Morbo di Basedow: alimentazione, cura, occhi, si guarisce, rimedi

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Rimozione chirurgica di una tiroide aumentata di volume (gozzo)

Il morbo di Basedow, anche conosciuto come malattia di Basedow-Graves, morbo di Basedow-Graves, malattia di Continua a leggere

Che significa malattia autoimmune? Spiegazione, esempi, sintomi, cure

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La struttura di un anticorpo

Le patologie autoimmuni sistemiche (o “patologie autoimmunitarie”) sono un gruppo di patologie capaci di interessare individui di qualsiasi età – con predilezione tuttavia per il sesso femminile – caratterizzate da sviluppo di infiammazione persistente a livello di più organi, con diversa associazione e diverso livello di danni ai tessuti di questi organi, causata da alterazione del sistema immunitario che “attacca” in modo anomala i tessuti propri dell’organismo. Nel caso la risposta alterata immunitaria riguardi un singolo organo si parla di “autoimmunità organo-specifica” (tra queste ricordiamo ad esempio il diabete giovanile insulino-privo, le tiroiditi autoimmuni, la miastenia gravis, epatiti autoimmuni, enteriti autoimmuni quali la malattia di Crohn e la colite ulcerativa).

Cause delle patologie autoimmunitarie

Alla base di una patologia autoimmune vi è lo sviluppo di una anomala attività del sistema immunitario che diventa “erroneamente” capace di attivare risposte infiammatorie di diverso grado a livello dei tessuti di uno o più organi del proprio corpo (autoimmunità). I motivi dello sviluppo di alterazione del sistema immunitario, non sono attualmente del tutto ben definiti. Il sistema immunitario di questi soggetti perde la cosiddetta “tolleranza”, ovvero la capacità di discriminare il “proprio” dal “non proprio”; viene a crearsi una anomala reattività che in questi casi non è solo rivolta (come nel soggetto sano) verso agenti estranei (virus, batteri…), ma purtroppo anche rivolta verso componenti dei tessuti di quello stesso organismo. A tale proposito leggi anche: Differenza tra anticorpo ed autoanticorpo

Sintomi e segni di malattia autoimmune

Ogni malattia autoimmune può avere sintomi e segni più o meno specifici del distretto interessato. Nel corso di una malattia autoimmune si inseriscono, imprevedibilmente, fasi di maggior acuzie che si associano a sintomi “generali” (malessere generalizzato, febbre, stanchezza, inappetenza) responsabili, talora, di condizioni anche gravi, tali da richiedere urgenti ricoveri ospedalieri. L’interessamento articolare e muscolare (tumefazioni e dolori articolari, rigidità, dolori muscolari) rappresenta uno dei sintomi più frequenti e spesso di esordio di tali malattie. Nel caso gli organi interessati siano diversi si va incontro a problematiche aventi i sintomi ed i segni di un danno a livello generale, associato a disturbi in sede di uno o più organi, in maniera diversamente associata e con diversi gradi di severità clinica (ad esempio lesioni articolari artritiche, ulcere o alterazioni circolatorie cutanee, ulcere ed arrossamenti delle mucose, polmoniti, pleuriti, difficoltà respiratorie croniche, trombosi venose od arteriose, alterazioni della funzione renale, disturbi nervosi periferici, cefalee o danni neurologici centrali e persino, aspetti di alterazione psichiatrica con turbe dell’ideazione o dell’umore). In alcune di queste dominano degli aspetti molto particolari, legati ad una maggior selettività di danno d’organo (ad esempio lo stato di particolare ridotta secrezione lacrimale e salivare nella sindrome di Sjögren o lo spiccato danno cutaneo e muscolare nella Dermato-Polimiosite).

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Diagnosi

La presenza di un anomalo funzionamento del sistema immunitario viene svelata da indagini di laboratorio specifiche eseguibili a livello del sangue o a livello dei tessuti (da biopsie, ad esempio, di cute o di rene) ed è una corretta valutazione dei sintomi del paziente e del suo stato clinico che deve usualmente portare al corretto impiego di tali analisi; a tal proposito leggi anche:

Le patologie autoimmunitarie più diffuse

Tra le patologie reumatiche infiammatorie autoimmuni, la più frequente condizione è rappresentata dall’Artrite Reumatoide, con una presenza media (prevalenza) nell’ambito della popolazione di circa 1%. Di minore incidenza invece sono altre “connettiviti”, tra le quali sono ricordare il Lupus Eritematoso Sistemico, la Sindrome di Sjogren, la Sclerosi Sistemica Progressiva (Sclerodermia), la (Dermato)Polimiosite, la Connettivite Mista, la Sindrome da Anticorpi anti-Fosfolipidi e diverse altre forme di malattie infiammatorie dei vasi arteriosi e venosi che vanno sotto il nome di “Vasculiti”. In diversi casi, soprattutto all’esordio dei disturbi, i sintomi e i dati di laboratorio non sono così dirimenti da poter far inquadrare la malattia in una delle predette patologie, per cui si parla in questi casi di Connettivite Indifferenziata.

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Team di diversi medici

Gran parte di queste patologie non hanno, fortunatamente, andamento grave, ma è compito del medico valutare il paziente nel tempo, istruirlo nella sorveglianza dei sintomi, guidarlo nel corretto e tempestivo uso dei farmaci che hanno il compito di deprimere, in modo talora anche rischioso, se necessario, il livello di risposta immunitaria. Va ricordato, poi, che la collaborazione di diversi specialisti è comunque d’obbligo nella gestione del paziente con malattia autoimmune sistemica. Talune di tali situazioni possono esordire con alterazioni anche a livello delle cellule ematiche, con aspetti di anemia o riduzione evidente dei valori di globuli bianchi o piastrine circolanti.

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Trattamento

Il trattamento di una malattia autoimmunitaria prevede la somministrazione di farmaci che sopprimono il sistema immunitario (inclusi i corticosteroidi) e – in alcuni casi – plasmaferesi e somministrazione di immunoglobuline per via endovenosa

Farmaci

Per molte malattie autoimmuni possono essere usati farmaci immunosoppressori (cioè che sopprimono il sistema immunitario) per via orale come azatioprina, clorambucile, ciclofosfamide, ciclosporina, micofenolato e metotressato. Questi farmaci sopprimono non solo la reazione autoimmune, ma anche la capacità dell’organismo di difendersi dalle sostanze estranee, come virus e batteri, quindi aumentano il rischio di determinate infezioni ed anche di alcuni tipi di tumore. Si somministrano corticosteroidi, come il prednisone, che però induce cronicamente alcuni importanti effetti collaterali, quindi si tende a somministrarli solo per un periodo limitato, all’inizio della malattia o se i sintomi e segni peggiorano. Altri farmaci possono essere usati, come etanercept, infliximab e adalimumab bloccano l’azione del fattore di necrosi tumorale (TNF): questi farmaci sono efficaci nel trattare l’artrite reumatoide e alcune altre malattie autoimmuni, ma possono anche aumentare il rischio di infezione e di alcuni tipi di tumori della pelle. Alcuni farmaci sono specificamente diretti contro i globuli bianchi, tra cui abatacept e rituximab.

Plasmaferesi e immunoglobuline per via endovenosa

Per alcune malattie autoimmuni, si utilizza la plasmaferesi: il sangue viene prelevato e filtrato per eliminare gli autoanticorpi, successivamente il sangue filtrato viene reimmesso nel paziente. In alcuni casi si usano immunoglobuline ottenute da persone sane, per via endovenosa.

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Prognosi

La prognosi varia in base alla patologia specifica, tuttavia nella maggioranza dei casi le malattie autoimmuni sono croniche e non si risolvono mai, permanendo per tutta la vita e necessitando di trattamento farmacologico senza interruzioni. Alcune malattie autoimmuni si risolvono in modo incomprensibile, così come iniziano.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Differenza tra antigene, aptene allergene ed epitopo

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La struttura di un anticorpo

Un allergene è una sostanza solitamente innocua per la maggior parte delle persone, ma che in taluni individui (i soggetti atopici) è in grado di produrre manifestazioni allergiche di varia natura (asma, orticaria, etc.).

Un aptene è una molecola a basso peso molecolare che di per sé non induce una risposta anticorpale, cioè non ha proprietà immunogeniche, ma se legata ad un carrier è in grado di stimolare la formazione di anticorpi specifici e di reagire con essi.

Un epitopo è quella piccola parte di antigene che lega l’anticorpo specifico. La singola molecola di antigene può contenere diversi epitopi riconosciuti da anticorpi differenti.

Un antigene è qualsiasi molecola in grado di legarsi a specifici componenti del sistema immunitario, quali anticorpi o cellule immunocompetenti, comprendendo sia sostanze esogene che endogene (come nel caso di patologia autoimmuni). Più precisamente qualunque sostanza in grado di suscitare una risposta immune viene definita immunogenica e viene chiamata IMMUNOGENO. Un antigene viene chiamato APTENE (molecola a basso peso molecolare, di norma inferiore a 4 kD) quando riesce a stimolare la produzione di anticorpi solo  se si lega ad una  molecola (detta CARRIER) che lo rende in tal modo immunogeno.

Quindi IMMUNOGENICITA’ significa che quella sostanza è in grado di indurre una risposta immunitaria; ANTIGENICITA’ significa che quella sostanza è in grado di reagire con componenti del sistema immunitario.

EPITOPO o DETERMINANTE ANTIGENICO: come già prima accennato rappresenta una porzione di un antigene che entra in contatto con il sito di legame di un Anticorpo o con il recettore per l’Antigene delle cellule T (lo vedremo più avanti), pertanto è la parte più importante dell’antigene, ijn quano capace di indurre la risposta immunitaria.

Un antigene in genere possiede più di un epitopo, pertanto la risposta indotta viene detta POLICLONALE in quanto attiverà più cloni cellulari (linfociti).

Vi sono tuttavia alcune molecole antigeniche che possiedono uno o pochi epitopi immunodominanti e quindi in grado di indurre una risposta monoclonale (se attivato un solo clone) od oligoclonale(quando sono attivasti pochi cloni).

Pertanto in una molecola antigenica possiamo avere una maggiore o minore attivazione preferenziale di alcuni cloni rispetto ad altri e questa viene detta IMMUNODOMINANZA DEGLI EPITOPI.

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FATTORI CHE INFLUENZANO L’IMMUNOGENICITA’

Normalmente il sistema immunitario discrimina tra ciò che è suo (self) e ciò che non è suo (non-self): pertanto sono immunogeniche le molecole ESTRANEE al self.

In generale più grande è la molecola, più evidenzia di essere immunogena, anche se nella realtà non esiste una grandezza oltre la quale una sostanza diviene immunogena.

La natura chimica dell’immunogeno è importante.

Le PROTEINE rappresentano di gran lunga la maggioranza degli immunogeni. Possono essere proteine pure, oppure glicoproteine o lipoproteine. Nelle proteine si deve tener conto della loro struttura, assai importante come vedremo successivamente parlando degli epitopi.

Le proteine sono polimeri i cui monomeri sono costituiti dai 20 diversi tipi di amminoacidi presenti in natura. Gli amminoacidi sono composti che contengono nella loro molecola sia il gruppo carbossilico –COOH sia il gruppo amminico –NH2 , basico. Entrambi questi gruppi funzionali sono legati a un carbonio, chiamato carbonio-α. A questo carbonio, sono legati, inoltre, un atomo di idrogeno e un gruppo denominato genericamente R che, essendo diverso nei 20 amminoacidi, ci consente di differenziarli. Durante la sintesi delle proteine, un amminoacido lega il suo gruppo carbossilico con quello amminico di un altro amminoacido, formando il legame peptidico con eliminazione di acqua come si può vedere in figura.

Nonostante gli amminoacidi siano solo 20, la varietà di proteine è elevatissima, in quanto gli amminoacidi si combinano tra loro in sequenze e quantità diverse.  Le proteine rappresentano una classe di composti assai versatile e di grande interesse biologico: concorrono a formare l’impalcatura del corpo:  ad es. il collagene è il principale componente fibroso delle ossa, dei tendini, della pelle, delle cartilagini, dei denti; i capelli e le unghie sono costituiti da α-cheratina; svolgono funzione catalitica: gli enzimi, infatti, indispensabili catalizzatori biologici sono costituiti da proteine; agiscono come mezzo di trasporto di altre molecole: nel sangue, ad esempio, l’ossigeno viene trasportato dall’emoglobina; provocano il movimento: ad esempio la contrazione muscolare è resa possibile da due proteine ovvero dall’actina e dalla miosina; hanno funzioni protettive: gli anticorpi, come le immunoglobuline che sono i più importanti mezzi di difesa dell’organismo sono costituiti da proteine; fanno parte del sistema endocrino: vari ormoni, tra cui l’insulina sono costituiti da proteine; rappresentano un sistema di controllo del pH del sangue perché limitano le eccessive variazioni di ioni H+ dovute al metabolismo cellulare, ecc.

Le proteine esplicano le loro specifiche funzioni grazie alla loro forma che dipende dalla successione di amminoacidi, dai ripiegamenti della catena proteica e dalla sua organizzazione nello spazio.

Possiamo pertanto individuare successivi livelli di organizzazione denominati: struttura primaria, secondaria, terziaria e quaternaria.

La pura e semplice successione degli amminoacidi costituisce la struttura primaria della proteina. La struttura primaria, cioè tipo e sequenza degli aminoacidi, condiziona la configurazione spaziale e la forma globale della molecola, dalle quali dipendono le proprietà biologiche.

L’avvolgimento a spirale, o la disposizione regolare di tratti più o meno lunghi della catena proteica costituiscono la struttura secondaria della proteina. Questo livello di organizzazione è una conseguenza dei legami a idrogeno tra gli amminoacidi appartenenti a una stessa catena, o tra gli amminoacidi di catene diverse. Due tipi di struttura secondaria delle proteine sono l’α-elica e il β-foglietto.

Nella struttura ad α-elica la proteina è avvolta a spirale: tra l’atomo di idrogeno legato all’azoto di ogni legame peptidico e l’ossigeno del gruppo –C=O del legame peptidico sovrastante ( che si trova a distanza di quattro amminoacidi lungo la catena) si instaura un legame a idrogeno. L’effetto stabilizzante dei molti legami a idrogeno che sono presenti nella proteina è la causa principale dell’esistenza di tale tipo di struttura. Tuttavia se gli amminoacidi che si succedono lungo un tratto di catena proteica hanno gruppi R voluminosi, come avviene nella prolina, o gruppi R dotati della stessa carica elettrica, come avviene negli amminoacidi lisina e arginina, l’α-elica non può formarsi, a causa delle forze di repulsione che si generano tra i gruppi R.

Nella struttura  β-foglietto si ha una disposizione di catene proteiche l’una accanto all’altra. Ciascuna delle catene è totalmente estesa e presenta una conformazione a zig-zag, dovuta alla geometria dei legami attorno a ciascun atomo di carbonio e di azoto nella catena. In questo caso, i legami a idrogeno si formano tra gli amminoacidi di due catene adiacenti. Le proteine dotate di questa struttura non possono essere allungate ulteriormente, senza che si rompano i legami covalenti della loro catena. Esistono proteine la cui molecola ha una forma globulare che è il risultato di ulteriori ripiegamenti della catena proteica, compresi tratti di catena che già possiedono una loro struttura secondaria. Questo terzo livello di organizzazione è la struttura terziaria della proteina.

La struttura terziaria di una proteina è la conseguenza di interazioni attrattive tra i gruppi R di amminoacidi anche molto distanti tra loro nella sequenza della struttura primaria della proteina. A stabilizzare la struttura terziaria della proteina possono concorrere quattro tipi di forze:

  1. Interazioni idrofobe o idrofile: nell’ambiente acquoso della cellula, i gruppi R non polari, idrofobi, della molecola proteica tendono a raggrupparsi all’interno della proteina, in modo da ridurre al minimo i contatti con le molecole d’acqua che la circondano. Invece, i gruppi polari, idrofili, tendono a disporsi verso l’esterno della proteina a contatto con l’acqua.
  2. Attrazioni ioniche: si instaurano in genere tra due gruppi, come –NH3+ e –COO-, l’uno carico positivamente e l’altro negativamente, dei gruppi R di due diversi amminoacidi.
  3. Legami idrogeno: derivano dall’attrazione tra gruppi R o si instaurano tra gruppi peptidici come nel caso delle strutture α e β.
  4. Ponti disolfuro: si formano tra gruppi –SH di due molecole dell’amminoacido cisteina; in seguito a una reazione di ossidazione, i due gruppi –SH perdono i rispettivi atomi di idrogeno e si legano tra loro mediante un legame covalente –S-S-  come si può vedere in figura:

Alcune proteine sono formate da più di una catena di amminoacidi. Le catene possono essere uguali fra loro, o anche diverse. La disposizione reciproca delle varie catene che compongono una proteina di questo tipo costituisce la struttura quaternaria della proteina.  Le interazioni possono essere legami deboli  come legami idrogeno  e forze di Van der Waals, oppure forti ossia ionico  o covalente. Ad esempio una proteina con struttura quaternaria è l’emoglobina: essa è costituita da quattro catene proteiche, a due a due uguali, denotate rispettivamente dalle lettere α e β come si può vedere in figura :

Ognuna di queste catene contiene un gruppo eme, cioè una struttura ciclica, chiamata anello porfirinico, con al centro uno ione Fe2+; a questo ione si lega una molecola di ossigeno, che viene trasportata dai polmoni alle cellule del corpo.

  • Anche i polisaccaridi puri e i lipopolisaccaridi sono buoni immunogeni.
  • Gli acidi nucleici di solito sono poco immunogeni. Lo possono diventare quando si complessano con proteine.
  • I lipidi in generale non sono immunogeni, ma possono essere apteni.
  • Gli antigeni particolati in genere sono più immunogenici di quelli solubili e gli antigeni denaturatisono più immunogenici di quelli  in forma nativa.
  • Gli antigeni che sono più facilmente fagocitati sono in generale più immunogeni, in quanto per la maggior parte degli antigeni (antigeni T-dipendenti, vedi oltre)  lo sviluppo di una risposta immune richiede che gli antigeni siano fagocitati, processati e presentati alle cellule T helper attraverso l’azione delle “cellule che presentano l’antigene”, in sigla APC .
  • Anche la genetica ha importanza: alcune sostanze sono immunogene in un individuo ma non in altri (vengono gli uni e gli altri chiamati rispettivamente responders e non responders). Alcuni individui possono non avere o avere alterati dei geni che codificano per i recettori dell’antigene sulle cellule B o sulle cellule T oppure possono non avere quegli appropriati geni necessari per le “cellule che presentano l’antigene” di presentare l’antigene alle cellule T helper.
  • Anche l’ETA’ può influire sulla immunogenicità. Infatti di solito  individui molto giovani o molto vecchi hanno una diminuita capacità di indurre risposte immuni a stimoli immunogeni.
  • La DOSE stessa dell’immunogeno somministrato può influenzare l’immunogenicità; vi è una dose di antigene al di  sopra o al di sotto della quale la risposta immune non risulta ottimale,
  • La VIA DI SOMMINISTRAZIONE è importante : di solito la via sottocutanea è migliore rispetto a quella endovenosa o intragastrica. La via di somministrazione antigenica può talora alterare la natura della riposta.
  • Vi sono poi delle sostanze chiamate ADIUVANTI che hanno la proprietà di aumentare la risposta immune verso un immunogeno. L’uso degli adiuvanti tuttavia è spesso ostacolato da effetti collaterali indesiderati quali febbre e infiammazione.

CARATTERISTICHE DEGLI EPITOPI

I determinanti antigenici devono essere accessibili agli anticorpi. Già nel 1960 Sela e Arnon studiarono la immunogenicità di varie catene laterali legate ad uno scheletro polilisinico, ricordando come il sistema immunitario non reagisce contro polimeri di molecole identiche ripetute. Dimostrarono come se il determinate antigenico delle catene (rappresentato da residui di acido glutammico o di tirosina legati a polialanina) risulta inaccessibile agli anticorpi non si aveva risposta immunitaria, risposta invece che compariva a seguito dello smascheramento degli epitopi, aumentando ad es, la distanza tra le catene.

I determinanti antigenici possono essere continui o discontinui. Sempre negli anni ’60 A.Tassi fece degli studi sulla mioglobina di balena e trovò che in questa molecola di 153 aminoacidi erano presenti 5 regioni in grado di provocare una risposta  anche dopo la frammentazione della molecola e che queste regioni risultavano trovarsi su zone esposte e flessibili.  Questi tipi di determinanti antigenici sono detti continui o lineari, in quanto rappresentati da aminoacidi disposti in modo lineare, cioè uno dopo l’altro nella sequenza primaria della proteina. Esistono altri tipi di determinanti che sono stati dimostrati successivamente, utilizzando molecole di lisozima, e che sono detti discontinui o conformazionali, formati da aminoacidi che erano discontinui nella struttura primaria (quindi non erano uno accanto all’altro nella disposizione lineare) ma che diventano contigui nella struttura terziaria perché indotti ad unirsi grazie al ripiegamento tridimensionale della proteina come ad es. 2 regioni legate da ponti disolfuro.

Gli epitopi lineari, in particolare, sono riconosciuti sia dai linfociti T che dai linfociti B; mentre  quelli conformazionali solo dai linfociti B.

I determinanti antigenici che possiedono alcuni residui più importanti di altri vengono chiamati epitopi dominanti verso i quali gli anticorpi dimostrano una maggiore affinità e  che si trovano prevalentemente su porzioni idrofiliche degli antigeni e quindi più facilmente raggiungibili dagli anticorpi. La mobilità del sito antigenico: l’antigene è dotato di una certa mobilità strutturale in modo da consentire all’anticorpo di “incastrarsi” correttamente.

TIPI DI ANTIGENI

ANTIGENI T-INDIPENDENTI

Gli antigeni T-indipendenti sono quelli che possono direttamente stimolare le B cellule a produrre anticorpi senza aver bisogno dell’aiuto delle T cellule. In generale i polisaccaridi sono antigeni T-indipendenti. Le risposte verso questi antigeni sono diverse dalle risposte  verso altri antigeni. Hanno una struttura polimerica, cioè caratterizzati dallo stesso determinante antigenico ripetuto più volte. Molti di questi antigeni sono in grado di attivare cloni di  B linfociti specifici per altri antigeni (= attivazione policlonale). Questi antigeni T-indipendenti possono quindi essere suddivisi i tipo 1 e tipo 2  sulla base della loro capacità di attivare cellule B policlonali. Gli antigeni T-indipendenti di tipo 1 sono attivatori policlonali; quelli di tipo 2 no. Gli antigeni T-indipendenti sono in generale più resistenti alla degradazione e pertanto possono persistere per un tempo più lungo continuando a stimolare il sistema immunitario. Esempi  di questi sono il polisaccaride e il liposaccaride del  pneumococco,  i flagelli dei microorganismi.

ANTIGENI T-DIPENDENTI

Gli antigeni T-dipendenti sono quelli che non  sono in grado di stimolare direttamente la produzione di anticorpi, ma hanno bisogno dell’aiuto dei T linfociti.

Le proteine sono antigeni T-dipendenti.

Dal punto di vista strutturale questi antigeni sono caratterizzati dall’avere poche copie di molti differenti determinati antigenici. Esempi di questi antigeni sono le proteine microbiche, le proteine non self o le self-proteine alterate.

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Epitopi sequenziali e conformazionali: cosa sono e come funzionano

MEDICINA ONLINE SISTEMA IMMUNITARIO IMMUNITA INNATA ASPECIFICA SPECIFICA ADATTATIVA PRIMARIA SECONDARIA  SANGUE ANALISI LABORATORIO ANTICORPO AUTO ANTIGENE EPITOPO CARRIER APTENE LINFOCITI B T HELPER KILLER MACROFAGI MEMORIAL’epitopo (o determinante antigenico) è quella piccola parte di antigene che lega l’anticorpo specifico. La singola molecola di antigene può contenere diversi epitopi riconosciuti da anticorpi differenti.

Si distinguono, in linea di massima, due tipi di epitopi:

  • epitopi sequenziali, caratterizzati da una specifica sequenza lineare aminoacidica (ad esempio Arg-Glu-Ser);
  • epitopi conformazionali, riconosciuti dal sistema immunitario come complessi tridimensionali. Gli epitopi conformazionali possono essere costituiti da elementi anche molto distanti tra loro in termini di struttura primaria (lineare), ma estremamente vicini a livello della struttura terziaria (tridimensionale) a causa del ripiegamento che caratterizza molte macromolecole biologiche.

Lo sviluppo di una risposta umorale contro gli epitopi di un determinato antigene porta allo sviluppo di una memoria immunologica anticorpale più o meno duratura (a seconda del tipo e dell’intensità del processo infettivo). Le cellule-memoria sensibilizzate contro gli epitopi di un determinato antigene tendono però a inibire la maturazione di nuovi linfociti naive eventualmente sensibili a quel determinato antigene in seguito ad una nuova esposizione all’antigene stesso. In altri termini viene favorita la ri-espansione e la ri-maturazione solo di cloni già rivelatisi efficaci contro l’antigene in questione, mentre gli altri linfociti (naive) vengono risparmiati per poter eventualmente rispondere contro altri antigeni. Tuttavia questo processo, definito “peccato originale antigenico”, non consente la sensibilizzazione del sistema immunitario contro nuove varianti epitopiche di uno stesso antigene (in realtà questa carenza è parzialmente compensata dal processo di ipermutazione somatica a cui vanno incontro i linfociti B-memoria nuovamente stimolati dalla presenza dell’antigene). Il peccato originale antigenico è sfruttato da numerosi agenti patogeni (soprattutto virus) per limitare l’efficacia della risposta immunitaria.

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Differenza tra anticorpo ed autoanticorpo

MEDICINA ONLINE SISTEMA IMMUNITARIO IMMUNITA INNATA ASPECIFICA SPECIFICA ADATTATIVA PRIMARIA SECONDARIA SANGUE ANALISI LABORATORIO ANTICORPO AUTO ANTIGENE EPITOPO CARRIER APTENE LINFOCIUn autoanticorpo (in inglese autoantibody) è un’immunoglobulina (un anticorpo) che ha come bersaglio una o più sostanze proprie dell’organismo stesso.

Un anticorpo “normale” (in inglese antibody) ha invece come bersaglio antigenico un agente esterno “non self”, che può essere:

  • un patogeno (batteri, virus, parassiti ecc.);
  • un non-patogeno (allergeni).

Quindi mentre l’anticorpo “normale” lavora per difenderci da alcune patologie ed attacca solo materiale che riconosce come non appartenente al corpo, l’autoanticorpo è invece un anticorpo difettoso e diretto contro il “self”, cioè attacca tessuti del nostro stesso organismo che non dovrebbe attaccare, andando a determinare esso stesso patologie dette “autoimmunitarie”.

Gli autoanticorpi sono in genere di classe IgG o IgM. Non tutti gli autoanticorpi sono patogenetici, ovvero causa diretta di malattia autoimmunitaria.

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Aptene: cos’è e perché è importante per il sistema immunitario

MEDICINA ONLINE SISTEMA IMMUNITARIO IMMUNITA INNATA ASPECIFICA SPECIFICA ADATTATIVA PRIMARIA SECONDARIA  SANGUE ANALISI LABORATORIO ANTICORPO AUTO ANTIGENE EPITOPO CARRIER APTENE LINFOCITI B T HELPER KILLER MACROFAGI MEMORIAL’aptene è una molecola a basso peso molecolare (inferiore a 10.000 uma) che di per sé non induce una risposta anticorpale, cioè non ha proprietà immunogeniche, ma se legata ad un carrier è in grado di stimolare la formazione di anticorpi specifici e di reagire con essi.

Molte sostanze naturali (proteine, carboidrati, acidi nucleici e lipidi) e molte sostanze di origine sintetica si comportano come immunogeni efficaci, ovvero evocano una risposta immunitaria contro di sé agendo come antigeni. Per evocare una risposta immunitaria un composto deve contenere dei determinanti antigenici o epitopi (cioè deve essere riconosciuto dai diversi linfociti B e dai diversi linfociti T) e deve avere un’ulteriore proprietà, quella dell’immunogenicità, cioè deve poter evocare una risposta immunitaria. In quest’ultimo caso, spesso, le dimensioni dell’antigene sono fondamentali: l’antigene deve cioè essere sufficientemente grande da dare inizio all’attivazione linfocitaria necessaria per portare ad una produzione di anticorpi. Dal punto di vista pratico ciò che si osserva è che alcuni composti chimici di piccole dimensioni e di struttura piuttosto semplice (apteni) in genere non sono dei buoni immunogeni, cioè, pur essendo riconosciuti come estranei (not-self) dall’organismo, non evocano una risposta anticorpale. In ogni caso anche queste sostanze, una volta veicolate da molecole di dimensioni maggiori chiamate trasportatori (carriers) possono acquisire la caratteristica dell’immunogenicità. Il carrier veicolante l’aptene non necessariamente è in grado di suscitare una risposta immunitaria di per sé, ma lo è il complesso carrier-aptene.

Va ricordato che, in generale, solo grandi molecole (cosiddetti antigeni timo-dipendenti), sono in possesso delle caratteristiche per determinare una adeguata risposta immunitaria (memoria immunitaria, scambio di classe anticorpale, maturazione dell’attività anticorpale). Queste caratteristiche comprendono anche un peso molecolare superiore a 10.000 dalton, peculiarità per definizione assente nell’aptene.

Il meccanismo per il quale non si ha una risposta immunitaria a seguito della penetrazione nell’organismo di una piccola molecola con funzioni di aptene, non è completamente chiarito, ma sembra possa coinvolgere meccanismi immunologici più complessi, tra cui la assenza o insufficienti segnali di co-stimolazione da parte delle cellule presentanti l’antigene.

Sono stati sperimentalmente accertati come apteni sostanze a basso peso molecolare come zuccheri, peptidi, acidi nucleici, steroidi e farmaci legati a carriers proteici.

L’aptene risulta avere grande importanza nello studio immunoistochimico per l’ottenimento della risposta immunitaria da parte di molecole che naturalmente non evocherebbero tale risposta. L’immunoistochimica affianca la tradizionale immunochimica nello studio dei tessuti.

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