Impiantata per la sesta volta al mondo, la prima in Italia, a un non vedente una nuova tipologia di retina artificiale che ha permesso all’uomo di percepire, tramite speciali occhiali, la luce; l’intervento – durato circa due ore – è stato effetuato su un uomo di settantanni ed è Continua a leggere
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I colori esistono? Come fa l’occhio umano a distinguerli? Lo spettro visibile
Quello che l’occhio umano riesce a percepire è solo una piccola parte delle radiazioni elettromagnetiche che lo circondano: tale piccola parte viene Continua a leggere
Scopri se sei daltonico con il test delle Tavole di Ishihara
Il daltonismo è una patologia della vista caratterizzata da una cecità ai colori, ovvero nell’inabilità a percepire i colori, del tutto o in parte. Esistono vari tipi di daltonismo:
- deuteranomalia: insensibilità al colore verde;
- protanomalia: insensibilità al Continua a leggere
Fotorecettori: differenza tra coni e bastoncelli
Con “fotorecettori” in medicina si fa riferimento ad un tipo particolare di neuroni altamente specializzati che si trovano sulla retina di entrambi gli occhi. Tali neuroni hanno la funzione di “tradurre” luce che dall’esterno arriva sul fondo dell’occhio e convertirla in segnali bioelettrici, inviati alla corteccia visiva del cervello attraverso il nervo ottico. I fotorecettori sono di due tipi:
Coni
I coni si concentrano nella zona centrale della retina (chiamata “fovea”) mentre restano proporzionalmente più rarefatti spostandosi nelle aree periferiche. I coni sono deputati alla visione dei colori (visione “fotopica”) ed alla visione distinta e nitida; consentono la visione centrale (con cui si legge, si guida, si riconoscono i volti, ecc.) e, se l’acuità visiva è buona, garantiscono un’elevata risoluzione dell’immagine. Esistono almeno tre tipi diversi di coni, rispettivamente per il rosso, il verde e il blu. In totale se ne contano circa 10 – 12 milioni, cioè 5 – 6 milioni per occhio, una quantità molto più bassa rispetto ai bastoncelli. Il lavoro dei coni è “individuale” nel senso che ciascuno di essi genera un impulso che è avviato al cervello indipendentemente. I coni hanno una sensibilità alla luce decisamente minore rispetto ai bastoncelli.
Bastoncelli
I bastoncelli si concentrano nella zona periferica della retina e sono più sensibili alla visione degli oggetti in movimento, oltre ad essere impiegati soprattutto per la visione al buio (visione “scotopica”). Il lavoro dei bastoncelli è “di gruppo”: diverse migliaia di elementi convergono su un singolo interneurone e l’impulso che viene avviato al cervello emerge dalla sommatoria di tutti i singoli impulsi. I bastoncelli sono circa 4000 volte più sensibili alla luce rispetto ai coni: la loro sensibilità è talmente elevata che un numero esiguo di fotoni è sufficiente per eccitarli o secondo altri studi, è sufficiente addirittura un unico fotone. Il numero dei bastoncelli in ogni occhio è compreso tra i 75 ed i 150 milioni, mediamente circa 100 milioni in ogni occhio, un numero decisamente più elevato rispetto ai coni.
Struttura dei fotorecettori
Nella struttura di entrambi i tipi di fotorecettori si possono identificare tre parti fondamentali:
- un segmento esterno: caratterizzato da strutture membranose (chiamate “dischi”), su cui sono posizionati i pigmenti che reagiscono allo stimolo dei fotoni (luce che arriva in “pacchetti” detti quanti). Sui dischi rintracciamo la rodopsina (una proteina che funge da pigmento visivo) e la trasducina (un enzima); queste molecole, se stimolate dall’energia elettromagnetica (luce), vengono attivate a cascata. Il segmento esterno è in contatto con l’epitelio pigmentato, lo strato più esterno della retina che contiene un’elevata quantità di melanina per assorbire la luce che non è stata trattenuta dalla retina. Inoltre, ha la funzione di risintetizzare i pigmenti visivi e di facilitare il ricambio dei dischi;
- segmento interno: caratterizzato dalla presenza degli organelli interni come mitocondri, apparati di Golgi, ecc., indispensabili per il metabolismo cellulare e il nucleo;
- terminazione sinaptica: permette la trasmissione dei segnali dal fotorecettore alle cellule bipolari mediante sinapsi ossia per trasmissione biochimica tra cellule nervose (grazie a molecole dette neurotrasmettitori).
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Cassa Mesa Boogie Recto Cab 2×12 Vintage30: recensione
Il chitarrista medio passa tantissimo tempo nella scelta della sua chitarra elettrica, nei suoi legni, nei suoi pick up, nella sua forma, tutto ciò è giustissimo: in fondo la chitarra deve vestirci addosso come un guanto, deve avere una tastiera comoda che si adatti bene alla nostra mano e deve avere una forma che rispecchia esattamente la nostra postura nel suonare. Trovata la chitarra, o meglio ancora dopo essersela fatta fare su misura da Molinelli o Jacaranda, si passa alla ricerca del proprio amplificatore (l’altra metà del suono) e infine ci si diverte a cercare qualche variopinto pedale che abbellisca il nostro suono con effetti di ambiente, modulazioni, overdrive, booster… Per chi sceglie la via del combo la scelta dell’amplificatore sarà relativamente più semplice ma nel caso di una testata (o sistema rack) e cassa sarà tutto molto più complesso: trovata una bella testata che rispecchia ogni nostra necessità bisogna anche accoppiarla con una cassa che ne valorizzi, ed in alcuni casi, che lo migliori addirittura! Molti si dimenticano che la cassa è una delle componenti più importanti del percorso che il suono si fa dalle nostre dita alle orecchie di chi ascolta, è il trasduttore per eccellenza! Oggi vi parlo della mia cassa Mesa Boogie che riesce, almeno per i miei gusti, a creare dei suoni molto interessanti!
LA CASSA
La cassa in questione è una Mesa Boogie Recto Cab con due coni Celestion vintage 30, la cassa è molto robusta, pesa infatti 75 libbre, è in configurazione closed back (cioè completamente chiusa nella parte posteriore) il che permette una maggiore botta ed escursione sulle basse frequenze. Visivamente è simile a tutte le casse mesa standard, tipo quelle che vedete ammassate come armadi alle spalle di Petrucci nel G3, nera, 8 paraspigoli neri, griglia nera, scritta coatta MESA engineering sulla griglia. Nel posteriore troviamo l’input e un’uscita parallela per collegare appunto in parallelo un’ulteriore cassa aggiuntiva. I legni usati per questa recto cab sono un multistrato di betulla molto spesso per la cassa e, mi pare l’MDF per la baffle board. All’interno i due coni celestion, attaccati alla una robusta baffle board, sono da 16 ohm l’uno collegati in parallelo il che dà una risultante totale di 8 ohm di impedenza in entrata che permette alla cassa di essere collegata con praticamente qualsiasi testata esistente. La cassa supporta fino a 140 watt quindi si comporta bene con tutte le testate moderne ad alto gain da 100 watt (Masotti, Bogner, Diezel, Mesa, Engl…). I coni celestion v30 hanno una efficienza incredibile, circa 103 db, che gli permette di rivitalizzare anche finali dotati di un basso wattaggio. Sicuramente non è il top della praticità ma vi assicuro che è un ottimo compromesso tra le casse a 1 cono (pratiche ma dal suono “mono-conico”) e quelle a 4 coni (bel suono ma manco mi entrerebbe in macchina!).
IL SUONO
Questa recto cab è in mio possesso da diverso tempo quindi posso dire di conoscerla ormai abbastanza bene. La uso collegata ad una testata Mesa Boogie F-50 tramite un grosso cavo di potenza costruitomi a mano da Pierangelo Mezzabarba alla Masotti (un nome una garanzia!). Inizio subito col dire che è uno scatolone nero dotato di molto carattere, molto lontano dall’essere una cassa neutra che rispecchia fedelmente il suono della nostra testata, lo trasforma sempre in qualche modo in maniera decisiva e, secondo me, lo fa in maniera molto positiva. L’ottima cassa artigianale Dragoon di Giniski ad esempio, rispetto alla Mesa, riesce a rimanere molto più trasparente e fedele al suono della vostra testata, alla fine è una scelta soggettiva: a me piace che la cassa tenda a modificare il suono originale, naturalmente deve modificarlo in un modo che ci piaccia! detto questo va anche considerato che tutto ciò non significa che ogni testata suonerà uguale attaccata alla Mesa perdendo il proprio, di carattere! Anzi, ho effettuato alcune prove con diverse testate (tra cui Engl Powerball, Randall RM100, Marshall JCM2000, Mesa Stiletto, Masotti X100M modern e, ovviamente, Mesa Dual Recto che sarebbe la testata per cui originariamente è stata creata questa cassa) ed ogni amplificatore manteneva le proprie caratteristiche anche se molto influenzate dalla cassa mesa. La prima sensazione che si ha collegando la cassa è di una pasta molto americana, molto “bassosa” (soprattutto grazie alle dimensioni generose e alla configurazione closed back), con una botta impressionante, molto “boomy” come direbbero oltreoceano! L’aria che questa cassa fa muovere è da terremoto! Il suono è carico di basse (a volte fin troppe a seconda del genere suonato) definite e fluide, molte medio-basse, medie-alte poco in evidenza ed una bella presenza molto aggressiva (anche qui fin troppa a seconda del genere suonato!). La cosa che sconvolge sempre tutti di questa cassa è proprio la risposta sulle basse frequenze, da drum&bass, davvero sconvolgente se si pensa che stiamo parlando di una 2×12: ci sono più basse qui che su una Marshall 4×12 che pure ha una cassa di ben altri “litraggi”! Questo scatolone nero non farebbe una piega neanche con una gibson les paul con dei pick up humbucker Invader della Seymour Duncan. Fa esprimere al meglio una bella chitarra metallona con accordature detuned e rivitalizza i bassi di docili single coil. Un discorso a parte va fatto per l’efficienza di questa cassa! Quest’ultima fa infatti suonare più forte qualsiasi testata, mi spiego: prendete una 2×12 “normale” e collegatela ad una certa testata settata con un certo volume, avrete un volume percepito dalle vostre orecchie ad esempio come 6 su una scala da 1 a 10. Poi collegate la stessa testata settata con lo stesso volume a questa cassa mesa e, magia, avremo un volume percepito almeno di 8 nella solita scala da 1 a 10! Tutto questo è un bene perchè lo scatolone riesce a stillare fuori ogni goccia di suono dalle vostre valvole finali, tuttavia questo si trasforma in un’arma a doppio taglio se cercate di ottenere un buon suono anche a volumi bassi.. Anche a settaggi minimi di volume sulla vostra testata, la cassa suonerà di suo comunque troppo forte per un uso casalingo: se dovete suonare allo stadio Olimpico va bene, se vi siete costruiti un ampli da 1 watt va bene, ma se volete suonare a casa con una Bogner Ecstasy siate pronti alle denunce da parte dei vicini oppure a rivendervela per comprarvi una cassa con coni meno efficienti! Da ricordarsi pure che i V30 sono coni molto rigidi, vanno suonati e fatti urlare a volumi elevati per assaporarli in pieno, danno il loro meglio dal vivo in grossi spazi dove il loro carattere vi permetterà di ritagliarvi i vostri ruoli nel suond della band con una bella presenza (e, all’occorenza, visti i bassi da scossa tellurica, di suonare senza bassista!!!). Ricordo poi che i V30, come tutti i coni, vanno ammorbiditi col tempo: più passano i mesi e meglio suonano! Un’ultima cosa molto interessante, almeno per quelli come me a cui piace sperimentare, è provare ad abbinare una cassa americaneggiante come questa ad una testata dal carattere più british, vedrete che si riescono ad ottenere dei risultati interessanti! Naturalmente sarà difficile vedere una testata Vox di 30 anni fa posata sopra questa cassa ma… è proprio quando ci allontaniamo dai canoni tradizionali che riusciamo ad ottenere suoni personali e che ci distinguono dalla solita massa (cosa che secondo me dovrebbe essere l’obbiettivo finale di molti noi chitarristi). In definitiva descriverne il suono a parole è difficile, scontato dirlo: se potete provatela di persona!
I GENERI MUSICALI
Che generi si possono suonare con questa cassa? Naturalmente molto dipende dalla testata a cui l’abbinate! Gli riesce comunque bene un pò di tutto a patto di dosare bene l’equalizzazione sulla testata per magari mitigare l’infinita scorta di bassi che questa scatolona possiede. I Vintage 30 sono tra i coni più utilizzati nel mondo dell’amplificazione delle sei corde, una garanzia! Naturalmente è una cassa di impostazione moderna, difficile suonare “Johnny be goode” su questo ordigno nucleare, molto meglio spaziare dal rock al metal, territorio dove la recto cab in distorsione si muove che è un piacere! Sul pulito, anche se forse non è proprio la cassa ideale, si comporta molto onestamente e in maniera molto “americana”, ha una buona dinamica e si ottengono discreti suoni percussivi. Non è certo per tutti i palati, alcuni rocker anni 70 preferirebbero altri coni, magari certi greenback più “inglesi” e meno rigidi. Io ci suono dal jazz al metal con risultati decisamente buoni e non ho mai avuto grossi rimpianti.
PARAGONI
Ho provato altre casse con configurazioni 1×12, 2×12, 4×10, 4×12, di diverse marche (dalle belle Soldano alle Brunetti, dalle Randall fino alle economiche Behringer), con diversi tipi di coni (greenback, century…) e alla fine ho preferito questa recto cab, bassi più definiti, presenza presuntuosa, medi più avvolgenti! ero partito per comprare una 4×12 V30 Mesa Boogie ed alla fine le ho preferito di gran lunga questa, e non solo per la praticità!
CONCLUSIONI
La consiglio a tutti, vi durerà tutta la vita (è un carro armato), non si svaluterà facilmente, suonerà sempre meglio anno dopo anno, farete una bella figura sia per il suono sia per l’esibizionismo insito nel possedere una cassa con scritto sopra Mesa!
PS note dolenti: Il prezzo è un po’ altino… forse conviene autocostruirsela!
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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