Con leucemia mieloide acuta (LMA, anche chiamata leucemia non linfocitica acuta) si indica una neoplasia della linea mieloide delle cellule del sangue, caratterizzata dalla rapida crescita di leucociti (globuli bianchi) anormali che si accumulano nel midollo osseo e, interferendo con la normale produzione delle altre cellule del sangue (piastrine e globuli rossi), determinano i sintomi della malattia. La leucemia promielocitica acuta (LPA) è una forma di leucemia mieloide acuta caratterizzata da un rapido sviluppo per eccesso di promielociti contenuti nel sangue e nel midollo osseo i quali non maturano oltre ed invadono il midollo. Si può considerare una entità nosologica distinta dalle LMA poiché è caratterizzata da un quadro morfologico specifico, cioè sia da un fenotipo specifico (promielociti), sia da un quadro genetico specifico. La LPA ha un’incidenza elevata: rappresenta il 30% di tutte le leucemie mieloidi acute nei bambini ed il 5-8% di quelle nell’adulto. La leucemia promielocitica acuta colpisce circa 150 persone all’anno in Italia. Da un punto di vista clinico, ha un’età media di insorgenza più giovanile rispetto alle altre leucemie mieloidi acute (età media intorno ai 35-40 anni). Oggi è uno dei tumori che presenta il più alto tasso di guarigione (nove pazienti su dieci).
Sintomi
La prima manifestazione della patologia è spesso una elevata frequenza di emorragie correlate, nella cute, ad ecchimosi e la formazione di petecchie, in particolare negli arti inferiori. Queste emorragie sono spesso correlate alla piastrinopenia, derivata dall’impossibilità delle piastrine di maturare a causa della completa occupazione del midollo osseo da parte dei promielociti. I sanguinamenti possono avvenire anche dal naso (un’emorragia da entrambe le narici è un campanello d’allarme per la leucemia promielocitica acuta), dalle gengive o riguardare l’apparato digerente, quello genito-urinario e il sistema nervoso centrale. L’emorragia è anche correlata ad una coagulazione intravascolare disseminata (CID), infatti, le cellule leucemiche producono molte sostanze che se liberate possono scatenare CID inducendo danno endoteliale e liberazione massiva del fattore tissutale, attivando così la trombina e quindi la fibrina. L’utilizzo di questi fattori determina la perdita dell’equilibrio pro-coagulante/anti-coagulante. La CID nei vari casi di leucemia promielocitica acuta può manifestarsi in maniera diversa: tendenzialmente lo stato più grave si osserva nelle fasi finali della malattia. Può anche verificarsi nei primi giorni, subito dopo l’inizio del trattamento a causa di una lisi massiva dei promielociti che liberano grandi quantità di sostanze d’innesco per la coagulazione disseminata. La CID rappresenta la prima causa di morte per questo tipo di leucemia. Per approfondire, leggi anche: Coagulazione intravascolare disseminata (CID): cause e terapie
Gli altri sintomi possono essere:
- febbre;
- sudorazioni notturne;
- astenia (stanchezza);
- facile affaticabilità;
- mal di testa;
- anemia;
- dolori ossei;
- dolori articolari;
- inspiegabile perdita di peso;
- infezioni frequenti;
- infezioni opportunistiche;
- splenomegalia (ingrossamento milza);
- ingrossamento dei linfonodi;
- dolore ai linfonodi.
Cause
I pazienti colpiti da una leucemia promielocitica acuta sono portatori di una traslocazione acquisita, non presente dunque dalla nascita, tra i cromosomi 15 e 17. I nuovi studi hanno identificato le lesioni genetiche che causano la LAM promielocitica. RARα è il gene per il recettore nucleare per l’acido retinoico, presente sul cromosoma 17, fondamentale per la differenziazione delle cellule mieloidi. È quindi un fattore trascrizionale indispensabile per la trascrizione dei geni di differenziamento. Normalmente, RARα legato all’acido retinoico rilascia la struttura della cromatina e quindi permette l’avvio della trascrizione. Il rilascio della cromatina è legato a due complessi enzimatici, uno acetila gli istoni e l’altro che deacetila: HAT e HDAC. L’acetilazione degli istoni permette la configurazione aperta della cromatina e quindi la possibilità di trascrizione genetica. La sua fusione con il gene PML, presente sul cromosoma 15, inibisce la sua attività e quindi la differenziazione si blocca allo stadio di promielocita, che comunque continua a proliferare invadendo così il midollo e causando pancitopenia. Nella LAM promielocitica, quindi, il complesso PML-RARα, dovuto alla traslocazione t(15;17), è insensibile alle concentrazioni fisiologiche (ma non farmacologiche) di acido retinoico. Oltre alla t(15;17) che si riscontra nel 97% dei casi si può osservare anche una traslocazione t(11;17).
Terapie
Generalmente tale forma di leucemia si differenzia nel trattamento rispetto alle altre. L’approccio terapeutico è basato sulla combinazione dell’acido retinoico (vitamina A) con il triossido di arsenico. Il loro effetto è complementare. Il triossido di arsenico induce l’apoptosi (la morte cellulare programmata) delle cellule tumorali, che sarebbe però insufficiente senza l’apporto dell’acido retinoico: chiamato a completare il percorso di differenziazione cellulare dei promielociti, precursori dei neutrofili maturi (globuli bianchi). La leucemia acuta promielocitica viene trattata anche con trasfusioni di concentrati piastrinici, plasma fresco congelato ed emoderivati. Nonostante i trattamenti attualmente in uso, una quota compresa tra il venti e il venticinque per cento vedono la malattia recidivare. I pazienti con recidiva possono beneficiare, una volta ottenuta la seconda remissione completa, di un trattamento di consolidamento con un trapianto di cellule staminali emopoietiche (autologo o allogenico). Il trapianto di midollo osseo sia allogenico che autologo è generalmente riservato ai casi estremamente rari di malattia resistente ai farmaci di prima linea con eventuale recidiva di malattia.
Prognosi
Come anticipato precedentemente, la leucemia acuta promielocitica è la forma leucemica per i quali trattamenti (non chemioterpici) riescono a dare il miglior responso clinico. La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi senza ricaduta si attesta al 98-99%. Nei casi di recidiva (20/60%) è possibile eseguire degli schemi non chemioterapici con tassi di sopravvivenza a 2 anni di 80-100%, nei casi di recidiva con trattamento senza successo la terapia di elezione è il trapianto di midollo osseo che porta la sopravvivenza al 100% nel caso non ci fossero complicazioni e al 95% in caso di complicazioni legate alla procedura o all’insorgere di una ricaduta. La prognosi è influenzata dall’età del paziente, dalle sue condizioni generali e dalla presenza di eventuali altre patologie come ipertensione arteriosa, diabete ed obesità.
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Lo Staff di Medicina OnLine
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