A Natale, tra i fondamentalisti del panettone ed i sostenitori del pandoro, di solito a mettere d’accordo tutti è lui: il torrone, che sia bianco, morbido, duro, al cioccolato con nocciole o altro tipo. Da Cremona alla Sicilia, dall’Abruzzo alla Sardegna, dal Veneto alla Calabria passando per la Campania. Ma perché tutta Italia, da sempre, è innamorata del suo torrone?
Lo inventarono i Romani. O no?
La sua diffusione lungo tutto lo stivale lascia pensare a un’origine romana, confortata dal “cuppedo” citato da Marco Terenzio Varrone, che richiama subito alla mente il “cupeto” o “copeta”, come il torrone viene ancora oggi chiamato a Benevento, Avellino e dintorni. Secondo il letterato reatino (II-I secolo a.C.) ad inventarlo furono addirittura i Sanniti: era una ghiottoneria a base di semi oleosi, albume e miele che i Romani conobbero durante i lunghi assedi conosciuti durante le Guerre sannitiche. nche se alcuni studiosi contestano questa tesi, sostenendo che il termine indicasse genericamente, appunto, una “ghiottoneria”. Certo è, però, che il “nucatum” descritto poco dopo da Apicio somiglia molto al nostro torrone: un dolce a base di noci, miele e albume d’uovo.
Gli Arabi
Fatto sta che, con la caduta dell’Impero Romano, del “cuppedo”, come del “nucatum” si perderà ogni traccia. Almeno in Italia. Dando quindi fiato alla tesi che sostiene l’origine araba del torrone, così somigliante al dolce secco di cui parlano alcuni studiosi di medicina orientali, Ibn Buṭlān e Ibn Jazla, entrambi di Baghdad, e l’arabo andaluso Abenguefith Abdul Mutarrif. Si spiegherebbe così la diffusione del torrone nell’Italia meridionale, e in particolare in Sicilia. Mentre, a Cremona, il torrone arrivò per merito del celebre letterato Geraldo da Cremona, che tradusse proprio il libro del Mutarrif dal quale trasse il suo “turun”. Anche se altri storici danno il merito a Giambonino da Cremona, traduttore dei due autori di Baghdad.
Federico II, da Palermo al Po
Ma la tesi più accreditata è un’altra: a portare il torrone nel Nord Italia dalla Sicilia, con ogni probabilità, fu nientemeno che l’imperatore Federico II di Svevia. Uno che, nella sua corte di Palermo, di cultura araba se ne intendeva, così come il suo seguito di cuochi siciliani. Durante le sue campagne militari contro i Comuni del Nord Italia, era proprio a Cremona che Federico II aveva il proprio quartier generale, soggiornandovi ben 16 volte. Da qui, l’arrivo del torrone a Cremona. Certo, la leggenda è molto più affascinante: si narra che il torrone arrivò a Cremona il 25 ottobre del 1441, giorno del matrimonio tra Bianca Maria Visconti e Francesco Sforza. Quando i cuochi di corte (forse siciliani?) prepararono un dolce di mandorle, miele e bianco d’uovo che nella forma riproduceva il Torrione cittadino, da cui deriverebbe il termine. Siamo certi, però, che il torrone a Cremona esistesse già prima del XV secolo, quindi l’origine arabo-siculo-federiciana appare senza dubbio da preferire.
Duro e morbido
Certo, una storia tanto complicata non poteva non dare luogo a una grande varietà di versioni lungo la penisola. Il classico torrone di Cremona viene preparato con miele, mandorle, nocciole, zucchero, albumi e ostie, nelle varianti dura e morbida. Le due varianti si differenziano per la cottura dell’impasto: nel torrone duro può arrivare addirittura a 10 ore. Mentre in quello morbido non supera le 3 ore. Ciò permette di avere una concentrazione d’acqua più alta permettendo, assieme alla maggiore percentuale di glucosio, un impasto più tenero.
La cubbaita
In Sicilia, a Caltanissetta, la tradizionale “cubbaita” si produce unendo il verde del pistacchio, il giallo del miele e il bianco delle mandorle, offerti naturalmente dalle campagne nissene. Una ricetta antichissima che ha poi dato vita alle numerose varianti che oggi conosciamo, con l’inserimento di sapori tipici dell’isola come il limone, le arance, le noci e le nocciole, fino al sesamo e al cioccolato. Solo molti secoli dopo, negli anni ’70, a Belpasso, Francesco Condorelli inventerà i celebri torroncini che oggi conosciamo.
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Quello sardo
In Sardegna l’epicentro della produzione del torrone è il paese di Tonara(Nuoro): la ricetta, con ogni probabilità, venne coniata in Barbagia nella seconda metà dell’800. Il prodotto si ottiene dalla lavorazione di miele, albume d’uovo, mandorle, noci, nocciole e ostie. La principale differenza con gli altri torroni è l‘assenza di zucchero, con una cottura di 4 ore e la tipica consistenza morbida.
Avellino e Benevento
Il torrone campano, tra Avellino e Benevento, è un’altra eccellenza nazionale. A Benevento, a parte il presunto antenato sannita, il torrone iniziò a diffondersi a partire dal XVII secolo, in tre varietà: il perfetto amore, l’ingranito e il torrone del Papa. Il primo costituito da miele, bianco d’uovo e nocciole ricoperte da un naspro per lo più di cioccolato, limone o caffè. L’ingranito comprendeva, oltre al miele, l’albume, le nocciole e dei confetti lunghi e stretti chiamati cannellini: il tutto era poi avvolto da una grana di zucchero. Il torrone del Papa era invece un composto di zucchero liquefatto, pinoli e frutta sciroppata. Più tardi si affermò il torrone della Regina, simile a quello del Papa e che invece di grana era ricoperto di naspro, che fu dedicato alla golosità del re Ferdinando I di Borbone. Successivamente si diffuse il torrone “perfezionato”, ricoperto di ostie. Una storia altrettanto antica può vantare il torrone dell’Irpinia, nella zona di Ospedaletto d’Alpinolo ma anche a Pietradefusi. Qui la grande ricchezza di nocciole del territorio ha favorito la nascita di numerose varianti, con un’evoluzione che non si è fermata nemmeno oggi, con torroni sia morbidi che duri.
Cioccolato d’Abruzzo
In Abruzzo si può trovare il torrone di Guardiagrele (Chieti), molto simile al croccante e costituito da mandorle intere tostate mescolate a zucchero, cannella e frutta candita. E poi il torrone tenero al cioccolato, prodotto all’Aquila e Sulmona, in cui il cioccolato si sposa alla perfezione con le nocciole. Una golosità nata nel 1835 in una piccola distilleria dell’Aquila e dall’intuizione del suo proprietario, Gennaro Nurzia.
Bagnara e Cologna
In Calabria, spicca il torrone di Bagnara IGP. Nonostante esista in diversi formati (ostiato, al cioccolato, morbido, bianco glassato, ecc.), quello tipico è a base di miele, zucchero, mandorle, cannella e chiodi di garofano in polvere e con la copertura di zucchero in grani o cacao amaro. Le prime attività su scala industriale risalgono alla metà dell’800, ma tutto il territorio è da sempre ricco di produzioni di qualità che meriterebbero maggiore notorietà. Infine, il Veneto. Il mandorlato di Cologna Veneta è una specialità a base di mandorle, miele, albumi, cannella e cialde: è caratterizzato dalla superficie irregolare non coperta dall’ostia, che lascia vedere il mosaico di mandorle immerso in un lucido strato bianco, oltre che da tempi di cottura piuttosto brevi. L’origine della ricetta sembra ottocentesca, ma non mancano i sostenitori di una provenienza di epoca scaligera. Ma come la mettiamo, allora con gli Arabi?
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Lo staff di Medicina OnLine
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