Differenza tra immunità umorale e cellulare

MEDICINA ONLINE SISTEMA IMMUNITARIO IMMUNITA INNATA ASPECIFICA SPECIFICA ADATTATIVA PRIMARIA SECONDARIA  SANGUE ANALISI LABORATORIO ANTICORPO AUTO ANTIGENE EPITOPO CARRIER APTENE LINFOCITI B T HELPER KILLER MACROFAGI MEMORIALa risposta immunitaria è una forma di difesa dell’organismo verso cellule o sostanze non self (estranee all’organismo) o comunque ritenute potenzialmente dannose per l’organismo. La risposta immunitaria può essere specifica (o adattativa) o aspecifica (innata). La risposta immunitaria specifica può essere ulteriormente distinta in due tipi: umorale o cellulo-mediata.

Le risposte umorali avvengono mediante la produzione d’immunoglobuline, chiamate anche anticorpi, prodotte dai linfociti B in risposta alla penetrazione di un antigene nell’organismo.

La reazione cellulo-mediata avviene mediante il contatto diretto dei linfociti T con l’antigene estraneo, anche senza la produzione d’anticorpi da parte dei linfociti B. Prevede l’attivazione dei macrofagi, delle cellule natural killer, dei linfociti T e la produzione di antigeni specifici a qualcosa di tossico per le cellule (citotossicità), nonché il rilascio di varie citochine in risposta ad un antigene.

La risposta immunitaria umorale è importante soprattutto nella difesa contro le infezioni batteriche; invece quella cellulo-mediata è efficace specie contro parassiti, virus, funghi, tumori e cellule trapiantate non self (non compatibili). Tuttavia, non esiste una separazione così netta, in quanto in genere si ha la cooperazione di entrambi i tipi di linfociti.

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Differenza tra antigene, aptene allergene ed epitopo

MEDICINA ONLINE SISTEMA IMMUNITARIO IMMUNITA INNATA ASPECIFICA SPECIFICA ADATTATIVA PRIMARIA SECONDARIA  SANGUE ANALISI LABORATORIO ANTICORPO AUTO ANTIGENE EPITOPO CARRIER APTENE LINFOCITI B T HELPER KILLER MACROFAGI MEMORI

La struttura di un anticorpo

Un allergene è una sostanza solitamente innocua per la maggior parte delle persone, ma che in taluni individui (i soggetti atopici) è in grado di produrre manifestazioni allergiche di varia natura (asma, orticaria, etc.).

Un aptene è una molecola a basso peso molecolare che di per sé non induce una risposta anticorpale, cioè non ha proprietà immunogeniche, ma se legata ad un carrier è in grado di stimolare la formazione di anticorpi specifici e di reagire con essi.

Un epitopo è quella piccola parte di antigene che lega l’anticorpo specifico. La singola molecola di antigene può contenere diversi epitopi riconosciuti da anticorpi differenti.

Un antigene è qualsiasi molecola in grado di legarsi a specifici componenti del sistema immunitario, quali anticorpi o cellule immunocompetenti, comprendendo sia sostanze esogene che endogene (come nel caso di patologia autoimmuni). Più precisamente qualunque sostanza in grado di suscitare una risposta immune viene definita immunogenica e viene chiamata IMMUNOGENO. Un antigene viene chiamato APTENE (molecola a basso peso molecolare, di norma inferiore a 4 kD) quando riesce a stimolare la produzione di anticorpi solo  se si lega ad una  molecola (detta CARRIER) che lo rende in tal modo immunogeno.

Quindi IMMUNOGENICITA’ significa che quella sostanza è in grado di indurre una risposta immunitaria; ANTIGENICITA’ significa che quella sostanza è in grado di reagire con componenti del sistema immunitario.

EPITOPO o DETERMINANTE ANTIGENICO: come già prima accennato rappresenta una porzione di un antigene che entra in contatto con il sito di legame di un Anticorpo o con il recettore per l’Antigene delle cellule T (lo vedremo più avanti), pertanto è la parte più importante dell’antigene, ijn quano capace di indurre la risposta immunitaria.

Un antigene in genere possiede più di un epitopo, pertanto la risposta indotta viene detta POLICLONALE in quanto attiverà più cloni cellulari (linfociti).

Vi sono tuttavia alcune molecole antigeniche che possiedono uno o pochi epitopi immunodominanti e quindi in grado di indurre una risposta monoclonale (se attivato un solo clone) od oligoclonale(quando sono attivasti pochi cloni).

Pertanto in una molecola antigenica possiamo avere una maggiore o minore attivazione preferenziale di alcuni cloni rispetto ad altri e questa viene detta IMMUNODOMINANZA DEGLI EPITOPI.

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FATTORI CHE INFLUENZANO L’IMMUNOGENICITA’

Normalmente il sistema immunitario discrimina tra ciò che è suo (self) e ciò che non è suo (non-self): pertanto sono immunogeniche le molecole ESTRANEE al self.

In generale più grande è la molecola, più evidenzia di essere immunogena, anche se nella realtà non esiste una grandezza oltre la quale una sostanza diviene immunogena.

La natura chimica dell’immunogeno è importante.

Le PROTEINE rappresentano di gran lunga la maggioranza degli immunogeni. Possono essere proteine pure, oppure glicoproteine o lipoproteine. Nelle proteine si deve tener conto della loro struttura, assai importante come vedremo successivamente parlando degli epitopi.

Le proteine sono polimeri i cui monomeri sono costituiti dai 20 diversi tipi di amminoacidi presenti in natura. Gli amminoacidi sono composti che contengono nella loro molecola sia il gruppo carbossilico –COOH sia il gruppo amminico –NH2 , basico. Entrambi questi gruppi funzionali sono legati a un carbonio, chiamato carbonio-α. A questo carbonio, sono legati, inoltre, un atomo di idrogeno e un gruppo denominato genericamente R che, essendo diverso nei 20 amminoacidi, ci consente di differenziarli. Durante la sintesi delle proteine, un amminoacido lega il suo gruppo carbossilico con quello amminico di un altro amminoacido, formando il legame peptidico con eliminazione di acqua come si può vedere in figura.

Nonostante gli amminoacidi siano solo 20, la varietà di proteine è elevatissima, in quanto gli amminoacidi si combinano tra loro in sequenze e quantità diverse.  Le proteine rappresentano una classe di composti assai versatile e di grande interesse biologico: concorrono a formare l’impalcatura del corpo:  ad es. il collagene è il principale componente fibroso delle ossa, dei tendini, della pelle, delle cartilagini, dei denti; i capelli e le unghie sono costituiti da α-cheratina; svolgono funzione catalitica: gli enzimi, infatti, indispensabili catalizzatori biologici sono costituiti da proteine; agiscono come mezzo di trasporto di altre molecole: nel sangue, ad esempio, l’ossigeno viene trasportato dall’emoglobina; provocano il movimento: ad esempio la contrazione muscolare è resa possibile da due proteine ovvero dall’actina e dalla miosina; hanno funzioni protettive: gli anticorpi, come le immunoglobuline che sono i più importanti mezzi di difesa dell’organismo sono costituiti da proteine; fanno parte del sistema endocrino: vari ormoni, tra cui l’insulina sono costituiti da proteine; rappresentano un sistema di controllo del pH del sangue perché limitano le eccessive variazioni di ioni H+ dovute al metabolismo cellulare, ecc.

Le proteine esplicano le loro specifiche funzioni grazie alla loro forma che dipende dalla successione di amminoacidi, dai ripiegamenti della catena proteica e dalla sua organizzazione nello spazio.

Possiamo pertanto individuare successivi livelli di organizzazione denominati: struttura primaria, secondaria, terziaria e quaternaria.

La pura e semplice successione degli amminoacidi costituisce la struttura primaria della proteina. La struttura primaria, cioè tipo e sequenza degli aminoacidi, condiziona la configurazione spaziale e la forma globale della molecola, dalle quali dipendono le proprietà biologiche.

L’avvolgimento a spirale, o la disposizione regolare di tratti più o meno lunghi della catena proteica costituiscono la struttura secondaria della proteina. Questo livello di organizzazione è una conseguenza dei legami a idrogeno tra gli amminoacidi appartenenti a una stessa catena, o tra gli amminoacidi di catene diverse. Due tipi di struttura secondaria delle proteine sono l’α-elica e il β-foglietto.

Nella struttura ad α-elica la proteina è avvolta a spirale: tra l’atomo di idrogeno legato all’azoto di ogni legame peptidico e l’ossigeno del gruppo –C=O del legame peptidico sovrastante ( che si trova a distanza di quattro amminoacidi lungo la catena) si instaura un legame a idrogeno. L’effetto stabilizzante dei molti legami a idrogeno che sono presenti nella proteina è la causa principale dell’esistenza di tale tipo di struttura. Tuttavia se gli amminoacidi che si succedono lungo un tratto di catena proteica hanno gruppi R voluminosi, come avviene nella prolina, o gruppi R dotati della stessa carica elettrica, come avviene negli amminoacidi lisina e arginina, l’α-elica non può formarsi, a causa delle forze di repulsione che si generano tra i gruppi R.

Nella struttura  β-foglietto si ha una disposizione di catene proteiche l’una accanto all’altra. Ciascuna delle catene è totalmente estesa e presenta una conformazione a zig-zag, dovuta alla geometria dei legami attorno a ciascun atomo di carbonio e di azoto nella catena. In questo caso, i legami a idrogeno si formano tra gli amminoacidi di due catene adiacenti. Le proteine dotate di questa struttura non possono essere allungate ulteriormente, senza che si rompano i legami covalenti della loro catena. Esistono proteine la cui molecola ha una forma globulare che è il risultato di ulteriori ripiegamenti della catena proteica, compresi tratti di catena che già possiedono una loro struttura secondaria. Questo terzo livello di organizzazione è la struttura terziaria della proteina.

La struttura terziaria di una proteina è la conseguenza di interazioni attrattive tra i gruppi R di amminoacidi anche molto distanti tra loro nella sequenza della struttura primaria della proteina. A stabilizzare la struttura terziaria della proteina possono concorrere quattro tipi di forze:

  1. Interazioni idrofobe o idrofile: nell’ambiente acquoso della cellula, i gruppi R non polari, idrofobi, della molecola proteica tendono a raggrupparsi all’interno della proteina, in modo da ridurre al minimo i contatti con le molecole d’acqua che la circondano. Invece, i gruppi polari, idrofili, tendono a disporsi verso l’esterno della proteina a contatto con l’acqua.
  2. Attrazioni ioniche: si instaurano in genere tra due gruppi, come –NH3+ e –COO-, l’uno carico positivamente e l’altro negativamente, dei gruppi R di due diversi amminoacidi.
  3. Legami idrogeno: derivano dall’attrazione tra gruppi R o si instaurano tra gruppi peptidici come nel caso delle strutture α e β.
  4. Ponti disolfuro: si formano tra gruppi –SH di due molecole dell’amminoacido cisteina; in seguito a una reazione di ossidazione, i due gruppi –SH perdono i rispettivi atomi di idrogeno e si legano tra loro mediante un legame covalente –S-S-  come si può vedere in figura:

Alcune proteine sono formate da più di una catena di amminoacidi. Le catene possono essere uguali fra loro, o anche diverse. La disposizione reciproca delle varie catene che compongono una proteina di questo tipo costituisce la struttura quaternaria della proteina.  Le interazioni possono essere legami deboli  come legami idrogeno  e forze di Van der Waals, oppure forti ossia ionico  o covalente. Ad esempio una proteina con struttura quaternaria è l’emoglobina: essa è costituita da quattro catene proteiche, a due a due uguali, denotate rispettivamente dalle lettere α e β come si può vedere in figura :

Ognuna di queste catene contiene un gruppo eme, cioè una struttura ciclica, chiamata anello porfirinico, con al centro uno ione Fe2+; a questo ione si lega una molecola di ossigeno, che viene trasportata dai polmoni alle cellule del corpo.

  • Anche i polisaccaridi puri e i lipopolisaccaridi sono buoni immunogeni.
  • Gli acidi nucleici di solito sono poco immunogeni. Lo possono diventare quando si complessano con proteine.
  • I lipidi in generale non sono immunogeni, ma possono essere apteni.
  • Gli antigeni particolati in genere sono più immunogenici di quelli solubili e gli antigeni denaturatisono più immunogenici di quelli  in forma nativa.
  • Gli antigeni che sono più facilmente fagocitati sono in generale più immunogeni, in quanto per la maggior parte degli antigeni (antigeni T-dipendenti, vedi oltre)  lo sviluppo di una risposta immune richiede che gli antigeni siano fagocitati, processati e presentati alle cellule T helper attraverso l’azione delle “cellule che presentano l’antigene”, in sigla APC .
  • Anche la genetica ha importanza: alcune sostanze sono immunogene in un individuo ma non in altri (vengono gli uni e gli altri chiamati rispettivamente responders e non responders). Alcuni individui possono non avere o avere alterati dei geni che codificano per i recettori dell’antigene sulle cellule B o sulle cellule T oppure possono non avere quegli appropriati geni necessari per le “cellule che presentano l’antigene” di presentare l’antigene alle cellule T helper.
  • Anche l’ETA’ può influire sulla immunogenicità. Infatti di solito  individui molto giovani o molto vecchi hanno una diminuita capacità di indurre risposte immuni a stimoli immunogeni.
  • La DOSE stessa dell’immunogeno somministrato può influenzare l’immunogenicità; vi è una dose di antigene al di  sopra o al di sotto della quale la risposta immune non risulta ottimale,
  • La VIA DI SOMMINISTRAZIONE è importante : di solito la via sottocutanea è migliore rispetto a quella endovenosa o intragastrica. La via di somministrazione antigenica può talora alterare la natura della riposta.
  • Vi sono poi delle sostanze chiamate ADIUVANTI che hanno la proprietà di aumentare la risposta immune verso un immunogeno. L’uso degli adiuvanti tuttavia è spesso ostacolato da effetti collaterali indesiderati quali febbre e infiammazione.

CARATTERISTICHE DEGLI EPITOPI

I determinanti antigenici devono essere accessibili agli anticorpi. Già nel 1960 Sela e Arnon studiarono la immunogenicità di varie catene laterali legate ad uno scheletro polilisinico, ricordando come il sistema immunitario non reagisce contro polimeri di molecole identiche ripetute. Dimostrarono come se il determinate antigenico delle catene (rappresentato da residui di acido glutammico o di tirosina legati a polialanina) risulta inaccessibile agli anticorpi non si aveva risposta immunitaria, risposta invece che compariva a seguito dello smascheramento degli epitopi, aumentando ad es, la distanza tra le catene.

I determinanti antigenici possono essere continui o discontinui. Sempre negli anni ’60 A.Tassi fece degli studi sulla mioglobina di balena e trovò che in questa molecola di 153 aminoacidi erano presenti 5 regioni in grado di provocare una risposta  anche dopo la frammentazione della molecola e che queste regioni risultavano trovarsi su zone esposte e flessibili.  Questi tipi di determinanti antigenici sono detti continui o lineari, in quanto rappresentati da aminoacidi disposti in modo lineare, cioè uno dopo l’altro nella sequenza primaria della proteina. Esistono altri tipi di determinanti che sono stati dimostrati successivamente, utilizzando molecole di lisozima, e che sono detti discontinui o conformazionali, formati da aminoacidi che erano discontinui nella struttura primaria (quindi non erano uno accanto all’altro nella disposizione lineare) ma che diventano contigui nella struttura terziaria perché indotti ad unirsi grazie al ripiegamento tridimensionale della proteina come ad es. 2 regioni legate da ponti disolfuro.

Gli epitopi lineari, in particolare, sono riconosciuti sia dai linfociti T che dai linfociti B; mentre  quelli conformazionali solo dai linfociti B.

I determinanti antigenici che possiedono alcuni residui più importanti di altri vengono chiamati epitopi dominanti verso i quali gli anticorpi dimostrano una maggiore affinità e  che si trovano prevalentemente su porzioni idrofiliche degli antigeni e quindi più facilmente raggiungibili dagli anticorpi. La mobilità del sito antigenico: l’antigene è dotato di una certa mobilità strutturale in modo da consentire all’anticorpo di “incastrarsi” correttamente.

TIPI DI ANTIGENI

ANTIGENI T-INDIPENDENTI

Gli antigeni T-indipendenti sono quelli che possono direttamente stimolare le B cellule a produrre anticorpi senza aver bisogno dell’aiuto delle T cellule. In generale i polisaccaridi sono antigeni T-indipendenti. Le risposte verso questi antigeni sono diverse dalle risposte  verso altri antigeni. Hanno una struttura polimerica, cioè caratterizzati dallo stesso determinante antigenico ripetuto più volte. Molti di questi antigeni sono in grado di attivare cloni di  B linfociti specifici per altri antigeni (= attivazione policlonale). Questi antigeni T-indipendenti possono quindi essere suddivisi i tipo 1 e tipo 2  sulla base della loro capacità di attivare cellule B policlonali. Gli antigeni T-indipendenti di tipo 1 sono attivatori policlonali; quelli di tipo 2 no. Gli antigeni T-indipendenti sono in generale più resistenti alla degradazione e pertanto possono persistere per un tempo più lungo continuando a stimolare il sistema immunitario. Esempi  di questi sono il polisaccaride e il liposaccaride del  pneumococco,  i flagelli dei microorganismi.

ANTIGENI T-DIPENDENTI

Gli antigeni T-dipendenti sono quelli che non  sono in grado di stimolare direttamente la produzione di anticorpi, ma hanno bisogno dell’aiuto dei T linfociti.

Le proteine sono antigeni T-dipendenti.

Dal punto di vista strutturale questi antigeni sono caratterizzati dall’avere poche copie di molti differenti determinati antigenici. Esempi di questi antigeni sono le proteine microbiche, le proteine non self o le self-proteine alterate.

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Anticorpi: (immunoglobuline): tipi, caratteristiche e funzioni

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La struttura di un anticorpo

Un anticorpo (immunoglobulina nel caso fosse su un Linfocita B vergine) è una proteina con una peculiare struttura quaternaria che le conferisce una forma a “Y”. Gli anticorpi hanno la funzione, nell’ambito del sistema immunitario, di neutralizzare corpi estranei come virus e batteri, riconoscendo ogni determinante antigenico o epitopo legato al corpo come un bersaglio. In maniera schematica e semplificata si può dire che ciò avviene perché al termine dei bracci della “Y” vi è una struttura in grado di “chiudere” i segmenti del corpo da riconoscere. Ogni chiusura ha una chiave diversa, costituita dal proprio determinante antigenico; quando la “chiave” (l’antigene) è inserita, l’anticorpo si attiva. La produzione di anticorpi è la funzione principale del sistema immunitario umorale.

Caratteristiche generali

Gli anticorpi sono una classe di glicoproteine del siero, il cui ruolo nella risposta immunitaria specifica è di enorme importanza. Hanno la capacità di legarsi in maniera specifica agli antigeni (microorganismi infettivi come batteri, tossine o qualunque macromolecola estranea che provochi la formazione di anticorpi). Negli organismi a sangue caldo vengono prodotte dai linfociti B, trasformati per adempiere a questo compito, in seguito a stimoli specifici, in plasmacellule. Le immunoglobuline, insieme ai recettori dei linfociti T TCR(T Cell Receptors) e alle molecole del complesso maggiore di istocompatibilità MHC (Major Histocompatibility Complex) sono le uniche molecole capaci di legare l’antigene in misura altamente specifica. La storia degli anticorpi nasce nel 1890 con la scoperta da parte di Emil von Behring e Shibasaburo Kitasato dell’immunità umorale per la quale usarono il siero di animali immunizzati per trattare la difterite in alcuni pazienti. La componente proteica di questo siero venne chiamata inizialmente antitossina per l’azione rivolta verso le tossine batteriche. Con la scoperta che le immunoglobuline potevano reagire con molte altre sostanze, presero il nome attuale di anticorpi e le molecole in grado di legarli antigeni. Le immunoglobuline fanno parte delle gammaglobuline facenti parte a loro volta delle globuline uno dei due gruppi di proteine plasmatiche (insieme alle albumine).

Struttura degli anticorpi

I primi studi sugli anticorpi analizzavano immunoglobuline presenti nel sangue di soggetti immunizzati. Questa metodica, tuttavia, non condusse a grandi conclusioni per la presenza di moltissimi anticorpi differenti fra loro e specifici per porzioni diverse di un antigene (anticorpi policlonali). Notevoli progressi furono effettuati esaminando il sangue di pazienti affetti da mieloma multiplo, un tumore delle plasmacellule, che porta alla formazione di grandi quantità di anticorpi uguali.

Gli anticorpi sono complessi proteici a struttura modulare che condividono una struttura di base ma che presentano notevoli variabilità in specifiche regioni capaci di legarsi a particelle strutturalmente complementari denominate antigeni. In maniera molto grossolana, sono paragonabili a delle Y, costituite da un gambo centrale e due bracci laterali. Le immunoglobuline sono simmetriche e composte da 4 catene: due leggere e due pesanti legate covalentemente da ponti disolfuro presenti tra residui di cisteine le cui posizioni variano a seconda del tipo di anticorpo. Ogni catena contiene una serie di unità costituite da circa 110 amminoacidi formanti una struttura globulare chiamata dominio Ig. Il dominio è contenuto anche in altre proteine che, per la presenza di questa particolare struttura, vengono accomunate sotto il nome di superfamiglia delle Ig. Nello specifico il dominio Ig è costituito da due foglietti β tenuti insieme da un ponte disolfuro composti da 3-5 “nastri” ad andamento antiparallelo collegati da anse le cui sequenze amminoacidiche possono essere importanti per il riconoscimento dell’antigene.

Sia le catene pesanti che leggere sono formate da una regione variabile (V) aminoterminale ed una regione costante (C) carbossiterminale. Le regioni variabili di una catena pesante (VH) e di una leggera (VL) formano il sito di legame per l’antigene, dove le anse dei domini Ig contengono la variabilità che rende specifico il legame con l’antigene. Poiché ogni immunoglobulina è composta da due catene leggere e due pesanti, saranno presenti due siti di legame. Le regioni costanti non partecipano al riconoscimento dell’antigene ma alle funzioni effettrici degli anticorpi.

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Organizzazione delle Immunoglobuline

Alcuni esperimenti condotti da Rodney Porter servirono a capire le associazioni tra le catene e parte della struttura delle immunoglobuline. Essendo proteine, esse possono andare incontro a digestione proteolitica se trattate con specifici enzimi. Usando la papaina le immunoglobuline vengono tagliate in 3 frammenti costituiti dai due bracci e dal gambo. Due di questi sono identici e costituiti dalla catena leggera ancora legata ad un pezzo di catena pesante. Dal momento che la capacità di legare l’antigene è mantenuta vengono chiamati frammenti con sito di legame per l’antigene (FAB = Fragment, Antigen Binding). Il terzo frammento è composto dalle parti restanti delle catene pesanti che tendono ad aggregarsi e a cristallizzare. Viene per questo chiamato frammento cristallizzabile (FC = Fragment, crystallizable). L’uso della pepsina, invece, genera un solo frammento F(ab’)2 costituito dai due FAB legati insieme. La restante parte dell’immunoglobulina non genera un Fc, ma piccoli frammenti peptidici.

Regione variabile (V) e ipervariabile

Le regioni variabili, costituite da un dominio Ig per entrambe le catene contengono le cosiddette regioni ipervariabili: tratti della catena polipeptidica dove si riscontrano le maggiori variabilità amminoacidiche che donano a ciascun anticorpo la specificità unica verso un antigene. Tali regioni sono costituite dalle 3 anse che collegano i nastri adiacenti dei foglietti β costituite ciascuna da 10 amminoacidi. Dal momento che sono presenti due domini per ogni regione variabile (VH e VL) ci saranno complessivamente 6 regioni ipervariabili per ogni braccio dell’immunoglobulina. Queste sequenze formano una superficie complementare all’antigene e sono pertanto chiamate anche regioni determinanti la complementarità(Complementarity-Determining Regions, CDR’) e sono numerate a partire dall’estremità N-terminale di ogni dominio in CDR1CDR2 e CDR3. Quest’ultimo si è scoperto essere sensibilmente più variabile rispetto agli altri due ed è quello che effettua più contatti con l’antigene. Le 6 CDR presenti in ciascun braccio sono esposte a formare un’ampia superficie in maniera simile ai recettori per i linfociti T. La caratteristica di variabilità solo in specifiche regioni consente alle immunoglobuline di avere una struttura di base costante.

Regione costante (C)

La regione costante, costituita da un dominio Ig nelle catene leggere (CL) e da 3-4 domini in quelle pesanti (CH1,2,3,4), permette alle immunoglobuline di avere peculiarità che si ripercuotono nella funzione effettrice delle stesse. Anzitutto, gli anticorpi possono essere prodotti in forma secreta o legati alla membrana: ciò dipende da differenze presenti nella regione costante delle catene pesanti. Nella forma di membrana, infatti, sono presenti una regione idrofobica ad α-elica (che sarà la parte transmembranale) e una regione carica positivamente (che sarà situata all’interno della cellula). La regione compresa fra i domini CH1 e CH2, detta regione cerniera, di tutte le immunoglobuline ha la particolarità di essere flessibile e di permettere un diverso orientamento (fino a 90° gradi) dei bracci in modo da poter legare più antigeni contemporaneamente. Infine, differenze presenti nella sequenza amminoacidica della regione costante conferiscono una distinzione delle immunoglobuline in classi (denominate anche isotipi) in base alle differenze presenti.

Classi delle catene pesanti

Esistono 5 tipi di catene pesanti, il cui nome è caratterizzato da alcune lettere greche (α, δ, ε, γ e μ), che danno vita a diverse classi di immunoglobuline denominate con la corrispondente lettera dell’alfabeto latino: IgAIgDIgEIgG e IgM. Alcune sono ulteriormente suddivise in sottoclassi. Anticorpi appartenenti ad uno stesso isotipo condividono essenzialmente la sequenza amminoacidica della regione costante che è diversa da quella delle altre classi. La maggior parte delle funzioni effettrici è mediata dal legame con un recettore; la sequenza amminoacidica diversa presuppone recettori diversi e conseguentemente funzioni diverse.

Isotipo Catena H (sottoclasse) Domini Ig nella catena H Emivita (giorni) Concentrazione nel siero (mg/ml) Forma secreta Presenza Funzioni Altro
IgA α (IgA1 e IgA2) 3 6 3,5 Monomero, dimero, trimero Secrezioni mucose (principalmente), sangue, latte materno Immunità e protezione delle mucose, debole opsonizzante e attivatore del complemento La presenza nel latte materno permette il trasferimento di protezione dalla madre al figlio, resistenti alla proteolisi
IgD δ 3 3 Tracce Nessuna Sangue Recettore per i linfociti (BCR) Sensibili alla digestione proteolitica
IgE ε 4 2 0,05 Monomero Sangue, tessuti Difesa contro gli elminti e ipersensiblità immediata (reazioni allergiche)
IgG γ (IgG1, IgG2, IgG3 e IgG4) 3 23 13,5 Monomero Sangue, tessuti, placenta Opsonizzazione, attivazione del complemento, citotossicità cellulare anticorpo-dipendente (ADCC), inibizione dei linfociti B, immunità neonatale (fino a 6-12 mesi dalla nascita) È la principale Ig del siero (80% ca.), sono i soli anticorpi che passano attraverso la placenta
IgM μ 4 5 1,5 Pentamero Sangue (a causa delle grosse dimensioni) Attivazione del complemento, attività agglutinante, recettore per i linfociti B (BCR) Sono i principali anticorpi durante la prima settimana d’infezione

Classi delle catene leggere

Nelle catene leggere le regioni costanti sono formate da un solo dominio Ig. In questa regione costante possono esserci differenze sequenziali che dividono le catene in due grandi classi: κ e λ. Ogni imunoglobulina può avere due catene per tipo e mai di due tipi diversi. Il 60% degli anticorpi contiene κ e solo il 40% λ, nell’uomo. Detto rapporto viene alterato in presenza di tumori dei linfociti B in quanto porteranno alla produzione di un elevato numero di anticorpi uguali.

Organizzazione genica

Le immunoglobuline sono codificate in 3 loci disposti su 3 cromosomi diversi (catene pesanti nel cromosoma 14, catene leggere di tipo κ nel cromosoma 2 e di tipo λ nel cromosoma 22). In ogni locus, l’estremità 5′ è occupata da un cluster di segmenti genici V (di 300 bp ca. ciascuno) che occupa una regione di circa 2000 kb. In posizione 5′ di ogni gene V è presente un esone leader (L) che codifica per gli ultimi amminoacidi N-terminali. Questa sequenza serve a indirizzare correttamente le proteine durante la sintesi e viene rimossa nella proteina matura. Ancor più a monte, naturalmente, c’è il promotore del gene V. In posizione 3′ si trovano i segmenti J(da “joining”) (di 30-50 bp ca.), separati da sequenze non codificanti e associati con i geni della regione costante a valle. Nel locus H (delle catene pesanti) tra i geni V e J si trovano ulteriori sequenze chiamate segmenti D. Nelle catene leggere il dominio variabile è codificato dai geni V e J, mentre nelle catene pesanti dai geni V, D e J. Le regioni ipervaribili 1 e 2 (CDR1 e CDR2) sono codificate da un segmento presente in ogni gene V, mentre la CDR3 è codificata dalle sequenze poste fra le regioni (tra V e J per le leggere, tra V e D e D e J per le pesanti) e dalle regioni stesse (J per le leggere, D e J per le pesanti). Le sequenze non codificanti, qui come in tutto il DNA, non svolgono alcun ruolo che si concretizzi nella produzione di proteine, ma sono fondamentali per regolare l’espressione dei geni adiacenti e la loro ricombinazione.

Numero di geni

Nell’uomo i segmenti V sono costituiti da circa 100 geni per la catena pesante, 35 geni per la catena leggera κ e 30 per quella λ. I segmenti costanti sono costituiti da 9 geni per le catene pesanti, 1 gene per le catene leggere κ e 4 per la λ. I geni delle catene leggere sono formati da un singolo esone, mentre quelli delle catene pesanti da 5-6 esoni di cui 3-4 codificano per la catena e gli altri 2 per la regione C-terminale che deve percorrere la membrana (inclusa la coda citoplasmatica). Anche i segmenti D e J sono costituiti da un numero variabile di geni.

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Sintesi ed assemblaggio

Le immunoglobuline, essendo proteine, vengono prodotte, assemblate ed espresse come comuni proteine. Le tappe prevedono una trascrizione, una traduzione e dunque una rifinitura che le porta alla secrezione o all’espressione sulla membrana. Nel caso specifico degli anticorpi le tappe più importanti e che determinano l’estrema diversità tra di essi sono gli avvenimenti portanti alla produzione di un mRNA maturo e pronto alla traduzione. Prima della traduzione, difatti, vi sono modificazioni post-trascrizionali quali l’editing o semplicemente il processamento, ma soprattutto gli eventi pre-trascrizionali: la ricombinazione. Ciò che determina effettivamente la diversità è la capacità delle cellule che producono anticorpi di riarrangiare le sequenze geniche contenenti i loci per le Ig così da creare un’ampia varietà di regioni variabili leganti antigeni.

Ricombinazione

E’indubbiamente la tappa più importante ed è condivisa anche con il recettore dei linfociti T. Questa avviene solo nelle cellule in grado di esprimere gli enzimi che la permettono (Rag-1 e Rag-2), e di fatto gli unici tipi sono proprio i linfociti B e i linfociti T. L’espressione di suddetti enzimi è tra i caratteri che permettono di osservare, durante la maturazione, la differenziazione verso la linea linfocitaria delle cellule staminali emopoietiche (vedi maturazione dei linfociti B e dei linfociti T). I loci delle immunoglobuline sono caratterizzati da diversi segmenti, V, J, C e, per le catene pesanti, anche D. La ricombinazione consiste in un “taglia-incolla” di segmenti diversi. Tutto inizia dal riarrangiamento DJ (se presente D), e il conseguente V(D)J. Viene perciò creato un trascritto primario che contiene anche sequenze non codificanti fra J e C. Il successivo processamento porta alla formazione di un mRNA maturo pronto per la traduzione.

Scambio di classe

Lo scambio di classe delle catene pesanti avviene durante l’attivazione dei linfociti B nei centri germinativi ad opera dei linfociti T-follicolari e, in porzione minore, nei foci extrafollicolari. Questa capacità di cambiare classe fornisce una versatilità maggiore dal momento che classi diverse svolgono al meglio funzioni effettrici diverse garantendo una alla risposta immunitaria migliore. Il processo è noto come ricombinazione per scambio nella quale un esone V(D)J già riarrangiato ricombina con la regione C di un gene più a valle. Questo processo richiede le sequenze note come regioni di scambio presenti all’estremità 5′ di ogni gene C e precedute da un iniziatore della trascrizione chiamato esone I a sua volta preceduto da una sequenza promotrice. Il tutto prende inizio con CD40 e alcune citochine che attivano la trascrizione dell’esone I, della regione di scambio e dell’esone C del loci μ e della classe interessata allo scambio. Si forma il cosiddetto trascritto germinativo (che non codifica per nessuna proteina) che si lega al filamento codificante del DNA generando un loop R, cioè un’ansa del filamento opposto (non codificante). In quest’ansa agisce l’enzima AID che catalizza la deaminazione delle citosine trasformandole in uracile. Un secondo enzima, la uracil-N-glicosilasi, rimuove i residui di uracile lasciando regioni prive di basi azotate che vengono rimossi da un terzo enzima, ApeI generando dei tagli nel filamento. Questi tagli si ripercuotono anche nel filamento codificante. Le regioni di scambio dei due loci ora possono essere avvicinate ed unite tramite la riparazione delle rotture della doppia elica. L’esone V(D)J viene quindi portato in prossimità della C finale e il tutto viene trascritto e tradotto, formando le Ig volute.

Ipermutazione somatica

Durante la proliferazione dei linfociti B che producono anticorpi avviene una maturazione dell’affinità delle immunoglobuline verso gli antigeni. Nei geni V del locus, infatti, è presente una frequenza di mutazione pari a 1 su 1000 paia di base, circa un migliaio di volte superiore a qualsiasi altro gene del genoma. Questa caratteristica è detta ipermutazione somatica. Questo porta ad una mutazione per ogni mitosi che si estrinseca in un accumulo di mutazioni che portano ad un aumento dell’affinità verso l’antigene. Queste mutazioni sono principalmente concentrate nelle regioni che determinano la complementarità e sono maggiormente presenti nelle IgG che nelle IgM. Uno degli agenti di questa alta frequenza di mutazioni è proprio AID, l’enzima coinvolto nello scambio di classi. La sua capacità di deaminazione delle citosine causa l’eliminazione dell’uracile formato e la sua sostituzione con una base azotata qualsiasi. Tutto ciò è poi controllato da una selezione dei linfociti per impedire che mutazioni errate portino a sviluppare anticorpi inutili o potenzialmente dannosi.

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Legame con gli antigeni

Un antigene è una qualsivoglia sostanza in grado di legarsi ad un anticorpo (zuccheri, lipidi, ormoni o peptidi di qualsiasi grandezza), mentre un immunogeno è qualcosa in grado di attivare i linfociti B. Nella realtà solo le macromolecole (quindi non tutti gli antigeni) sono in grado di stimolare i linfociti B, dal momento che è necessaria l’aggregazione di più recettori per l’antigene (cross-linking) o antigeni proteici che attivino i linfociti T-helper (che poi attiveranno i B stessi). Molti piccoli antigeni (apteni) non sono immunogeni, ma lo diventano se legati con delle macromolecole (carrier) formando il complesso aptene-carrier. Gli anticorpi si legano solo a specifiche parti degli antigeni denominati determinanti o epitopo. Nel caso delle proteine, costituite da più livelli di organizzazione, esistono due tipi di determinanti: determinanti lineari , che riconoscono la struttura primaria e determinanti conformazionali per la struttura terziaria. Le macromolecole possono contenere più determinanti, anche ripetuti, e la presenza di tali epitopi uguali viene definita polivalenza. La natura dei legami anticorpo-antigene è non covalente e di tipo reversibile. La forza di questo legame è chiamata affinità dell’anticorpo. Una maggiore affinità (espressa in termini della costante di dissociazione) significa che basta una bassa concentrazione dell’antigene perché il legame avvenga. Questo è un concetto importante, perché durante la risposta immunitaria vi è una produzione continua di anticorpi con un’affinità sempre maggiore. Antigeni polivalenti permettono più legami con lo stesso anticorpo. Il legame di IgG e IgE interessa al massimo due siti combinatori, vista la natura monomerica dell’immunoglobulina. Per le IgM, invece, la natura pentamerica permette un legame di un singolo anticorpo con 10 epitopi differenti. La forza del legame con l’anticorpo non dipende solo dall’affinità verso il singolo antigene, ma dalla somma di tutti i legami che possono essere effettuati. Questa forza “multipla” è nota come avidità. In questo modo una Ig a bassa affinità, ma che può effettuare più legami, presenta un’avidità elevata. Questo ha un’importanza funzionale dal momento che si è vista una maggiore efficienza di attivazione della risposta da parte di anticorpi legati a molti antigeni rispetto che una singola Ig con due siti combinatori. L’anticorpo e l’antigene legati insieme formano un immunocomplesso. Esiste una precisa concentrazione detta zona di equivalenza in cui quasi tutti gli anticorpi sono legati con la quasi totalità degli antigeni. Si viene a formare un grosso reticolo molecolare che se accade in vivo può portare a pesanti reazione infiammatorie dette malattie da immunocomplessi. Naturalmente aumentando le molecole di antigeni o anticorpi si sposta l’equilibrio e i grossi complessi si rompono.

Anticorpi come antigeni

Essendo proteine le immunoglobuline, o porzioni di esse, possono essere viste come antigeni. Ogni anticorpo presenta una specifica combinazione di isotipi, allotipi e idiotipo. Si definisce allotipo la variante polimorfica di anticorpi presente in ogni individuo, idiotipo le differenze tra le regioni variabili fra immunoglobuline diverse, isotipo la classe dell’immunoglobulina stessa. L’allotipo è la conseguenza dell’elevato polimorfismo dei geni che codificano per le immunoglobuline ed è quindi possibile riscontrare differenze anche fra anticorpi di individui di una stessa specie. L’idiotipo rappresenta l’individualità dell’anticorpo in sé, dal momento che coincide con il repertorio di antigeni che può legare. L’idiotipo può essere anche definito come la somma di tutti gli idiotopi individuali di una molecola anticorpale, cioè con i determinanti antigenici che possono associarsi con una regione variabile. Ogni anticorpo ha idiotopi multipli. Queste tre caratteristiche possono comportarsi da determinanti antigenici e quindi essere riconosciuti da altre immunoglobuline (rete idiotipica). Esistono anticorpi antiallotipo ed entrano in gioco specialmente quando si inocula in una specie del siero contenente anticorpi prelevati da una specie diversa (e va sotto il nome di malattia da siero), ma anche anticorpi anti-idiotipo.

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Funzioni e correlazioni strutturali

Specificità e diversificazione

La prima caratteristica che rende gli anticorpi importanti nell’immunità è la specificità con cui riconoscono l’antigene. Sono in grado, infatti, di distinguere tra frammenti proteici che differiscono anche per un solo amminoacido, ma anche di legare più antigeni diversi nel fenomeno conosciuto come cross-reattività. La specificità, però, deriva dalla capacità di creare anticorpi sempre diversi che possano legare antigeni differenti capaci di costituire un repertorio anticorpale estremamente ampio. Questa diversificazione è frutto dei passaggi che portano alla formazione delle immunoglobuline a partire da un ridotto numero di geni (vedi sopra o ricombinazione V(D)J. L’estrema specificità, inoltre, non nasce subito con la produzione del primo anticorpo, ma deriva da una serie di generazioni che portano a miglioramenti successivi e ad una maturazione dell’affinità.

Legame con l’antigene

Le funzioni effettrici delle immunoglobuline entrano in gioco solo dopo il legame con l’antigene. Prima, infatti, non sarebbero in grado di attivare la fagocitosi dei macrofagi (opsonizzazione, da parte delle IgG), la degranulazione di mastociti (IgE) o di attivare il complemento.

Il tipo di classe

È già stato detto come le differenze presenti nelle regioni costanti delle catene pesanti possano costituire classi diverse di immunoglobuline. L’appartenenza ad una classe rispetto che ad un’altra permette agli anticorpi di reagire meglio verso i patogeni per dislocazione (le IgA agiscono prevalentemente nelle mucose), per funzione (solo le IgE possono indurre risposte efficienti verso gli elminti) e per durata (le IgG hanno un’emivita molto più elevata). Ad ogni modo, i linfociti B possono produrre tutti i tipi di classi a partire da IgM o IgD attraverso il fenomeno di switching isotipico (o scambio di classe).

Anticorpi naturali

Gli anticorpi naturali sono un particolare tipo di immunoglobuline che vengono prodotte fisiologicamente senza un’esposizione all’antigene. Questi anticorpi sono per lo più agenti contro carboidrati, antigeni di membrana; prodotti dai linfociti B della zona marginale o linfociti B-1 e dotati di una bassa affinità.

Risposta anticorpale

Gli anticorpi sono i principali protagonisti della risposta immunitaria umorale insieme alle cellule che li producono, i linfociti B. Durante la risposta immunitaria i linfociti B vengono attivati dai linfociti T helper a produrre grandi quantità di anticorpi sempre più efficienti per rispondere al meglio all’ antigene. La principale funzione degli anticorpi è quella di opsonizzare i microbi, cioè legarsi a loro e facilitare la loro distruzione (attraverso fagocitosi o lisi cellulare). Le diverse classi (interscambiabili fra loro) permettono una risposta più efficiente rispetto alla natura e alla localizzazione del patogeno. La risposta primaria si concentra sulla produzione di IgM, mentre successivamente agiscono le IgG.

Neutralizzazione

Il solo legame con l’antigene può impedire diverse funzionalità patogene. Ne sono esempi l’anticorpi contro l’emoagglutina, una proteina usata dal normale virus dell’influenza che legandosi impedisce che infetti altre cellule dell’organismo o i cambiamenti della superficie batterica conseguenti al legame che inibiscono di interagire con i recettori. In altri casi, come i batteri che causano tetano e difterite, gli anticorpi si legano alle tossine che producono impedendo il loro legame su proteine del nostro organismo. La maggior parte degli anticorpi neutralizzanti nel siero è composta da IgG e IgA, sebbene tutte le immunoglobuline possano legare antigeni con la regione variabile.

Opsonizzazione

Come sopra citato, gli anticorpi svolgono la funzione di opsonizzare i patogeni e sono quindi delle opsonine. Questa funzione è svolta dalle IgG. A tal fine macrofagi e neutrofili (altre cellule fagocitarie) sono provvisti di recettori che legano le porzioni Fc. Questo legame causa l’attivazione della fagocitosi e la seguente trasduzione del segnale che porta ad attività microbicida e al processo infiammatorio. Sono stati identificati recettori per le IgG, per IgE, per gli anticorpi polivalenti e il recettore Fc neonatale (FcRn).

Recettori per le IgG

recettori Fc per le IgG o FcγR sono tutti, salvo per un caso di inibitore, attivatori cellulari. Ne esistono 3 tipi (FcγRI, FcγRII, FcγRIII) con le relative isoforme, ma tutti possiedono una catena α responsabile del legame con le immunoglobuline e della diversa affinità nel legarla. La catena α è quasi sempre associata con delle catene deputate alla trasduzione del segnale. Per il FcγRI sono due catene γ strutturalmente omologhe alle catene ζ del TCR, per il FcγRIII possono essere sia le catene γ che le stesse ζ dei TCR. FcγRII è in grado di trasdurre il legame da sé.

FcR Affinità per Ig Domini Ig Catene di trasduzione associate Distribuzione Funzioni
FcγRI (CD64) Elevata 3 catene γ Macrofagi, neutrofili, linfociti B (debolmente) Attivazione della fagocitosi
FcγRIIA/C (CD32) Bassa 2 nessuna Macrofagi, neutrofili, eosinofili e C anche sui linfociti NK Attivazione cellulare e della fagocitosi
FcγRIIB (CD32) Bassa 2 nessuna Leucociti, linfociti B Inibizione dei linfociti B nelle fasi terminali della risposta
FcγRIIIA (CD16) Bassa 2 catene γ e ζ Linfociti NK Citotossicità cellulare anticorpo-dipendente
FcγRIIIB (CD16) Bassa 2 nessuna Neutrofili Sconosciute

Dettagli molecolari dell’attivazione

La trasduzione dei segnali è iniziata dal cross-linking delle catene α. Le tappe prevedono:

  • fosforilazione dei residui di tirosina nelle sequenze ITAM presenti in tutti i FcγR (tranne FcγRIIB);
  • reclutamento di chinasi della famiglia Syk sulle sequenze fosforilate;
  • attivazione della PI3 chinasi;
  • arrivo di molecole adattatrici come SLP-76 e BLNK, di enzimi e membri della famiglia delle chinasi Tec.

Questi eventi portano alla formazione in grandi quantità di inositolo trifosfato, diaciglicerolo e spostamento di ioni calcio. Il fine ultimo di tutto questo, naturalmente, è la trascrizione dei geni che permettono di effettuare la fagocitosi. Tra questi si annoverano: ossidasi fagocitica (responsabile del burst respiratorio), sintasi dell’ossido nitrico inducibile, enzimi idrolitici. Dopo l’attivazione i fagociti possono anche secernere tutti questi enzimi, indispensabili per l’uccisione di microbi di grandi dimensioni, danneggiando, in minor misura, anche i tessuti stessi.

FcRn

Il recettore Fc neonatale è un recettore legato alla lunga emivita che presentano le IgG rispetto alle altre classi. Il FcRn è inizialmente coinvolto nel trasporto di IgG dalla placenta all’intestino del feto. Nella vita adulta, si posizionano sulla superficie delle cellule endoteliali. Ha una struttura simile alle MHC, ma senza tasca leganti il peptide. Sembra che la principale funzione sia quella di legare le IgG entrate nelle cellule a livello degli endosomi. Qui le trattiene impedendo che vengano degradate e poi rilasciate non appena il recettore viene riespresso sulla membrana. Questa funzione viene usata in terapia per bloccare l’attività di alcune molecole infiammatorie.

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Recettori per le IgE

Le IgE sono una particolare classe di immunoglobuline implicata soprattutto nelle risposte contro gli elminti e nel causare l’ipersensibilità immediata comunemente nota semplicemente come allergia. Le IgE, a differenza delle IgG, non agiscono opsonizzando e poi legando il recettore Fc, ma prima legando il recettore e successivamente l’antigene. Le principali classi di cellule presentanti recettori per le IgE, detti Fcε, sono i mastociti, granulociti basofili ed eosinofili.

Il recettore espresso da mastociti e basofili ha un’elevata affinità per le catene pesanti ε ed è definito “FcεRI” ed è questo il motivo per cui queste cellule hanno i recettori completamente saturati di anticorpi. FcεRI è stato anche trovato sulle cellule di Langerhans nella cute e su alcuni macrofagi e monociti attivati, sebbene non sia ancora chiaro il loro ruolo.

Esiste anche un altro recettore, definito “FcεRII” o CD23, la cui struttura proteica è molto simile a quello delle lectine di tipo C e presenta un’affinità per le immunoglobuline molto inferiore rispetto all’altro recettore. La sua funzione non è ancora stata chiarita.

Il legame degli antigeni (detti anche allergeni in questo caso) con le IgE già legate ai recettori causa l’attivazione di mastociti e basofili con conseguente rilascio del contenuto dei loro granuli citoplasmatici. Nel caso specifico dei mastociti l’attivazione prevede anche la produzione e secrezione di mediatori lipidici e di citochine.

Struttura di FcεRI

Ogni recettore è composto da 4 catene distinte: una catena α, una β e due catene γ. Ogni catena α comprende due domini Ig responsabili del legame con le IgE. La catena β attraversa 4 volte la membrana cellulare e presenta un solo dominio ITAM (Immunoreceptor Tyrosine-base Activating Motif) e un sito di legame per Lyn nella regione citoplasmatica. Una singola catena γ presenta un dominio ITAM e una corta regione N-terminale extracellulare. Le catene γ sono omologhe alla catena ζ del recettore dei linfociti T e presenta la stessa funzionalità di subunità di trasduzione del segnale delle catene γ degli altri FcR. Gli eosinofili esprimono FcεRI privi della catena β che, partecipando alla trasduzione, risultano quindi meno efficienti.

Dettagli molecolari dell’attivazione dei mastociti

La trasduzione dei segnali è iniziata dal cross-linking delle catene. Le tappe prevedono:

  • fosforilazione dei residui di tirosina nelle sequenze ITAM da parte delle proteina Fyn e Lyn associate alle catene β;
  • relutamento di chinasi della famiglia Syk sulle sequenze fosforilate;

Questo causa:

  1. attivazione della PI3 chinasi con conseguente aumento di calcio intercellulare e attivazione della proteina chinasi c;
  2. attivazione delle chinasi Ras-MAP che attivano la fosfolipasi A2 citoplasmatica che trasforma la fosfatidilcolina in acido arachidonico;

Gli eventi 1. portano sia alla trascrizione di citochine che alla fusione delle membrane dei granuli con il plasmalemma dei mastociti con conseguente rilascio del loro contenuto, mentre gli eventi 2. causano la produzione dei mediatori lipidici.

Attivazione del sistema del complemento

Tra le tre vie di attivazione del sistema del complemento due, la classica e la lectinica, utilizzano gli anticorpi legati ad antigeni per attivarsi. Il complesso C1 e MBL legata alle MASP si legano alle immunoglobuline leganti l’antigene e vanno ad attivare C4 iniziando la cascata del complemento.

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Sistema immunitario, immunità innata e specifica: riassunto, schema e spiegazione

MEDICINA ONLINE SISTEMA IMMUNITARIO IMMUNITA INNATA ASPECIFICA SPECIFICA ADATTATIVA PRIMARIA SECONDARIA SCHEMA DIFFERENZA ANTICORPO AUTO ANTIGENE EPITOPO CARRIER APTENE LINFOCITI B T HELPER KILLER MACROFAGI MEMORIA HIV AIDS.jpgIl sistema immunitario è una complessa rete integrata di mediatori chimici e cellulari, di strutture e processi biologici, sviluppatasi nel corso dell’evoluzione, per difendere l’organismo da qualsiasi forma di insulto chimico, traumatico o infettivo alla sua integrità. Per funzionare correttamente, un sistema immunitario deve essere in grado di rilevare un’ampia varietà di agenti, noti come agenti patogeni, dai virus agli elminti e distinguerli dal proprio tessuto sano dell’organismo.

Il sistema immunitario protegge gli organismi dalle infezioni grazie ad una difesa a più livelli di crescente specificità. In termini semplici, le barriere fisiche impediscono agli agenti patogeni, come batteri e virus, di entrare nell’organismo. Se un patogeno supera queste barriere, il sistema immunitario innato fornisce una risposta immediata, ma non specifica. Il sistema immunitario innato si trova in tutte le piante e gli animali. Se patogeni eludono con successo anche la risposta innata, i vertebrati possiedono un secondo livello di protezione, il sistema immunitario adattativo, che viene attivato dalla risposta innata. Qui, il sistema immunitario adatta la sua risposta durante l’infezione migliorando il riconoscimento del patogeno. Questa migliore risposta viene poi mantenuta dopo che il patogeno è stato eliminato, in forma di una memoria immunologica, permettendo così al sistema immunitario adattativo di rispondere più velocemente e più efficacemente ogni volta che incontrerà nuovamente questo patogeno.

Componenti del sistema immunitario innato

Sistema immunitario innato

Sistema immunitario adattativo

La risposta è non specifica Risposta specifica ai patogeni e antigeni
L’esposizione porta all’immediata risposta massima Intervallo di tempo tra l’esposizione e la risposta massima
Immunità umorale e cellula madiata Immunità umorale e cellula madiata
Nessuna memoria immunologica L’esposizione porta alla memoria immunologica
Trovato in quasi tutte le forme di vita Trovato solo nei gnatostomi

Sia l’immunità innata che quella adattativa, dipendono dalla capacità del sistema immunitario di distinguere tra molecole self e non-self. Nell’immunologia, le molecole self sono quelle che compongono l’organismo e che possono essere distinte dalle sostanze estranee dal sistema immunitario. Al contrario, le molecole non-self, sono quelle riconosciute come molecole estranee. Una classe di molecole non-self sono chiamate “antigeni” (abbreviazione di generatori di anticorpi) e sono definite come sostanze che si legano a specifici recettori immunitari suscitando una risposta immunitaria.

Una caratteristica fondamentale del sistema immunitario è quindi la capacità di distinguere tra le strutture endogene o esogene che non costituiscono un pericolo e che dunque possono o devono essere preservate (self) e le strutture endogene o esogene che invece si dimostrano nocive per l’organismo e che devono quindi essere eliminate (non-self). In alcuni casi il sistema immunitario “confonde” le strutture self con quelle non-self, col risultato di attaccare parti dell’organismo stesso, a tal proposito leggi: Che significa malattia autoimmune? Spiegazione ed esempi

Secondo le più recenti teorie il sistema immunitario distingue dunque un non-infectious self (self non infettivo) da un infectious self (self infettivo). La discriminazione tra self e non self avviene a livello molecolare ed è mediata da particolari strutture cellulari (Toll-like receptor, recettori dei linfociti T, complessi MHC, anticorpi), che consentono la presentazione ed il riconoscimento di componenti dell’agente lesivo definite antigeni (letteralmente induttori di anticorpi).

A seconda delle modalità di riconoscimento degli antigeni si possono distinguere due aree del sistema immunitario:

  • immunità aspecifica o innata: comprende mediatori chimici (responsabili dell’infiammazione) e cellulari responsabili di una prima linea di difesa contro le aggressioni. È evolutivamente più antica e consente il riconoscimento di un repertorio limitato di antigeni. Riconosce una generica condizione di pericolo e pone il sistema immunitario in una condizione di “allarme”, che favorisce lo sviluppo dell’immunità specifica
  • immunità specifica o acquisita o adattativa: comprende mediatori chimici e cellulari responsabili di una risposta difensiva più potente e mirata (virtualmente in grado di riconoscere qualunque forma di antigene), ma più lenta. È evolutivamente più recente e poggia sulla risposta aspecifica per numerose funzioni di presentazione e distruzione degli antigeni. Si divide a sua volta in:
    • immunità specifica umorale (cioè mediata da anticorpi).
    • immunità specifica cellulo-mediata.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Differenza tra immunità specifica ed immunità aspecifica

MEDICINA ONLINE LABORATORIO BLOOD TEST EXAM ESAME DEL SANGUE FECI URINE GLICEMIA ANALISI GLOBULI ROSSI BIANCHI PIATRINE VALORI ERITROCITI ANEMIA TUMORE CANCRO LEUCEMIA FERRO FALCIFORME MLa risposta immunitaria è una forma di difesa dell’organismo verso cellule o sostanze non self (estranee all’organismo) o comunque ritenute potenzialmente dannose per l’organismo. La risposta immunitaria può essere distinta in due tipi, entrambi importanti per la sua efficacia:

  • risposta immunitaria aspecifica (innata);
  • risposta immunitaria specifica (o adattativa o acquisita).

Immunità aspecifica

L’immunità aspecifica o innata è una immunità di tipo non specifico presente sin dalla nascita, ovvero nei soggetti il cui sistema immunitario non si è ancora sviluppato e non è, quindi, in grado di dare risposte specifiche e selettive agli agenti patogeni. Detta anche immunità naturale, ereditaria o costitutiva, rappresenta la prima linea difensiva nei soggetti non immunizzati. Questa prima linea difensiva dell’organismo è il sistema di difesa più antico ed è comune a tutti gli organismi pluricellulari, compresi gli insetti e le piante. Fanno parte del sistema immunitario innato i linfociti NK (Natural killer), i mastociti, gli eosinofili, i basofili, i macrofagi, i neutrofili e le cellule dendritiche: queste cellule hanno, tra loro, meccanismi di funzionamento molto diversi, ma sono tutte in grado di eliminare e/o di identificare gli agenti patogeni. I meccanismi dell’immunità innata vengono spesso utilizzati per eliminare gli agenti patogeni anche nell’ambito delle risposte immunitarie specifiche.
I meccanismi alla base dell’immunità naturale sono preesistenti al contatto con i microrganismi e vengono attivati tempestivamente dalla presenza degli agenti patogeni prima che l’organismo sia in grado di sviluppare una risposta immunitaria specifica verso di essi (immunità specifica).
Questa prima linea difensiva dipende da barriere anatomiche, barriere fisiologiche, meccanismi di endocitosi/fagocitosi, e meccanismi infiammatori:

  • Le barriere anatomiche consistono nella cute e nelle mucose dell’organismo umano, strutturate in modo da difendere l’organismo dall’entrata della maggior parte dei microrganismi patogeni.
  • Le barriere fisiologiche comprendono la temperatura (molti microrganismi non sopravvivono superate certe temperature), il pH (l’acidità gastrica, ad esempio, è una barriera fisiologica innata alle infezioni in quanto ben pochi microrganismi riescono, una volta ingeriti, a sopravvivere al basso pH presente nello stomaco), e vari fattori solubili (tra cui le proteine solubili lisozima, interferone e complemento, che sono in grado di legarsi alle cellule vicine e di stimolare uno stato di resistenza antivirale generalizzato).
  • L’endocitosi è un termine generico che sta a indicare la capacità delle cellule di captare il materiale extracellulare che le circonda. La fagocitosi è un tipo di endocitosi specializzata che consiste nell’ingestione di particelle extracellulari tra cui anche microrganismi patogeni.
  • L’infiammazione si attivana in seguito ai segnali chimici emessi dalle cellule attaccate dal microrganismo patogeno. Rappresenta una delle prime difese che l’organismo attiva davanti all’azione di un agente nocivo.

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Immunità specifica

L’immunità specifica o adattativa, nota anche come immunità acquisita, rappresenta l’insieme delle risposte di tipo specifico attivate dal sistema immunitario verso i microrganismi patogeni. Può essere acquisita in modo:

  • naturale e attivo (quando, cioè, il sistema immunitario conserva il ricordo di malattie già avute, detta immunità acquisita naturale attiva),
  • naturale ma passivo (dovuta, ad esempio, ad anticorpi preformati di origine materna, detta anche immunità acquisita naturale passiva o immunità del neonato),
  • artificiale (mediante la somministrazione di vaccini e sieri, detta anche immunità acquisita artificiale).

Mentre l’immunità aspecifica è il sistema di difesa più antico che si ritrova in tutti gli organismi pluricellulari, compresi insetti e piante, l’immunità specifica o acquisita compare con i vertebrati.
In presenza di un microrganismo patogeno l’immunità specifica si basa sull’attivazione mirata dei linfociti B e T, cellule specializzate in funzioni immunitarie, ed è caratterizzata dall’importante specificità dei recettori coinvolti (gli anticorpi nel caso dei linfociti B e il cosiddetto recettore delle cellule T, ovvero il T-cell receptor, nel caso dei linfociti T).

Le strategie attraverso cui opera l’immunità specifica sono due e collaborano strettamente tra loro:

  • immunità umorale (ovvero per via ematica);
  • immunità cellulo-mediata.

Nel primo caso a intervenire sono i linfociti B, che si attivano per produrre anticorpi con i quali debellare gli agenti infettivi. Nel secondo caso ad agire sono i linfociti T che si attivano per secernere alcune molecole infiammatorie, le citochine, e rivelando le loro proprietà citotossiche.
La memoria – ovvero la capacità di rispondere in modo più rapido e più efficace nei confronti di agenti infettivi già precedentemente incontrati – è una delle caratteristiche principali ed estremamente importanti dell’immunità specifica. L’immunità specifica rappresenta il sistema attraverso cui un organismo si difende in modo specifico e mirato dalla presenza di agenti che gli sono estranei. I meccanismi dell’immunità specifica vanno spesso a sovrapporsi a quelli tipici dell’immunità aspecifica, al fine di potenziare la risposta immunitaria.

Semplificando

In definitiva le difese aspecifiche sono la prima linea di difesa, sono innate, sono più “antiche”, non sono specifiche, sono relativamente semplici, si attivano immediatamente e sono preesistenti all’arrivo dell’antigene.

Al contrario le difese specifiche (umorali e cellulari) sono la seconda linea di difesa, sono le meno antiche, sono presenti in organismi più complessi, non sono preesistenti ma si “creano” al primo incontro con l’antigene, sono più complesse, sono specifiche, sono caratterizzate da “memoria”.

Sistema immunitario innato Sistema immunitario adattativo
La risposta è non specifica Risposta specifica ai patogeni e antigeni
L’esposizione porta all’immediata risposta massima Intervallo di tempo tra l’esposizione e la risposta massima
Meccanismi preesistenti In risposta all’antigene specifico
Nessuna memoria immunologica L’esposizione porta alla memoria immunologica
Trovato in quasi tutte le forme di vita Trovato solo in organismi più complesso

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Aptene: cos’è e perché è importante per il sistema immunitario

MEDICINA ONLINE SISTEMA IMMUNITARIO IMMUNITA INNATA ASPECIFICA SPECIFICA ADATTATIVA PRIMARIA SECONDARIA  SANGUE ANALISI LABORATORIO ANTICORPO AUTO ANTIGENE EPITOPO CARRIER APTENE LINFOCITI B T HELPER KILLER MACROFAGI MEMORIAL’aptene è una molecola a basso peso molecolare (inferiore a 10.000 uma) che di per sé non induce una risposta anticorpale, cioè non ha proprietà immunogeniche, ma se legata ad un carrier è in grado di stimolare la formazione di anticorpi specifici e di reagire con essi.

Molte sostanze naturali (proteine, carboidrati, acidi nucleici e lipidi) e molte sostanze di origine sintetica si comportano come immunogeni efficaci, ovvero evocano una risposta immunitaria contro di sé agendo come antigeni. Per evocare una risposta immunitaria un composto deve contenere dei determinanti antigenici o epitopi (cioè deve essere riconosciuto dai diversi linfociti B e dai diversi linfociti T) e deve avere un’ulteriore proprietà, quella dell’immunogenicità, cioè deve poter evocare una risposta immunitaria. In quest’ultimo caso, spesso, le dimensioni dell’antigene sono fondamentali: l’antigene deve cioè essere sufficientemente grande da dare inizio all’attivazione linfocitaria necessaria per portare ad una produzione di anticorpi. Dal punto di vista pratico ciò che si osserva è che alcuni composti chimici di piccole dimensioni e di struttura piuttosto semplice (apteni) in genere non sono dei buoni immunogeni, cioè, pur essendo riconosciuti come estranei (not-self) dall’organismo, non evocano una risposta anticorpale. In ogni caso anche queste sostanze, una volta veicolate da molecole di dimensioni maggiori chiamate trasportatori (carriers) possono acquisire la caratteristica dell’immunogenicità. Il carrier veicolante l’aptene non necessariamente è in grado di suscitare una risposta immunitaria di per sé, ma lo è il complesso carrier-aptene.

Va ricordato che, in generale, solo grandi molecole (cosiddetti antigeni timo-dipendenti), sono in possesso delle caratteristiche per determinare una adeguata risposta immunitaria (memoria immunitaria, scambio di classe anticorpale, maturazione dell’attività anticorpale). Queste caratteristiche comprendono anche un peso molecolare superiore a 10.000 dalton, peculiarità per definizione assente nell’aptene.

Il meccanismo per il quale non si ha una risposta immunitaria a seguito della penetrazione nell’organismo di una piccola molecola con funzioni di aptene, non è completamente chiarito, ma sembra possa coinvolgere meccanismi immunologici più complessi, tra cui la assenza o insufficienti segnali di co-stimolazione da parte delle cellule presentanti l’antigene.

Sono stati sperimentalmente accertati come apteni sostanze a basso peso molecolare come zuccheri, peptidi, acidi nucleici, steroidi e farmaci legati a carriers proteici.

L’aptene risulta avere grande importanza nello studio immunoistochimico per l’ottenimento della risposta immunitaria da parte di molecole che naturalmente non evocherebbero tale risposta. L’immunoistochimica affianca la tradizionale immunochimica nello studio dei tessuti.

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