Leucemia a cellule capellute: sopravvivenza, guarigione, cure

MEDICINA ONLINE BLOOD TEST EXAM ESAME DEL SANGUE ANALISI GLOBULI ROSSI BIANCHI PIATRINE VALORI ERITROCITI ANEMIA TUMORE CANCRO LEUCEMIA FERRO FALCIFORME MEDITERRANEA EMOGLOBINAIl termine “leucemia” in medicina indica una insieme di malattie tumorali caratterizzate dalla proliferazione neoplastica ed incontrollata di una cellula staminale emopoietica che si traduce in una alterazione dei globuli bianchi (leucociti). La tricoleucemia o leucemia a cellule capellute (HCL o LCC) è un tipo specifico di leucemia linfatica cronica, caratterizzata dalla proliferazione di linfociti B anormali che possiedono filamenti sottili che ricordano i capelli, da cui il nome. La patologia colpisce maggiormente i maschi e gli adulti, meno frequentemente le donne ed i bambini.

Cause

Le cause specifiche della LCC, come accade per la maggior parte delle leucemie, non sono attualmente note, tuttavia le ricerche indicano che determinati fattori di rischio possono far aumentare il rischio di sviluppare questo tipo di leucemia. Avere uno o più fattori di rischio non significa che ci si ammalerà necessariamente di leucemia, come anche il non avere alcun fattore di rischio non indica che non ci si possa comunque ammalare di leucemia. I fattori di rischio noti, sono i seguenti:

  • esposizione a radiazioni ionizzanti;
  • RX e TAC ripetute;
  • sostanze chimiche usate sul posto di lavoro, come il benzene;
  • famigliarità con la malattia;
  • mutazione missenso V600E nel gene B-Raf, coinvolto peraltro in altri diversi disordini neoplastici (come melanoma e carcinoma della tiroide).

Patogenesi

La prima conseguenza della malattia è la presenza nel sangue (ma anche nella milza, nel midollo osseo, nel fegato, ed a volte nei linfonodi) di un accumulo di linfociti B proliferanti che, all’osservazione microscopica, presentano delle caratteristiche propaggini filamentose molto sottili del citoplasma, simili a capelli. Le cellule neoplastiche sono tipicamente positive per il CD11c, per il CD55 e il CD103. L’accumulo dei linfociti è responsabile della maggioranza dei sintomi della HCL.

Sintomi

Nelle fasi iniziali la LCC può anche essere del tutto asintomatica (non dare alcun sintomo), almeno finché le cellule leucemiche non interferiscano in modo eccessivo con le funzioni delle altre cellule. Successivamente il paziente può avvertire sintomi aspecifici come malessere e stanchezza a cui spesso il soggetto dà poca importanza. Col passare del tempo, i sintomi diventano maggiormente specifici. La manifestazione clinica più frequente è la splenomegalia (ingrossamento della milza) a volte associata ad epatomegalia (ingrossamento del fegato). Il quadro clinico nelle fasi tardive è dovuto essenzialmente all’invasione del midollo da parte del clone neoplastico e alla conseguente distruzione delle cellule emopoietiche normali: il paziente affetto da leucemia sviluppa pancitopenia che porta a tre “blocchi” di sintomi principali:

  • anemia: a causa dell’insufficiente produzione di globuli rossi e relativo calo di emoglobina;
  • infezioni frequenti e gravi: per la ridotta produzione di globuli bianchi;
  • emorragia: a causa di ridotta produzione di piastrine.

Altri sintomi possibili sono:

  • febbre;
  • sudorazioni notturne;
  • astenia (stanchezza);
  • facile affaticabilità;
  • mal di testa;
  • dolori ossei;
  • dolori articolari;
  • inspiegabile perdita di peso;
  • ingrossamento dei linfonodi;
  • dolore ai linfonodi.

Tra le infezioni opportuniste e recidivanti più diffuse, frequenti sono quelle sostenute da Mycobacterium avium complex (a causa del deficit di monociti).

Diagnosi

Il percorso diagnostico comprende:

  • visita medica con anamnesi ed esame obiettivo;
  • esame del sangue venoso (emocromo) per verificare se il numero di globuli bianchi, globuli rossi e piastrine;
  • analisi dello striscio di sangue periferico”;
  • biopsia del midollo osseo o agoaspirato;
  • analisi dell’immunofenotipo (essenziale per differenziare la patologia in esame da altre lesioni linfoproliferative);
  • RX, TAC e/o ecografia per valutare eventuali ingrossamenti di milza e linfonodi;
  • citometria a flusso (per una ulteriore conferma della diagnosi).

Cure

La terapia principale della LCC fino agli anni ’70 era la splenectomia (cioè la rimozione della milza), la radioterapia palliativa e l’uso di agenti alchilanti come il clorambucile. Oggi si contempla la somministrazione di interferone-alfa 2 in combinazione a chemioterapici altamente selettivi per la patologia e noti sin dal 1990, quali la pentostatina (2-desossi-coformicina) e la cladribina (cloro-2-desossiadenosina). Entrambi possono portare ad un forte miglioramento dei sintomi e remissione dalla malattia, che molto spesso non si raggiunge neppure con l’associazione di interferone alfa 2 e basse dosi di clorambucile. Attualmente, in soggetti affetti dalla patologia in esame refrattari alle chemioterapie classiche, viene utilizzato un farmaco “intelligente”, il Vemurafenib, che colpisce selettivamente la mutazione del gene BRAF.  Il Vemurafenib blocca i meccanismi con i quali le cellule si riproducono; siccome la proteina BRAF si trova solo in minima parte anche sulle cellule sane, ne risulta un’azione mirata verso le cellule leucemiche. In alcuni studi, si sono osservate risposte a questo farmaco in più del 90% dei pazienti, con una percentuale di remissione completa di più del 35%, un risultato sorprendente. Il Vemurafenib si assume per via orale e il terapia deve essere mantenuta fino a quando il soggetto non evidenzi un peggioramento della patologia o una tossicità eccessiva.

Prognosi

La prognosi varia in funzione di vari fattori:

  • età del paziente;
  • condizioni generali di salute;
  • gravi alterazioni del numero di piastrine, globuli rossi e bianchi;
  • presenza di altre patologie come diabete ed ipertensione;
  • risposta al trattamento.

Pur essendoci ampi margini di aspettativa di vita, in funzione dei fattori appena elencati, la sopravvivenza media è di 9 anni dalla diagnosi, mentre solo il 15% dei pazienti sopravvive oltre i 15 anni a partire dalla diagnosi. La remissione completa, che comunque si è riscontrata con rituximab e l’immunotossina anti-CD22 BL22, è molto rara.

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