Perdita di appetito: cause, ansia, stanchezza, tumore, cure

MEDICINA ONLINE DIGIUNO INTERMITTENTE TERAPEUTICO WARRIOR DIET GUERRIERO DIETA DIMAGRIRE NOTTE COLAZIONE PRANZO MUSCOLI CALORIE PALESTRA FA BENE FA MALE SALUTE PROTEINE DIGESTIONECon perdita dell’appetito (o “mancanza di appetito” o “precoce senso di sazietà” o “inappetenza”) ci si riferisce fondamentalmente:

 

Cachessia: oncologica, terminale, senile, significato e rimedi

MEDICINA ONLINE DIAGNOSI DIFFERENZIALE ESEMPIO DISPNEA MEDICO PAZIENTE ANAMNESI VISITA ESAME OBIETTIVO IDIOPATICO SINTOMI DOLORE STUDIO OSPEDALE AMBULATORIO CONSIGLIO AIUTO DOTTORE INFERMIERE PRESCRIZIONE FARMACOLa cachessìa (o sindrome da deperimentoo sindrome da disfacimento o ancora wasting syndrome) è un insieme di sintomi come perdita di peso, atrofia muscolare, stanchezza, debolezza e perdita di appetito tipica di alcune condizioni e patologie, specie tumori ed Continua a leggere

Tumore al polmone operabile ed inoperabile: stadiazione

MEDICINA ONLINE TUMORE POLMONE STADIAZIONE CLASSIFICAZIONE TNM CANCRO LINFONODI ASSENZA PRESENZA METASTASI SIGNIFICATO SIGLE ACRONIMO PROGNOSI DIAGNOSI SCHEMA TABELLALe forme di carcinoma polmonare vengono classificate in base a vari fattori:

  • “T” indica l’estensione e la localizzazione del tumore;
  • “N” indica coinvolgimento linfonodale;
  • “M0” indica l’assenza di metastasi;
  • “M1” indica la presenza di metastasi;
  • il numero accanto alla lettera indica la gravità (maggiore è il numero e maggiore è la gravità).

Continua a leggere

Tumore al polmone: aspettativa di vita, sopravvivenza, fase terminale

Il tumore al polmone è una delle neoplasie più frequenti e letali. Nel 2016, solo in Italia, sono stati diagnosticati più di 41mila nuovi casi e sono stati registrati circa 33mila decessi. La maggior parte (oltre il 95%) delle neoplasie polmonari maligne è rappresentato dal carcinoma del polmone, mentre meno dello 0,5% è rappresentato da Continua a leggere

È incinta e perde peso: “Sono felice”. Ma in realtà è un cancro incurabile all’intestino

MEDICINA ONLINE GRAVIDANZA INCINTA DIARREA FECI LIQUIDE FETO PARTO CESAREO DIETA FIBRA GRASSI ZUCCHERI PROTEINE GONFIORE ADDOMINALE MANGIARE CIBO PRANZO DIMAGRIRE PANCIA PESO INTESTINOQuando si è accorta di aver perso circa 10 kg in una settimana, Caroline Dick si è detta subita entusiasta. La donna, 42enne scozzese, portava in grembo il suo Maxx, che oggi ha 3 anni. Pensava che fosse solo “fortunata” a perdere peso mentre il bimbo cresceva dentro di lei: non aveva idea del fatto che proprio quella gravidanza stesse mascherando una malattia incurabile. Caroline infatti era stata colpita da un cancro dell’intestino che ha portato alla rimozione della vagina, del colon e del retto. All’epoca, sebbene la sua fosse stata considerata una “gravidanza normale” e aumentasse di peso con Maxx, la donna aveva notato che le sue braccia e le sue gambe si stavano assottigliando. Inizialmente non si è soffermata su questo aspetto. Ma dopo essersi accorta che il suo peso continuava a diminuire anche dopo che il bimbo era nato, ha capito che c’era qualcosa non andava.

Cancro diffuso

Quando Maxx aveva ormai compiuto un anno, le è stata data la sconvolgente notizia: cancro all’intestino al quarto stadio. Caroline, originaria di Uphall, West Lothian, ha ammesso come quella diagnosi, nel dicembre 2015, l’abbia sconvolta totalmente. “È stato davvero difficile e lo stress di tutto quel periodo ha portato alla rottura della mia relazione con il padre di Maxx”. In precedenza aveva sofferto di dolore al coccige, spossatezza e sangue nelle sue feci. “Non avevo idea che tutte queste cose fossero dovute al cancro dell’intestino. L’ho sempre considerata come una malattia tipica di una persona anziana” prova a spiegare. Inizialmente, la chirurgia e la chemioterapia sembravano aver funzionato, ma un anno, alla fine del 2016, Caroline ha scoperto che la malattia si era diffusa nelle aree vaginali e rettali e che avrebbe avuto bisogno di nuovi interventi chirurgici. Ma le sorprese amare non erano ancora finite.

Sensibilizzare l’opinione pubblica

Poche settimane dopo essersi sottoposta ad una isterectomia completa, vaginectomia e alla rimozione del colon e del retto al Royal Edinburgh Hospital nel giugno 2017, i medici le hanno detto il tumore ai polmoni era troppo pericoloso da rimuovere e il suo cancro era oramai incurabile. “Mi hanno che mi restano solo alcuni anni, tutto quello che possono offrirmi è la chemioterapia palliativa, per farmi vivere più a lungo possibile. Da allora, ho fatto un trattamento di chemioterapia ogni due settimane per tre giorni.” Ora la signora Dick sta cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica sul cancro dell’intestino nei giovani come parte della campagna Bowel Cancer UK e Beating Bowel Cancer Never Too Young: “Le persone devono essere consapevoli dei sintomi e penso che i medici debbano essere più consapevoli che ciò può accadere a tutti. Spesso le diagnosi avvengono troppo tardi”.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!

Sto per morire: le 7 fasi di elaborazione del dolore e della morte

MEDICINA ONLINE MORTE COSA SI PROVA A MORIRE TERMINALE DEAD DEATH CURE PALLIATIVE TERAPIA DEL DOLORE AEROPLANE TURBINE CHOCOLATE AIR BREATH ANNEGATO TURBINA AEREO PRECIPITA GRATTACIELO GLa psichiatra svizzera Elisabeth Kübler-Ross è diventata celebre grazie al suo trattato “La morte e il morire” (Assisi, Cittadella, 1976 edizione originale 1969) in cui definisce i cinque stadi di reazione alla prognosi mortale, che sono i seguenti: rifiuto, rabbia, negoziazione, depressione ed accettazione, a tal proposito leggi anche: Elaborazione del lutto: le 5 fasi che attraversa chi sta per morire

A tali 5 fasi negli anni sono state aggiunte ulteriori due fasi: shock e speranza, che nelle 5 fasi iniziali erano incluse rispettivamente nella fase del rifiuto e dell’accettazione. Le 7 fasi sono quindi:

  1. shock;
  2. rifiuto;
  3. rabbia;
  4. negoziazione;
  5. depressione;
  6. accettazione;
  7. speranza.

Leggi anche: Mark Sloan e il recupero fittizio: il mistero del cervello pochi attimi prima di morire

1) Fase dello shock

Secondo la classificazione originaria di Elisabeth Kübler-Ross, la fase dello shock era inclusa all’interno della fase della negazione, tuttavia alcuni psichiatri e psicoterapeutici preferiscono vederla come una fase a parte. Lo shock corrisponde, come facilmente intuibile, ai primissimi momenti in cui il medico comunica al paziente che egli è affetto da una malattia incurabile, che lo porterà inevitabilmente alla morte in un tempo variabile, qualsiasi cosa si faccia. Lo shock è scaturito principalmente dal fatto che spesso questa è una notizia totalmente imprevista, non solo dal paziente e dai suoi famigliari, ma anche dal personale sanitario stesso. Succede infatti spesso che il paziente si rechi dal medico lamentando dei sintomi aspecifici, che generalmente non sono indice di grave malattia. Quando la diagnosi porta invece alla peggiore prognosi possibile, la reazione è realmente una doccia fredda. Casi tipici sono la comunicazione di un cancro in fase terminale o di positività al virus dell’HIV (quest’ultima vista come una condanna a morte dal paziente, seppur i progressi nel campo delle terapia antiretrovirali hanno completamente cambiato l’aspettativa di vita di pazienti sieropositivi).

Leggi anche:  Che significa malattia terminale?

2) Fase della negazione o del rifiuto

In questo passaggio, immediatamente successivo alla notizia shock, il malato è totalmente preda dell’inconscio che, come ovvio, vede la morte come un evento spaventoso e distruttivo, che non si merita, a cui va contrapposta una difesa, armata di  negazione dell’evidenza oppure della convinzione che la diagnosi sia sbagliata, addirittura, in alcuni casi, si pensa che la malattia diagnosticata sia guaribile quando chiaramente non lo è. “Ma è sicuro, dottore, che le analisi siano fatte bene?”, “Non è possibile, si sbaglia!”, “Non ci posso credere, voglio il parere di un altro medico” sono le frasi più frequenti di fronte alla diagnosi di una patologia organica grave ed incurabile; questa fase è caratterizzata dal fatto che il paziente, usando come meccanismo di difesa il rigetto dell’esame di realtà, ritiene impossibile di avere proprio quella malattia.
In questa fase spesso, il paziente ha generalmente ancora condizioni di salute accettabili tanto che un’altra frase tipica della negazione è “Io mi sento bene, è impossibile che io abbia realmente una malattia mortale”. Molto probabilmente il processo di rifiuto psicotico della verità circa il proprio stato di salute può essere funzionale al malato per proteggerlo da un’eccessiva ed improvvisa ansia di morte che potrebbe portarlo addirittura a pensieri suicidari e per prendersi il tempo necessario per organizzarsi. Con il progredire della malattia tale difesa diventa sempre più debole, però in alcuni casi potrebbe addirittura irrigidirsi, raggiungendo livelli di rifiuto della realtà ancor più psicopatologici.
Il rifiuto della malattia per i parenti è uno stato che non costituisce un problema, anzi normalmente è ben accolto perché aiuta il loro lavoro di sostegno al paziente e, a volte, va in ausilio alla decisione di nascondere al malato la verità, scelta opinabile, in quanto si preclude al malato le fasi di preparazione all’inevitabile.

Leggi anche: Differenza tra morte cerebrale, stato vegetativo e coma

3) Fase della rabbia

Dopo la negazione, la realtà inizia ad essere chiara al paziente e ciò genera emozioni forti quali rabbia e paura, che esplodono in tutte le direzioni, investendo i familiari, il personale ospedaliero, il proprio dio (se il soggetto è credente), gli amici, persino gli animali di compagnia più cari, come cani e gatti che fino al giorno prima della cattiva notizia erano stati amati come figli. Una tipica domanda è “perché proprio a me?”. È una fase molto delicata dell’iter psicologico e relazionale del paziente. Rappresenta un momento critico che può essere sia il momento di massima richiesta di aiuto, ma anche il momento del rifiuto, della chiusura e del ritiro in sé.
Da che cosa nasce questa collera? Anche dalla consapevolezza che tutto della vita che si interrompe, da cui il “dolore totale”. Questa fase è caratterizzata da improvvisi scatti violenti per affermare la propria presenza, che si manifestano in modi molto soggettivi dal momento che dipendono fortemente dalla personalità di ciascuno: ad esempio un soggetto aggressivo aumenterà la propria aggressività; un soggetto che nella vita se la prendeva con tutti, se la prenderà ancora di più con tutti.
Questa fase esaurisce molte energie mentali, nel paziente e nelle persone che hanno a che fare con lui, che imparano ad essere “insultate” ed accusate senza motivi razionali. Fortunatamente questa fase tende ad essere superata presto, anche se alcuni pazienti rimangono in questa fase fino alla morte. Morire in collera è molto doloroso per tutti i soggetti implicati: significa fallire una pacificazione con sé stessi e con gli altri, lasciando spesso ai propri cari una strada difficile per elaborare il lutto (il parente si potrebbe ad esempio per sempre sentire in colpa per non aver “fatto pace” col defunto prima di morire).
Spesso le persone che non riescono a valicare la fase della rabbia sono quelle che nel vivere la loro esistenza senza malattia hanno avuto l’illusione del controllo totale della propria persona e del proprio destino. Individui volitivi, che hanno avuto successo, prestigio che hanno la sensazione che gli sia stato rubato il futuro.

Leggi anche: Morte psicogena, l’apatia che può farti morire: come uscirne

4) Fase della contrattazione o del patteggiamento

In questa quarta fase la rabbia irrazionale della terza fase lascia spazio ad una più razionale pianificazione delle opzioni disponibili per tentare una via d’uscita. Il paziente comincia a verificare cosa è in grado di fare per opporsi alla malattia ed in quali progetti può investire la speranza, cominciando una specie di negoziato, che a seconda dei valori personali, può essere instaurato sia con le persone che costituiscono la sfera relazionale del paziente (medici, familiari ed amici), sia con le figure religiose. Tipiche frasi di patteggiamento ascoltate dai miei pazienti, sono:

  • se prendo le medicine, potrò evitare di morire;
  • se prego molto, potrei salvarmi;
  • se mangio bene e faccio tanta attività fisica, la malattia invertirà la tendenza a mio vantaggio;
  • se darò tutti i miei averi in beneficenza o compio altri atti che possono migliorare il mio karma, potrei sopravvivere;
  • se vado in pellegrinaggio a Lourdes, succederà il miracolo;
  • se provo quella famosa cura alternativa e non approvata dai medici, mi salverò.

In questa fase, la persona riprende – o si illude di riprendere – il controllo della propria vita e cerca di riparare il riparabile, sia in modo razionale (prendo le medicine -> mi salvo) che in modo irrazionale, con vere e proprie fallacie logiche (faccio del bene al prossimo -> mi salvo).

Leggi anche: Cure palliative: cosa sono ed a che servono?

5) Fase della depressione

Questa fase rappresenta il momento nel quale il paziente capisce che qualsiasi patteggiamento non gli impedirà di morire e comincia a prendere consapevolezza delle perdite che sta subendo e che subirà al momento della morte. Tale periodo di solito si manifesta quando la malattia progredisce e il livello di sofferenza aumenta. La fase viene distinta in due tipi di depressione:

  • depressione reattiva: è conseguente alla presa di coscienza di quanti aspetti della propria identità, della propria immagine corporea, del proprio potere decisionale e delle proprie relazioni sociali, sono andati persi;
  • depressione preparatoria: ha un aspetto anticipatorio rispetto alle perdite che si stanno per subire.

In questa fase della malattia la persona non può più negare le proprie condizioni di salute, né cercare improbabili contrattazioni, quindi comincia a prendere coscienza che la ribellione non è possibile, per cui la negazione e la rabbia vengono sostituite da un forte senso di sconfitta, tristezza e appunto depressione. Quanto maggiore è la sensazione dell’imminenza della morte, tanto più probabile è che la persona viva fasi di depressione sempre più grave.

Leggi anche: Morire di dolore dopo la perdita del coniuge: ecco perché accade

6) Fase dell’accettazione

Quando il paziente ha avuto modo di elaborare quanto sta succedendo intorno a lui, arriva a un’accettazione della propria condizione e a una consapevolezza di quanto sta per accadere; durante questa fase possono sempre e comunque essere presenti livelli di rabbia e depressione altalenanti, che però sono generalmente di intensità moderata. In questa fase il paziente tende a essere silenzioso e a chiudersi in sé stesso, tuttavia sono anche frequenti momenti di profonda comunicazione con i familiari e con le persone che gli sono accanto: la persona può cercare i propri cari e fare lunghi discorsi, ad esempio ricordando il passato e raccomandandosi con gli altri di vivere bene la propria vita. È il momento dei saluti. È il momento del “testamento” e della sistemazione di quanto può essere sistemato, in cui si prende cura dei propri “oggetti” (sia in senso pratico, sia in senso psicoanalitico). La fase dell’accettazione non coincide necessariamente con lo stadio terminale della malattia o con la fase pre-morte, momenti in cui i pazienti possono comunque sperimentare diniego, ribellione o depressione.

Leggi anche: Come affrontare il lutto di una persona cara

7) Fase della speranza

In tale fase – originariamente assoggettata alla fase dell’accettazione – il paziente sperimenta, similarmente alla fase del patteggiamento, una sottile speranza che, per qualche particolare miracolo, la propria malattia terminale non porti realmente alla morte. Mentre nella fase del patteggiamento il paziente è fortemente motivato a “uscire da questa situazione” e convinto che la morte possa essere in qualche modo evitata, in questa fase il paziente è malinconico e non ha più questa convinzione ferrea, ma nutre ancora una speranza, che è però lieve, docile, rassegnata, di chi è consapevole che non può fare più nulla ma, “chi lo sa, magari sono uno su un milione che non morirà…”. La speranza permette di affrontare gli ultimissimi momenti di vita con un minimo di ottimismo e di serenità.

Leggi anche: Quando morirai, saprai di essere morto: la mente muore dopo il corpo

Il lutto “ben elaborato”

Un lutto “ben elaborato” è un lutto in cui vengono percorse tutte le precedenti fasi. È molto raro che tale percorso sia lineare. È molto più comune che, soprattutto all’inizio, si oscilli da una fase all’altra. Questo è particolarmente osservabile fra la terza e la quinta fase. Chi è nello stadio di depressione (quinta fase) non è immune dal provare rabbia (terza fase) per quanto gli è successo: “saltella” quindi fra la rabbia e la depressione. Ciò che importa non è la regolarità nell’attraversare le fasi ma piuttosto che, pian piano, si proceda fino ad arrivare all’ultima. Più si compiono reali passi avanti, più sarà difficile che si retroceda a fasi precedenti già attraversate – cosa che purtroppo invece può succedere. Se – per esempio – una persona ha accettato completamente la tristezza dovuta alla perdita (cioè, è in piena sesta fase) sarà quasi impossibile che torni a negarla (seconda fase). In questo modo, prima o poi approderà alla fase di accettazione e il dolore lascerà posto alla serenità di chi ha accettato il proprio destino.

Leggi anche: Paziente terminale: segnali di morte imminente e gestione della famiglia

Il lutto “mal elaborato”

Un lutto che può lasciare conseguenze negative (cioè ancora più negative) è un lutto in cui le fasi diventano cronicamente cicliche perché mal gestite, o in cui si rimane “congelati” in una delle prime fasi oppure si torna indietro ad una fase iniziale. Queste ultime condizioni, in genere, si hanno quando la persona teme, magari in modo non del tutto conscio, che non riuscirà a tollerare le emozioni proprie della fase successiva. Come già prima accennato, alcuni – per esempio – trascorrono perfino anni in fase di rabbia perché, per quanto tale emozione sia dolorosa, sentono di riuscire a gestirla meglio della tristezza. Allo stesso modo, molti trascorrono anni in fase di depressione perché avanzare alla fase successiva significherebbe dover dare per scontato che il proprio destino è ineluttabile. Per la serenità del paziente e dei suoi famigliari ed amici è importante che tutte le fasi vengano attraversate in sequenza, anche con l’aiuto del medico e dello psicoterapeuta.

Se a te o ad un tuo caro è stata diagnosticata una malattia terminale e credi di non riuscire a gestire da solo o da sola questa situazione, prenota subito la tua visita e, grazie ad una serie di colloqui, ti aiuterò ad affrontare questo difficile momento.

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma PRENOTA UNA VISITA CONTATTI Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Ano Pene

Testi consigliati

Alcuni libri che ho letto sull’elaborazione del lutto, l’eutanasia, il suicidio ed il bullismo e che sono sicuro troverai anche tu molto interessanti:

Per approfondire, leggi:

Leggi anche:

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, segui la nostra pagina Facebook o unisciti al nostro gruppo Facebook o ancora seguici su Twitter, su Instagram, su Mastodon, su YouTube, su LinkedIn, su Tumblr e su Pinterest, grazie!

Elaborazione del lutto: le 5 fasi che attraversa chi sta per morire

MEDICINA ONLINE DOG SAD ALONE IN THE RAIN STREET DEPRESSIONE XANAX VOGLIO MORIRE MORTE PADRE DOLORE SOTTO LA PIOGGIA DEPRESSIONE SOLITUDINE SINDROME DA ABBANDONO COME SI CURA CONSIGLI ALa psichiatra svizzera Elisabeth Kübler-Ross è diventata celebre grazie al suo trattato “La morte e il morire” (Assisi, Cittadella, 1976 edizione originale 1969) in cui definisce i cinque stadi di reazione alla prognosi mortale, che sono i seguenti:

  1. rifiuto;
  2. rabbia;
  3. negoziazione;
  4. depressione;
  5. accettazione.

Questo modello di elaborazione del lutto a cinque fasi, rappresenta ancora, a distanza di molti anni, un ottimo strumento che permette di capire le dinamiche mentali più frequenti della persona a cui è stata diagnosticata una malattia terminale, ma gli psicoterapeuti lo ritengono un valido aiuto anche per chi è in fase di di elaborazione del lutto.

Negli anni è stato proposto anche un modello a 7 fasi, che potete trovare in questo articolo: Sto per morire: le 7 fasi di elaborazione del dolore e della morte

1) Fase della negazione o del rifiuto

In questo primo passaggio il malato è totalmente preda dell’inconscio che, come ovvio, vede la morte come un evento spaventoso e distruttivo, che non si merita, a cui va contrapposta una difesa, armata di  negazione dell’evidenza oppure della convinzione che la diagnosi sia sbagliata, addirittura, in alcuni casi, si pensa che la malattia diagnosticata sia guaribile quando chiaramente non lo è. “Ma è sicuro, dottore, che le analisi siano fatte bene?”, “Non è possibile, si sbaglia!”, “Non ci posso credere” sono le frasi più frequenti di fronte alla diagnosi di una patologia organica grave ed incurabile; questa fase è caratterizzata dal fatto che il paziente, usando come meccanismo di difesa il rigetto dell’esame di realtà, ritiene impossibile di avere proprio quella malattia.
In questa fase spesso, il paziente ha generalmente ancora condizioni di salute accettabili tanto che un’altra frase tipica della negazione è “Io mi sento bene, è impossibile che io abbia realmente una malattia mortale”. Molto probabilmente il processo di rifiuto psicotico della verità circa il proprio stato di salute può essere funzionale al malato per proteggerlo da un’eccessiva ed improvvisa ansia di morte che potrebbe portarlo addirittura a pensieri suicidari e per prendersi il tempo necessario per organizzarsi. Con il progredire della malattia tale difesa diventa sempre più debole, però in alcuni casi potrebbe addirittura irrigidirsi, raggiungendo livelli di rifiuto della realtà ancor più psicopatologici.
Il rifiuto della malattia per i parenti è uno stato che non costituisce un problema, anzi normalmente è ben accolto perché aiuta il loro lavoro di sostegno al paziente e, a volte, va in ausilio alla decisione di nascondere al malato la verità, scelta opinabile, in quanto si preclude al malato le fasi di preparazione all’inevitabile.

Leggi anche: Che significa malattia terminale?

2) Fase della rabbia

Dopo la negazione, la realtà inizia ad essere chiara al paziente e ciò genera emozioni forti quali rabbia e paura, che esplodono in tutte le direzioni, investendo i familiari, il personale ospedaliero, il proprio dio (se il soggetto è credente), gli amici, persino gli animali di compagnia più cari, come cani e gatti che fino al giorno prima della cattiva notizia erano stati amati come figli. Una tipica domanda è “perché proprio a me?”. È una fase molto delicata dell’iter psicologico e relazionale del paziente. Rappresenta un momento critico che può essere sia il momento di massima richiesta di aiuto, ma anche il momento del rifiuto, della chiusura e del ritiro in sé.
Da che cosa nasce questa collera? Anche dalla consapevolezza che tutto della vita che si interrompe, da cui il “dolore totale”. Questa fase è caratterizzata da improvvisi scatti violenti per affermare la propria presenza, che si manifestano in modi molto soggettivi dal momento che dipendono fortemente dalla personalità di ciascuno: ad esempio un soggetto aggressivo aumenterà la propria aggressività; un soggetto che nella vita se la prendeva con tutti, se la prenderà ancora di più con tutti.
Questa fase esaurisce molte energie mentali, nel paziente e nelle persone che hanno a che fare con lui, che imparano ad essere “insultate” ed accusate senza motivi razionali. Fortunatamente questa fase tende ad essere superata presto, anche se alcuni pazienti rimangono in questa fase fino alla morte. Morire in collera è molto doloroso per tutti i soggetti implicati: significa fallire una pacificazione con sé stessi e con gli altri, lasciando spesso ai propri cari una strada difficile per elaborare il lutto (il parente si potrebbe ad esempio per sempre sentire in colpa per non aver “fatto pace” col defunto prima di morire).
Spesso le persone che non riescono a valicare la fase della rabbia sono quelle che nel vivere la loro esistenza senza malattia hanno avuto l’illusione del controllo totale della propria persona e del proprio destino. Individui volitivi, che hanno avuto successo, prestigio che hanno la sensazione che gli sia stato rubato il futuro.

Leggi anche: Differenza tra morte cerebrale, stato vegetativo e coma

3) Fase della contrattazione o del patteggiamento

In questa terza fase la rabbia irrazionale della seconda fase lascia spazio ad una più razionale pianificazione delle opzioni disponibili per tentare una via d’uscita. Il paziente comincia a verificare cosa è in grado di fare per opporsi alla malattia ed in quali progetti può investire la speranza, cominciando una specie di negoziato, che a seconda dei valori personali, può essere instaurato sia con le persone che costituiscono la sfera relazionale del paziente (medici, familiari ed amici), sia con le figure religiose. Tipiche frasi di patteggiamento ascoltate dai miei pazienti, sono:

  • se prendo le medicine, potrò evitare di morire;
  • se prego molto, forse potrei salvarmi;
  • se mangio bene e faccio tanta attività fisica, la malattia invertirà la tendenza a mio vantaggio;
  • se darò tutti i miei averi in beneficenza, potrei sopravvivere;
  • se vado in pellegrinaggio a Lourdes, succederà il miracolo;
  • se provo quella famosa cura non approvata dai medici, forse non morirò.

In questa fase, la persona riprende – o si illude di riprendere – il controllo della propria vita e cerca di riparare il riparabile, sia in modo razionale (prendo le medicine -> mi salvo) che in modo irrazionale, con vere e proprie fallacie logiche (faccio del bene al prossimo -> mi salvo).

Leggi anche: Si muore di AIDS? Qual è l’aspettativa di vita?

4) Fase della depressione

Questa fase rappresenta il momento nel quale il paziente capisce che qualsiasi patteggiamento non gli impedirà di morire e comincia a prendere consapevolezza delle perdite che sta subendo e che subirà al momento della morte. Tale periodo di solito si manifesta quando la malattia progredisce e il livello di sofferenza aumenta. La fase viene distinta in due tipi di depressione:

  • depressione reattiva: è conseguente alla presa di coscienza di quanti aspetti della propria identità, della propria immagine corporea, del proprio potere decisionale e delle proprie relazioni sociali, sono andati persi;
  • depressione preparatoria: ha un aspetto anticipatorio rispetto alle perdite che si stanno per subire.

In questa fase della malattia la persona non può più negare le proprie condizioni di salute, né cercare improbabili contrattazioni, quindi comincia a prendere coscienza che la ribellione non è possibile, per cui la negazione e la rabbia vengono sostituite da un forte senso di sconfitta, tristezza e appunto depressione. Quanto maggiore è la sensazione dell’imminenza della morte, tanto più probabile è che la persona viva fasi di depressione sempre più grave.

Leggi anche: Cure palliative: cosa sono ed a che servono?

5) Fase dell’accettazione

Quando il paziente ha avuto modo di elaborare quanto sta succedendo intorno a lui, arriva a un’accettazione della propria condizione e a una consapevolezza di quanto sta per accadere; durante questa fase possono sempre e comunque essere presenti livelli di rabbia e depressione altalenanti, che però sono generalmente di intensità moderata. In questa fase il paziente tende a essere silenzioso e a chiudersi in sé stesso, tuttavia sono anche frequenti momenti di profonda comunicazione con i familiari e con le persone che gli sono accanto: la persona può cercare i propri cari e fare lunghi discorsi, ad esempio ricordando il passato e raccomandandosi con gli altri di vivere bene la propria vita. È il momento dei saluti. È il momento del “testamento” e della sistemazione di quanto può essere sistemato, in cui si prende cura dei propri “oggetti” (sia in senso pratico, sia in senso psicoanalitico). La fase dell’accettazione non coincide necessariamente con lo stadio terminale della malattia o con la fase pre-morte, momenti in cui i pazienti possono comunque sperimentare diniego, ribellione o depressione.

Leggi anche: Morire di dolore dopo la perdita del coniuge: ecco perché accade

Il lutto “ben elaborato”

Un lutto “ben elaborato” è un lutto in cui vengono percorse tutte le precedenti fasi. È molto raro che tale percorso sia lineare. È molto più comune che, soprattutto all’inizio, si oscilli da una fase all’altra. Questo è particolarmente osservabile fra la terza e la quarta fase. Chi è nello stadio di depressione (quarta fase) non è immune dal provare rabbia per quanto gli è successo: “saltella” quindi fra la rabbia e la depressione. Ciò che importa non è la regolarità nell’attraversare le fasi ma piuttosto che, pian piano, si proceda fino ad arrivare all’ultima. Più si compiono reali passi avanti, più sarà difficile che si retroceda ad altre fasi. Se, per esempio, una persona ha accettato completamente la tristezza dovuta alla perdita (cioè, è in piena quarta fase) sarà quasi impossibile che torni a negarla (prima fase). In questo modo, prima o poi approderà alla fase di accettazione ed il dolore lascerà spazio alla serena consapevolezza del proprio destino.

Leggi anche: Come affrontare il lutto di una persona cara

Il lutto “mal elaborato”

Un lutto che può lasciare conseguenze negative (cioè ancora più negative) è un lutto in cui le fasi diventano cronicamente cicliche perché mal gestite, o in cui si rimane “congelati” in una delle prime fasi oppure si torna indietro ad una fase iniziale. Queste ultime condizioni, in genere, si hanno quando la persona teme, magari in modo non del tutto conscio, che non riuscirà a tollerare le emozioni proprie della fase successiva. Come già prima accennato, alcuni – per esempio – trascorrono perfino anni in fase di rabbia perché, per quanto tale emozione sia dolorosa, sentono di riuscire a gestirla meglio della tristezza. Allo stesso modo, molti trascorrono anni in fase di depressione perché avanzare alla fase successiva significherebbe dover dare per scontato che il proprio destino è ineluttabile. Per la serenità del paziente e dei suoi famigliari ed amici è importante che tutte le fasi vengano attraversate in sequenza, anche con l’aiuto del medico e dello psicoterapeuta.

Se a te o ad un tuo caro è stata diagnosticata una malattia terminale e credi di non riuscire a gestire da solo o da sola questa situazione, prenota subito la tua visita e, grazie ad una serie di colloqui, ti aiuterò ad affrontare questo difficile momento.

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma PRENOTA UNA VISITA CONTATTI Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Ano Pene

Testi consigliati

Alcuni libri che ho letto sull’elaborazione del lutto, l’eutanasia, il suicidio ed il bullismo e che sono sicuro troverai anche tu molto interessanti:

Per approfondire, leggi:

Leggi anche:

Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, segui la nostra pagina Facebook o unisciti al nostro gruppo Facebook o ancora seguici su Twitter, su Instagram, su Mastodon, su YouTube, su LinkedIn, su Tumblr e su Pinterest, grazie!

Cosa si prova morendo: il racconto di una infermiera

MEDICINA ONLINE MORTE COSA SI PROVA A MORIRE TERMINALE DEAD DEATH CURE PALLIATIVE TERAPIA DEL DOLORE AEROPLANE TURBINE CHOCOLATE AIR BREATH ANNEGATO TURBINA AEREO PRECIPITA GRATTACIELO GLASS WALLPAPER PIC HI RES STRAGE PHOTO.jpgLe unità di cure palliative o di terapia intensiva degli ospedali hanno uno stretto rapporto con la morte, dando luogo a numerose esperienze che sfuggono a qualsiasi spiegazione razionale. Pazienti che intuiscono il momento esatto in cui moriranno, altri che sembrano decidere da sé il giorno e l’ora, affrettando o ritardando la morte, sogni premonitori di familiari o presentimenti di terze persone che senza neanche sapere che qualcuno è ricoverato o ha subito un incidente sono sicuri che sia morto. Solo i professionisti sanitari che lavorano da vicino con i pazienti terminali conoscono in prima persona la portata e la varietà di queste strane esperienze. La scienza non è stata capace di offrire alcun tipo di risposta, per cui in genere vengono descritte come eventi paranormali o soprannaturali. Un’etichetta “troppo vaga per la grandezza di queste esperienze”, secondo l’infermiera britannica Penny Sartori, che da circa vent’anni lavora nell’unità di terapia intensiva. Una carriera sufficientemente solida per aver visto di tutto, intuire standard ed elaborare ipotesi su questi fenomeni. È a tal punto così che sta per discutere una tesi di dottorato sul tema, le cui conclusioni principali verranno anticipate nel libro The Wisdom Of Near-Death Experiences (La saggezza delle esperienze vicine alla morte, Watkins Publishing).

Leggi anche:

“Allucinazioni” condivise da familiari

Nel corso della sua carriera, la Sartori ha incontrato pazienti che hanno vissuto esperienze vicine alla morte (EVM) e familiari che hanno vissuto da vicino esperienze di morte condivisa (EMC). La quantità e la ripetizione degli standard fa sì che l’infermiera scarti l’ipotesi della casualità o dell’impossibilità di trovare un ragionamento logico per questo diffuso fenomeno. Tra il 70 e l’80% dei pazienti aspetta di stare solo nella stanza prima di morire. La tesi principale della Sartori è che “il nostro cervello è indipendente dalla coscienza. È il mezzo per canalizzarla, per cui in realtà è fisicamente estranea al corpo”. Un’idea che spiegherebbe, ha aggiunto la dottoranda, perché “l’anima e la coscienza possono sperimentarsi al margine del corpo”, come nelle EVM o nella meditazione buddista. Gli esempi di cui la Sartori si avvale nel suo libro sono molto numerosi, ma tutti coincidono in genere nel fatto che i pazienti che vivono le EVM sono sempre quelli che abbracciano la morte nel modo più tranquillo e felice, come i familiari che presentono la morte dei propri cari. Perché? In base agli incontri che ha avuto con questi ultimi, è dovuto al fatto che sono convinti che si tratti solo della fine della vita terrena. Al margine del fatto che siano persone credenti, agnostiche o atee, tutte sperimentano il sogno o la visione di come il familiare se ne andrà da questo mondo guidato da qualcuno (coniugi già defunti, esseri anonimi o angeli) e con una chiara sensazione di “pace e amore”. All’inizio, riferisce la Sartori, “mi colpiva il fatto che alcuni familiari dei defunti non si sentissero tristi dopo aver diagnosticato la morte del proprio caro, ma parlandoci mi sono resa conto che in realtà erano tranquilli per il fatto di aver sperimentato questa sensazione di trascendenza della vita”.

Leggi anche:

Scegliere il momento “più appropriato” per morire

Non è il caso degli esempi di persone che sapendo quando moriranno chiedono di restare qualche minuto da soli o lo fanno proprio quando il familiare, che rimane tutto il tempo al loro fianco, li abbandona solo un momento per andare in bagno. Altri casi che richiamano l’attenzione allo stesso modo sono quelli delle persone che muoiono subito dopo aver visto un familiare che tardava ad andare a trovarli perché era all’estero, o quando terminano tutti i documenti relativi a eredità e assicurazioni sulla vita. “Sembrano attendere che avvenga un evento specifico per permettersi di morire”, ha riferito l’infermiera. La sensazione di trascendenza è sperimentata sia dai credenti che dagli agnostici o atei. Il direttore del Tucson Medical Center John Lerma, specializzato in cure palliative, ha raccolto esempi molto simili a quelli citati dalla Sartori in Into the Light: Real Life Stories About Angelic Visits, Visions of the Afterlife, and Other Pre-Death Experiences (Nella Luce: Vere Storie di Vita su Visite Angeliche, Visioni dell’Aldilà e Altre Esperienze Pre-Morte, New Page Books). Secondo i suoi resoconti, tra il 70 e l’80% dei pazienti aspetta che i propri cari escano dalla stanza per morire. La Sartori rifiuta di credere che queste esperienze siano motivate da allucinazioni. “Non è possibile che varie persone vedano la stessa cosa e siano capaci di descriverla in modo uguale se è davvero una percezione distorta della realtà”, ha indicato. Una tesi che si basa sulle famose teorie del professor Raymond Moody, che ha coniato il concetto di esperienze vicine alla morte alla fine degli anni Settanta del Novecento. I suoi studi più innovativi si concentrano sulle esperienze condivise dalle persone che accompagnano coloro che si trovano in trance di morte. “Aprono una via completamente nuova di illuminazione razionale sulla questione della vita dopo la morte, perché le persone che comunicano queste esperienze sono sane. In genere sono sedute accanto al letto di morte di una persona cara quando sopravviene una di queste esperienze meravigliose e misteriose. E il fatto stesso che le persone non siano prossime alla morte invalida la clausola di esenzione. Visto che le loro esperienze non si possono attribuire a mancanze della chimica cerebrale, dovremo andare al di là di questa argomentazione”.

Nuove vie di studio

Il ricorso, “cinico” secondo la Sartori, a spiegare questo fenomeno a partire dalle disfunzioni cerebrali non si sostiene nemmeno con gli esempi di persone ricoverate con Alzheimer avanzato che all’improvviso recuperano la capacità di raziocinio. “Si tratta di pazienti in uno stadio terminale della malattia, incapaci di articolare la parola, che in modo sorprendente iniziano a parlare con la massima coerenza, interagendo con gente che non è nella stanza e che spesso sono familiari defunti”, ha spiegato la Sartori. “In genere accade che dopo questa esperienza smettono di essere agitati e finiscono per morire con un sorriso sul volto, solitamente uno o due giorni dopo”. Anche l’idea che queste visioni siano indotte dai farmaci non è accettata dalla Sartori, perché “questi provocano ansia, tutto il contrario di ciò che provano i pazienti”. Nel suo libro, l’autrice sostiene che questo tipo di esperienze, raccolte nel corso di tutta la sua carriera, possono essere fondamentali per dimostrare l’esistenza di una vita dopo la morte, e che devono almeno aprire una nuova via di studio (come alcune che partono dalla fisica quantistica) per gli studi scientifici. Quello di cui dice di essere convinta è che “la morte non è terribile quanto la immaginiamo di solito”.

Leggi anche:

Lo staff di Medicina OnLine

Se ti è piaciuto questo articolo e vuoi essere aggiornato sui nostri nuovi post, metti like alla nostra pagina Facebook o seguici su Twitter, su Instagram o su Pinterest, grazie!