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Il narcisismo patologico al femminile: quando la donna manipola l’uomo
Quando si pensa al narcisismo patologico spesso, quasi tutti noi associamo la manipolazione affettiva al partner maschile e ci riferiamo alla donna come vittima del rapporto malsano, ma ciò non è sempre detto: in alcuni casi l’abusante è lei ed innesca meccaniche di manipolazione altrettanto perverse e tossiche, similarmente a quando la manipolazione sia effettuata da un uomo. Relazionarsi con una donna narcisista in modo patologico è spesso molto complicato, almeno quanto lo è vivere con a un uomo narciso.
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Caratteristiche del narcisismo patologico femminile
Il narcisista patologico, sia uomo che donna, è un soggetto apparentemente brillante ed affascinante. In particolare la donna narcisista appare capace nel proprio ambito lavorativo, molto focalizzata sulla propria carriera, attenta alla cura di sé, perfezionista in ogni cosa faccia, ma è contemporaneamente ossessionata dalla relazione che ha con il proprio partner. Una narcisista patologica ha alcuni tratti distintivi precisi, ad esempio:
- è particolarmente attenta ai difetti del partner, anche quelli più insignificanti;
- pensa di meritare tutti i complimenti ed i premi possibili;
- rinfaccia al proprio partner ogni singola mancanza o presunta tale;
- non tollera di mostrare i propri lati più fragili ed entra nella difensiva se il compagno prova ad affrontare l’argomento;
- è egocentrica, desiderando essere sempre al centro dell’attenzione del partner e di amici/colleghi;
- ha un romanticismo estremo tanto che sviluppa delle aspettative irrealizzabili nei confronti del rapporto;
- ha aspettative nei confronti del partner spesso irrealistiche (ad esempio desidera che lui diventi il capoufficio);
- paragona il compagno agli altri uomini, spesso enfatizzando i difetti del partner ed i pregi degli altri;
- tende a vedere qualsiasi altra donna come una minaccia, che sparla alle sue spalle e che trama qualcosa di losco nei suoi confronti;
- tende ad invidiare qualsiasi altro soggetto, specie femminile, che abbia più successo di lei;
- ha avuto genitori molto autoritari e/o fratelli o sorelle lodati più di lei dai genitori, o più capaci di lei in qualche ambito dove lei si considerava la migliore;
- idealizza rapidamente il partner per poi svalutarlo altrettanto rapidamente dopo poco tempo;
- è in costante competizione con il partner: ciò crea una situazione paradossale in cui lei sente di meritarsi un partner di “alto livello” e lo incita a diventarlo lamentandosi degli scarsi risultati di lui, ma se il partner diventa effettivamente quello che lei vuole, diventa una minaccia perché tra i due è lei quella che deve essere “migliore”. Tale situazione si nota ancor di più se entrambi fanno lo stesso tipo di lavoro;
- è apparentemente sensibile ed empatica verso il partner e gli altri, ma in realtà è molto egoista e bada solo al proprio vantaggio;
- detesta perdere in qualsiasi campo (sportivo, professionale…);
- non ricerca realmente una reale intimità né un rapporto autentico con il partner.
Generalmente la donna narcisista in modo patologico si pone nella relazione come partner forte, mortificante, capricciosa ed intransigente: ogni piccola presunta mancanza viene amplificata e diventa motivo di mortificazione, anche pubblica, verso il partner.
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Come si comporta la narcisista patologica?
Esattamente come avviene quando il narcisista patologico è un uomo, la narcisista patologica appare, nel primo periodo della relazione, come la compagna perfetta: è affascinante, eclettica, letteralmente perfetta in ogni piccolo particolare, tanto che spesso la “vittima” maschile tende ad essere un soggetto bello ed acculturato, il “migliore” tra gli uomini del gruppo (seppur in fondo possieda un carattere “dipendente”, che si presta a farsi sottomettere); tuttavia – col passare del tempo – la maschera di perfezione indossata dalla donna narcisista diventa sempre meno nascosta ed emerge la sua componente negativa. In breve tempo l’uomo vede la sua compagna “perfetta” trasformarsi: di colpo la vede infuriarsi per cose assolutamente di poco conto, lo accusa di non far abbastanza per far funzionare il rapporto, lo manipola per ottenere quello che vuole, lo svaluta facendo paragoni con altri partner maschili e richiede attenzioni costanti che sono difficili da raggiungere. L’uomo diventa suddito e la donna diventa tiranno, in una relazione malsana che può durare anche a lungo. Questo tipo di coppia tende a lasciarsi e tornare insieme più volte, ma il risultato è comunque sempre distruttivo per l’uomo, che arriva al punto di voler “scappare” dalla relazione, senza però essere capace di interromperla.
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Come risolvere la situazione?
Se la partner è consapevole di soffrire di narcisismo patologico ed è disponibile a collaborare, il rivolgervi insieme ad uno psicoterapeuta potrebbe risolvere il problema. Qualora invece il partner non sia disponibile ad ammettere i propri errori, il nostro consiglio è quello di abbandonare, se possibile il rapporto oppure – se non riesci a staccarti dalla partner – rivolgerti da solo ad uno professionista per imparare a distaccarti da lei e prendere consapevolezza delle motivazioni che ti hanno portato a scegliere di permanere, magari per anni, all’interno di una relazione malsana.
Se credi di essere intrappolato in una relazione tossica o che la tua partner sia una narcisista manipolatrice, prenota subito la tua visita e, grazie ad una serie di colloqui riservati, ti aiuterò a gestire ed a superare questa situazione.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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Quante persone vivono a Roma, a Milano in Italia, in Europa e nel mondo?
A Roma vivono 4.340.474 abitanti (dati ISTAT 2016); la superficie della città è 5.363,28 km²; la densità abitativa è 809,29 abitanti per km².
A Milano vivono 1 368 590 (dati Comune di Milano); la densità abitativa è 1939 abitanti per km².
In Italia la popolazione è di 60 milioni 656 mila residenti (dati ISTAT 2016); gli stranieri sono 5 milioni 54 mila e rappresentano l’8,3% della popolazione totale (+39 mila unità rispetto all’anno precedente). La popolazione di cittadinanza italiana scende a 55,6 milioni, conseguendo una perdita di 179 mila residenti rispetto all’anno precedente.
Secondo i dati delle Nazione Unite, nel 2007 la popolazione dell’Europa ammontava a circa 731 milioni di abitanti, saliti a 738.200.000 abitanti nel 2010 (dati ONU) e 743,1 milioni nel 2015.
Attualmente (marzo 2017) la popolazione mondiale ammonta a circa 7 miliardi e mezzo di persone, più precisamente 7.507.088.343, secondo il sito con statistiche in tempo reale consultabile su: Worldometers.info.
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Anaffettività: non farla diventare una scusa per perdonargli tutto
“Non è che non mi ama… è che non è capace di amare, a causa di una specie di malattia del cervello che si chiama sindrome anaffettiva, o qualcosa del genere”.
Eccola qui, la nuova dilagante scusa che molte donne hanno trovato per giustificare un compagno non proprio attento. “Anaffettività”, un termine che ultimamente è diventato di uso corrente. In realtà le persone anaffettive sono quelle che hanno una reale e patologica difficoltà ad esprimere le loro emozioni. Spesso è la paura di soffrire (magari perché traumatizzate da un’esperienza negativa o da un vissuto difficile) a bloccarle, altre volte è proprio l’incapacità patologica a provare dei sentimenti. Un vero ‘anaffettivo’ ha un virtuale ‘buco nero’ nell’anima e – in alcuni casi – ha bisogno di aiuto medico specializzato per risolvere il suo disagio che nei casi più gravi può essere il sintomo di psicosi, nevrosi o altri disturbi.
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E se fosse solo un alibi?
Ma una cosa è un problema che richiede cure mediche, altra è un atteggiamento che non va scusato ma dal quale tenersi alla lontana. Un uomo distratto, che ha per la propria compagna poche attenzioni o al massimo frettolosi pensieri spesso solo quando ha bisogno di qualcosa, è semplicemente un cattivo partner. Senza etichette o scuse. Forse non è abbastanza innamorato di voi. Forse non tiene abbastanza al rapporto. Ma vero è che un conto è confessare a se stesse di essersi innamorate di un uomo che non ci ama e ci tratta male, altra è quella di credere che quell’uomo sia ‘anaffettivo’. Una giustificazione su misura, lo spirito da crocerossina che c’è in ogni donna si risveglia e la realtà fa molto meno male. Un alibi che fa comodo ad entrambe le parti: lui può continuare a fare letteralmente quello che vuole e la donna può continuare ad illudersi che lui sia l’uomo giusto, nonostante tutto.
Se credi di essere intrappolata o intrappolato in una relazione tossica o che il tuo partner o la tua partner sia anaffettivo o anaffettiva, prenota subito la tua visita e, grazie ad una serie di colloqui riservati, ti aiuterò a gestire ed a superare questa situazione.
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L’uomo moderno non più macho: la dipendenza dalle donne
A differenza di quella femminile, la dipendenza affettiva maschile è più mascherata e più drammatica. Un motivo è quello familiare e culturale: l’uomo è spinto a controllare le sue emozioni e gli affetti perché deve apparire forte. Come si esprime la dipendenza maschile? Essa si esprime attraverso tre diversi comportamenti:
- La ricerca del potere
- La paura di legarsi ed impegnarsi
- La freddezza, tecnicamente “l’anaffettività”.
Il potere
L’uomo dipendente cerca di dominare e di imporsi nel rapporto di coppia. Il potere è uno strumento che utilizza per nascondere al mondo la sua fragilità e cioè il suo personale bisogno di dipendenza ed è per questo motivo che cerca partner bisognosi di cure e affetto. Finché il partner accetta di recitare la parte del “debole”, il rapporto può mantenere un equilibrio. Se questi, spontaneamente o per effetto di un cambiamento, inizia a conquistare una maggiore autonomia o ricerca la parità, l’altro cerca di respingerlo nella condizione di dipendenza attraverso la manipolazione psicologica, tentando cioè di provocare nel partner dei sensi di colpa. Se il “debole” insiste nella rivendicazione, c’è il rischio che l’uomo prima s’incattivisca, minacciando l’abbandono, e poi, di fronte ad un processo irreversibile, crolli miseramente aggrappandosi ad essa.
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La paura di legarsi
Gli uomini – in genere – si vantano di essere indipendenti e liberi, cercano la libertà e rifuggono i legami eppure è raro che non abbiano legami. I legami poi o s’interrompono precocemente in nome della libertà o sono portati avanti, ma il partner è vittima di manipolazioni psicologiche e/o deprivazione affettiva. Quest’atteggiamento porta le donne a giudicare uomini del genere “figli di p…”. L’accusa però è impropria. Primo, perché in genere gli uomini che hanno non si vogliono legare hanno avuto madri iperprotettive e gelose. Secondo, perché “non lo fanno apposta”; l’uomo è in buona fede nel momento in cui entra in relazione e sente che quella è la donna giusta. Il problema si pone se l’uomo sente che il sentimento potrebbe condurlo a “qualcosa d’importante” e la paura raffredda ogni sua passionalità ed intenzione sentimentale.
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L’anaffettività
L’anaffettività è tipica di quegli uomini che invece cedono al bisogno di relazione, ma poi compensano la propria paura con un atteggiamento che non dà spazio al calore, alla tenerezza, ai gesti affettuosi. Quest’atteggiamento spesso porta all’esasperazione la partner perché è come se l’uomo stesse con lei per farle un piacere, ma manifestamente “scoglionato”. L’uomo anaffettivo inoltre è facilmente riconoscibile dal fatto che svaluta la sua partner. La strategia inconscia che sottende quest’atteggiamento è rivolta a convincere la partner di non avere alcun valore e, pertanto, di essere fortunata d’avere accanto un uomo il quale, nonostante i suoi difetti, la tollera. Tale strategia è ovviamente funzionale a evitare l’abbandono. Se essa funziona, di fatto, la donna finisce con lo svalutarsi, e di solito questo comporta l’insorgenza di disturbi di vario genere, ma soprattutto alla depressione.
Se la partner non ha una personalità depressiva e si oppone ai tentativi di squalifica del partner, avanzando una serie di rabbiose contestazioni volte a evidenziare i difetti dell’altro, quest’ultimo si arrabbia, passa gran parte del tempo a dire che lui è fatto così, se non le va bene può andarsene, tanto lui non ne ha bisogno e non sa che farsene. Intanto, ovviamente, continua a “pretendere” di essere accudito e più si sente debole e minacciato più aumentano le recriminazioni. Se la donna, alla fine, non ce la fa più e si allontana, i tentativi di ricondurla al suo posto sono incessanti, ma non si associano mai alla confessione dell’affetto e del bisogno. Quando essi riescono vani, e l’uomo non ce la fa ad avviare un altro rapporto con le stesse caratteristiche del precedente o, al limite, a rifugiarsi presso la madre, si danno paurosi crolli dell’identità personale.
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L’uomo e la ricerca della seconda mamma
Se si osserva oggettivamente il comportamento di un uomo a casa, si nota come essi esprimano un bisogno di affidamento totale alla partner femminile: farsi accudire (cibo, pulizia della casa, lavaggio e stiratura degli abiti, ecc.) a richieste ingiustificabili (farsi allungare un oggetto a portata di mano, chiedere dove stanno le cose, ecc.). Comportamenti del genere sono intollerabili per alcune donne, perché essi sono letti come impositivi e prepotenti. La prepotenza di fatto è oggettiva. Il motivo alla base di questo comportamento è che l’uomo ha bisogno di sondare la disponibilità della partner da un punto di vista “pratico” nei suoi confronti e da questa disponibilità ne ricava conferme affettive, così come la donna le donne le ricava dalle attenzioni, dalle tenerezze e dalle espressioni di affetto. La natura “mammona” dei maschi italiani in particolare è un luogo comune, ma molto più concretamente occorre riconoscere che, almeno nel contesto culturale italiano, parecchi figli maschi sono curati, iperprotetti e idolatrati dalla madre.
L’iperprotezione materna condiziona i figli a dipendere da una figura femminile, e ciò esaspera le donne evolute, soprattutto se esse lavorano, si tratta di un vero e proprio handicap, che si rende evidente in due circostanze; la partner si ammala, ha dei disturbi psicosomatici che esprimono il suo bisogno di sottrarsi al ruolo di madre. In tale circostanza, l’uomo si aggira per la casa come un cane bastonato, scopre, con frustrazione e con rabbia, la sua scarsa dimestichezza coi fornelli, con la lavatrice, col ferro da stiro, ecc. Le donne masochiste alla fine si trascinano fuori dal letto e continuano a fare le mamme affrante, le donne combattive invece assumono atteggiamenti più sadici, ma rischiano di aggravare ancor più la loro condizione fisica.
La seconda circostanza si realizza quando la donna, stanca di fare da madre e da serva all’uomo, decide di separarsene. Le conseguenze di questa decisione sono varie. Alcuni uomini, che non hanno mai manifestato un attaccamento particolare alla partner, crollano, si aggrappano a lei, la scongiurano di non lasciarli soli e promettono di cambiare. Altri si appellano a parenti ed amici per indurre un ripensamento nella partner, la colpevolizzano fino al giorno della comparsa di fronte al giudice. Altri reagiscono con indifferenza e con ma questo atteggiamento dura finché essi non capiscono che è finita per sempre. Quando avviene questa presa di coscienza, il comportamento indifferente si converte in uno dei due descritti in precedenza. Il problema è che gli uomini, non meno delle donne, sono vittime di una tradizione che impone loro di controllare le emozioni e l’affettività e di vergognarsene profondamente. La vergogna, è accentuata dal comportamento iperprotettivo delle madri italiane che, nell’intento cosciente di privilegiarli, finiscono, di fatto, con il determinare nei figli un bisogno incoercibile di dipendenza da una figura femminile.
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Sesso anale: le confessioni delle donne senza censura
In generale, il sesso anale non è la prima cosa che viene in mente quando si pensa a qualcosa da fare col proprio partner che possa piacere ad entrambi. Ma è Continua a leggere