il 10 maggio 1987, contro il Napoli. L’esordio in nazionale risale al 16 novembre 1988, contro l’Olanda. Rimane con la Fiorentina fino al 1990, diventando sempre più il simbolo di un’intera città calcistica. Come è prevedibile il distacco è traumatico, soprattutto per i tifosi toscani, che vedono volare il propro beniamino a Torino, dagli odiati nemici della Juventus.
Arriva poi l’appuntamento importantissimo dei mondiali casalinghi di Italia ’90. Sono queste le notti magiche di Totò Schillaci e Gianluca Vialli. Roberto Baggio inizia il suo primo mondiale in panchina; nella terza gara il CT Azeglio Vicini fa entrare Baggio per farlo giocare in coppia con lo scatenatissimo Schillaci. Contro la Cecoslovacchia segna una rete memorabile. L’Italia grazie anche ai gol di Baggio arriva in semifinale dove trova l’Argentina del temutissimo Diego Armando Maradona, che eliminerà gli azzurri ai calci di rigore.
Con la Juventus Baggio segna 78 reti in cinque campionati. Sono questi gli anni in cui raggiunge l’apice della sua carriera. Nel 1993 vince il prestigiosissimo Pallone d’Oro, nel 1994 il premio FIFA World Player. Con la maglia bianconera vince uno scudetto, una coppa Uefa e una coppa Italia.
Sulla panchina che guida gli azzurri ai mondiali USA ’94 siede Arrigo Sacchi. Baggio è attesissimo e non delude. Sebbene i rapporti con l’allenatore non siano felici, gioca 7 partite segnando 5 reti, tutte importantissime. L’Italia arriva in finale dove trova il Brasile. La partita finisce in pareggio e ancora una volta il risultato viene affidato alla lotteria dei rigori. Baggio, uno degli eroi di quest’avventura mondiale, è l’ultimo a dover tirare: il suo tiro finisce sopra la traversa. La coppa è del Brasile. Una scena che nessun appassionato di calcio italiano potrà mai dimenticare.
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La Juventus decide di puntare sul promettente giovane Alessandro Del Piero e Baggio viene ceduto al Milan. Gioca solo due stagioni in rossonero, dove viene considerato solo un sostituto. Fabio Capello non riesce a inserirlo nei suoi schemi e anche se alla fine vincerà lo scudetto, il contributo di Baggio al Milan sembrerà trascurabile.
Baggio accetta così l’offerta che arriva da Bologna. Si ritrova a giocare con i rossoblu per l’inconsueto (per lui) obiettivo della salvezza; tuttavia il Bologna gioca un ottimo campionato e Baggio sembra tornato superlativo. Ancora una volta vive una poco serena situazione con il suo allenatore di turno, Renzo Ulivieri, per guadagnare un posto da titolare. Baggio minaccia di andarsene ma la società riesce a mettere d’accordo i due. Arriverà a segnare 22 reti in 30 partite, il suo record personale. Il Bologna si salva con disinvoltura e Roberto Baggio viene convocato per il suo terzo mondiale.
Ai mondiali di Francia ’98 Baggio è considerato riserva del fantasista Alessandro Del Piero che però delude le aspettative. Baggio gioca 4 partite e segna 2 reti. L’Italia arriva fino ai quarti dove viene eliminata dalla Francia che poi vincerà il prestigioso torneo.
Il presidente Massimo Moratti, da sempre appassionato estimatore di Roberto Baggio, gli offre di giocare nell’Inter. Per Baggio è una grande possibilità di rimanere in Italia e giocare di nuovo ai massimi livelli. I risultati sono però altalenanti. In Champions League, a Milano, Baggio segna al Real Madrid permettendo all’Inter di passare il turno. Ma pochi giorni dopo la qualificazione il tecnico Gigi Simoni, con cui Baggio ha un ottimo rapporto, viene sostituito. La stagione volgerà verso un tracollo.
Il secondo anno di Baggio con l’Inter è segnato dai difficili rapporti con il nuovo tecnico Marcello Lippi. I due si ritrovano dopo l’avventura juventina, ma Lippi esclude Baggio dai titolari. Ancora una volta si ritrova a partire dalla panchina. Nonostante ciò, appena ha la possibilità di giocare dimostra tutto il suo talento, segnando reti decisive.
I rapporti con Marcello Lippi però non migliorano. Scaduto il contratto con l’Inter, Baggio accetta l’offerta del neopromosso Brescia. Con questa maglia, sotto la guida del veterano allenatore Carlo Mazzone, Roberto Baggio arriva a siglare la sua rete numero 200 in serie A, entrando con grande merito nell’olimpo dei goleador, insieme a nomi storici quali Silvio Piola, Gunnar Nordhal, Giuseppe Meazza e José Altafini. Chiude la sua carriera con il Brescia il 16 maggio 2004; al suo attivo vi sono 205 reti in serie A e 27 reti in 56 partite giocate con la maglia della nazionale.
Devoto buddhista dai tempi di Firenze, soprannominato “Divin Codino”, ha inoltre scritto un’autobiografia: “Una porta nel cielo”, pubblicata nel 2001, dove racconta il superamento dei periodi difficili, come è tornato più forte in seguito ai gravi infortuni, e dove approfondisce i suoi difficili rapporti con i passati allenatori, ma anche elogiando le doti di altri tra cui Giovanni Trapattoni, Carlo Mazzone e Gigi Simoni.
Nell’estate del 2010 torna sulle prime pagine dei giornali in due occasioni: si reca in ritiro a Coverciano per conseguire il patentino di allenatore di terza categoria e viene candidato a livello federale per ricoprire compiti manageriali.
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Partita della Pace: Maradona insulta la madre di Veron
Ieri sera si è svolta la “Partita della Pace”, tuttavia i rapporti in campo non sono stati del tutto… pacifici. “Yo no te boludeo, te lo digo en la cara boludo” ovvero “Io non ti piglio per il c..o, te lo dico in faccia str…o”. Una dichiarazione di guerra da parte di Maradona nei confronti del connazionale Juan Sebastian Veron durante la partita che doveva essere una semplice esibizione per raccogliere fondi. Diego è andato col dito sotto al volto del connazionale dicendo: “Voglio solo parlare” e Veron non ha replicato e lo ha allontanato. L’ex Pibe de Oro è stato poi portato via da Cafu. Chi era a bordocampo giura di aver sentito anche un “hijo de puta” (non c’è bisogno di traduzione) da parte di Maradona, e ci sarebbero anche le immagini a confermarlo. Ovviamente non è stata la partita a far esplodere la lite tra i due, che non sono mai stati amici.
Maradona: “Quello che è successo rimane tra di noi”
Alla fine della partita rientrando negli spogliatoi Maradona non ha voluto commentare il diverbio con Veron. “Non è niente, quello che è successo con Veron rimane tra di noi. Non devo parlare di un giocatore che io ho ammirato moltissimo”, ha detto l’ex campione del Napoli.
In estate disse: “Veron è un traditore”
Secondo i media la causa del litigio sarebbe legata alle dichiarazioni della scorsa estate rilasciate da Maradona durante la fase di caos della Federcalcio argentina dopo le dimissioni del Tata Martino. In quell’occasione a Veron venne dato il compito di nominare il nuovo staff dell’Albiceleste. Diego disse: “Veron è un traditore che si atteggia a dirigente. Uno con cui non voglio più avere nulla a che fare” e l’ex Parma e Lazio aveva risposto: “Non so a cosa si riferisca Maradona e non mi interessa. Le sue parole sono di scarsa rilevanza e lui è poco serio”, per poi rincarare la dose di recente: “Con Maradona mi piacerebbe trovarmi faccia a faccia”.
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Palloni ovali e caviglie slogate
Quando ero piccolo si giocava a calcio per strada (fermi tutti, passa una macchina, gioco fermo!), oppure nei parchi (erba alta che neanche nella jungla). Porta ottenuta abbinando un albero con zaini Invicta e felpe varie (che si riempivano inesorabilmente di polvere) con larghezza misurata coi passi o addirittura ad occhio (ovviamente le due porte avevano larghezze diverse ed una delle due squadre era inevitabilmente avvantaggiata). Quando la palla rotolava “sopra” la cartella/palo, si litigava per mezz’ora: era palo? Era fuori? Era palo interno/gol? L’altezza della porta era variabile visto l’assenza della traversa: si andava sulla fiducia ma poi si litigava su gol/non gol. Falli e rigori erano giudicati un po’ come veniva, cioè a casaccio. Fallo laterale inesistente, calci d’angolo battuti un po’ dove capitava. Fuori gioco? Ma quando mai!
Ginocchia sanguinanti ma si continuava a giocare lo stesso, rischio frattura scomposta tibia+perone sempre in agguato. Difensori che volevano segnare gol alla Van Basten ma erano giocatori ritenuti scarsi e venivano appunto relegati in difesa, scaricavano la frustrazione puntando i piedi diritto sugli stinchi degli attaccanti avversari. Ferite importanti. Sangue. Aver più paura di chiamare i propri genitori che il 118. A fine giornata vinceva la squadra che aveva meno feriti e più sopravvissuti, in stile partita a calcio di Fantozzi tra scapoli ed ammogliati. Il mattino dopo, a scuola, i lividi erano insostituibili medaglie al valore.
Nessuno voleva andare in porta, si faceva a turno, si cambiava ad ogni gol subìto e c’era chi si faceva segnare apposta, per abbandonare i pali e tornare a fare il trequartista. Erano tutti attaccanti, nessuno voleva essere il Maldini della situazione, tutti Diego Armando Maradona, nessuno che passa mai la palla. Si segna, si irride l’avversario con la faccia di Leonida che ha appena ucciso un migliaio di persiani alle Termopili, fosse anche il proprio compagno di banco che il giorno prima ti aveva passato tutto il compito di matematica.
Quando si organizzava la solenne partita, 45 minuti prima del fischio di inizio mancava sempre qualcuno per un impegno urgente, e giù di telefonate per cercare un tizio qualsiasi, disponibile da sostituire al volo. Si trovava il sostituto, ma era un pirlone alla Iturbe e nessuno lo voleva con se: giocherà il primo tempo con una squadra ed il secondo con l’altra, a mo’ di handicap, tornerà a casa abbattuto più di Fedez ad un concerto di Eminem.
Si giocava con impegno, erano tutte partite di coppa (del nonno, si lo so: battuta banale) dei campioni, tanto che a volte tutti si dimenticavano il punteggio, ed i più furbi provavano ad aggiungere uno o due gol alla propria squadra. I più fortunati avevano la maglietta di Giannini della Roma, o di Signori della Lazio, o di Hugo Sánchez del grande Real Madrid, tutti gli altri il tutone della Standa e le scarpe Superga bianche tarocche comprate alla bancarella del mercato o ereditate dal fratello più grande (una taglia più grandi fisso).
Il primo tempo finiva quando veniva sete e si correva tutti alla fontanella, chi arriva prima beve per primo. Il secondo tempo finiva quando tuo padre ti veniva a prelevare perché non avevi ancora finito i compiti per il giorno dopo, se non volevi ti prendeva per l’orecchio e ti portava via così, come un trolley all’aeroporto. Non ci facevi una gran bella figura.
Giocavi meglio quando le compagne di classe venivano a vedere la partita: se poi c’era la ragazza che ti piaceva diventavi all’istante Gianluca Vialli, solo più basso ma con più capelli. Le ragazze dopo cinque minuti si stufavano e se ne andavano e tu non te ne accorgevi e continuavi a giocare col boost inserito che manco Batistuta. Poi te ne accorgevi e acquisivi l’espressione di chi continua a parlare al telefono e si accorge che era caduta la linea dieci minuti prima.
Il solito esibizionista provava sempre a fare giocate impossibili che quando riuscivano diventavano leggendarie e si tramandavano a scuola alle matricole. Sempre lo stesso esibizionista era solito tirare super-pallonate, il pallone finiva lontano e nessuno voleva andare a raccattarlo, quando andava bene si faceva a turno. A volte finiva sotto le macchine, dietro le ruote, ci si sdraiava per terra per recuperalo e si continuava a giocare con la polvere negli occhi ed il grasso dell’automobile sulle calze e sulle caviglie. Quando la palla finiva su un balcone? Ci si attaccava al citofono e se nessuno rispondeva ci si attaccava a… un’altra cosa: fine anticipata della partita e si ritorna domani per riprendersi il pallone, che era quello buono e non il “super santos” da cinquemilalire che va a vento. Finestra rotta da una pallonata: fine ancora più anticipata e super-fuga dalle proprie responsabilità, di corsa, trasformarsi da Del Piero a Mennea e fare il nuovo record del mondo dei 200 metri piani, ma correndo con la sensazione di essere un gran fantasista.
Era sempre difficile, all’inizio della partita, ricordarsi chi erano i tuoi compagni di squadra e chi gli avversari: a quelli dell’altra squadra in possesso di palla si gridava sempre “passala a me” contando sul fatto che si confondevano e te la passavano pensando tu fossi un compagno. La paura di essere l’ultima scelta quando i “capitani” sceglievano a turno i componenti del proprio team. I capitani erano quelli che avevano più successo con le ragazze. Il proprio migliore amico diventava il più acerrimo avversario quando capitava con l’altra squadra. Se il pallone buono di pelle era il tuo, sceglievi tu chi giocava ed eri il re della partita.
Si giocava fino ad il pomeriggio tardi, quando d’inverno è buio pesto e non si vede più se quello è il pallone o una grossa pietra finita nel “campo di gioco”. Si giocava al buio della poca luce dei lampioni mezzi rotti della fredda periferia di Roma. Si giocava col gelo che, finché non ti riscaldavi un po’, stordisce e ti entra nella testa e nelle ginocchia. Si giocava quando pioveva, almeno finché le gocce non diventavano proiettili, nella tempesta ti sentivi eroico come Zola che segna il gol decisivo all’Inghilterra nel freddo gelido di quel 1997. Litigate interminabili per chi doveva tirare il rigore. Cani che interrompevano il match facendo roboanti irruzioni di campo. Partita maschi contro femmine? No mischiamo le squadre che sono sbilanciate! Quando avevi la palla al piede e correvi in porta partendo dalla tua difesa, il campo diventava lunghissimo ed in salita che in confronto quelli di Holly e Benji erano una passeggiata di salute. Tiravi come se volessi buttare giù un panzer tedesco della Seconda Guerra Mondiale. Segnavi ed esultavi come Zoff l’11 luglio dell’82.
Palloni che finiscono sulle cacche dei cani e se ne accorgeva il primo che la prendeva di testa. Palloni che rimbalzano poco perché sempre troppo sgonfi, “ti avevo detto di andarlo a gonfiare al distributore di benzina”. Palloni sempre troppo duri, che a prenderli di testa si rischiava il trauma dell’osso frontale del cranio. Palloni comprati con la colletta di 15 persone e poi si fa la conta per chi lo tiene a casa propria. Pallone nuovo, regalo di Natale, quello di cuoio cucito a mano e lo stemma del Barcellona, così bello che dici ai tuoi amici di calciarlo piano che hai paura di rovinarlo. Palloni ovali, che ci si può giocare a rugby. Palloni super tele, super economici, più leggeri di una piuma, arriva il vento e se lo porta via, difficili da controllare che manco Shevchenko o il Totti di dieci anni fa ce la potevano fare. Palloni che finiscono in mezzo alla strada e “stai attento che passano le macchine”. Palloni calciati con così tanta forza che bucano la rete che neanche Oliver Hutton. Ah no, la rete era già bucata prima, bisognava rammendarla. Palloni bucati, inservibili, sepolti in cantina perché ti dispiace buttarli perché ci hai giocato quella famosa partita in cui hai conosciuto la tua futura moglie.
“Domani abbiamo l’orale di maturità!” “Ma che ti frega, giochiamo ancora un po’”. Mamme in ansia. Mamme affacciate alla finestra. Quante “finali di coppa del mondo” interrotte da “Ninoooo è pronta la cena”. E la paura di tirare il calcio di rigore lasciava il posto ai rigatoni al sugo e basilico. Mangiare come un matto grazie alle due ore di corsa forsennata appena fatta ed al metabolismo ancora lungi dall’abbandonarti.
Tornare a casa dopo aver perso e sentirsi come Roberto Baggio dopo quel rigore sbagliato.
Tornare a casa dopo aver vinto e sentirsi come Fabio Grosso dopo quel rigore dodici anni dopo…
Quando ero piccolo, la sera tornavo a casa con le caviglie slogate; ora i bambini al massimo tornano a casa con i pollici slogati.
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- “Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu possa dirlo” NON è una frase di Voltaire
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- Non è importante dove, ma con chi
- Una persona piena di difetti
- E se non fosse la torre di Pisa ad essere storta…
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- Un giorno di pioggia per stare vicino a chi amate
- Essere diversi è una qualità!
- Come un filo d’erba nell’asfalto ed il cemento
- La prossima volta che ti cercano
- Torna indietro solo per prendere la rincorsa
- Ogni istante della nostra vita è una occasione per rivoluzionare tutto, completamente
Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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Josh Turnbull: ha solo 4 anni ed ha già segnato un gol col Chelsea
Sorridere fa bene alla salute e questo video, anche se è ormai un po’ datato (2013), sono sicuro che vi strapperà un sorriso!
L’Inghilterra è in delirio per la prodezza di un bimbo a Stamford Bridge. Inutile dire che questo bambino il calcio ce l’ha nel sangue e da grande darà del filo da torcere al suo papà. E’ Josh Turnbull, il figlioletto del portiere del Chelsea, Ross Turnbull (ora passato ai Doncaster Rovers), che segna indisturbato il suo primo gol davanti agli occhi di dei tifosi della curva Matthew Harding.
Mentre “i grandi” festeggiano la vittoria in Europa League contro l’Everton, il piccolo Josh, procede spedito verso la porta con il pallone incollato al piede: appena i tifosi capiscono le intenzioni del pupo, cominciano a incitarlo fino a esplodere in un’ovazione da finale dei Mondiali. Il bimbo appare stranito, ma poi alza le braccia in segno di trionfo: l’esultanza è da vero campione!
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