Come e dove è meglio conservare i preservativi? Per quanto tempo?

Dott. Loiacono Emilio Alessio Medico Chirurgo Medicina Chirurgia Estetica Benessere Dietologo Nutrizionista Roma Cellulite Sessuologia Ecografie Tabagismo Smettere di fumare Dimagrire profilattico come si mette AIDS HIVCome e dove conservare i profilattici?
Ecco una breve lista di 5 cose da non fare assolutamente per conservare un preservativo in modo efficace.

  1. Evita di lasciarlo esposto alla luce del sole o a fonti dirette di calore. Banditi quindi dalla lista dei posti sicuri: il cruscotto della macchina o dello scooter, soprattutto in estate (le alte temperature potrebbero rovinare il profilattico). Preferite piuttosto luoghi freschi e asciutti, come per esempio il cassetto della vostra scrivania, o il vostro armadio o la borsa.
  2. Evita di conservali in luoghi in cui frizione e sfregamento sono elevati, come la tasca dei pantaloni o il portafogli a meno che tu non sia sicuro di usarlo di lì a qualche ora: a causa dei continui sfregamenti, infatti, potrebbe facilmente logorarsi e deteriorarsi.
  3. Se lo conservi in borsa o nel borsello, fa’ in modo che  non vi siano forbicine, lamette per unghie, pinzette per sopracciglie o altri arnesi appuntiti per la manicure, forbici o coltelli (ma a meno che tu non sia un serial killer, non badare a queste due ultime indicazioni). Magari lasciali nella loro confezione originale in cartone oppure in una di quelle scatolette portapreservativi in latta, comode e discrete.
  4. Da evitare anche la scrivania della tua cameretta o il bagno di casa, non vorrai mica rischiare che lo trovi tua madre! Che poi, pensandoci, avere un preservativo non è né illegale né immorale, anzi, denota un’elevato grado di maturità e senso di responsabilità. Nulla di cui vergognarsi, insomma.
  5. Non pensare di conservare i preservativi nel freezer del frigorifero di casa: non funziona come per il pane o le mozzarelle. I preservativi se congelati si rovinano e diventano inutilizzabili.

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In definitiva meglio un luogo sicuro, fresco e asciutto, come per esempio il cassetto della tua scrivania magari chiuso a chiave, giusto per stare più tranquilli e tenerlo lontano da occhi indiscreti. Va bene tenerli: nel portaocchiali, nella scatole delle caramelle ovviamente dopo che le avrete mangiate tutte o nel taschino interno della borsa. Se proprio non sapete dove metterli, potete acquistare il pratico ed economico portapreservativo.

Per quanto tempo si conservano i preservativi?
La risposta non può che essere unica: non oltre la data di scadenza che trovi impressa sul retro della confezione del profilattico, a patto ovviamente che il profilattico sia stato tenuto in luogo idoneo. Non usarne mai uno scaduto, potrebbe essersi così asciutto da rompersi durante lo sfregamento.

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Differenza tra virus HIV1 e HIV2

MEDICINA ONLINE SISTEMA IMMUNITARIO IMMUNITA INNATA ASPECIFICA SPECIFICA ADATTATIVA PRIMARIA SECONDARIA  SANGUE ANALISI LABORATORIO ANTICORPO AUTO ANTIGENE EPITOPO CARRIER APTENE LINFOCITI B T HELPER KILLER MACROFAGI MEMORIAIl virus dell’immunodeficienza umana (anche chiamato HIV, acronimo dall’inglese “human immunodeficiency virus”) è un retrovirus del genere lentivirus, caratterizzato dal dare origine a infezioni croniche che sono scarsamente sensibili alla risposta immunitaria ed evolvono lentamente, ma progressivamente e che, se non trattate, possono avere un esito fatale. L’HIV si trasmette in molti modi, ad esempio tramite i rapporti sessuali (80% dei casi), trasfusioni di sangue contaminato e aghi ipodermici e tramite trasmissione verticale tra madre e bambino durante la gravidanza, il parto e l’allattamento al seno. L’HIV è suddiviso in due ceppi:

  • HIV-1: prevalentemente localizzato in Europa, America e Africa centrale. E’ il primo ad essere stato scoperto; è il ceppo più diffuso e contagioso ed è responsabile di una sindrome clinicamente più severa del secondo ceppo. Quando comunemente si parla di “virus dell’HIV”, generalmente ci si sta riferendo a questo ceppo e non al secondo. L’HIV-1 generalmente conduce ad AIDS molto più velocemente del secondo ceppo.
  • HIV-2: prevalentemente localizzato in Africa occidentale e Asia, è meno diffuso e contagioso del primo ceppo e determina una sindrome clinicamente più moderata rispetto al ceppo precedente. Solo 166 casi di HIV-2 sono stati identificati fra 1988 e 2010 negli Stati Uniti. L’HIV-2 generalmente conduce ad AIDS molto più lentamente rispetto al primo ceppo.

HIV-1 e HIV-2 hanno anche dei tratti in comune: sono entrambi retrovirus che appartengono al genere lentivirus ed entrambi sono trasmessi allo stesso modo ed hanno medesimo ciclo virale. Più di 55% del materiale genetico è differente tra i due ceppi di virus. La reattività crociata fra gli anticorpi di HIV-1 ed il HIV-2 può spiegare i numerosi casi di diagnosi sbagliata tra le infezioni di HIV-1 e HIV-2. I trattamenti farmacologici sono simili per entrambi i ceppi. Il HIV-1 ed il HIV-2 sono ulteriormente divisi in vari gruppi e sottotipi.

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Differenza tra HIV e AIDS: sono uguali?

MEDICINA ONLINE SISTEMA IMMUNITARIO IMMUNITA INNATA ASPECIFICA SPECIFICA ADATTATIVA PRIMARIA SECONDARIA DIFFERENZA LABORATORIO ANTICORPO AUTO ANTIGENE EPITOPO CARRIER APTENE LINFOCITI BHIV e AIDS non sono affatto la stessa cosa, anche se ovviamente sono termini tra loro legati. Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.

Il virus dell’immunodeficienza umana (anche chiamato HIV, acronimo dall’inglese “human immunodeficiency virus”) è un retrovirus del genere lentivirus, caratterizzato dal dare origine a infezioni croniche che sono scarsamente sensibili alla risposta immunitaria ed evolvono lentamente, ma progressivamente e che, se non trattate, possono avere un esito fatale. L’HIV si trasmette in molti modi, ad esempio tramite i rapporti sessuali (80% dei casi), trasfusioni di sangue contaminato e aghi ipodermici e tramite trasmissione verticale tra madre e bambino durante la gravidanza, il parto e l’allattamento al seno.

La sindrome da immunodeficienza acquisita (anche chiamata AIDS, acronimo dall’inglese “acquired immune deficiency syndrome”) è una patologia del sistema immunitario umano. La malattia interferisce con il sistema immunitario limitandone l’efficacia, rendendo le persone colpite più suscettibili alle infezioni, in particolare a quelle opportunistiche, e allo sviluppo di tumori; tale vulnerabilità aumenta con il progredire della malattia.  L’AIDS è causata dal virus dell’immunodeficienza umana (HIV).

Da quanto detto appare chiara la differenza tra HIV e AIDS: il primo è un virus ed è responsabile della seconda.

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La vasectomia protegge da HIV ed altre malattie sessualmente trasmissibili?

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E’ importante sapere che la vasectomia non è efficace nella protezione contro le malattie sessualmente trasmissibili, come l’HIV/AIDS. Gli uomini che si sono sottoposti a quest’intervento dovrebbero continuare ad avere rapporti protetti, per evitare il rischio di malattie sessualmente trasmissibili.

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Differenze tra linfoma di Hodgkin e non Hodgkin: qual è il più grave?

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Per linfoma si intende un gruppo di tumori sia benigni che maligni del tessuto linfoide (tessuto connettivo di timo, milza e linfonodi, caratterizzato dall’essere composto in gran parte da varie cellule sostenute da una fitta rete connettivale, cioè linfociti T e B, NK e loro precursori). Vi sono dozzine di sottotipi di linfoma, tra cui i più diffusi sono il linfoma di Hodgkin (HL), il linfoma non-Hodgkin (NHL), il mieloma multiplo ed i disordini immunoproliferativi. Relativamente all’argomento dell’articolo, un linfoma non Hodgkin si differenzia dal linfoma di Hodgkin per svariati motivi, epidemiologici, eziologici, relativi alla prognosi e istologici.

Epidemiologia
La prima distinzione è la frequenza: i linfomi non Hodgkin sono molto più frequenti, andando a costituire circa il 90% dei casi di linfoma, mentre i linfomi di Hodgkin solo circa il 10%.

Cause
Un’altra distinzione è rappresentata dai diversi fattori di rischio, anche se il rischio di patologia è aumentato in presenza di condizioni di immunodepressione (ad esempio in seguito a un trapianto d’organo o AIDS in caso di infezione da HIV) in entrambi i tipi di linfoma.
I fattori di rischio specifici per l’HL comprendono le infezioni da virus di Epstein-Barr.
I fattori di rischio specifici per la NHL invece includono: l’infezione da virus T-linfotropico dell’uomo, l’assumere ingenti quantità di carne e grasso, così come l’uso massiccio di farmaci immunosoppressori e l’esposizione ad alcuni pesticidi.

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Istopatologia
Dal punto di vista istopatologico, il linfoma non Hodgkin si differenzia dal linfoma di Hodgkin anche perché è privo della cellula di Reed-Sternberg, una cellula gigante caratterizzata da due nuclei distinti, che è l’elemento distintivo dei linfomi del secondo tipo.

Prognosi
La prognosi è diversa, migliore per i linfomi di Hodgkin. Il tasso di sopravvivenza complessivo a cinque anni, negli Stati Uniti, per gli Hodgkin è dell’85% mentre per i non Hodgkin è del 69%. Ha comunque poco senso parlare di gravità maggiore nell’uno o nell’altro tipo, dal momento che essa è estremamente soggettiva, dipendendo dallo stadio del linfoma, dall’età del paziente e dal suo stato di salute generale.

L’importanza della diagnosi differenziale
La diagnosi differenziale tra i due tipi di linfoma si pone con l’esame istologico, ossia lo studio delle cellule e dei tessuti al microscopio, oppure con l’analisi molecolare, che consiste nello studio delle modificazioni genetiche nel DNA delle cellule malate. La differenza tra i due tipi di linfoma è sostanziale, e classificare correttamente la malattia è molto importante ai fini della definizione del piano terapeutico: la scelta della terapia dipende infatti dal tipo e dallo stadio del linfoma, dall’età del paziente e dal suo stato di salute generale.

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Linfoma non Hodgkin: sintomi, cure, prognosi e recidive

medicina-online-dott-emilio-alessio-loiacono-medico-chirurgo-roma-differenza-iperplasia-neoplasia-cancro-riabilitazione-nutrizionista-infrarossi-accompagno-commissioni-cavitazione-radiofrequenza-ecogrIl linfoma non Hodgkin è un tumore che nasce nel sistema linfatico e si sviluppa dai linfociti, cellule presenti nel sangue e nel tessuto linfatico di linfonodi, milza, timo, midollo osseo, tonsille e altre piccole aree dell’organismo. Invece di combattere le malattie, i linfociti (linfociti B o linfociti T) si accumulano nei linfonodi e in altri organi. Il linfoma non Hodgkin ha un’incidenza di 5 volte maggiore rispetto al linfoma di Hodgkin, e il 95% dei pazienti colpiti da questa malattia sono adulti. Sono state identificate almeno 30 forme diverse di questo tipo di tumore.

I linfomi possono nascere da tutti i tipi di linfociti (B, T e NK): i più comuni nel nostro Paese sono i linfomi di derivazione dai linfociti B. Le cause di questo tipo di tumore non sono ancora del tutto chiare. Si sa che alla base vi è un’anormale produzione di linfociti. In condizioni non patologiche, questi seguono un normale ciclo di vita: i più vecchi muoiono mentre l’organismo ne produce di nuovi per sostituirli. Nel linfoma non Hodgkin, invece, i vecchi linfociti non muoiono, ma continuano ad aumentare e ad accumularsi all’interno dei linfonodi o di altri tessuti, che si ingrossano o si alterano nella loro struttura.

Quali sono i fattori di rischio per il linfoma non Hodgkin?

La causa precisa di questo tipo di linfoma non è ancora conosciuta, ma alcuni fattori che possono aumentare il rischio di ammalarsi sono:

  • condizioni di immunodepressione (ad esempio in seguito a un trapianto d’organo o a infezione da HIV).
  • alcune infezioni virali, tra cui HIV, epatite C e virus di Epstein-Barr (responsabile della mononucleosi infettiva).
  • agenti chimici presenti ad esempio negli insetticidi.
  • età (soprattutto dopo i 60 anni).

Come si può prevenire il linfoma non hodgkin?

Trattandosi di una malattia rara, non è purtroppo noto alcun modo per prevenire l’insorgenza del linfoma non Hodgkin, se non evitando l’esposizione ai fattori di rischio comuni a tutti i tipi di cancro.

Per approfondire:

Diagnosi

Adulti e bambini con sospetta diagnosi di linfoma non Hodgkin vengono innanzitutto sottoposti ad un accurato esame obiettivo: l’ingrossamento non dolente dei linfonodi di collo, ascelle o inguine è spesso l’unico segno di linfoma non Hodgkin agli stadi iniziali. Altri sintomi possono includere febbre, sudorazione notturna, spossatezza, perdita di peso, dolore o gonfiore addominale, prurito persistente e dolore toracico, tosse o difficoltà respiratoria, a seconda della sede di insorgenza della malattia.
Durante la visita il medico analizza dimensioni e consistenza di tutti i linfonodi, alterati e normali. Vengono quindi eseguite le analisi del sangue e delle urine per escludere un’infezione o un’altra malattia che possano essere la causa dell’ingrossamento dei linfonodi.
Il primo passo per la diagnosi di linfoma non Hodgkin è la biopsia, di parte o di tutto il linfonodo. Il tessuto prelevato viene analizzato dall’anatomopatologo, che oltre a porre la diagnosi di linfoma ne stabilisce il sottogruppo di appartenenza: in generale un linfoma può crescere lentamente (linfoma indolente o “a basso grado di malignità”) o rapidamente (linfoma aggressivo o “ad alto grado di malignità”).

Esiste poi il piccolo sottogruppo dei linfomi “acuti” o molto aggressivi, assimilabili per la loro velocità di crescita alle leucemie acute. Il linfoma non Hodgkin è classificato in circa 30 tipi diversi, sulla base di numerosi fattori, tra cui la derivazione del tumore dai linfociti B o dai linfociti T, le dimensioni e le modificazioni genetiche dei linfociti, le modalità di aggregazione delle cellule tumorali e il loro tasso di crescita.
Successivamente vengono prescritti radiografie, TAC, spesso PET e a volte RMN, allo scopo di valutare l’estensione della malattia ai vari organi e tessuti. A questi esami si aggiunge la biopsia osteomidollare, utile per determinare la presenza di cellule malate a livello del midollo osseo. Al termine di queste indagini al linfoma viene attribuito lo stadio: da I a IV in base al numero di sedi infiltrate, alla presenza di localizzazioni in organi non linfonodali, e il suffisso B o A alla presenza o meno di segni sistemici (febbre, sudorazione, calo ponderale).

Trattamenti

La scelta della terapia dipende dal tipo e dallo stadio del linfoma non-Hodgkin, dall’età del paziente e dal suo stato di salute generale.

Malattia in stadio iniziale (I-II)

Il paziente affetto da linfoma indolente in stadio iniziale (ossia con malattia localizzata da un lato del diaframma) viene generalmente sottoposto a radioterapia con l’applicazione di radiazioni in dosi adatte per distruggere le cellule neoplastiche. Il paziente affetto da linfoma aggressivo in stadio iniziale, invece, a meno di gravi comorbidità, viene sottoposto ad una breve chemioterapia (3 cicli) associata ad anticorpo monoclonale (rituximab) se la malattia è derivata dai linfociti B, e viene successivamente sottoposto a radioterapia di consolidamento sulla/e sede/i di malattia.

Malattia in stadio avanzato (III-IV)

Il paziente affetto da linfoma indolente in stadio avanzato non sempre necessita di un trattamento immediato: se la malattia non mostra segni clinici di rapida evoluzione, si può rimandarne l’inizio monitorando regolarmente il paziente. In caso contrario vengono effettuati da 6 a 8 cicli chemioterapia, sempre associata a rituximab se il linfoma è di derivazione B-linfocitaria. Il paziente affetto da linfoma aggressivo a uno stadio avanzato viene sottoposto a 6-8 cicli di chemioterapia (sempre associata a rituximab per i linfomi B) da iniziarsi in tempi piuttosto rapidi. Nella scelta della chemioterapia vengono utilizzate combinazioni di farmaci, somministrati tramite iniezione endovenosa, per distruggere le cellule tumorali che crescono rapidamente. Esistono anche farmaci da assumere per via orale, che tuttavia vengono oggi riservati a pazienti anziani o con altre patologie concomitanti che rendono troppo rischiosa la somministrazione della terapia endovenosa. I linfomi aggressivi possono insorgere anche primitivamente in sedi extranodali uniche, ad esempio il cervello, e in questo caso richiedere trattamenti chemioterapici dedicati e radioterapia aggiuntiva.

Radioimmunoterapia

Si tratta di farmaci che combinano un anticorpo monoclonale specifico per il linfoma (di derivazione B linfocitaria) con isotopi radioattivi. Questi composti si legano alle cellule tumorali, tramite l’anticorpo che le riconosce, e successivamente le distruggono attraverso la componente radioattiva. La radioimmunoterapia è generalmente ben tollerata, e gli effetti collaterali sono molto rari, tanto che in alcuni casi viene proposta a pazienti che non possono ricevere terapie aggressive, purché siano monitorati regolarmente per i valori dell’emocromo. In Italia è disponibile un solo tipo di radioimmunoconiugati (ibritumomab tiuxetano: combinazione di anticorpo anti-CD20 rituximab con ittrio90), la cui somministrazione è approvata per i linfomi indolenti follicolari in recidiva oppure in prima linea come consolidamento dopo chemioterapia.

Recidiva

Il trattamento standard della recidiva prevede, in pazienti fino a 65-70 anni di età e in buone condizioni, la chemioterapia ad alte dosi con il trapianto (o meglio il supporto) di cellule staminali autologhe, generalmente periferiche come descritto nella scheda “Linfoma di Hodgkin”. In caso di fallimento anche di questa procedura, viene preso in considerazione il trapianto allogenico di cellule staminali, da fratello/sorella compatibile oppure da donatore volontario.

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Linfoma di Hodgkin: sintomi, cure, prognosi e recidive

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma COSE UN TUMORE CANCRO Ano Riabilitazione Nutrizionista Medicina Estetica Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Linfodrenaggio Pene Vagina Glutei TestaIl linfoma di Hodgkin può colpire tutte queste parti del corpo e poi diffondersi ad altri organi. Nel linfoma di Hodgkin, le cellule del sistema linfatico (chiamate linfociti B) crescono in modo anormale e possono accumularsi sia nel sistema linfatico stesso che in altri organi. Con il progredire della malattia, viene compromessa la capacità dell’organismo di combattere le infezioni.

Quali sono i fattori di rischio per il linfoma di Hodgkin?

La causa precisa di questo tipo di linfoma non è ancora conosciuta, ma i principali fattori di rischio sono:

  • età: le fasce più a rischio sono principalmente tra i 20 e i 30 anni e tra i 50 e i 60 anni
  • storia familiare: fattori ambientali piuttosto che genetici sembrano essere chiamati in causa
  • sesso: sembra che gli uomini presentino un rischio di ammalarsi leggermente maggiore
  • virus di Epstein-Barr, responsabile della mononucleosi infettiva
  • condizioni di immunodepressione (ad esempio in seguito a un trapianto d’organo o in caso di infezione da HIV)
  • fattori geografici: il linfoma Hodgkin è maggiormente diffuso nel Nord Europa, negli Stati Uniti e in Canada e meno presente nei Paesi asiatici
  • livello socio-economico: questo linfoma è più comune fra le persone che hanno un tenore di vita elevato.

Esiste un modo di prevenire il linfoma di Hodgkin?

Trattandosi di una malattia rara, non è purtroppo noto alcun modo di prevenire l’insorgenza del linfoma di Hodgkin, se non evitando l’esposizione ai fattori di rischio comuni a tutti i tipi di cancro.

Per approfondire:

Diagnosi

Il linfoma di Hodgkin può essere difficile da diagnosticare poiché è caratterizzato da sintomi simili a quelli di altre malattie molto frequenti, ad esempio l’influenza. Le persone affette da linfoma di Hodgkin sono spesso asintomatiche. Talvolta è una radiografia del torace eseguita per altri motivi a rivelare un’anomalia che porta alla diagnosi di linfoma di Hodgkin.

Il linfoma di Hodgkin ha tuttavia alcune caratteristiche cliniche peculiari, tra cui la diffusione “ordinata” a stazioni linfonodali limitrofe, cioè, come si dice comunemente, è un linfoma che “non salta le stazioni linfonodali”. Ad esempio è tipico il coinvolgimento dei linfonodi sovra diaframmatici del collo, delle ascelle e del torace, ma molto raramente si verifica coinvolgimento linfonodale al collo e all’addome “saltando” il torace.

Un paziente con linfoma di Hodgkin può riferire febbre, sudorazione notturna, spossatezza, perdita di peso, dolore o gonfiore addominale, prurito persistente e dolore toracico, tosse o difficoltà respiratoria, a seconda della sede di insorgenza della malattia.

In caso di sospetto linfoma di Hodgkin, tramite biopsia vengono prelevati un linfonodo intero oppure un campione di tessuto da un linfonodo patologico. L’anatomopatologo esamina il tessuto per verificare la presenza di modifiche nella struttura del linfonodo normale e per identificare l’eventuale presenza delle cellule caratteristiche del linfoma di Hodgkin, chiamate cellule di Reed-Sternberg.

In caso di linfoma di Hodgkin il linfonodo malato contiene solo una piccola quantità di cellule neoplastiche, e una maggior quantità di infiltrato infiammatorio e di fibrosi circostante. Il paziente viene inoltre sottoposto a esami del sangue e a biopsia osteomidollare, oltre che a radiografie e a PET, TAC o RMN allo scopo di sondare la diffusione del tumore.

Al termine di queste indagini al linfoma viene attribuito lo stadio: da I a IV in base al numero di sedi infiltrate e alla presenza di localizzazioni in organi non linfonodali, associato al suffisso A o B in base alla presenza o meno di segni sistemici (febbre, sudorazione, calo ponderale). In base allo stadio viene stabilito l’approccio terapeutico.

Trattamenti

Le opzioni terapeutiche per il linfoma di Hodgkin dipendono principalmente dallo stadio della malattia al momento della diagnosi. Altrettanto importanti sono il numero e le stazioni di linfonodi intaccati e il coinvolgimento di uno o di entrambi i lati del diaframma. Altri fattori comprendono l’età del paziente, i sintomi e lo stato di salute generale. La maggior parte delle persone trattate per linfoma di Hodgkin vanno incontro ad una remissione completa della malattia. I protocolli di ricerca clinica possono rappresentare un’opzione nei casi in cui le terapie standard si dimostrano inefficaci.

Malattia in stadio iniziale (I-II)

Il paziente con linfoma di Hodgkin circoscritto a una o più aree dallo stesso lato del diaframma, viene sottoposto a una chemioterapia di breve durata (da 2 a 4 cicli) e successivamente a radioterapia con irradiazione dei linfonodi colpiti dalla malattia all’esordio. La radioterapia può in casi molto selezionati essere utilizzata da sola nei casi in cui il paziente presenti delle controindicazioni assolute alla chemioterapia. La radioterapia può aumentare il rischio di altre forme di tumori, ad esempio del seno o del polmone. Per le adolescenti e le donne sotto i 30 anni di età, questo rischio è considerato troppo elevato: anche per questo motivo oggi la radioterapia viene somministrata a basse dosi.

Malattia in stadio avanzato (III-IV)

Il paziente con malattia estesa ad altri distretti linfonodali o ad altri organi è trattato con la chemioterapia, utilizzata anche in caso di recidiva dopo la radioterapia. Dopo la chemioterapia, generalmente 6 cicli, il paziente che all’esordio aveva localizzazioni di malattia di grosse dimensioni (>10 cm) riceve su quelle sedi un ciclo di radioterapia. Negli ultimi anni si è visto che il risultato della PET dopo i primi due cicli di trattamento è particolarmente importante nel predire la prognosi del paziente e l’eventuale rischio di recidiva.

Protocolli di ricerca clinica

La terapia standard di prima linea o di salvataggio è inefficace nel 15% circa dei pazienti affetti da linfoma di Hodgkin. Per questi pazienti in alcuni centri medici esiste l’opzione di partecipare a un protocollo di ricerca clinica che prevede l’utilizzo controllato di nuove terapie non ancora approvate ufficialmente. I protocolli di ricerca clinica hanno lo scopo di determinare la sicurezza e l’efficacia di una terapia: possono non rappresentare una cura, ma prolungare la vita o migliorarne la qualità. Tali protocolli possono prevedere l’utilizzo di nuove molecole di diversa origine, come chemioterapici o terapie biologiche, la cui azione è mirata al meccanismo di proliferazione cellulare tipico di un preciso tipo di neoplasia (farmaci “intelligenti”). Per avere maggiori informazioni e capire quali protocolli possono essere adatti al proprio caso, è opportuno che il paziente si rivolga al proprio emato-oncologo di fiducia.

Recidiva

In caso di linfoma di Hodgkin recidivante dopo la chemioterapia iniziale, viene proposta al paziente l’opzione della chemioterapia in dosi elevate con trapianto di cellule staminali. Poiché dosi elevate di chemioterapia distruggono il midollo osseo, prima si procede al prelievo e al congelamento di cellule staminali emopoietiche dal sangue periferico del paziente stesso. Una volta completata la chemioterapia, le cellule vengono reinfuse al paziente. In caso di fallimento anche di questa procedura, viene preso in considerazione il trapianto allogenico di cellule staminali, da fratello/sorella compatibile oppure da donatore volontario.

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Cos’è un linfoma e quali tipi di linfomi esistono?

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma 10 COSE LINFOMA QUALI TIPI LINFOMI Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgIl linfoma è una malattia del sistema linfatico, cioè dell’insieme di tessuti che hanno la funzione di difendere l’organismo dagli agenti esterni e dalle malattie. Questo sistema comprende i linfonodi, la milza, il timo, il midollo osseo e altre piccole aree dell’organismo. I linfomi fanno parte del più ampio gruppo di neoplasie dei tessuti linfoidi (linfociti T e B e loro precursori). A livello mondiale si stima che attualmente vi siano circa 600.000 linfomi all’anno con circa 300.000 decessi. I linfomi costituiscono il 4% di tutti i tumori e ciò li rende la settima forma più comune tra gli adulti, nei bambini sono il terzo tumore più comune.

Per approfondire:

Sintomi e segni
I sintomi possono includere, tra gli altri:

  • ingrossamento dei linfonodi generalmente non dolorosi;
  • febbre al di sopra di 38°;
  • sudorazione, specie di notte;
  • prurito;
  • perdita di peso inspiegabile di più del 10% del peso corporeo negli ultimi 6 mesi;
  • astenia (sensazione di stanchezza).

Classificazione dei linfomi
Vi sono due tipi principali di linfomi: linfoma di Hodgkin (HL) e linfoma non Hodgkin (NHL). I linfomi non Hodgkin costituiscono circa il 90% dei casi e comprendono un gran numero di sotto-tipi. Un’altra semplice distinzione, in base alla clinica, si fa tra:

  • Linfomi indolenti: che esordiscono senza un deperimento delle condizioni generali ed hanno una storia naturale di lunga sopravvivenza (anni) senza trattamento. Di questi fanno parte, in maggioranza, i linfomi a derivazione B, e solo un linfoma T. Grossolanamente, questi linfomi sono guaribili con fatica.
  • Linfomi aggressivi: esordiscono con un rapido deperimento delle condizioni di salute e portano all’exitus in poche settimane se non trattati. Tuttavia, al contrario degli indolenti, hanno generalmente più possibilità terapeutiche. Quasi tutti i linfomi T sono aggressivi, mentre di meno sono i B aggressivi.

Cause e fattori di rischio
La causa precisa di questi tumori non è ancora conosciuta con certezza, tuttavia sono noti alcuni fattori di rischio. I fattori di rischio per l’HL comprendono le infezioni da virus di Epstein-Barr e le condizioni di immunodepressione (ad esempio in seguito a un trapianto d’organo o in caso di infezione da HIV).
I fattori di rischio per la NHL invece includono: malattie autoimmuni, l’AIDS, l’infezione da virus T-linfotropico dell’uomo, assumere ingenti quantità di carne e grasso, così come l’uso massiccio di farmaci immunosoppressori e l’esposizione ad alcuni pesticidi.

Diagnosi
La diagnosi viene fatta attraverso l’analisi del sangue, delle urine o del midollo osseo. Una biopsia di un linfonodo può rivelarsi utile. Indagini di imaging biomedico possono essere fatte per determinare se e dove il tumore si è diffuso, questa diffusione può verificarsi in molti altri organi, tra cui: polmoni, fegato e cervello.

Terapie e prognosi
Il trattamento può comportare una combinazione di chemioterapia, radioterapia, terapia mirata e chirurgia. Nel caso di non Hodgkin il sangue può diventare così denso di proteine che una plasmaferesi può rendersi necessaria. La scelta della terapia dipende molto dal tipo e dallo stadio del linfoma, dall’età del paziente e dal suo stato di salute generale. Il tasso di sopravvivenza complessivo a cinque anni, negli Stati Uniti, per gli Hodgkin è dell’85% mentre i non Hodgkin è del 69%.

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