Il calendario delle vaccinazioni obbligatorie per i vostri figli

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO BAMBINO PEDIATRA OSPEDALEQuali sono e quando far fare le vaccinazioni obbligatorie ai nostri figli? Sul tema il dibattito è ancora acceso e, secondo quanto denuncia il Ministero della Salute, le vaccinazioni dei piccolini sono effettivamente in calo e addirittura sono scese sotto il livello minimo previsto dal Piano nazionale di prevenzione vaccinale spingendo l’autorità ad intervenire concretamente, tutto ciò a causa di alcune teorie pseudo-scientifiche che si diffondono con estrema rapidità sul web. Ma di questo parlerò un’altra volta.

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Vaccinazioni obbligatorie: quali sono?

Le vaccinazioni obbligatorie per i bambini sono complessivamente quattro: antidifterica, antitetanica, antipoliomielitica e antiepatitevirale B. Le altre, quelle contro la pertosse, il morbillo, la parotite, la rosolia e l’Haemophilus influenzae b (Hib), sono invece facoltative, ma fortemente incentivate dal Sistema sanitario che ne suggerisce l’uso garantendone la gratuità.

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Modalità di somministrazione dei vaccini

Le modalità di somministrazione dei vaccini obbligatori sono sostanzialmente due: l’antidifterica e l’antitetanica, infatti, si possono somministrare insieme con il DT, il cosiddetto vaccino combinato, oppure – se i genitori acconsentono ad aggiungere alle prime due la vaccinazione facoltativa contro la pertosse – con il vaccino trivalente antidifterico-tetanico-pertossico (DTP).

Vaccinazioni obbligatorie: da 3 a 11 mesi

I bambini iniziano a sottoporsi alle vaccinazioni a partire dal terzo mese di vita quando, sostanzialmente, sono chiamati a fare il primo ciclo delle obbligatorie che sarà seguito da un secondo ciclo al quinto mese e da un terzo all’undicesimo.

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Vaccinazioni facoltative e richiami: da 13 mesi a 6 anni

A partire dai tredici mesi, e comunque entro i quindici, arriva quindi il momento delle vaccinazioni facoltative che poi devono essere ripetute al sesto anno di età quando si dovranno rifare anche tre delle quattro obbligatorie (ovvero antidifterica, antitetanica, antipoliomielitica). In questa occasione, poi, i bambini che avranno optato per il vaccino trivalente saranno nuovamente vaccinati anche contro la pertosse.

Vaccinazioni nell’adolescenza

Il rischio di difterite, tetano e pertosse, infine, verrà nuovamente combattuto con un ultimo ciclo di vaccinazioni tra i 14 e i 16 anni di età. Questo, in sostanza, è il calendario delle vaccinazioni obbligatorie e facoltative ma le scadenze non sono determinanti: se per qualche ragione si allungano infatti i tempi tra una dose e l’altra, infatti, l’efficacia del ciclo non viene compromessa a patto che questo venga portato a termine.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
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Febbre dopo vaccino: come curarla e quanto dura?

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO NEONATO PIANGE BAMBINO FEBBRE LACRIME DOLORE LATTANTEA vostro figlio è venuta la febbre dopo aver fatto il vaccino? E’ un fatto assolutamente comune e che non deve destare eccessiva preoccupazione. Molti genitori sono spaventati dalla possibilità che si verifichi questo effetto collaterale, specie col primo figlio, e quasi 2 su 10 preferiscono – anche per questo – addirittura evitare del tutto i vaccini, incuranti dei grandi rischi che questa scelta, sempre più comune, comporta. La vaccinazione, infatti, resta il modo più sicuro ed efficace di combattere alcune gravi malattie e la febbre che può comparire dopo le vaccinazioni non deve in alcun modo spaventare: ecco perché viene e quanto dura.

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Vaccini neonati (e bambini): perché viene la febbre?

Le vaccinazioni (sia quelle obbligatorie che quelle facoltative) agiscono tramite l’iniezione nell’organismo dei virus che devono prevenire anche se in forma attenuata o non più vivi per attivare gli anticorpi necessari ad ottenere l’immunità. La comparsa di questi microrganismi aggressivi nel corpo, però, stimola una risposta immediata e la difesa attuata come reazione dal corpo – specialmente in neonati e bambini – può manifestarsi con la comparsa di qualche episodio febbrile.

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Febbre da vaccino: quali sono le tempistiche

Sulla durata della febbre dopo i vaccini non esiste uno standard fisso ma, generalmente, l’aumento della temperatura si manifesta tra 2 e 24 ore dopo l’iniezione e scompare entro un paio di giorni. Fa eccezione il caso del vaccino trivalente (contro morbillo, parotite e rosolia): in questo caso, infatti, la febbre da vaccino può manifestarsi tra 5 e 15 giorni dopo la somministrazione.

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Febbre post vaccino: i rimedi

La cura per la febbre dopo il vaccino è la stessa consigliata in caso di febbre in età pediatrica. Tra le azioni indispensabili c’è quella di tenere i piccoli ben idratati (somministrando loro acqua, tè deteinato e succhi di frutta o spremute) rinfrescandoli spesso con panni umidi o impacchi di ghiaccio. Dietro consulto con il medico, poi, è possibile somministrare paracetamolo o creme specifiche per far passare il gonfiore dalla zona dove è stata praticata l’iniezione.

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Cos’è il vaccino esavalente? Quando, come e perché farlo?

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO VACCINO BAMBINI PUNTURA INIEZIONE SPALLACos’è il vaccino esavalente?

E’ una iniezione – generalmente da somministrare tre volte nel corso primo anno di vita del bambino, a 2, 5 e 12 mesi – che protegge i piccoli dal rischio di contrarre sei diverse malattie, vale a dire difterite, epatite B, infezioni da Haemophilus Influenzae tipo B, pertosse, poliomielite e tetano. Solo quattro di queste sei protezioni fanno parte delle vaccinazioni obbligatorie ma lo Stato – tramite il consenso informato – suggerisce e incentiva (assicurandone la gratuità) una copertura su tutti e sei i rischi di patologie. La protezione assicurata dal vaccino esavalente è molto lunga nel tempo e, per alcune delle patologie che combatte, può durare anche per l’intero arco della vita.

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Da cosa è composto il vaccino esavalente

Il vaccino esavalente è composto da tossoide difterico (contro la difterite), antigene di superficie ricombinante del virus dell’epatite B (appunto contro l’epatite B), polisaccaride dell’Haemophilus Influenzae tipo B (per combattere il rischio di infezioni da questo virus), antigeni della pertosse, virus inattivati della poliomielite tipo 1, 2 e 3 e tossoide tetanico oltre che aminoacidi, sali minerali e vitamine.

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Effetti collaterali vaccino esavalente

Le reazioni allergiche gravi al vaccino esavalente sono estremamente rare mentre è comune che, qualche ora dopo la somministrazione della vaccinazione, il bambino lamenti una sensazione di gonfiore e dolore nella zona dove è stata praticata l’iniezione (che, tra l’altro, potrebbe arrossarsi leggermente). La febbre dopo vaccino esavalente e una diminuzione dell’appetito seguita da irritabilità e sonnolenza sono reazioni normali a circa 48 ore dopo la vaccinazione.

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Richiamo vaccino esavalente

Oltre alle tre dosi da somministrare durante il primo anno di vita, per la poliomielite è previsto un richiamo a 6 anni mentre difterite, tetano e pertosse richiedono altri due richiami, il primo a 6 anni e il secondo a 14.

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Poliomielite: cause, sintomi, diagnosi, importanza del vaccino e controindicazioni

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO VACCINO BAMBINI PUNTURA INIEZIONE SPALLA (2)Cos’è la poliomielite e come si trasmette?

La poliomielite è una grave malattia infettiva altamente contagiosa che colpisce il sistema nervoso centrale e si trasmette per via oro-fecale (attraverso l’ingestione di prodotti contaminati, tramite saliva dei soggetti ammalati o tramite contatto con le feci di persone colpite dal virus). La poliomielite è stata riconosciuta come malattia da Jakob Heine nel 1840, mentre il suo agente eziologico, il poliovirus, è stato identificato nel 1908 da Karl Landsteine.

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Classificazione della poliomielite

La poliomielite si presenta, generalmente, in tre forme distinte: la prima (poliomielite abortiva) porta solo a febbre alta senza interessare il sistema nervoso, la seconda (meningite asettica) porta a una paralisi lieve e momentanea, mentre la terza – che è la forma più grave in assoluto – comporta sia febbre che “paralisi flaccida” acuta che porta gli arti inferiori a perdere molto velocemente tono muscolare fino a diventare, appunto, flaccide (oltre che paralizzate).

Sintomi della poliomielite

Sebbene circa il 90% delle infezioni da polio non causi sintomi, gli individui affetti possono presentare una serie di condizioni se il virus entra nella circolazione sanguigna. In circa l’1% dei casi, il virus penetra nel sistema nervoso centrale, dove colpisce di preferenza i neuroni motori, portando a debolezza muscolare e paralisi flaccida acuta. A seconda dei nervi coinvolti, possono presentarsi diversi tipi di paralisi. La polio spinale è la forma più comune, caratterizzata da paralisi asimmetrica che spesso coinvolge le gambe. La polio bulbare porta alla debolezza dei muscoli innervati dai nervi cranici. La polio bulbospinale è una combinazione di paralisi bulbare e spinale.

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Cause della poliomielite

La poliomielite è causata dall’infezione con un virus appartenente al genere degli enterovirus, noto come poliovirus (PV). Questi virus a RNA colonizzano il tratto gastrointestinale, specificamente l’orofaringe e l’intestino. Il periodo di incubazione, ovverosia il tempo tra la prima esposizione e i primi sintomi, varia da tre a 35 giorni, con un arco più comune che va dai sei ai venti giorni. Il poliovirus infetta e provoca la malattia soltanto negli esseri umani. La sua struttura è molto semplice: è composto da un genoma a RNA racchiuso in un involucro proteico chiamato capside. Oltre a proteggere il materiale genetico del virus, le proteine del capside consentono al poliovirus di infettare alcuni tipi di cellule. Tre sierotipi di poliovirus sono stati identificati: il poliovirus di tipo 1 (PV1), di tipo 2 (PV2) e di tipo 3 (PV3), ognuno con una proteina del capside leggermente diversa. Tutti e tre sono estremamente virulenti e producono gli stessi sintomi della malattia. PV1 è la forma che si riscontra più frequente e quella più strettamente correlata alla paralisi. Gli individui che sono esposti al virus, tramite infezione o tramite l’immunizzazione con il vaccino antipolio, sviluppano l’immunità. Negli individui immuni, gli anticorpi IgA contro il poliovirus sono presenti nelle tonsille e nel tratto gastrointestinale e sono in grado di bloccare la replicazione del virus mentre gli anticorpi IgG e IgM possono prevenire la diffusione del virus ai neuroni motori del sistema nervoso centrale. L’infezione o la vaccinazione con un sierotipo di poliovirus non fornisce immunità contro gli altri sierotipi e l’immunità completa richiede l’esposizione a ciascun sierotipo.

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Trasmissione della poliomielite

La poliomielite è altamente contagiosa e si può trasmettere per via oro-orale (fonte orofaringea) e fecale-orale (di origine intestinale). Nelle aree endemiche, il poliovirus può infettare praticamente l’intera popolazione umana. Il virus si presenta per lo più stagionalmente nelle fasce climatiche temperate, con il picco di trasmissione che si verifica in estate e in autunno. Queste differenze stagionali sono molto meno pronunciate nelle aree tropicali. Il periodo di incubazione è di solito compreso tra sei e venti giorni, con un intervallo massimo che va dai tre ai trentacinque giorni. Dopo l’infezione iniziale le particelle virali sono escrete, per diverse settimane, con le feci, che pertanto risultano infette. La malattia si trasmette principalmente per via fecale-orale, con l’ingestione di cibo contaminato o acqua. Talvolta viene trasmessa via oro-orale, una modalità di trasmissione più comune nelle zone in cui vi è una buona igiene. La poliomielite è maggiormente infettiva tra i sette e i dieci giorni prima e dopo la comparsa dei sintomi, ma la trasmissione è possibile finché il virus rimane nella saliva o nelle feci. I fattori che aumentano il rischio di infezione da polio o influenzano la gravità della malattia comprendono: deficienza immunitaria, malnutrizione, tonsillectomia, attività fisica subito dopo l’inizio della paralisi, lesioni muscolo-scheletriche a causa di iniezione di vaccini e la gravidanza. Anche se il virus può attraversare la placenta, il feto non sembra essere influenzato da una infezione materna o dalla vaccinazione contro la polio. Anche gli eventuali anticorpi materni possono attraversare la placenta, fornendo l’immunità passiva che protegge il neonato dalle infezioni da polio durante i primi mesi di vita. Come precauzione contro le infezioni, durante le epidemie di poliomielite le piscine pubbliche delle zone colpite sono state spesso chiuse.

Diagnosi della poliomielite

La poliomielite paralitica può essere clinicamente sospettata in individui che con insorgenza acuta di paralisi flaccida a livello di uno o più arti e riflessi tendinei diminuiti o assenti negli arti colpiti, con conservazione delle funzioni sensoriale o cognitiva e in assenza di altre cause apparenti. Una diagnosi di laboratorio può essere effettuata in seguito all’isolamento del poliovirus in un campione di feci o in un tampone faringeo. Gli anticorpi anti-poliovirus possono essere trovati nel sangue durante la fase infettiva. L’analisi del liquido cerebrospinale (CSF) del paziente, prelevato tramite puntura lombare, mostra un elevato numero di globuli bianchi (principalmente linfociti) e un lieve incremento nella concentrazione proteica. L’individuazione del virus nel liquor attesta l’avvenuta infezione del sistema nervoso centrale ed è pertanto diagnostica per la polio paralitica, sebbene ciò si verifichi raramente. Se il poliovirus è isolato da un paziente che presenta paralisi flaccida acuta, viene ulteriormente testato tramite mappatura genetica o, più recentemente, mediante reazione polimerasica a catena (PCR), per determinare se esso è “wild type” (cioè, il virus che si incontra in natura) o “da vaccino” (derivato da un ceppo del virus della poliomielite utilizzato per produrre il vaccino antipolio). È importante determinare l’origine del virus, poiché per ogni caso segnalato di polio paralitica causato da poliovirus selvaggi si stima che possano esistere altri 200 a 3000 portatori asintomatici contagiosi.

Vaccino poliomielite

Il vaccino anti-polio, contro la poliomielite, come quella contro la difterite, l’epatite b e il tetano fa parte delle vaccinazioni obbligatorie per i neonati. Per l’immunizzazione dei nuovi nati, infatti, viene utilizzato il vaccino esavalente che viene somministrato in tre dosi, da praticare entro il primo anno di vita (al 3, 5 e 11 mesi), e in un richiamo da effettuare tra il 5 e i 6 anni. Esistono due tipi diversi di vaccino, quello inattivato (o di Salk) e quello vivo attenuato (o di Sabin), ma in Italia viene praticato solo il primo, mentre il Ministero della Salute mantiene una scorta del secondo in caso di emergenza.

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Controindicazioni vaccino

Non esistono controindicazioni alla vaccinazione nei bambini sani che possono essere vaccinati senza alcun pericolo. Se sono invece presenti malattie infettive in forme acute, con febbre o con diarrea, è preferibile rimandare la vaccinazione al momento in cui il piccolo abbia recuperato la buona salute. Oltre a questo, poi, è consigliato attendere almeno 4 settimane dall’iniezione prima di sottoporsi all’asportazione di tonsille o adenoidi.

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Prevenire le infezioni nel bambino: l’importanza dei vaccini

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO VACCINO BAMBINI PUNTURA INIEZIONE SPALLA (2)L’influenza è una malattia che ogni anno, soprattutto durante la stagione invernale, colpisce fino al 30% dei bambini a livello mondiale ma prevenirla si può e la vaccinazione resta il mezzo più efficace. Ciò spiega perché le autorità sanitarie di molti Paesi concordino nel raccomandarla non soltanto negli anziani e nei pazienti di ogni età con fattori di rischio ma anche in bambini sani, come avviene già negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Anche il nostro Paese sembra aver reso ufficiale questa linea di pensiero come emerge dal Calendario per la Vita 2016, attualmente al vaglio del Ministero della Salute, in cui si evidenzia da parte dei pediatri e medici di medicina generale una forte e univoca raccomandazione all’estensione della vaccinazione antinfluenzale anche ai bambini sani dell’età prescolare.

Vaccino antinfluenzale nei bambini

“I bambini fino ai 5 anni di età, gli anziani sopra i 64 anni e tutti coloro che soffrono di malattie croniche gravi  – afferma la prof.ssa Susanna Esposito, presidente del Congresso, direttore dell’Unità di Pediatria ad Alta Intensità di Cura del Policlinico dell’Università degli Studi di Milano e presidente WAidid, Associazione Mondiale per le Malattie Infettive e i Disordini Immunologici – sono i soggetti a maggior rischio di forme particolarmente gravi che possono comportare la necessità di ricovero ospedaliero o, più raramente, condurre alla morte. L’influenza può avere un decorso particolarmente negativo soprattutto quando i virus responsabili dell’infezione sono strutturalmente diversi da quelli che avevano circolato negli anni precedenti, come si verifica nelle pandemie”. Esistono numerosi fattori per considerare il bambino, anche quello sano, come target di interesse per la vaccinazione contro l’influenza:

  • Il bambino da 0 a 5 anni si ammala d’influenza circa 10 volte più di frequente dell’anziano e circa 5 volte più dell’adulto.
  • Il bambino da 6 a 14 anni si ammala d’influenza circa 8 volte più di frequente dell’anziano e circa 4 volte più dell’adulto.
  • I bambini rappresentano i principali soggetti responsabili della trasmissione dell’influenza nella popolazione.
  • L’ospedalizzazione per influenza del bambino sotto i 2 anni avviene con proporzioni superiori a quelle del paziente anziano.

Recentemente l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha raccomandato lo sviluppo di vaccini quadrivalenti invece che trivalenti in considerazione del frequente fenomeno del ‘mismatch’ (mancata corrispondenza) tra ceppi di virus B circolanti e ceppi presenti nel vaccino. Da oltre 30 anni, infatti, il vaccino contro l’influenza è stato preparato con due tipi di virus del gruppo A, l’A/H1N1 e l’A/H3N2, e un virus del gruppo B, i principali responsabili dell’influenza nell’uomo. I dati epidemiologici, in effetti, hanno dimostrato la concomitante e consistente presenza di ambedue i ceppi (o lineage) B-Victoria e BYamagata spesso (come nella stagione influenzale dello scorso anno) con una predominanza o importante circolazione del ceppo non presente nel vaccino e, conseguentemente, con un maggior rischio di complicanze per la popolazione target della vaccinazione.

L’inclusione di ceppi dei due lineage di virus B (Yamagata e Victoria) è pertanto raccomandata per i vaccini antinfluenzali da utilizzare da ora in poi, e quindi i vaccini quadrivalenti andranno progressivamente a sostituire per raccomandazione gli attuali vaccini split o subunità trivalenti a partire dai 3 anni di età (in quanto attualmente sono ancora in corso studi di efficacia e sicurezza per l’approvazione anche nei primi 3 anni di vita).

Immunostimolanti e probiotici

Non solo influenza e vaccino antinfluenzale, ma anche immunostimolanti e probiotici, tra i temi ampiamente discussi al Congresso. In Italia, il 25% dei bambini nei primi anni di vita soffre di infezioni respiratorie ricorrenti (IRR) e ciò è dovuto principalmente all’immaturità del loro sistema immunitario e alla presenza di fattori ambientali che aumentano il rischio di esposizione ad agenti patogeni. Tra le strategie di prevenzione più efficaci, vi è la somministrazione di immunostimolanti/immunomodulatori come il pidotimod e l’OM-85. A tal proposito, un nuovo studio è stato recentemente avviato dall’Unità di Pediatria ad Alta Intensità di Cura del Policlinico dell’Università degli Studi di Milano con l’obiettivo di raccogliere ulteriori dati sull’efficacia e la sicurezza dell’immunostimolante/immunomodulatore OM-85 nei bambini con una storia di infezioni respiratorie ricorrenti, analizzando anche l’impatto di OM-85 sul microbiota respiratorio e intestinale.

“Nonostante si tratti di infezioni generalmente lievi – sottolinea Esposito – le IRR hanno un impatto medico, familiare e socio-economico rilevante e questo spiega perché diverse strategie di prevenzione, tra cui la somministrazione di immunostimolanti/immunomodulatori, vengano utilizzate nel tentativo di ridurre la loro incidenza. Dati recenti sebbene non ancora definitivi hanno dimostrato, poi, il ruolo primario del microbiota respiratorio e intestinale nell’aumentare il rischio di recidive respiratorie e l’impatto negativo degli antibiotici sul microbiota. Queste informazioni risultano essere di particolare interesse considerando che alcuni immunostimolanti/immunomodulatori agiscono proprio sull’immunità innata intestinale a seguito della somministrazione per via orale”.

Il microbiota intestinale e di qui l’utilizzo dei probiotici, sembra avere un ruolo importante non soltanto nelle patologie respiratorie ma anche in ambito neurologico. Nuovi studi clinici hanno dimostrato, infatti, una stretta correlazione tra intestino e cervello: un’alterazione nel microbiota, cioè il patrimonio genetico dei batteri che servono al nostro organismo per i processi vitali, determinata da infezioni batteriche o utilizzo frequente di antibiotici, potrebbe contribuire allo sviluppo dei sintomi dell’autismo.

“Il microbiota riveste nell´intestino importanti funzioni fisiologiche – sottolinea Esposito– quali la maturazione del sistema immunitario, la degradazione di macromolecole alimentari complesse, la detossicazione, la produzione e l´assorbimento di vitamine e minerali, influenzando anche il comportamento. Il sistema immunitario ha sviluppato degli strumenti per convivere con il microbiota, ma anche per tenerlo sotto controllo. Quando questo controllo viene meno, avviene la disbiosi, cioè una de-regolamentazione delle comunità batteriche che non si manifesta sempre con diarrea o stipsi, ma può portare ad altri disturbi infiammatori, in alcuni casi come chiara patologia infiammatoria gastro-intestinale ma anche come allergie, obesità o diabete e, non ultimo, l’autismo. La possibilità di interventi specifici per modificare la qualità del microbiota apre, quindi, la prospettiva ad una serie di nuovi approcci terapeutici nel trattamento dei sintomi dell’autismo, tra cui l’utilizzo dei probiotici”.

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L’influenza 2016/17 sarà più aggressiva, ecco perché e come difendersi

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO RAFFREDDORE RINITE INFLUENZA FEBBRE TOSSE MAL DI GOLA SINUSITE FREDDO NASO CHE COLA BAMBINI BIMBI (3)Perché si dice che quest’anno l’influenza sarà più prepotente che mai? Principalmente per due fattori: il largo anticipo con cui è stato isolato il virus (e questo vuol dire che c’è un rischio di maggiore diffusione anche tra le persone che solitamente si vaccinano) e poi perché sono stati isolati due virus che contengono delle mutazioni che potrebbero favorire una maggiore circolazione dell’influenza. Proprio per questi motivi i medici faranno maggiore pressione sui propri pazienti per non sottovalutare i rischi e vaccinarsi, soprattutto i soggetti che sono più a rischio di complicazioni (chi ha superato i sessantacinque anni ed i malati cronici), ma anche i bambini e gli adulti sopra i 50 anni.

Quando vaccinarsi?

Il picco stagionale è previsto per gennaio 2017: considerando che il vaccino impiega come minimo due settimane per attivare il suo potere immunizzante, si consiglia di vaccinarsi entro novembre. In Italia il numero delle persone che sceglie di immunizzarsi contro l’influenza è in continuo calo (in generale siamo sotto al 20%, e tra gli anziani la percentuale è scesa dal 70 a sotto il 50%); è previsto che l’influenza 2016/2017 possa costringere a letto circa sei milioni di italiani.

Sintomi, segni e durata per adulti e bambini

I sintomi e segni dell’influenza generici più o meno abbiamo imparato a riconoscerli tutti nel corso della nostra vita: possono essere diversi e solitamente si manifestano dopo 1/4 giorni dal momento del contagio. Febbre più o meno alta, malessere generale, raffreddore, tosse, mal di testa, nausea, dolori muscolari, inappetenza, astenia (mancanza di forze), diarrea e vomito sono i sintomi principali. Molti non lo sanno, ma chi è malato di influenza può contagiare gli altri anche a distanza di un paio di metri; principalmente i virus si diffondono tramite le goccioline di saliva che vengono emesse starnutendo tossendo, ma anche semplicemente parlando. Ma è possibile essere contagiati anche toccando un oggetto o una superficie contaminata e poi avvicinando la mano alla bocca o al naso.
In media gli adulti possono essere contagiosi per circa 5/7 giorni a partire dal giorno prima che si manifestino i sintomi (questo vuol dire che si può essere contagiosi anche prima di sapere di essere malati), mentre i bambini possono trasmettere l’affezione anche per più di sette giorni. Può capitare che alcune persone infette non sviluppino nessun sintomo particolare, ma anche in questi casi corrono il rischio di trasmettere il virus ad altre persone.

Come evitare il contagio

Per evitare di essere contagiati bisognerebbe prendere alcuni accorgimenti. Sembra ovvio e scontato dirlo, ma bisognerebbe stare alla larga dalle persone che hanno già preso l’influenza (e loro dovrebbero starsene a casa per curarsi meglio ed evitare rischi per gli altri); questo vuol dire anche non utilizzare i loro stessi piatti o posate se non dopo averli lavati con attenzione e pulire e disinfettare le superfici di casa (o scuola o posto di lavoro); è molto importante anche lavarsi le mani spesso. Nel periodo di massima diffusione del virus si dovrebbero evitare i luoghi chiusi e affollati e limitare i contatti fisici. Chi ha contratto il virus dovrebbe coprirsi naso e bocca quando starnutisce o tossisce (e poi lavarsi le mani) e buttare immediatamente il fazzoletto di carta usato, che è una vera e propria scoria infetta. Non sarebbe una cattiva idea neanche cambiare lo spazzolino da denti, visto che i virus possono rimanervi fino a sette giorni.

I rimedi per superare l’influenza

Il vaccino antinfluenzale è l’unica arma specifica per combattere questa affezione; gli antivirali non rappresentano un’alternativa e possono essere presi solo su indicazione del medico; i soggetti che non corrono il rischio di complicazioni possono anche ricorrere ai medicinali sintomatici(ad esempio la Tachipirina per la febbre), ma sempre meglio chiedere al dottore. Ma non vanno messi in secondo piano i classici rimedi della nonna, ovvero delle semplici soluzioni che possono fornire qualche tipo di protezione nei confronti dell’antipatico virus. Il grande classico in questi casi è il brodo di pollo: contiene delle proteine che rinforzano il nostro sistema immunitario e, se viene consumato caldo, può avere effetti fluidificanti su catarro e muco. Cipolla e aglio magari non faranno profumare l’alito, ma hanno delle importanti proprietà antisettiche. Il miele aiuta a calmare le crisi di tosse e favorisce la fluidificazione del catarro; fare dei suffumigi con acqua calda e magari qualche essenza balsamica può essere molto utile per contrastare tosse e congestione nasale. Infine bisogna fare attenzione alla dieta: no ai cibi grassi o particolarmente conditi e spazio a frutta e verdura e a piatti leggeri; è molto importante l’idratazione (specialmente per chi soffre di virus intestinale, visto che con diarrea e vomito si perdono tanti liquidi).

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Albert Bruce Sabin, il medico che fece un regalo a tutti i bambini del mondo

Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Specialista in Medicina Estetica Roma MITO ALBERT BRUCE SABIN VACCINO POLIO Radiofrequenza Rughe Cavitazione Cellulite Luce Pulsata Peeling Pressoterapia Linfodrenante Mappatura Nei Dietologo DermatologiaIl mio mito è il medico polacco Albert Bruce Sabin. Non lo conoscete? Sappiate che voi stessi o qualche vostro parente siete probabilmente vivi o comunque in salute anche grazie a quel simpatico signore che vedete in questa foto.

Questo grande uomo creò il vaccino anti-poliomielite, salvando la vita a decine di milioni di bambini. Grazie a questa sensazionale scoperta Sabin sarebbe potuto diventare uno degli uomini più ricchi della terra, ed invece non brevettò la sua invenzione, rinunciando allo sfruttamento commerciale da parte delle industrie farmaceutiche, facendo in modo che il prezzo del farmaco rimanesse estremamente basso ed alla disponibilità di tutti, anche dei più poveri, salvando milioni di bambini da una terribile malattia. A chi gli chiese il perché di questa sua decisione, lui rispose:

«Tanti insistevano che brevettassi il vaccino, ma non ho voluto. È il mio regalo a tutti i bambini del mondo»

Il mio mito è Albert Bruce Sabin, l’uomo che ha preferito non arricchirsi per regalare la vita a milioni di bambini nel mondo.

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Aids: così è nato il primo vaccino terapeutico per bambini

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I ricercatori del gruppo guidato dal dottor Paolo Palma, a cui va tutta la mia stima per i risultati ottenuti

Il primo vaccino terapeutico pediatrico al mondo contro l’hiv è stato sperimentato con successo all’Ospedale pediatrico “Bambino Gesù” di Roma. Lo studio, durato due anni e condotto su due gruppi di 10 bambini infetti, è stato pubblicato sulla rivista scientifica open source “PLOS ONE”, una scelta legata alla possibilità per ricercatori di ogni paese di accedere immediatamente e gratuitamente ai risultati della ricerca per proseguirne la strada. Il successo di questo vaccino potrebbe ridurre il rischio dei fallimenti terapeutici legati alla ridotta aderenza nel tempo alle cure antiretrovirali. Si parla in questi casi di vaccini “terapeutici” in quanto servono a curare persone già infette: non esiste al momento un vaccino profilattico anti Hiv.

“Il vaccino sperimentato è stato realizzato dal Karolinska Institutet di Stoccolma secondo le specifiche dei nostri ricercatori – spiega Paolo Palma, immunoinfettivologo del Bambino Gesù dell’equipe del professor Paolo Rossi che ha compiuto lo studio in collaborazione con la cattedra di Pediatria dell’Università di Roma “Tor Vergata” -. Nel soggetto infetto, in questo caso un bambino, viene somministrato il dna di una specifica proteina del virus dell’Hiv. Queste informazioni genetiche introdotte nelle cellule del paziente stimolano la risposta immunologica dell’organismo. La cellula umana che riceve il dna dell’Hiv inizia a sintetizzarla, migliorando la risposta immunitaria verso il virus. Fino a qualche anno fa sperimentare su un bambino era ritenuto non etico, oggi la situazione è completamente ribaltata e il bambino necessita di una sperimentazione pediatrica sempre più attenta alle sue esigenze”.

Lo studio è stato effettuato su 20 bambini con infezione verticale da Hiv. I 10 di loro cui è stato somministrato il vaccino hanno sviluppato un significativo aumento della reattività al virus dell’Hiv a differenza del gruppo che non lo ha ricevuto. I dati raccontano che dopo circa 7 anni dall’inizio della terapia antiretrovirale, il 50 per cento dei soggetti va incontro al fallimento terapeutico. Altro rischio della mancanza di continuità nel seguire la terapia è l’insorgere di virus resistenti alle cure antiretrovirali. “Per validare lo studio abbiamo avuto bisogno di arruolare un gruppo di controllo della stessa età con range o età comparabile per capire se le capacità di vaccinazione beneficiassero di aspetti positivi – prosegue Palma -. In età adolescenziale c’è una totale ribellione alla malattia e all’utilizzo dei farmaci. Con questo studio vogliamo arrivare a prevenire un eventuale fallimento terapeutico che può verificarsi intorno ai 9/10 anni e aiutare il sistema immunitario del ragazzo a sviluppare nuove possibilità terapeutiche”.

L’importanza di questo trial ha spinto i ricercatori del Bambino Gesù a pubblicare lo studio sulla più prestigiosa rivista scientifica open source PLOS ONE (“Una scelta dettata dalla possibilità di far interagire il nostro studio con i ricercatori di tutto il mondo. Siamo molto aperti a miglioramenti e indicazioni da parte di tutti”, spiega Palma). La trasmissione materno-infantile dell’Hiv è un problema che riguarda soprattutto paesi poveri o poco sviluppati e la pubblicazione su una piattaforma gratuita permetterà a chiunque di seguire la strada tracciata dallo studio del Bambino Gesù. Grazie ai risultati dello studio sarà possibile procedere alla fase successiva della sperimentazione che prevede la somministrazione precoce della terapia antiretrovirale, la successiva somministrazione del vaccino e, nell’adolescenza, la possibile sospensione della terapia antiretrovirale per periodi di tempo ristretti e sotto monitoraggio.

“La fase attuale è quella di vedere se le risposte avute in laboratorio, fino adesso eccezionali, si possono tramutare in qualcosa di più concreto fino ad arrivare alla formulazione di un vaccino terapeutico sicuro – conclude Palma -. In pratica, se vado a sospendere la terapia che cosa succede? Noi vogliamo arrivare a dare una risposta . Per farlo serve l’aiuto di tutti. Fino ad oggi ho avuto una straordinaria risposta da parte di ricercatori italiani che hanno offerto il proprio contributo, a titolo gratuito, allo studio. Ora dobbiamo pensare ad un ambito più europeo, al fine di arrivare ad attirare gli investimenti giusti per proseguire la ricerca e fare in modo di dare risposte efficaci”.

DAL 2001 AL 2012 -52% DI CASI BAMBINI INFETTI

Il 1° dicembre è la giornata mondiale contro l’aids. A fine 2012, secondo il rapporto globale 2013 Joint United Nations Programme on HIV/AIDS (UNAIDS) , erano 35.3 milioni le persone affette in tutto il mondo. Nell’ultimo anno ci sono stati più di 2 milioni di nuovi infetti (-33% rispetto ai 3.4 milioni di nuovi infetti del 2001). In calo le morti per AIDS che sono passate dai 2.3 milioni del 2005 ai 1.6 milioni del 2012. Sensibilmente in calo anche il numero di nuovi infetti in età pediatrica: si è passati infatti dai 550 mila del 2005 ai 260 mila del 2012. Nonostante questo, l’accesso ai trattamenti antiretrovirali nella popolazione pediatrica è circa la metà rispetto alla popolazione adulta (34% di bambini infetti trattati contro il 65% degli adulti). In alcuni Paesi solo 3 bambini su 10 ricevono le cure appropriate. A dicembre 2012, 900 mila donne incinte infette da Hiv hanno ricevuto cure antiretrovirali. La copertura è passata dal 57 per cento del 2011 al 63 per cento del 2012. Dal 2001 al 2012 c’è stata una riduzione del 52 per cento di casi di bambini infetti. Espandere l’accesso ai servizi di prevenzione della trasmissione materno-infantile ha evitato a più di 670 mila bambini di nascere infetti tra il 2009 e il 2012. Attualmente presso il Bambino Gesù sono seguiti 104 pazienti (più di 40 sono stati trasferiti con successo presso i centri dell’adulto). Di questi, 55 sono stranieri provenienti da zone ad alta endemia. Dalla metà del 2006 sono state effettuate 25 nuove diagnosi.

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