Chirurgia non cardiaca nel paziente con patologia cardiovascolare
La chirurgia non cardiaca in pazienti con malattia cardiovascolare nota può essere associata a un rischio aumentato di morte o di complicanze cardiache, quali infarto del miocardio, scompenso cardiaco congestizio e aritmie. Per determinare il rischio di un paziente per la procedura, il medico a cui è stato chiesto il parere deve avere una conoscenza del tipo e della gravità della cardiopatia del paziente, dei suoi fattori di rischio di patologie concomitanti e del tipo e dell’urgenza dell’intervento. In genere, la valutazione e la gestione preoperatorie dei pazienti affetti da malattia cardiovascolare sono simili a quelle di coloro che non subiranno un intervento chi-
rurgico, con ulteriori esami invasivi e non invasivi destinati a quei pazienti a rischio in cui i risultati potrebbero modificare il trattamento o l’esito.
Di solito, la stima del rischio perioperatorio di un paziente può essere determinata mediante un’attenta valutazione clinica, comprendente la raccolta dell’anamnesi, l’esecuzione dell’ esame obiettivo e l’elettrocardiogramma. I pazienti a rischio più alto di un evento cardiaco perioperatorio sono quelli con un infarto del miocardio recente (definito come più di 7 giorni ma meno di l mese prima), angina severa o instabile, insufficienza cardiaca scompensata, aritmie significative o malattia valvolare severa (vedi la seguente tabella).
Fattori clinici predittivi di aumentato rischio cardiovascolare nel perioperatorio:
- Maggiori
- Sindromi coronariche instabili
- Infarto del miocardio recente (per esempio > 1 settimana e < l mese)
- Angina severa o instabile (Classe III o IV della Canadian Cardiovascular Society)
- Insufficienza cardiaca scompensata
- Aritmie significative
- Blocco atrioventricolare di grado elevato
- Aritmie ventricolari sintomatiche
- Aritmie sopraventricolari con risposta ventricolare non controllata
- Valvulopatia severa
- Intermedi
- Angina lieve (Classe I o II della Canadian Cardiovascular Society)
- Infarto del miocardio pregresso
- Insufficienza cardiaca congestizia pregressa o compensata
- Diabete mellito
- Minori
- Età avanzata
- Elettrocardiogramma anormale (per esempio ipertrofia ventricolare sinistra, blocco di branca sinistro)
- Ritmo diverso da quello sinusale
- Capacità polmonare ridotta (cioè, non riesce a salire una rampa di scale con una borsa della spesa)
- Storia di ictus
- Ipertensione sistemica non controllata.
I fattori predittivi di rischio cardiaco medio o moderato comprendono una storia di angina stabile, insufficienza cardiaca compensata, infarto miocardico pregresso o diabete mellito. L’età avanzata, un elettrocardiogramma anormale, una bassa capacità funzionale e un’ipertensione non adeguatamente
controllata sono associati a malattia cardiovascolare ma non sono fattori predittivi indipendenti di un evento cardiaco perioperatorio.
I rischi associati al tipo di procedura chirurgica sono massimi nei pazienti che subiscono procedure di urgenza maggiori, specialmente quando vengono eseguite nella popolazione anziana.
Stratificazione del rischio cardiaco per procedure chirurgiche non cardiache:
- Elevato (rischio cardiaco riferito >5%)
- Operazioni maggiori in urgenza, in particolare nella popolazione anziana
- Chirurgia vascolare maggiore, riparazione di aneurisma aortico
- Chirurgia vascolare periferica
- Procedure prolungate associate a variazioni ampie della volemia o a perdite ematiche, o ad entrambe
- Intermedio (rischio cardiaco riferito <5%)
- Endoarteriectomia carotidea
- Testa e collo
- Intraperitoneale e intratoracico
- Ortopedico
- Prostata
- Basso (rischio cardiaco riferito <1%)
- Procedure endoscopiche
- Chirurgia della cataratta
- Biopsia mammaria
Le complicanze cardiache sono anche frequenti dopo chirurgia vascolare, poiché la prevalenza della malattia coronarica sotto stante è alta in questa popolazione di pazienti. Inoltre, qualsiasi intervento
chirurgico associato a grandi modificazioni della volemia o a perdite ematiche abbondanti può aumentare la domanda di un cuore già patologico. Le procedure associate con il rischio minore nel paziente affetto da cardiopatia sono l’intervento di cataratta e l’endoscopia.
Dopo aver completato l’esame clinico e stabilito il tipo di intervento, si può determinare la necessità di ulteriori esami e trattamenti. Se viene presa in considerazione la chirurgia d’urgenza si può fare ben poco per la valutazione cardiaca, e le raccomandazioni possono essere dirette alla gestione e al monitoraggio medico nel perioperatorio. Se la chirurgia non è urgente, gli esami ulteriori si basano sulle stime cliniche del rischio e sul tipo di chirurgia. I pazienti con fattori di rischio significativi per complicanze cardiache devono posticipare la chirurgia finché la condizione cardiaca non si sia stabilizzata con un adeguato trattamento. I pazienti con fattori predittivi intermedi di rischio cardiaco che sono in attesa di subire una chirurgia ad alto rischio devono essere sottoposti a esami non invasivi quali il test da sforzo o farmaco logico o l’ecocardio grafia. I risultati di questi esami aiuteranno a determinare la futura gestione, che potrebbe comprendere il cateterismo cardiaco o l’intensificazione della terapia medica. Quei pazienti che sono in attesa di una chirurgia di rischio basso o medio, specialmente se il paziente ha una buona capacità di esercizio, devono arrivare all’intervento con una gestione medica e un monito raggio postoperatorio adeguati. La chirurgia non cardiaca è solitamente sicura nei pazienti con fattori di rischio clinici per complicanze cardiache minori o assenti, sebbene alcuni pazienti con una capacità funzionale limitata in attesa di interventi ad alto rischio possano beneficiare di un ulteriore esame cardiaco.
Infarto miocardico post-operatorio
Il 70% circa degli infarti del miocardio nel postoperatorio si verifica entro i primi 6 giorni, e l’incidenza di picco è tra le 24 e le 72 ore. È stata riferita una mortalità associata a chirurgia non cardiaca tra il 30% e il 40%, in special modo se associata a scompenso cardiaco congestizio o aritmie significative. Molteplici fattori di stress associati all’intervento chirurgico possono provocare l’ischemia. La tachicardia fisiologica, l’ipertensione secondaria ad alterazioni della volemia, anemia, infezioni e lo stress indotto dal processo di guarigione della ferita chirurgica aumentano il fabbisogno di ossigeno del miocardio e possono provocare ischemia. Inoltre, una aumentata reazione dell’attività piastrinica durante
il periodo postoperatorio può far aumentare il rischio di trombosi coronarica e successivo infarto.
Malgrado l’alta mortalità associata a infarto del miocardio perioperatorio, pochi studi hanno esaminato gli effetti della terapia anti-ischemica sulla prevenzione di questa complicanza. Diversi trial su piccola scala e non controllati hanno suggerito che i beta-bloccanti possano ridurre l’ischemia intraoperatoria. Ultimamente, la somministrazione di atenololo prima e dopo l’intervento chirurgico è stata associata
a una diminuzione dell’infarto del miocardio e della morte cardiaca, in special modo durante i primi 6-12 mesi dalla chirurgia. Sebbene i dati a disposizione siano limitati, l’impiego di un beta-bloccante deve essere preso in considerazione in tutti i pazienti con coronaropatia conosciuta o sospettata, a meno che non vi sia una controindicazione specifica al suo utilizzo. I dati a disposizione sull’utilità dei calcio-antagonisti e dei nitrati sono ancora più limitati, ma questo approccio può essere appropriato per il trattamento della coronaropatia sintomatica negli individui che non sono candidati alla rivascolarizzazione. L’angiografia coronarica e la rivascolarizza zio ne devono essere riservate ai soggetti nei quali questo trattamento determinerebbe un miglioramento significativo dei sintomi o della sopravvivenza a lungo termine. In casi rari, la rivascolarizzazione può essere indicata nei pazienti ad alto rischio che devono subire un intervento maggiore di chirurgia non cardiaca.
Tutti i pazienti con cardiopatia nota o sospetta devono sottoporsi a elettrocardiogrammi di routine per i primi 3 giorni dopo la chirurgia al fine di monitorare l’ischemia. Quando l’elettrocardiogramma non è diagnostico, la misurazione dei livelli di troponina può essere utile per documentare un evento ischemico. In questo quadro il trattamento dell’infarto miocardico è simile a quello per il paziente non
chirurgico, sebbene l’utilizzo di anticoagulanti e di agenti trombolitici possa essere controindicato nel
periodo postoperatorio immediato. Si deve porre particolare attenzione nel correggere anomalie che possono provocare ulteriore ischemia (per esempio ipossia ed anemia).
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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