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Malattia di Ménétrier: cause, sintomi, diagnosi e terapie
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Esofago di Barrett: sintomi iniziali, diagnosi, terapia, dieta e chirurgia
L’esofago di Barrett è una metaplasia in cui le pareti dell’esofago, anziché essere costituite da epitelio normale (epitelio squamoso pluristratificato), sono costituite da tessuti simili a quelli delle pareti dell’intestino (cellule mucipare caliciformi) . L’esofago di Barrett è un disturbo asintomatico, ma spesso si presenta nei pazienti affetti dal reflusso gastroesofageo. Una piccola percentuale dei pazienti affetti dall’esofago di Barrett svilupperà una forma rara, ma purtroppo in molti casi mortale, di tumore all’esofago.
Diffusione di esofago di Barrett e del tumore dell’esofago
Negli Stati Uniti l’esofago di Barrett colpisce l’uno per cento circa degli adulti; l’età media alla diagnosi è di 50 anni, ma capire quand’è comparso il problema di solito è difficile. L’esofago di Barrett ha un’incidenza doppia negli uomini, e gli uomini di etnia caucasica sono colpiti più frequentemente rispetto a quelli di altre etnie. L’esofago di Barrett si manifesta raramente nei i bambini.
Il tumore dell’esofago è il sesto tumore più comune nei paesi non industrializzati, mentre è al diciottesimo posto nei paesi industrializzati, e colpisce prevalentemente i maschi (è tre volte più frequente negli uomini che nelle donne, con 1.500 casi stimati l’anno in Italia contro 600 nel sesso femminile).
Si sviluppa nella maggior parte dei casi dopo la sesta decade di vita. L’incidenza geografica è variabile: i paesi orientali, tra cui la Cina e Singapore, sono quelli dove la mortalità è più elevata e i casi sono circa 20-30 l’anno ogni 100.000 abitanti. In Italia il tasso di incidenza annuo è di circa 4 casi su 100.000.
Poiché si tratta di una forma di cancro molto aggressiva, la mortalità è abbastanza elevata.
Cause di esofago di Barrett
Non si sa con esattezza quali sino le cause dell’esofago di Barrett, tuttavia la malattia da reflusso gastroesofageo cronica (e la relativa esofagite da reflusso cronica) rappresenta sicuramente un fattore di rischio; anche chi non soffre di reflusso può soffrire dell’esofago di Barrett, però il disturbo è da tre a cinque volte più diffuso nei pazienti che soffrono anche di reflusso. Curando o alleviando i sintomi della malattia da reflusso è possibile diminuire il rischio di ammalarsi di esofago di Barrett; a tal proposito leggi anche: Reflusso gastroesofageo: sintomi, diagnosi e cura
Sintomi e segni dell’esofago di Barrett
L’esofago di Barrett non si manifesta con sintomi e proprio per questo può essere presente in modo silenzioso per diversi anni prima dell’effettivo sviluppo del tumore. Purtroppo la diagnosi di adenocarcinoma all’esofago non è sempre precoce, quindi il tumore molte volte viene diagnosticato quando già si trova in stadio avanzato: ciò peggiora la prognosi e rende le terapie meno efficaci.
Leggi anche: Acidità di stomaco e bruciore: tutti i farmaci antiacidi
Sintomi e segni del cancro all’esofago
Quasi sempre i sintomi iniziali del tumore dell’esofago sono aspecifici: si ha perdita progressiva di peso corporeo preceduta dalla disfagia , cioè dalla difficoltà a deglutire, che di solito compare in modo graduale prima per i cibi solidi e successivamente per quelli liquidi. Questi sintomi sono riferiti dal 90% dei pazienti. Inoltre, la crescita del tumore verso l’esterno dell’esofago può provocare un calo o un’alterazione del tono di voce perché coinvolge i nervi che governano l’emissione dei suoni, oppure indurre una paralisi del diaframma o, ancora, un dolore al torace, appena dietro lo sterno, se coinvolge la zona tra cuore, polmoni, sterno e colonna vertebrale. Negli stadi più avanzati di sviluppo del tumore la capacità di assumere cibo può diventare faticosa. Se il tumore è ulcerato, la deglutizione potrebbe anche diventare dolorosa. Quando la massa del tumore ostacola la discesa del cibo lungo l’esofago si possono verificare episodi di rigurgito. Nelle forme più avanzate possono inoltre ingrossarsi i linfonodi ai lati del collo e sopra la clavicola, oppure può formarsi del liquido nel rivestimento del polmone (versamento pleurico) con comparsa di dispnea (difficoltà a respirare), oppure ancora possono comparire dolori alle ossa o un aumento delle dimensioni del fegato: la causa di questi sintomi è in genere legata alla presenza di metastasi. I dati prodotti dal Registro italiano tumori segnalano una sopravvivenza a 5 anni che in media non supera il 12% se la malattia è stata diagnosticata in fase avanzata, mentre è molto più elevata se scoperta in fase iniziale.
Per approfondire:
- Differenza tra disfagia ed odinofagia: cause comuni e diverse
- Differenza tra disfagia orofaringea ed esofagea: sintomi comuni e diversi
- Differenza tra disfagia di tipo ostruttivo e di tipo motorio
- Differenza tra disfagia ostruttiva ed occlusione intestinale
- Differenze tra ileo meccanico ed ileo paralitico
- Differenza tra disfagia ai liquidi e ai solidi
- Dolore: cos’è, da cosa è causato, quanti tipi di dolore esistono?
- Insensibilità congenita al dolore: la strana malattia che non ti fa sentire nessun dolore
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Esofago di Barrett e tumore dell’esofago
Chi è affetto dall’esofago di Barrett presenta un rischio minimo di sviluppare un tipo di cancro detto adenocarcinoma dell’esofago, ma ogni anno meno dell’uno per cento dei pazienti affetti dall’esofago di Barrett sviluppa un adenocarcinoma all’esofago; per approfondire leggi questo articolo: Esofago di Barrett, tumore e reflusso gastroesofageo
Diagnosi di esofago di Barrett
L’esofago di Barrett è un disturbo asintomatico, quindi molti medici consigliano agli adulti che hanno superato i 40 anni e che soffrono da diversi anni di reflusso gastroesofageo di sottoporsi all’endoscopia e alla biopsia, come misura precauzionale. L’unico modo per diagnosticare l’esofago di Barrett è la gastroscopia (endoscopia del tratto gastrointestinale superiore) che permette di ottenere campioni bioptici dell’esofago. Durante l’esame, dopo che il paziente è stato sedato, il medico inserisce nell’esofago un tubicino flessibile (endoscopio) dotato di una fonte luminosa e di una telecamera miniaturizzata a un’estremità. Se il tessuto presenta delle anomalie il medico ne rimuove diversi minuscoli campioni, usando una sorta di pinzetta che viene fatta passare nell’endoscopio. Il patologo esaminerà i campioni di tessuto al microscopio ed elaborerà una diagnosi.
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Diagnosi del cancro all’esofago
Nei pazienti che presentano sintomi la diagnosi di cancro all’esofago richiede una radiografia dell’esofago con mezzo di contrasto e un’endoscopia esofagea (l’esofagogastroscopia) che consente di vedere l’eventuale lesione e di ottenere materiale per un esame delle cellule. L’associazione delle due procedure aumenta la sensibilità diagnostica al 99%: la radiografia serve a escludere la presenza di malattie associate, ma l’esofagogastroscopia è l’esame a maggiore valore diagnostico, in quanto permette di visualizzare direttamente le strutture e di eseguire prelievi per la biopsia.
L’ecoendoscopia è invece un altro tipo di esame che consente di determinare in maniera più accurata quanto è profonda l’infiltrazione degli strati della parete esofagea e può evidenziare anche linfonodi interessati da metastasi.
Una volta individuato il tumore, a completamento degli esami diagnostici è opportuno fare una radiografia del torace e una tomografia computerizzata (TC) del torace e dell’addome per escludere la presenza di metastasi a distanza.
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Chi è a rischio
Tra i pazienti con esofago di Barrett, quelli con maggior rischio di sviluppare cancro esofageo, sono quelli che presentano questi fattori di rischio:
- Fattori genetici: il tumore dell’esofago, nella forma squamocellulare, compare in quasi tutti i pazienti affetti da tilosi palmare e plantare, una rara malattia ereditaria contraddistinta da ispessimento della pelle delle palme delle mani e delle piante dei piedi (ipercheratosi) e da papillomatosi dell’esofago, ovvero dalla formazione di piccole escrescenze dette appunto papillomi.
- Alcol e tabacco: sono tra i fattori di rischio più rilevanti, dato che in Europa e Stati Uniti l’80-90% dei tumori esofagei è provocato dal consumo di alcol e tabacco, fumato o masticato. I fumatori hanno probabilità di ammalarsi 5-10 volte maggiori rispetto ai non fumatori, a seconda del numero di sigarette fumate e degli anni di abitudine al fumo, i cui effetti vengono moltiplicati dall’alcol. Quest’ultimo, infatti, oltre ad agire come causa tumorale diretta, potenzia l’azione cancerogena del fumo, e le persone che consumano sigarette e alcol insieme hanno un rischio di ammalarsi di cancro esofageo aumentato fino a 100 volte.
- Dieta: una dieta povera di frutta e verdura e un ridotto apporto di vitamina A e di alcuni metalli come zinco e molibdeno possono aumentare il rischio di tumore dell’esofago. Una dieta ricca di grassi, e il conseguente aumento del grasso corporeo, influisce direttamente sul livello di molti ormoni che creano l’ambiente favorevole per l’insorgenza dei tumori (carcinogenesi). Il sovrappeso e l’obesità si associano spesso a reflusso gastroesofageo con un conseguente rischio di sviluppare la patologia dell’esofago di Barrett (che si riscontra nell’8-20% dei portatori di malattia da reflusso gastroesofageo).
- Fattori infiammatori:l’infiammazione cronica della mucosa che riveste l’esofago aumenta il rischio. La forma più frequente è l’esofagite peptica, cioè l’infiammazione cronica della parte terminale dell’esofago causata dal reflusso di succhi gastrici acidi dovuta a una tenuta difettosa della giunzione che separa l’esofago dallo stomaco. L’irritazione cronica fa sì che, a lungo andare, l’epitelio dell’esofago (ovvero il tessuto di rivestimento interno dell’organo) venga sostituito da uno simile a quello dello stomaco, sul quale poi si può sviluppare il tumore. Questa situazione prende il nome di “esofago di Barrett” ed è considerata una vera e propria precancerosi, che richiede talvolta anche il ricorso alla chirurgia al fine di evitare la completa trasformazione dell’epitelio in maligno.
Cura e dieta
Per quanto riguarda la dieta si può fare riferimento a questi articoli:
- La dieta per prevenire l’ernia iatale ed evitare il reflusso gastroesofageo
- Dieta e reflusso gastroesofageo
In generale i pazienti affetti dall’esofago di Barrett dovrebbero sottoporsi periodicamente all’endoscopia e alle biopsie per escludere precocemente i sintomi del tumore: questo approccio diagnostico è detto attesa vigile. Di solito, prima che si sviluppi il tumore all’esofago, compaiono cellule precancerose nei tessuti di Barrett. Questo disturbo è detto displasia e può essere diagnosticato solo tramite la biopsia. Può essere necessario sottoporsi a varie biopsie, perché una potrebbe non essere sufficiente a individuare le cellule displastiche. Diagnosticare e curare le displasie può essere fondamentale per la prevenzione del tumore. Per curare l’esofago di Barrett con displasia grave o tumore possono essere usati l’endoscopia o l’intervento chirurgico. Il medico vi illustrerà le possibilità a vostra disposizione e vi aiuterà a decidere qual è la terapia che fa al caso vostro.
Terapie endoscopiche
Per curare le displasie gravi ed il tumore all’esofago esistono diversi tipi di terapia endoscopica, nel corso di queste terapie i tessuti di Barrett vengono distrutti, oppure viene rimossa la parte di mucosa displastica o contenente il tumore. Lo scopo della terapia è quello di permettere alle cellule normali dell’esofago di prendere il posto di quelle distrutte o rimosse. Le terapie endoscopiche vengono eseguite in centri specializzati, da medici esperti.
Terapia fotodinamica
La terapia fotodinamica usa un agente fotosensibilizzante, la fotofrina, e un raggio laser per uccidere le cellule precancerose e cancerose. La fotofrina viene iniettata in vena e il paziente ritorna in ospedale dopo 48 ore. Il raggio laser è fatto passare nell’endoscopio e attiva la fotofrina che distrugge i tessuti di Barrett nell’esofago. Tra gli effetti collaterali della terapia fotodinamica ricordiamo:
- il dolore al torace,
- la nausea,
- la fotosensibilità per diverse settimane,
- la stenosi esofagea.
Resezione mucosa esofagea
Questa terapia solleva l’epitelio di Barrett, inietta una soluzione sopra di esso o la risucchia via, e infine lo rimuove chirurgicamente per via endoscopica. Se questo approccio viene usato per curare il tumore, per prima cosa deve essere effettuata un’ecografia endoscopica per accertarsi che il tumore coinvolga solo la parete esterna delle cellule dell’esofago. L’ecografia usa onde sonore che fanno eco sulle pareti dell’esofago per creare un’immagine su un monitor. Tra gli effetti collaterali ricordiamo il sanguinamento o le lesioni dell’esofago. Spesso la resezione mucosa esofagea viene associata alla terapia fotodinamica.
Intervento chirurgico
L’asportazione chirurgica della maggior parte dell’esofago è consigliabile per pazienti affetti dall’esofago di Barrett con displasia grave o tumore in grado di tollerare l’intervento chirurgico. Molte persone affette dall’esofago di Barrett sono anziane e hanno altri problemi di salute che rappresentano una controindicazione all’intervento. In questi pazienti è consigliabile ricorrere alle terapie endoscopiche meno invasive. Effettuare l’intervento entro breve tempo dalla diagnosi di displasia grave o di tumore, è la soluzione ottimale per il paziente. Esistono diversi tipi di intervento, che di norma comportano la rimozione della maggior parte dell’esofago, la dislocazione di parte dello stomaco nella cavità toracica e l’unione dello stomaco con la parte dell’esofago conservata.
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Chirurgia e chemioterapia nel cancro all’esofago
L’intervento vero e proprio di solito consiste nell’asportazione del tratto di esofago interessato dal tumore, di un pezzetto dello stomaco e dei linfonodi regionali, procedura chiamata in gergo medico “esofagogastrectomia parziale con linfoadenectomia regionale”. Nei pazienti non operabili la chemioterapia accompagnata da radioterapia è il trattamento di scelta, dato che la combinazione delle due cure aumenta la sopravvivenza rispetto alle singole opzioni. Nei casi operabili ma localmente avanzati o con sospette metastasi ai linfonodi può essere indicata la chemioterapia, eventualmente associata alla radioterapia, prima dell’intervento chirurgico (terapia neoadiuvante) I farmaci più usati sono il cisplatino e il 5-fluorouracile, talvolta con l’aggiunta di epirubicina. Il 60-80% dei tumori esofagei presenta una sovraespressione di EGFR (recettore del fattore di crescita dell’epidermide), che può essere bersaglio di farmaci biologici. Sono in corso alcune sperimentazioni con cetuximab e anche con farmaci che inibiscono l’angiogenesi come il bevacizumab. Nei tumori che presentano una sovraespressione del gene HER2 è possibile ricorrere al trastuzumab.
Pazienti in fase terminale
I pazienti in fase avanzata con difficoltà a deglutire e dolore, nei quali non è proponibile né il trattamento chirurgico né quello chemio-radioterapico, possono trarre beneficio da cure palliative che permettano un adeguato supporto alimentare. Queste possono consistere nel posizionamento per via endoscopica di un tubo rigido in plastica, silicone o anche in metallo attraverso l’esofago che consenta il passaggio del cibo oppure la laser-terapia, che consiste nell’uso di un raggio laser diretto sul tumore per ricreare il passaggio.
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Prevenzione di esofago di Barrett e tumore all’esofago
Dieta adeguata e l’evitare alcol e fumo sono le principali precauzioni per prevenire la forma squamocellulare di tumore dell’esofago. Per quanto riguarda invece l’adenocarcinoma, nella maggioranza dei casi si sviluppa da un’esofago di Barrett, e quindi la maniera più efficace di prevenirlo è quella di ridurre il rischio di reflusso gastroesofageo che provoca l’esofagite cronica: ciò si ottiene riducendo il consumo di caffè, di alcol e di sigarette, ma anche il sovrappeso e l’obesità.
Sebbene diversi farmaci antiacidi siano in grado di controllare i sintomi da reflusso, non ci sono finora dimostrazioni scientifiche di una loro efficacia nel ridurre la comparsa dell’esofago di Barrett. Pur non essendo disponibili esami di screening nei pazienti sani, la diagnosi precoce diventa estremamente importante una volta che l’esofago di Barrett si è sviluppato, per cogliere in tempo la sua eventuale trasformazione maligna.
Nei pazienti in cui la mucosa esofagea si è semplicemente trasformata in mucosa gastrica è consigliata un’endoscopia ogni due o tre anni. Viceversa, nei pazienti in cui le cellule trasformate mostrino segni di anormalità (displasia) si raccomanda di ripetere l’endoscopia almeno due volte a distanza di sei mesi e poi una volta l’anno.
Infine, se il grado di displasia è elevato (cioè se le cellule sono molto trasformate), è consigliabile l’asportazione endoscopica o addirittura l’intervento chirurgico, dato che si tratta di condizione precancerosa a elevato rischio di trasformazione maligna.
Sebbene diversi farmaci antiacidi siano in grado di controllare i sintomi da reflusso, non ci sono finora dimostrazioni scientifiche di una loro efficacia nel ridurre la comparsa dell’esofago di Barrett.
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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Differenza tra disfagia orofaringea ed esofagea: sintomi comuni e diversi
Con il termine “disfagia” (in inglese “dysphagia“) si intende la difficoltà del corretto transito del cibo nelle vie digestive superiori (tipicamente l’esofago) subito dopo averlo ingerito, quindi anche le difficoltà a deglutire rientrano nel campo delle disfagie. A seconda della zona dove si determina la difficoltà del passaggio del cibo, la disfagia viene classificata in:
- Orofaringea: quando la difficoltà di transito riguarda deglutizione e passaggio del cibo dall’orofaringe all’esofago (l’orofaringe è la porzione della faringe che mette in comunicazione cavità orale, laringe ed esofago);
- Esofagea: quando la difficoltà di transito riguarda il passaggio attraverso l’esofago in direzione dello stomaco.
La disfagia è essa stessa un sintomo, quindi non è possibile descrivere i “sintomi di un sintomo”. Al più si può elencare una serie di sintomi e segni che possono essere associati alla disfagia, cioè che si presentano contemporaneamente ad essa e che possono essere estremamente variabili in base al tipo di disfagia ed alla patologia a monte che l’ha determinata.
I sintomi e segni associati ai due tipi di disfagia sono diversi ed aiutano il medico a capire a quale livello delle vie digestive superiori possa essere presente un problema. I sintomi associati a disfagia orofaringea sono:
- difficoltà nel controllo del bolo nella cavità orale;
- perdita di saliva o cibo dalla bocca;
- tosse;
- sensazione di soffocamento per aspirazione nelle vie aeree;
- polmonite ab ingestis;
- rigurgito nasale;
- deglutizioni multiple per uno stesso bolo.
I sintomi associati a disfagia esofagea sono invece:
- sensazione di cibo che si blocca a livello della parte bassa della gola o nel torace;
- pirosi retrosternale;
- odinofagia.
Alcuni sintomi possono essere comuni ad entrambi i tipi di disfagia:
- affaticamento durante il pasto;
- assunzione di determinate posture durante il pasto che sembrano facilitare deglutizione e passaggio nello stomaco;
- sensazione di pesantezza e pienezza a livello di gola e petto.
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Differenza tra disfagia ed odinofagia: cause comuni e diverse
Con il termine “disfagia” (in inglese “dysphagia“) si intende la difficoltà del corretto transito del cibo nelle vie digestive superiori (tipicamente l’esofago) subito dopo averlo ingerito, quindi anche le difficoltà a deglutire rientrano nel campo delle disfagie.
Con il termine “odinofagia” (in inglese “odynophagia“) si intende invece una sensazione di dolore, unita spesso a bruciore, durante la deglutizione.
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Disfagia ed odinofagia non sono necessariamente presenti nello stesso momento: un paziente può avere il sintomo di difficoltà nel transito del cibo senza avvertire un particolare dolore, e viceversa, sebbene i due sintomi possano essere non di rado comparire nello stesso soggetto.
Le cause dei due sintomi sono generalmente diverse (sebbene possano in alcuni casi combaciare). La disfagia può riconoscere cause:
- ostruttive: quando il lume delle vie digestive superiori – specie l’esofago -si riduce per compressione o per ostruzione, come nel caso di presenza di corpi estranei, stenosi, tumori che comprimono dall’esterno o che occludono dall’interno, diverticoli, infiammazioni, ingrossamento della tiroide e spondilite cervicale.
- motorie: quando il lume delle vie digestive superiori è “libero” ma intervengono gli esiti di una serie di malattie sistemiche – specie nervose e croniche – che compromettono la peristalsi, cioè la contrazione coordinata della muscolatura liscia presente nelle vie digerenti che permette al cibo di procedere in direzione dell’ano. Tra queste: polimiosite, sclerosi laterale amiotrofica, sclerodermia, acalasia, paralisi dei muscoli della lingua, poliomielite, miopatia, miastenia, spasmo esofageo diffuso e le discinesie idiopatiche dell’esofago.
Invece la odinofagia riconosce quasi sempre cause irritative della mucosa interessate dal passaggio del cibo, come il classico caso della tonsillite nel mal di gola: il cibo passa senza difficoltà (assenza di disfagia), ma durante la deglutizione si avverte dolore (presenza di odinofagia). Solo raramente il dolore non è causato da irritazione, altre cause sono: presenza di massa tumorale, acalasia ed arterite di Horton.
Come facilmente intuibile, una patologia che può provocare sia disfagia che odinofagia allo stesso tempo è un tumore: una massa tumorale a livello delle prime vie digerenti può determinare difficoltà
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Acidità di stomaco e bruciore: tutti i farmaci antiacidi
L’acidità gastrica, anche chiamata acidità di stomaco o pirosi retrosternale, è un sintomo dolorifico urente localizzato posteriormente allo sterno e diffuso nella parte superiore dell’addome, che può indicare una disfunzione dell’apparato digerente, in particolare dello stomaco. I pazienti affetti da questo disturbo riferiscono varie sensazioni quali un senso diffuso di bruciore allo stomaco che si propaga all’esofago ed alla faringe, accompagnato da scialorrea (ipersecrezione di saliva) ed eventuale reflusso in bocca di liquido dal gusto acre. Sovente il bruciore è accompagnato da eruttazione, alitosi e vomito.
La pirosi può insorgere spontaneamente o in seguito a vari eventi/patologie, tra cui i più frequenti sono:
- ingestione di alimenti irritanti;
- ingestione di farmaci particolari;
- reflusso gastroesofageo (a tale proposito leggi anche: Reflusso gastroesofageo: sintomi, diagnosi e cura);
- esofagite da reflusso;
- consumo di cibi difficilmente digeribili e cattiva digestione;
- ostacoli allo svuotamento gastrico;
- ernia iatale;
- ulcera gastrica;
- ulcera duodenale.
Fattori che aumentano la possibilità del presentarsi del disturbo:
- chinarsi in avanti;
- decubito notturno
- gravidanza (a tale proposito leggi: Acidità di Stomaco in gravidanza: farmaci, cibi e rimedi naturali);
- stress;
- forti emozioni;
- abuso di nicotina ed alcol
- dormire sul fianco destro
- dormire con un cuscino basso.
Generalmente, l’acidità di stomaco è un disturbo che può essere facilmente trattato, tuttavia, è bene non sottovalutarlo, poiché potrebbe rappresentare il sintomo di eventuali patologie di base non ancora diagnosticate.
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Farmaci per l’acidità di stomaco
Trattandosi di un disturbo che può essere provocato da cause di varia origine e natura, il trattamento del bruciore di stomaco può variare da paziente a paziente, appare quindi chiaro quanto sia importante individuare quale sia la causa scatenante che ha portato all’insorgenza di questo disturbo, per poter curare a monte il problema e non con palliativi.
I principali farmaci utilizzati per la cura dell’acidità di stomaco sono i cosiddetti antiacidi. Tali farmaci esplicano la loro attività attraverso la neutralizzazione temporanea dell’eccessiva acidità a livello dello stomaco, ma senza alterare la produzione dell’acido cloridrico da parte delle cellule gastriche. Per tale ragione, questo tipo di farmaci è utile perlopiù nei casi sporadici di acidità di stomaco, magari provocati da pasti eccessivamente abbondanti o dal consumo di cibi difficilmente digeribili.
Quando, invece, l’acidità di stomaco è provocata da patologie più gravi, allora il medico potrebbe ritenere necessario il ricorso a farmaci in grado di interferire direttamente con la produzione dell’acido cloridrico a livello gastrico, oppure in grado di proteggere la parete dello stomaco dall’eccessivo ambiente acido. Stiamo parlando dei cosiddetti farmaci gastroprotettori, fra cui ritroviamo gli inibitori di pompa protonica, gli antistaminici H2 e gli agenti citoprotettivi.
Di seguito sono riportate le classi di farmaci maggiormente impiegate nella terapia contro l’acidità di stomaco ed alcuni esempi di specialità farmacologiche; spetta al medico scegliere il principio attivo e la posologia più indicati per il paziente, in base alla gravità della malattia, allo stato di salute del malato ed alla sua risposta alla cura.
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Antiacidi
Come accennato, i farmaci antiacidi esplicano la loro azione neutralizzando temporaneamente l’acidità di stomaco e non influiscono in alcun modo sulla produzione di acido cloridrico.
Fra gli antiacidi maggiormente impiegati in terapia, ricordiamo:
- Sodio bicarbonato (Citrosodina®): questo sale è uno dei prodotti maggiormente impiegati per contrastare l’acidità di stomaco. È disponibile in polvere o in granulato effervescente. Solitamente, si consiglia l’assunzione di due cucchiaini da caffè di prodotto da sciogliersi preventivamente in acqua.
- Idrossido di alluminio e idrossido di magnesio (Maalox®, Maalox TC®, Maalox Plus®): questi composti vengono impiegati sempre in associazione. Sono disponibili in diverse formulazioni farmaceutiche, fra cui ricordiamo le compresse masticabili e la sospensione orale.
Quando utilizzati sotto forma di compresse masticabili, si consiglia l’assunzione di una o due compresse (contenenti 400 mg di idrossido di alluminio e 400 mg di idrossido di magnesio) dalle tre alle quattro volte al dì.
Inibitori di Pompa Protonica
Come accennato, questi farmaci trovano impiego nel trattamento dell’acidità di stomaco soprattutto quando questa è provocata da patologie come ulcere gastrointestinali, reflusso gastroesofageo o ernia iatale.
Fra i principi attivi maggiormente impiegati, ricordiamo:
- Lansoprazolo (Lansox®, Lansoprazolo EG®): il lansoprazolo è uno degli inibitori di pompa protonica maggiormente impiegati in terapia. È disponibile in formulazioni farmaceutiche sotto forma di capsule. Generalmente, per il trattamento dell’acidità di stomaco si consiglia l’assunzione di 15-30 mg di principio attivo al giorno, per un periodo di almeno quattro settimane.
- Pantoprazolo (Pantorc®, Peptazol®): il pantoprazolo è disponibile sotto forma di compresse. La dose di farmaco da assumere e la durata del trattamento possono dipendere dal tipo di patologia che sta alla base dell’acidità di stomaco. Solitamente, la dose consigliata varia fra i 20 mg e i 40 mg al giorno, da assumersi un’ora prima dei pasti, per un periodo che può variare dalle due alle quattro settimane.
Antistaminici H2
Gli anatistaminici H2 (o antagonisti dei recettori istaminici H2, che dir si voglia), costituiscono anch’essi una classe di farmaci che viene largamente impiegata nel trattamento dell’acidità di stomaco causata da diversi tipi di patologie e disturbi.
Fra i diversi principi attivi appartenenti a questa classe, ricordiamo il capostipite: la cimetidina (Ulis®). Questo principio attivo è disponibile in compresse e in granulato per soluzione orale. Solitamente, nei pazienti adulti si consiglia l’assunzione di 800 mg di cimetidina al giorno, la sera prima di coricarsi.
Agenti citoprotettivi
Gli agenti citoprotettivi non sono farmaci impiegati per la cura dell’acidità di stomaco in sé, poiché non sono in grado né di inibire la sintesi di acido cloridrico né di neutralizzare l’ambiente eccessivamente acido che si viene a creare a livello gastrico. Tuttavia, grazie al loro meccanismo d’azione, agiscono proteggendo la mucosa dello stomaco dall’eccessiva acidità.
Fra i principi attivi appartenenti a questo gruppo, ricordiamo il sucralfato (Gastrogel®). Questo principio attivo, una volta raggiunto lo stomaco, è in grado di formare un gel che funge da barriera protettiva nei confronti della mucosa gastrica, ostacolandone in questo modo il contatto con l’acido cloridrico.
Il sucralfato è disponibile in diverse formulazioni farmaceutiche sotto forma di compresse, gel, polvere orale e sospensione orale. Quando assunto sotto forma di gel, si consiglia l’assunzione di 1 grammo di principio attivo due volte al dì, un’ora prima dei pasti, oppure al mattino ed alla sera prima di coricarsi.
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Bruciore di stomaco: cosa mangiare, come dormire e rimedi naturali
Il bruciore di stomaco è un fastidioso sintomo localizzato nella parte superiore dell’addome e legato a diversi disturbi gastrici, dalla gastrite all’ulcera gastrica, dall’ulcera duodenale al reflusso gastroesofageo. Spesso il bruciore di stomaco è presente in gravidanza. Ci sono comunque anche fattori emozionali che entrano in gioco: ansia e stress possono aumentare il fastidio. I rimedi principali consistono nell’utilizzo dei farmaci antiacidi o al tanto usato bicarbonato di sodio, tuttavia esistono numerosi altri metodi per alleviare il bruciore di stomaco, fermo restando che sono tutti palliativi e che se il disturbo non accenna a diminuire è necessario interpellare subito il medico che indagherà sulle cause organiche del bruciore.
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I rimedi naturali
Contro il bruciore di stomaco, meglio puntare tutto sui toccasana naturali capaci di assorbire i succhi gastrici in eccesso, responsabili dell’acidità. Allo scopo, si possono sfruttare le proprietà calmanti e antinfiammatorie dell’altea, da consumare sotto forma di infuso prima dei pasti principali, o l’azione antispasmodica e antinfiammatoria della liquirizia (estratto secco titolato assunto mattina e sera).
Ma la migliore alleata anti-acidità è sicuramente l’argilla verde, grazie alle sue proprietà assorbenti e cicatrizzanti da sfruttare al meglio immergendo due cucchiai da caffè di argilla in mezzo bicchiere d’acqua, da lasciare a riposo per una notte, filtrare con una garza, per poi bere, due volte al giorno, dopo i pasti principali. Digestiva e rilassante, calmante e lenitiva, anche in questo caso la camomilla è un valido rimedio naturale, così come la melissa, grazie alle sue proprietà sedative e spasmolitiche o la malva, dall’azione antinfiammatoria garantita: il consiglio è di consumare queste erbe come protagoniste di infusi e tisane, mattina e sera, come benefici alleati digestivi dopo i pasti principali.
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Come mangiare
E’ fondamentale optare per un regime alimentare equilibrato e regolare, fatto di tre pasti principali, cioè colazione, pranzo e cena, che non vanno mai saltati, e di due spuntini leggeri spezza fame da consumare a metà mattina e a metà pomeriggio. Importantissima la scelta degli alimenti da mangiare:
CIBI DA EVITARE O LIMITARE:
- i cibi ricchi di grassi e conservanti;
- i grassi animali;
- le portate troppo abbondanti, specie a cena;
- le fritture;
- le salse ipercaloriche;
- i piatti troppi unti.
CIBI CONSIGLIATI:
- frutta;
- verdura;
- legumi;
- cereali integrali;
- pesce;
- carne bianca;
- olio extravergine di oliva come condimento per i piatti da utilizzare preferibilmente a crudo;
- le cotture leggere e salutari, come quella al vapore.
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Bruciore di stomaco, i miei consigli:
- Dormi sul fianco sinistro. Da recenti ricerche del “The Journal of Clinical Gastroenterology” è emerso che dormire sul fianco sinistro mantiene la giunzione tra esofago e stomaco al di sopra del livello dell’acido gastrico, in particolare limita il reflusso gastrico, quindi se il tuo bruciore è provocato da esso il mio primo consiglio è di provare a dormire sul fianco sinistro.
- Usa due cuscini: il reflusso gastroesofageo sarà ostacolato dalla forza di gracità.
- Il materassino triangolare. Altrettanto valida ed efficace come soluzione è quella di adottare un materassino triangolare per rialzare il tuo materasso nella zona cervicale e quindi dormire con una leggera pendenza a favore dello stomaco per contrastare con la forza di gravità la “risalita di succhi gastrici”. Lo stesso effetto lo puoi ottenere con una rete a doghe reclinabile.
- Una camminata dopo cena aiuta digerire meglio. Cerca di non praticare attività fisica prima di andare a dormire, piuttosto fai una bella camminata di circa 20 minuti a passo sostenuto, in questo modo favorirai la tua digestione e diminuirai le probabilità di avere acidità di stomaco durante la notte.
- Mangia una gomma da masticare dopo cena. Masticare una gomma dopo cena sicuramente aiuterà a limitare l’acidità di stomaco, tuttavia non può rappresentare “la soluzione definitiva” al tuo problema di reflusso gastrico.
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