Sfinterotomia nella terapia sintomatica delle emorroidi

MEDICINA ONLINE EMORROIDI INTERNE ESTERNE PROLASSO ANO RETTO FECI CILINDRO FECALE SANGUE ANALE COLON PROCTOLOGO DEFECARE EVACUARE PONZAMENTO DOLORE BRUCIORE CACCA MELENA.Con il termine “emorroidi” si identifica un gruppo di strutture vascolari appartenenti al canale anale che proteggono i muscoli dello sfintere anale durante il Continua a leggere

Esofago di Barrett: sintomi iniziali, diagnosi, terapia, dieta e chirurgia

esofago con esofagite visto allL’esofago di Barrett è una metaplasia in cui le pareti dell’esofago, anziché essere costituite da epitelio normale (epitelio squamoso pluristratificato), sono costituite da tessuti simili a quelli delle pareti dell’intestino (cellule mucipare caliciformi) . L’esofago di Barrett è un disturbo asintomatico, ma spesso si presenta nei pazienti affetti dal reflusso gastroesofageo. Una piccola percentuale dei pazienti affetti dall’esofago di Barrett svilupperà una forma rara, ma purtroppo in molti casi mortale, di tumore all’esofago.

Diffusione di esofago di Barrett e del tumore dell’esofago

Negli Stati Uniti l’esofago di Barrett colpisce l’uno per cento circa degli adulti; l’età media alla diagnosi è di 50 anni, ma capire quand’è comparso il problema di solito è difficile. L’esofago di Barrett ha un’incidenza doppia negli uomini, e gli uomini di etnia caucasica sono colpiti più frequentemente rispetto a quelli di altre etnie. L’esofago di Barrett si manifesta raramente nei i bambini.
Il tumore dell’esofago è il sesto tumore più comune nei paesi non industrializzati, mentre è al diciottesimo posto nei paesi industrializzati, e colpisce prevalentemente i maschi (è tre volte più frequente negli uomini che nelle donne, con 1.500 casi stimati l’anno in Italia contro 600 nel sesso femminile).
Si sviluppa nella maggior parte dei casi dopo la sesta decade di vita. L’incidenza geografica è variabile: i paesi orientali, tra cui la Cina e Singapore, sono quelli dove la mortalità è più elevata e i casi sono circa 20-30 l’anno ogni 100.000 abitanti. In Italia il tasso di incidenza annuo è di circa 4 casi su 100.000.
Poiché si tratta di una forma di cancro molto aggressiva, la mortalità è abbastanza elevata.

Cause di esofago di Barrett

Non si sa con esattezza quali sino le cause dell’esofago di Barrett, tuttavia la malattia da reflusso gastroesofageo cronica (e la relativa esofagite da reflusso cronica) rappresenta sicuramente un fattore di rischio; anche chi non soffre di reflusso può soffrire dell’esofago di Barrett, però il disturbo è da tre a cinque volte più diffuso nei pazienti che soffrono anche di reflusso. Curando o alleviando i sintomi della malattia da reflusso è possibile diminuire il rischio di ammalarsi di esofago di Barrett; a tal proposito leggi anche: Reflusso gastroesofageo: sintomi, diagnosi e cura

Sintomi e segni dell’esofago di Barrett

L’esofago di Barrett non si manifesta con sintomi e proprio per questo può essere presente in modo silenzioso per diversi anni prima dell’effettivo sviluppo del tumore. Purtroppo la diagnosi di adenocarcinoma all’esofago non è sempre precoce, quindi il tumore molte volte viene diagnosticato quando già si trova in stadio avanzato: ciò peggiora la prognosi e rende le terapie meno efficaci.

Leggi anche: Acidità di stomaco e bruciore: tutti i farmaci antiacidi

Sintomi e segni del cancro all’esofago

Quasi sempre i sintomi iniziali del tumore dell’esofago sono aspecifici: si ha perdita progressiva di peso corporeo preceduta dalla disfagia , cioè dalla difficoltà a deglutire, che di solito compare in modo graduale prima per i cibi solidi e successivamente per quelli liquidi. Questi sintomi sono riferiti dal 90% dei pazienti. Inoltre, la crescita del tumore verso l’esterno dell’esofago può provocare un calo o un’alterazione del tono di voce perché coinvolge i nervi che governano l’emissione dei suoni, oppure indurre una paralisi del diaframma o, ancora, un dolore al torace, appena dietro lo sterno, se coinvolge la zona tra cuore, polmoni, sterno e colonna vertebrale. Negli stadi più avanzati di sviluppo del tumore la capacità di assumere cibo può diventare faticosa. Se il tumore è ulcerato, la deglutizione potrebbe anche diventare dolorosa. Quando la massa del tumore ostacola la discesa del cibo lungo l’esofago si possono verificare episodi di rigurgito. Nelle forme più avanzate possono inoltre ingrossarsi i linfonodi ai lati del collo e sopra la clavicola, oppure può formarsi del liquido nel rivestimento del polmone (versamento pleurico) con comparsa di dispnea (difficoltà a respirare), oppure ancora possono comparire dolori alle ossa o un aumento delle dimensioni del fegato: la causa di questi sintomi è in genere legata alla presenza di metastasi. I dati prodotti dal Registro italiano tumori segnalano una sopravvivenza a 5 anni che in media non supera il 12% se la malattia è stata diagnosticata in fase avanzata, mentre è molto più elevata se scoperta in fase iniziale.

Per approfondire:

Esofago di Barrett e tumore dell’esofago

Chi è affetto dall’esofago di Barrett presenta un rischio minimo di sviluppare un tipo di cancro detto adenocarcinoma dell’esofago, ma ogni anno meno dell’uno per cento dei pazienti affetti dall’esofago di Barrett sviluppa un adenocarcinoma all’esofago; per approfondire leggi questo articolo: Esofago di Barrett, tumore e reflusso gastroesofageo

Diagnosi di esofago di Barrett

L’esofago di Barrett è un disturbo asintomatico, quindi molti medici consigliano agli adulti che hanno superato i 40 anni e che soffrono da diversi anni di reflusso gastroesofageo di sottoporsi all’endoscopia e alla biopsia, come misura precauzionale. L’unico modo per diagnosticare l’esofago di Barrett è la gastroscopia (endoscopia del tratto gastrointestinale superiore) che permette di ottenere campioni bioptici dell’esofago. Durante l’esame, dopo che il paziente è stato sedato, il medico inserisce nell’esofago un tubicino flessibile (endoscopio) dotato di una fonte luminosa e di una telecamera miniaturizzata a un’estremità. Se il tessuto presenta delle anomalie il medico ne rimuove diversi minuscoli campioni, usando una sorta di pinzetta che viene fatta passare nell’endoscopio. Il patologo esaminerà i campioni di tessuto al microscopio ed elaborerà una diagnosi.

Leggi anche: Bruciore di stomaco: cosa mangiare, come dormire e rimedi naturali

Diagnosi del cancro all’esofago

Nei pazienti che presentano sintomi la diagnosi di cancro all’esofago richiede una radiografia dell’esofago con mezzo di contrasto e un’endoscopia esofagea (l’esofagogastroscopia) che consente di vedere l’eventuale lesione e di ottenere materiale per un esame delle cellule. L’associazione delle due procedure aumenta la sensibilità diagnostica al 99%: la radiografia serve a escludere la presenza di malattie associate, ma l’esofagogastroscopia è l’esame a maggiore valore diagnostico, in quanto permette di visualizzare direttamente le strutture e di eseguire prelievi per la biopsia.
L’ecoendoscopia è invece un altro tipo di esame che consente di determinare in maniera più accurata quanto è profonda l’infiltrazione degli strati della parete esofagea e può evidenziare anche linfonodi interessati da metastasi.
Una volta individuato il tumore, a completamento degli esami diagnostici è opportuno fare una radiografia del torace e una tomografia computerizzata (TC) del torace e dell’addome per escludere la presenza di metastasi a distanza.

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Chi è a rischio

Tra i pazienti con esofago di Barrett, quelli con maggior rischio di sviluppare cancro esofageo, sono quelli che presentano questi fattori di rischio:

  • Fattori genetici: il tumore dell’esofago, nella forma squamocellulare, compare in quasi tutti i pazienti affetti da tilosi palmare e plantare, una rara malattia ereditaria contraddistinta da ispessimento della pelle delle palme delle mani e delle piante dei piedi (ipercheratosi) e da papillomatosi dell’esofago, ovvero dalla formazione di piccole escrescenze dette appunto papillomi.
  • Alcol e tabacco: sono tra i fattori di rischio più rilevanti, dato che in Europa e Stati Uniti l’80-90% dei tumori esofagei è provocato dal consumo di alcol e tabacco, fumato o masticato. I fumatori hanno probabilità di ammalarsi 5-10 volte maggiori rispetto ai non fumatori, a seconda del numero di sigarette fumate e degli anni di abitudine al fumo, i cui effetti vengono moltiplicati dall’alcol. Quest’ultimo, infatti, oltre ad agire come causa tumorale diretta, potenzia l’azione cancerogena del fumo, e le persone che consumano sigarette e alcol insieme hanno un rischio di ammalarsi di cancro esofageo aumentato fino a 100 volte.
  • Dieta: una dieta povera di frutta e verdura e un ridotto apporto di vitamina A e di alcuni metalli come zinco e molibdeno possono aumentare il rischio di tumore dell’esofago. Una dieta ricca di grassi, e il conseguente aumento del grasso corporeo, influisce direttamente sul livello di molti ormoni che creano l’ambiente favorevole per l’insorgenza dei tumori (carcinogenesi). Il sovrappeso e l’obesità si associano spesso a reflusso gastroesofageo con un conseguente rischio di sviluppare la patologia dell’esofago di Barrett (che si riscontra nell’8-20% dei portatori di malattia da reflusso gastroesofageo).
  • Fattori infiammatori:l’infiammazione cronica della mucosa che riveste l’esofago aumenta il rischio. La forma più frequente è l’esofagite peptica, cioè l’infiammazione cronica della parte terminale dell’esofago causata dal reflusso di succhi gastrici acidi dovuta a una tenuta difettosa della giunzione che separa l’esofago dallo stomaco. L’irritazione cronica fa sì che, a lungo andare, l’epitelio dell’esofago (ovvero il tessuto di rivestimento interno dell’organo) venga sostituito da uno simile a quello dello stomaco, sul quale poi si può sviluppare il tumore. Questa situazione prende il nome di “esofago di Barrett” ed è considerata una vera e propria precancerosi, che richiede talvolta anche il ricorso alla chirurgia al fine di evitare la completa trasformazione dell’epitelio in maligno.

Cura e dieta

Per quanto riguarda la dieta si può fare riferimento a questi articoli:

In generale i pazienti affetti dall’esofago di Barrett dovrebbero sottoporsi periodicamente all’endoscopia e alle biopsie per escludere precocemente i sintomi del tumore: questo approccio diagnostico è detto attesa vigile. Di solito, prima che si sviluppi il tumore all’esofago, compaiono cellule precancerose nei tessuti di Barrett. Questo disturbo è detto displasia e può essere diagnosticato solo tramite la biopsia. Può essere necessario sottoporsi a varie biopsie, perché una potrebbe non essere sufficiente a individuare le cellule displastiche. Diagnosticare e curare le displasie può essere fondamentale per la prevenzione del tumore. Per curare l’esofago di Barrett con displasia grave o tumore possono essere usati l’endoscopia o l’intervento chirurgico. Il medico vi illustrerà le possibilità a vostra disposizione e vi aiuterà a decidere qual è la terapia che fa al caso vostro.

Terapie endoscopiche

Per curare le displasie gravi ed il tumore all’esofago esistono diversi tipi di terapia endoscopica, nel corso di queste terapie i tessuti di Barrett vengono distrutti, oppure viene rimossa la parte di mucosa displastica o contenente il tumore. Lo scopo della terapia è quello di permettere alle cellule normali dell’esofago di prendere il posto di quelle distrutte o rimosse. Le terapie endoscopiche vengono eseguite in centri specializzati, da medici esperti.

Terapia fotodinamica

La terapia fotodinamica usa un agente fotosensibilizzante, la fotofrina, e un raggio laser per uccidere le cellule precancerose e cancerose. La fotofrina viene iniettata in vena e il paziente ritorna in ospedale dopo 48 ore. Il raggio laser è fatto passare nell’endoscopio e attiva la fotofrina che distrugge i tessuti di Barrett nell’esofago. Tra gli effetti collaterali della terapia fotodinamica ricordiamo:

  • il dolore al torace,
  • la nausea,
  • la fotosensibilità per diverse settimane,
  • la stenosi esofagea.

Resezione mucosa esofagea

Questa terapia solleva l’epitelio di Barrett, inietta una soluzione sopra di esso o la risucchia via, e infine lo rimuove chirurgicamente per via endoscopica. Se questo approccio viene usato per curare il tumore, per prima cosa deve essere effettuata un’ecografia endoscopica per accertarsi che il tumore coinvolga solo la parete esterna delle cellule dell’esofago. L’ecografia usa onde sonore che fanno eco sulle pareti dell’esofago per creare un’immagine su un monitor. Tra gli effetti collaterali ricordiamo il sanguinamento o le lesioni dell’esofago. Spesso la resezione mucosa esofagea viene associata alla terapia fotodinamica.

Intervento chirurgico

L’asportazione chirurgica della maggior parte dell’esofago è consigliabile per pazienti affetti dall’esofago di Barrett con displasia grave o tumore in grado di tollerare l’intervento chirurgico. Molte persone affette dall’esofago di Barrett sono anziane e hanno altri problemi di salute che rappresentano una controindicazione all’intervento. In questi pazienti è consigliabile ricorrere alle terapie endoscopiche meno invasive. Effettuare l’intervento entro breve tempo dalla diagnosi di displasia grave o di tumore, è la soluzione ottimale per il paziente. Esistono diversi tipi di intervento, che di norma comportano la rimozione della maggior parte dell’esofago, la dislocazione di parte dello stomaco nella cavità toracica e l’unione dello stomaco con la parte dell’esofago conservata.

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Chirurgia e chemioterapia nel cancro all’esofago

L’intervento vero e proprio di solito consiste nell’asportazione del tratto di esofago interessato dal tumore, di un pezzetto dello stomaco e dei linfonodi regionali, procedura chiamata in gergo medico “esofagogastrectomia parziale con linfoadenectomia regionale”. Nei pazienti non operabili la chemioterapia accompagnata da radioterapia è il trattamento di scelta, dato che la combinazione delle due cure aumenta la sopravvivenza rispetto alle singole opzioni. Nei casi operabili ma localmente avanzati o con sospette metastasi ai linfonodi può essere indicata la chemioterapia, eventualmente associata alla radioterapia, prima dell’intervento chirurgico (terapia neoadiuvante) I farmaci più usati sono il cisplatino e il 5-fluorouracile, talvolta con l’aggiunta di epirubicina. Il 60-80% dei tumori esofagei presenta una sovraespressione di EGFR (recettore del fattore di crescita dell’epidermide), che può essere bersaglio di farmaci biologici. Sono in corso alcune sperimentazioni con cetuximab e anche con farmaci che inibiscono l’angiogenesi come il bevacizumab. Nei tumori che presentano una sovraespressione del gene HER2 è possibile ricorrere al trastuzumab.

Pazienti in fase terminale

I pazienti in fase avanzata con difficoltà a deglutire e dolore, nei quali non è proponibile né il trattamento chirurgico né quello chemio-radioterapico, possono trarre beneficio da cure palliative che permettano un adeguato supporto alimentare. Queste possono consistere nel posizionamento per via endoscopica di un tubo rigido in plastica, silicone o anche in metallo attraverso l’esofago che consenta il passaggio del cibo oppure la laser-terapia, che consiste nell’uso di un raggio laser diretto sul tumore per ricreare il passaggio.

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Prevenzione di esofago di Barrett e tumore all’esofago

Dieta adeguata e l’evitare alcol e fumo sono le principali precauzioni per prevenire la forma squamocellulare di tumore dell’esofago. Per quanto riguarda invece l’adenocarcinoma, nella maggioranza dei casi si sviluppa da un’esofago di Barrett, e quindi la maniera più efficace di prevenirlo è quella di ridurre il rischio di reflusso gastroesofageo che provoca l’esofagite cronica: ciò si ottiene riducendo il consumo di caffè, di alcol e di sigarette, ma anche il sovrappeso e l’obesità.
Sebbene diversi farmaci antiacidi siano in grado di controllare i sintomi da reflusso, non ci sono finora dimostrazioni scientifiche di una loro efficacia nel ridurre la comparsa dell’esofago di Barrett. Pur non essendo disponibili esami di screening nei pazienti sani, la diagnosi precoce diventa estremamente importante una volta che l’esofago di Barrett si è sviluppato, per cogliere in tempo la sua eventuale trasformazione maligna.
Nei pazienti in cui la mucosa esofagea si è semplicemente trasformata in mucosa gastrica è consigliata un’endoscopia ogni due o tre anni. Viceversa, nei pazienti in cui le cellule trasformate mostrino segni di anormalità (displasia) si raccomanda di ripetere l’endoscopia almeno due volte a distanza di sei mesi e poi una volta l’anno.
Infine, se il grado di displasia è elevato (cioè se le cellule sono molto trasformate), è consigliabile l’asportazione endoscopica o addirittura l’intervento chirurgico, dato che si tratta di condizione precancerosa a elevato rischio di trasformazione maligna.
Sebbene diversi farmaci antiacidi siano in grado di controllare i sintomi da reflusso, non ci sono finora dimostrazioni scientifiche di una loro efficacia nel ridurre la comparsa dell’esofago di Barrett.

Per approfondire:

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
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Differenza tra prolasso rettale ed emorroidi

MEDICINA ONLINE EMORROIDI EMORROIDE DIFFERENZA EMORROIDI INTERNE ESTERNEEmorroidi

Con il termine “emorroidi” (in inglese “hemorrhoid”) si identifica un gruppo di strutture vascolari appartenenti al canale anale. Quando, per vari motivi, sono gonfie ed infiammate, diventano patologiche e causano una sindrome nota come “malattia emorroidaria“. Nel linguaggio comune, con il termine “emorroidi”, ci si riferisce proprio alla “malattia emorroidaria”. Mentre la causa esatta non è nota, una serie di fattori che aumentano la pressione intra-addominale, in particolare la costipazione, si ritiene rivestano un ruolo nel loro sviluppo. Il trattamento iniziale per la malattia, da lieve a moderata, consiste nell’aumentare l’assunzione di fibre e di liquidi per mantenere l’idratazione. I FANS (farmaci antinfiammatori non steroidei) possono, temporaneamente, essere utilizzati per lenire il dolore. Nei casi più gravi si interviene chirurgicamente. Per approfondire, leggi anche: Emorroidi interne e esterne: cause, sintomi, cura e rimedi

Prolasso rettale

Con “prolasso rettale” si identifica invece una condizione in cui il retto tende a scivolare in basso e protrudere al di fuori dell’ano. Gli sfinteri anali possono non svolgere completamente la loro funzione per cui al prolasso del retto può associarsi la perdita involontaria di muco o di feci. E’ una patologia più comune nelle donne che nell’uomo. Può essere completo, quando cioè il retto fuoriesce completamente dall’ano, anche per molti centimetri, proprio come un calzino rovesciato, interno, quando cioè il retto si introflette in se sesso (invaginazione retto-rettale) o nel canale anale (invaginazione retto-anale), o solo mucoso, quando cioè solamente la mucosa rettale tende a discendere nel canale anale o fuori dall’ano. Molti fattori possono contribuire allo sviluppo del prolasso rettale. La stipsi e l’eccessivo sforzo all’evacuazione, soprattutto nelle persone anziane, sono le cause più comuni. Anche il parto può giocare un ruolo importante nella formazione di un prolasso rettale. Lo stiramento e il cedimento di particolari legamenti che sostengono il retto nella pelvi ne provocano la discesa con ripercussioni sugli sfinteri anali. Talvolta il prolasso rettale fa parte di un difetto che riguarda tutto il pavimento pelvico e si associa ad incontinenza urinaria e a prolasso degli altri organi pelvici come l’utero e la vescica. Più raramente può essere causato da lesioni neurologiche come lesioni del midollo spinale. Riguardo alla cura del prolasso rettale: correggendo la stipsi e l’eccessivo sforzo durante la defecazione la progressione del prolasso può essere rallentata; esistono inoltre numerose tecniche chirurgiche variano a seconda del tipo di prolasso. Per approfondire, leggi anche: Prolasso rettale: intervento, cure, ginnastica, immagini, pomate

Prolasso del retto ed emorroidi sono la stessa cosa?

Non sono sinonimi: le emorroidi esterne sono una conseguenza del prolasso e ne sono la prima manifestazione. Alcuni sintomi sono però comuni ad esntrambe le condizioni, come il sanguinamento e/o la protrusione al di fuori dell’ano.

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Reflusso gastroesofageo: terapia farmacologica e chirurgica

Dott. Loiacono Emilio Alessio Medico Chirurgo Chirurgia Roma Cavitazione Pressoterapia Dietologo Cellulite Calorie Peso Dieta Sessuologia PSA Pene Laser Sesso Filler Rughe Seno Grasso Botulino CHIRURGO VA IN SCIPERO OPERAZIONE PAZIENTE ADDOME APERTOPrima di iniziare la lettura vi consiglio di leggere questo articolo: Reflusso gastroesofageo: sintomi, diagnosi e cura

La cura della malattia da reflusso gastroesofageo si basa su:

  • correzione dello stile di vita, in particolare modificazione della dieta e dello stile di vita (soprattutto cessazione del fumo ed evitare abbuffate prima di andare a dormire);
  • terapia famacologica;
  • terapia chirurgica.

La terapia è solitamente basata su alcune norme igienico-dietetiche di base, e sull’assunzione (per periodi più o meno prolungati) di farmaci appartenenti alle classi degli inibitori di pompa protonica/IPP (che inibiscono notevolmente la produzione acida nello stomaco) e degli anti-H2[10] (in gran parte però soppiantati dai più moderni e potenti IPP); non è comprovata l’efficacia dei procinetici. Gli antiacidi e gli alginati sono usati al bisogno a fini di sollievo sintomatico. L’intervento chirurgico viene relegato a quei casi in cui le norme comportamentali ed i farmaci, non hanno risolto il problema. Viene eseguito in chirurgia laparoscopia. Ha lo scopo di ripristinare la normale funzionalità dello sfintere gastroesofageo.

Complicanze

Nei casi più gravi, si verifica una grave esofagite, inoltre il danno epiteliale può evolvere verso una forma di metaplasia detta esofago di Barrett. In ogni caso il paziente con frequenza e persistenza di sintomi di MRGE è ritenuto ad alto rischio di sviluppo dell’adenocarcinoma del tratto distale dell’esofago, in presenza o meno dell’esofago di Barrett.

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Acalasia esofagea: cause, sintomi, cure e prevenzione

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma ACALASIA ESOFAGEA CAUSE SINTOMI CURE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgL’acalasia esofagea è una rara patologia dell’esofago a eziologia non nota caratterizzata da un disturbo della motilità esofagea che si esprime con un ipertono dello sfintere esofageo inferiore (che si rilascia incompletamente e in modo non coordinato con passaggio del cibo) e con l’assenza della peristalsi fisiologica a livello del corpo esofageo. Ne derivano disfagia (difficoltà a deglutire), rigurgito, scialorrea, calo ponderale e dolore toracico; inoltre la condizione determina generalmente la comparsa di una dilatazione dell’esofago che può assumere una forma cosiddetta “sigmoidea” caratterizzata da curvature nel tratto sovradiaframmatico, con possibili lesioni al tratto terminale.
Chi soffre di acalasia ha un’incidenza di insorgenza di carcinoma dell’esofago (sia squamo cellulare che adenocarcinoma) cinque volte superiore alla media.

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Quanto è diffusa l’acalasia esofagea?
L’acalasia ha una prevalenza di 1/10.000, senza differenze tra i due sessi e con la massima frequenza tra i 30 e i 50 anni.

Quali sono le cause dell’acalasia esofagea?
L’acalasia esofagea è considerata una malattia rara e le sue cause non sono ancora note.

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Quali sono i sintomi dell’acalasia esofagea?
Il sintomo principale è la disfagia, cioè la difficoltà a deglutire e la sensazione di arresto del bolo alimentare nell’esofago. La disfagia si manifesta sia per i liquidi che per i solidi, ma inizialmente può essere paradossa, perché il paziente deglutisce bene i solidi, ma non i liquidi, in quanto i solidi grazie al loro maggior peso possono progredire più facilmente lungo l’esofago, anche in assenza di peristalsi. Gli altri sintomi comprendono:

  • rigurgito di cibo indigerito nel 70% dei casi, soprattutto notturno, favorito dal decubito;
  • tosse notturna, causata dal rigurgito che può penetrare nelle vie respiratorie;
  • polmonite ab ingestis, una complicazione del precedente sintomo;
  • scialorrea (eccessiva salivazione);
  • alitosi, poiché il cibo che ristagna nell’esofago fermenta e dà alitosi;
  • dolore toracico e pirosi possono essere presenti nel 30% dei casi, quale conseguenza di aumentata pressione esofagea o esofagite da stasi;
  • perdita di peso.

Come prevenire l’acalasia esofagea?
Attualmente non esistono validi strumenti di prevenzione. Sono in corso diversi studi volti a comprendere i meccanismi genetici che possono determinare la suscettibilità a sviluppare questa malattia.

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Diagnosi 
La diagnosi viene sospettata sulla base dei sintomi, di una lastra dell’esofago e dello stomaco e della gastroscopia. Tuttavia l’accertamento diagnostico deve passare attraverso l’esecuzione di una manometria esofagea, ossia di una metodica diagnostica che registra l’attività pressoria del viscere.

Trattamenti 
La terapia medica sostanzialmente non è efficace e con effetti collaterali importanti.
Le terapie “meccaniche” deputate alla rimozione dell’ostacolo al deflusso del contenuto dell’esofago possono essere di aiuto nel contrastare i sintomi. Queste possono essere endoscopiche (dilatazione pneumatica; ma si sta sviluppando anche una tecnica detta POEM: ovvero una miotomia, che prevede la sezione delle fibre muscolari dell’esofago, attraverso un’endoscopia flessibile trans orale) o chirurgiche (miotomia per via addominale).
L’intervento di miotomia extramucosa con plastica antireflusso viene eseguito per via laparoscopica (si introducono nell’addome mediante delle cannule, la telecamera e gli strumenti chirurgici) ed è pertanto un intervento mininvasivo. Il paziente viene operato in anestesia generale.
La miotomia prevede la sezione delle fibre muscolari ipertrofiche esofago–gastriche; la sede della miotomia viene poi “coperta” dal fondo gastrico in modo da ridurre la possibilità di avere un reflusso gastro-esofageo postoperatorio.

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Dotto epatico comune, cistico e coledoco: anatomia del sistema biliare

MEDICINA ONLINE BILE DOTTO EPATICO COMUNE CISTICO COLEDOCO CISTIFELLEA COLECISTI FEGATO DIGESTIONE ANATOMIA SCHEMA SISTEMA BILIARE SINTESI IMMAGINE.jpgIl “sistema biliare” (in inglese “bile duct”) è un insieme di strutture anatomiche che hanno il compito di drenare la bile prodotta nel fegato dagli epatociti ed indirizzarla:

  • verso la cistifellea, per l’immagazzinamento e la concentrazione;
  • verso il duodeno, per la secrezione intestinale, quando il cibo fuoriesce dallo stomaco e si immette appunto nel duodeno.

Il sistema biliare è costituito da vasi che si possono dividere in:

  • vasi biliari intraepatici;
  • vasi biliari extraepatici.

Le vie biliari extraepatiche incominciano con i dotti epatici destro e sinistro che si uniscono nel dotto epatico comune. Quest’ultimo si connette al dotto cistico formando il coledoco che sbocca in duodeno. Essi traggono la loro origine a livello dell’ilo (porta) del fegato, luogo nel quale tutti i vasi e i dotti penetrano nell’organo; si formano dalla coalescenza di capillari e dotti biliari intraepatici che finiscono col formare due radici biliari nell’ilo, quella di destra e quella di sinistra, e quindi il dotto epatico comune lungo 2–3 cm e del diametro di circa 5 mm. Questo condotto appena emerso dal fegato si unisce al dotto cistico, che drena la cistifellea, e forma un unico dotto escretore, il coledoco.

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Il coledoco che raccoglie tutte le vie biliari (epatica e cistica) è lungo circa 4–5 cm e di 6 mm di calibro, esso corre nel legamento duodenoepatico, passa dietro la testa del pancreas e davanti la vena cava, poi attraversa trasversalmente lo spessore della parete duodenale dove si unisce con il dotto pancreatico e sbocca nella papilla duodenale maggiore, piccola rilevazione con foro centrale della mucosa del duodeno discendente. Nel tratto terminale si affianca al coledoco il dotto pancreatico, col quale può riunirsi a breve distanza dallo sbocco, ma numerose sono le varianti anatomiche:

  • unico sfintere, unica papilla, unico dotto (ampolla epatopancreatica)
  • unico sfintere, unica papilla, unico dotto sepimentato
  • unico sfintere, unica papilla, due dotti (ampolla bipartita)
  • unico sfintere, due papille (papilla bipartita)
  • doppio sfintere.

La papilla e l’ampolla son dette “del Vater“; avremo quindi l’ampolla del Vater e la papilla del Vater, tubercolo raccolto in una borsa della mucosa duodenale detta tubercolo del Vater. Lo sfintere è invece chiamato sfintere di Oddi o del Glisson.

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