Differenze tra diabete mellito ed insipido: glicemia, vasopressina, poliuria e polidipsia

Dott. Loiacono Emilio Alessio Medico Chirurgo Medicina Chirurgia Estetica Plastica Cavitazione Dieta Peso Dietologo Nutrizionista Roma Cellulite Sessuologia Ecografie DermatologiaSmettere fumare Obesità Cancro EmorroidiIl diabete insipido (DIN) è una malattia rara che – a causa del nome – viene spesso confusa con il diabete “più famoso”, cioè il diabete mellito. Il diabete mellito (di tipo 1 e 2) ed il diabete insipido, hanno effettivamente dei tratti in comune; entrambi sono caratterizzati da:

  • Poliuria: cioè urinare molto; la diuresi è maggiore di 2500-3000 ml nelle 24 ore e si associa nicturia (necessità, anche molto frequente, di eliminazione dell’urina durante il riposo notturno);
  • polidipsia: cioè una sete insaziabile.

Fatta eccezione per questi sintomi, il diabete insipido è molto diverso dal più diffuso diabete mellito e non esiste nessun tipo di correlazione accertata tra i due, che portano ai prima citati sintomi corrispondenti, tramite due meccanismi eziologici completamente diversi.

La glicemia nel diabete insipido è normale
Nel diabete insipido non si riscontrano alterazioni nella concentrazione di glucosio nel sangue e nelle urine, che dagli esami risultano quindi nella norma, al contrario di quello che accade nel mellito. Nel caso del diabete insipido, infatti, l’eccessiva quantità di urina non è la conseguenza di valori troppo alti di glucosio nel sangue dovuti ad un mancato o cattivo funzionamento dell’insulina, bensì è causata da un’alterazione della produzione, della secrezione o dei meccanismi di funzionamento dell’ormone vasopressina (l’ormone antidiuretico) da parte dell’ipotalamo e dell’ipofisi posteriore, o dalla sua mancata attività a livello renale.

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Ormone antidiuretico
Nel caso di mancata produzione di vasopressina si tratta di diabete insipido centrale, ADH-sensibile o neurogenico, nel secondo caso di diabete insipido nefrogenico o ADH-insensibile (perché non si può correggere con la somministrazione di vasopressina). Il diabete insipido può essere completo o parziale, permanente o temporaneo. La vasopressina agisce a livello renale stimolando il riassorbimento di acqua ed opponendosi alla diuresi, per questo il sintomo principale del diabete insipido è la produzione di grandi quantità di urine diluite associate a sete intensa.

Diverse cause
Il diabete mellito è causato principalmente da patologie genetiche, l’insulinoresistenza di tipo A, il leprecaunismo, la Sindrome di Rabson-Mendenhall, le sindromi lipodistrofiche, il sovrappeso e l’obesità, la pancreatite, la fibrosi cistica, l’emocromatosi e il tumore del pancreas.
Il diabete insipido riconosce invece come cause altre patologie, come tumori ipofisari o per metastasi, traumatismi, operazioni neurochirurgiche, encefalite, meningite, patologie ereditarie o genetiche (alterazione dei recettori di tipo 2 della vasopressina, o deficit di acquaporina 2 a livello dei tubuli collettori renali).

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Diagnosi differenziale
La diagnosi differenziale del diabete insipido si effettua escludendo la polidipsia psicogena, il diabete mellito e l’abuso di diuretici. La determinazione dell’osmolarità urinaria dopo prova di assetamento o dopo amministrazione di arginina-vasopressina è diagnostica.

  • Prova di assetamento. In un soggetto sano comporta un aumento dell’osmolarità. Nel diabete insipido questa resta <300mOsm/L, mentre l’osmolarità plasmatica è superiore a 295. Non bere per lungo tempo può provocare una disidratazione ipertonica senza perdita di elettroliti.
  • Test secondo Hickey-Hare. Se si sospetta un’assunzione di liquidi durante la prova di assetamento, si somministrano soluzioni ipertoniche che procurano risultati fisiologici e patologici identici alla prova da assetamento.
  • Test alla desmopressina. Controindicata in caso di insufficienza coronarica per i suoi effetti vasospastici. Dopo questa somministrazione l’osmolarità urinaria aumenta in caso di diabete insipido centrale, ma non nel nefrogenico.

La determinazione dell’ADH è raramente necessaria. In caso di polidipsia psicogena sia l’ADH che l’osmolarità urinaria si elevano. Occorre escludere un tumore ipofisario o ipotalamico mediante tomografia computerizzata o imaging a risonanza magnetica.

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Diabete gestazionale: cos’è e quali sono i rischi per il feto e la madre

MEDICINA ONLINE GRAVIDANZA DIABETE GESTAZIONALE FETO PARTO CESAREO DIETA FIBRA VERDURA GRASSI ZUCCHERI PROTEINE GONFIORE ADDOMINALE MANGIARE CIBO PRANZO DIMAGRIRE PANCIA PESO INTESTINO DIGESTIONE STOMACO CALORIE METABOLISMOPer diabete gestazionale si intende un aumento dei livelli di glucosio che si manifesta o viene rilevato per la prima volta nel periodo della gravidanza.
Questa condizione si verifica nel 8% nelle donne incinte. Generalmente, il diabete gestazionale tende a scomparire al termine della gravidanza, tuttavia, le donne che ne hanno sofferto presentano un rischio più elevato di sviluppare diabete di tipo 2 in età avanzata. Esistono dei fattori di rischio come l’obesità e la familiarità con un paziente diabetico che possono accrescere sensibilmente la probabilità di andare incontro a questa forma di diabete.

Sintomi del diabete gestazionale
Il diabete gestazionale si manifesta con sintomi poco evidenti e passa spesso inosservato alle donne. Tuttavia attraverso un’attenta analisi delle condizioni della gestante è possibile intuirne la presenza.
I sintomi da controllare sono: l’aumento ingiustificato della sete, il frequente bisogno di urinare, la perdita di peso corporeo, i disturbi della vista e le infezioni frequenti, come cistiti e candidosi.

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Terapia del diabete gestazionale
La cura del diabete durante la gravidanza avviene fondamentalmente attraverso una dieta finalizzata a garantire il giusto apporto calorico necessario alla crescita del feto, a preparare l’organismo materno al parto e all’allattamento, oltre che ad evitare episodi di ipoglicemia o iperglicemia per l’organismo della madre. Non può comunque prescindere dalla pratica dell’attività fisica.
La terapia con insulina si rende necessaria solo quando, nonostante il rispetto dell’alimentazione prescritta dal diabetologo o dal dietologo, i valori della glicemia risultano superiori ai valori ritenuti normali per la gravidanza.
Nel caso del diabete gestazionale, l’autocontrollo della glicemia è fondamentale per tenere sotto controllo l’evolversi della malattie e valutare l’efficacia della terapia.

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Rischi per la madre e per il feto nel diabete gestazionale
Pur essendo una condizione transitoria, se non viene diagnosticato ed adeguatamente curato, può portare a delle conseguenze, sia per la madre che per il feto. In presenza di diabete gestazionale non esiste alcun rischio per la vita del bambino, ma è comunque importante controllare al meglio i valori glicemici per evitare complicanze.
Tra queste, la più conosciuta e diffusa è chiamata macrosomia, ovvero un eccessivo sviluppo del feto rispetto alla sua età gestazionale, con peso alla nascita superiore ai 4-4,5 kg.
Il motivo di questo eccesso ponderale va ricercato nella grande disponibilità di glucosio (zucchero) legata all’iperglicemia materna. Per le notevoli dimensioni, il feto può incontrare importanti difficoltà durante il passaggio nel canale del parto, richiedendo in molti casi il ricorso al parto cesareo (anche se in tal senso, il diabete gestazionale non rappresenta un indicazione assoluta). In caso di parto naturale, quindi, per la madre aumentano i rischi di lacerazione vaginale (fino all’interessamento dello sfintere anale) ed emorragie post-partum, mentre il nascituro corre un maggior rischio di frattura e distocia di spalla. Al momento del parto, inoltre, il nascituro può subire una crisi ipoglicemica, dal momento che – essendo abituato a vivere in un ambiente iperglicemico – può risentire della brusca diminuzione degli zuccheri al momento del distacco del cordone ombelicale.

Altre complicanze del diabete gestazionale
Altre possibili complicanze alla nascita sono rappresentate dall’iperbilirubinemia, dall’ipocalcemia e dalla sindrome da distress respiratorio.
Un cattivo controllo metaboilico del diabete gestazionale può dare origine a complicazioni ipertensive e facilitare l’insorgenza di diabete materno nel post-partum. Le donne affette da GDM costituiscono infatti una popolazione ad elevato rischio per lo sviluppo del diabete mellito tipo 2 negli anni successivi: per entrambe queste due forme di diabete sono infatti simili i più importanti fattori di rischio, quali obesità, distribuzione viscerale del tessuto adiposo e familiarità per diabete.
La macrosomia, al pari della condizione opposta, sembra aumentare il rischio di obesità e sue complicanze tardive (diabete di tipo II, aterosclerosi, ipertensione) nell’infanzia e nelle successive fasce di età .
Come anticipato nella parte introduttiva, il diabete gestazionale non comporta normalmente abortività o malformazioni, comunque possibili nel caso in cui l’iperglicemia cronica sia già presente al momento del concepimento ma ancora all’oscuro della gestante e dello staff medico. Tutto ciò contribuisce a sottolineare l’importanza di una visita pre-concepimento nel momento in cui la gravidanza è ancora ricercata. Sia chiaro che anche una donna diabetica può portare a termine una gravidanza con serenità e senza alcuna complicanza, ma è fondamentale che il concepimento sia preceduto da un preventivo consulto medico e da un controllo ottimale del diabete prima, durante e dopo la gravidanza. Il concepimento e le primissime settimane di gestazione, in particolare, devono avvenire in una situazione di perfetto controllo glicemico.

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Differenze tra il diabete di tipo 1 e 2 (insulino dipendente e resistente)

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma DIFFERENZE DIABETE TIPO 1 2 INSULINO Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpgIl diabete mellito di tipo 1 e di tipo 2, una volta rispettivamente chiamati “insulino dipendente” ed “insulino resistente”, sono due patologie che vengono spesso confuse, anche perché in effetti portano entrambe ad una alterazione dei livelli glicemici nel sangue, tuttavia sono patologie profondamente diverse per eziologia, diffusione, sintomi e terapie. Vediamo quali sono queste differenze.

Diabete mellito di tipo 1 (insulino dipendente)
Il diabete mellito di tipo 1 (DM1), anche detto diabete insulino dipendente (o anche diabete giovanile, perché la sua insorgenza è abitualmente più precoce) si manifesta quando il pancreas non è in grado di produrre adeguata insulina: non potendo contare sulla propria produzione di questo ormone, chi ha questa forma di diabete è costretto a somministrarsi insulina per mantenere sotto controllo la glicemia. La terapia per il diabete di tipo 1 è quindi di tipo insulinico, con il paziente che deve somministrarsela tramite iniezione, in genere almeno 4 volte al giorno, o attraverso microinfusori. In genere, ha un esordio rapido, brusco, con variazioni stagionali e differenze geografiche. Diverse evidenze indicano che si tratti di una malattia autoimmunitaria (l’organismo distrugge parte delle sue stesse cellule). I fattori di rischio non sono conosciuti con certezza. Alcuni esperti hanno ipotizzato un coinvolgimento di infezioni virali intrauterine, predisposizione genetica ed altri.

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Diabete mellito di tipo 2 (insulino resistente)
Il diabete di tipo 2 (DM2), anche detto diabete insulino resistente, molto diffuso tra pazienti obesi, è la forma di diabete più frequente che si sviluppa in età adulta, oltre ad essere la forma di diabete più diffusa in assoluto nella popolazione ed in forte crescita negli ultimi anni. Si manifesta quando il pancreas produce una corretta quantità di insulina che però non riesce a svolgere la sua funzione a causa della resistenza delle cellule bersaglio, ciò porta nelle fasi iniziali della patologia ad una iperproduzione compensatoria di insulina da parte del pancreas (al contrario del diabete di tipo 1) che però cronicamente tende a diminuire nelle fasi successive della malattia. Il diabete di tipo 2 è legato a uno stile di vita scorretto, caratterizzato da un’alimentazione non equilibrata e da una scarsa attività fisica. Questa forma ha anche una forte caratterizzazione genetica, per cui tende a essere ereditario: chi ha genitori o parenti diabetici ha maggiore probabilità di sviluppare la patologia. Derivando molto spesso da abitudini non equilibrate, la correzione dello stile di vita è il primo presidio terapeutico per questa forma di diabete. Nel caso ciò non fosse sufficiente a tenere sotto controllo la glicemia – ed in molte persone accade anche se lo stile di vita è perfetto – occorre intervenire con i farmaci.

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Le differenze tra i due tipi di diabete appaiono chiare guardando la seguente tabella:

                                               Diabete di tipo 1                          Diabete di tipo 2

  • Insulina:                       Scarsa o mancante                     Normale/eccessiva
  • Sintomi:                        Evidenti                                       Assenti nelle fasi iniziali
  • Insulinodipendenza:  Si                                                   No nelle fasi iniziali
  • Peso:                              Generalmente normale            Sovrappeso, obesità
  • Cause:                            Forse autoimmunitarie            Stile di vita, ereditarietà
  • Esordio:                         Brusco                                         Graduale
  • Età:                                 Prima dei 35 anni                      Dopo i 35 anni
  • Complicazioni:            Molti anni dopo                          Evidenti alla diagnosi
  • Terapia iniziale:          Insulina                                        Dieta, esercizio, farmaci

Uno stile di vita sano è fondamentale in entrambi i tipi di diabete mellito: il paziente deve seguire una dieta libera ma equilibrata e mantenersi in forma con l’attività fisica.

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Cosa succede al tuo corpo quando smetti di mangiare pasta e pane?

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma COSA SUCCEDE AL CORPO SMETTI MANGIARE PASTA E PANE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie.jpgQualche tempo fa il sito “Eat this, not that!” ha stilato una interessante lista di cambiamenti che subisce il nostro corpo quando si decide di limitare l’assunzione di carboidrati. Pur essendo necessari per la nostra dieta, il loro consumo smodato non è certamente salutare. Riso bianco, pasta bianca, pane bianco, dessert e dolci, zucchero, sciroppi artificiali, bibite gassate e caramelle: ecco sei cose che accadono quando decidiamo di metterli da parte, tenendo presente che sono generalizzazioni, che non sono valide sempre e comunque e che eliminare completamente i carboidrati dalla dieta è un grosso errore.

1. Inizierai a bruciare grassi

Riducendo (non eliminando completamente!) il consumo di carboidrati, si ridurranno anche le calorie assunte giornalmente e la massa grassa tenderà a diminuire, specie se il metabolismo basale è elevato. Infatti, quando il corpo è costretto a non attingere dai carboidrati, per ottenere energia utilizza le riserve di grasso immagazzinate nel nostro corpo. Il consiglio del sito – che io condivido – è quello di fare un po’ di esercizio fisico al mattino, prima della colazione. In questo modo il corpo brucerà i grassi depositati invece di quelli contenuti nel cibo.

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2. Ti sentirai meno affamato

Non sono le calorie che saziano la tua fame, ma sono le sostanze nutrienti, come le proteine, le fibre o i grassi sani. Queste componenti sono assenti nei carboidrati raffinati, che finiscono, dunque, per riempire il nostro corpo solo di calorie “inutili”. Per questo, dopo averne fatto una scorpacciata possiamo sentirci ancora affamati: il corpo, assumendo carboidrati, sarà sempre in cerca di altro cibo. Diminuendo il consumo, invece, diminuirà anche il senso di fame. Il consiglio di “Eat this, not that!” è quello di iniziare la giornata mangiando qualcosa di molto proteico e salutare come le uova o lo yogurt greco.

3. Avrai la pancia più piatta

È uno dei cambiamenti più lampanti: quando i carboidrati vengono rimpiazzati da cibi ricchi di fibre, il ventre può sembrare più piatto. Questo perché le fibre, di cui ogni dieta dovrebbe essere ricca, aiutano a sgonfiare la pancia. Molti zuccheri invece fermentano nell’intestino facendoci sentire più gonfi e facendo apparire la pancia più grande di quello che in realtà è. Il consiglio di “Eat this, not that!” è quello di iniziare a sostituire alcuni alimenti con altri più salutari. E di mangiare noci, fonti di fibre e alleate nella digestione.

4. Diminuirà il rischio di soffrire di diabete

Gli zuccheri semplici possono essere dannosi, alla lunga, per la salute. Più ne digeriamo, più insulina produce il pancreas: questo può portare ad aumentare il rischio di sviluppare diabete di tipo 2. Il consiglio del sito è quello di preferire carboidrati complessi, ricchi di fibre, più difficili da digerire per il corpo: in questo modo si impedirà il rilascio facile di insulina.

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5. I tuoi muscoli saranno più forti

Secondo i redattori di “Eat this, not that!”, assumere solo carboidrati semplici non farebbe bene alla crescita dei muscoli: “È preferibile mangiare qualsiasi altro tipo di alimento, dalla carne allo yogurt al gelato – scrivono -. In parte, questo si deve al fatto che ai carboidrati mancano le proteine, che sono veri e propri mattoncini nella costruzione dei muscoli e contribuiscono alla salute della pelle, dei capelli e delle unghie”. Aumentare il consumo di proteine e di altre sostanze nutritive, può apportare benefici al nostro corpo, senza il bisogno di assumere ulteriori calorie. Il consiglio del sito è quello di preferire snack proteici rispetto a quelli delle macchinette automatiche.

6. Ti sentirai più energico

È bene ricordare che all’interno di una dieta equilibrata non devono mancare i carboidrati: il corpo ne ha bisogno per funzionare correttamente, sono indispensabili per la salute del cervello e per il funzionamento degli organi. Alcuni, però, hanno un effetto “carburante” molto più di altri: frutta, verdura, pane, quinoa e riso sono solo alcuni di questi. Assicurano a chi ne mangia energia per lungo tempo ed evitano i tipici “sbalzi” causati da altri carboidrati semplici.

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Fattori di rischio cardiovascolare modificabili e non modificabili

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma FATTORI DI RISCHIO CARDIOVASCOLARE MODIFICABILI Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari.jpgI fattori di rischio cardiovascolare sono condizioni che risultano statisticamente correlate ad una patologia cardiovascolare (come infarto del miocardio ed ictus cerebrale). I fattori di rischio cardiovascolare si dividono tradizionalmente in fattori di rischio non modificabili e fattori di rischio modificabili. Per capire meglio cos’è con precisione un “fattore di rischio“, leggi questo articolo: Che significa e che differenza c’è tra “fattore di rischio modificabile e non modificabile”?

Fattori non modificabili che aumentano il rischio cardiovascolare:

  • età: il rischio di malattie cardiovascolari aumenta con l’età e, nei pazienti anziani, l’età diviene il fattore di rischio dominante;
  • sesso: gli studi finora condotti hanno fatto emergere un rischio maggiore negli uomini rispetto alle donne in pre-menopausa. Dopo la menopausa tuttavia, il rischio cardiovascolare nelle donne tende ad aumentare rapidamente. L’effetto protettivo è esercitato, almeno in parte, dagli estrogeni che favoriscono livelli più elevati di colesterolo HDL rispetto agli uomini;
  • familiarità: il rischio di malattia coronarica è tanto maggiore quanto più diretto il grado di parentela con un individuo già colpito, quanto più elevato è il numero di parenti affetti, e quanto più precocemente si è manifestata la malattia in questi soggetti. In alcuni casi, la familiarità è dovuta alla trasmissione ereditaria di altri fattori di rischio quali diabete, ipertensione o ipercolesterolemia.

Fattori modificabili che aumentano il rischio cardiovascolare:
I fattori modificabili sono quelli suscettibili di correzione mediante modifiche dell’alimentazione, del comportamento, dello stile di vita, o mediante interventi farmacologici:

Un fattore protettivo cardiovascolare è l’opposto di un fattore di rischio cardiovascolare, cioè una condizione che diminuisce il rischio di sviluppare una patologia cardiovascolare, ad esempio l’attività fisica moderata ed il consumo giornaliero di frutta e verdura, sono considerati fattori protettivi nei confronti delle malattie cardiovascolari. Ovviamente la presenza di un fattore di protezione NON esclude necessariamente la comparsa della malattia, come l’assenza di un fattore di protezione non implica necessariamente la comparsa della malattia.

I migliori prodotti per abbassare il colesterolo e dimagrire
Qui di seguito trovate una lista di prodotti di varie marche, che sono estremamente utili per abbassare il colesterolo e dimagrire, fattori che diminuiscono il rischio di ipertensione, ictus cerebrale ed infarto del miocardio:

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
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Circonferenza vita e fianchi: rapporto e significato clinico

Per valutare il rischio di malattia cardiovascolare di un soggetto, è utile misurare la circonferenza della vita nel suo punto più stretto (senza indossare indumenti che sfalsino la misura). La prevalente distribuzione di grasso sottocutaneo a livello addominale è infatti correlata all’aumento del grasso viscerale ed è proporzionale alla sua circonferenza esterna. L’accumulo lipidico in sede viscerale, cioè nella parte interna dell’addome, rappresenta un fattore di rischio indipendente non solo per le patologie cardiovascolari, ma anche per il diabete e per la mortalità in genere.

UOMO

DONNA

RISCHIO

CM

CM

Molto elevato > 120 > 110
Elevato 100 – 120 90 – 109
Basso 80 – 99 70 – 89
Molto basso <80 < 70

Come si misura la circonferenza addominale?
A tale proposito leggi: Circonferenza addominale: cos’è, come si misura ed a che serve

Rapporto tra circonferenza vita e fianchi
Un dato più obiettivo si ottiene calcolando il rapporto tra la circonferenza misurata a livello ombelicale (vita) e gluteo (fianchi). Tale rapporto, chiamato WHR (dall’ingelese Waist to Hip ratio), fa affidamento ai seguenti valori:

  • si parla di obesità androide quando il rapporto WHR è maggiore di 0,85
  • si parla di obesità ginoide quando il rapporto WHR è inferiore a 0,79.

Leggi anche: Distribuzione del grasso nell’uomo e nella donna: androide e ginoide

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma CIRCONFERENZA VITA E FIANCHI RAPPORTO  Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata  Macchie Capillari Ano Pene.jpg
In ogni caso il rapporto vita/fianchi dovrebbe essere inferiore a 0,95 per gli uomini e 0,8 per le donne. I pazienti che superano tali valori sono considerati ad alto rischio di problemi medici legati all’obesità.

Il WHR è un indicatore approssimativo
Similmente all’Indice di massa corporea, il WHR è un indicatore approssimativo, poiché non tiene conto del rapporto tra la massa muscolare presente nella regione glutea e in quella addominale. Il WHR non fornisce quindi una diagnosi, bensì viene associato dal medico ad altri valori ed indicatori per valutare il reale rischio cardiovascolare e di diabete, tra cui ad esempio:

  • % di massa grassa,
  • familiarità,
  • attività fisica svolta,
  • pressione arteriosa,
  • glicemia,
  • età,
  • fumo,
  • alcol,
  • livelli di colesterolo.

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Digiuno intermittente e terapeutico: fa dimagrire? Fa bene o fa male alla salute?

MEDICINA ONLINE DIGIUNO INTERMITTENTE TERAPEUTICO WARRIOR DIET GUERRIERO DIETA DIMAGRIRE NOTTE COLAZIONE PRANZO MUSCOLI CALORIE PALESTRA FA BENE FA MALE SALUTE PROTEINE DIGESTIONEDigiunare significa astenersi dal consumo di alcuni o di tutti gli alimenti, delle bevande o di entrambi, per un periodo di tempo più o meno lungo che può essere determinato o indeterminato. Il digiuno assoluto è definito come la mancata assunzione di qualunque cibo solido o liquido per un certo periodo, di solito compreso tra le 24 ore ed alcuni giorni. Fin dalla preistoria, poiché il cibo non è sempre stato disponibile, il digiuno intermittente è sempre esistito e qualsiasi organismo animale è in grado di sopportarlo grazie alle scorte di grasso ed alla straordinaria capacità del nostro sistema endocrino. Per l’uomo moderno industrializzato, la carenza di cibo non è più un problema, anzi è un problema l’eccesso di cibo! A tal proposito molti individui si auto-impongono il digiuno per dimagrire. Ma serve davvero? E soprattutto: fa bene o fa male alla salute?

Per meglio comprendere questo articolo, vi consiglio di leggere prima: Differenza tra catabolismo, anabolismo, metabolismo basale e totale

Digiuno e metabolismo
La prima cosa da dire per chiarire le cose è che, entro certi limiti, un incremento dell’assunzione di calorie con l’alimentazione possa produrre un’accelerazione del metabolismo, mentre viceversa una diminuzione dell’assunzione di calorie ha il risultato opposto, ovvero un rallentamento del metabolismo. I principi che regolano questo fenomeno costituiscono un meccanismo cardine per la sopravvivenza di ogni organismo: quando la disponibilità delle risorse fornite dall’esterno inizia a diminuire, l’organismo si autoregola diminuendo gradualmente (e proporzionalmente) il suo fabbisogno energetico; allo stesso modo, quando invece le risorse disponibili aumentano, l’organismo si adatta di conseguenza e predispone le sue attività in maniera tale da consumare più energia. Per raggiungere un sano dimagrimento è quindi sbagliato il digiuno prolungato, decisamente meglio puntare su:

  • corretta alimentazione con il giusto apporto calorico (dieta ipocalorica se il soggetto è sovrappeso) e nutrienti;
  • aumento di massa magra (ottenuto con l’attività fisica) importante per innalzare il metabolismo basale;
  • adeguata attività fisica importante per innalzare il metabolismo basale.

Detto ciò, tutti i digiuni sono sbagliati? La risposta è NO. Il digiuno prolungato è sbagliato ma altre forme di digiuno – in individui selezionati, sotto stretto controllo medico e per periodi limitati – possono essere perfino utili. Il digiuno può essere benefico o nocivo in base ad alcuni fattori; ad esempio: durata, completezza dell’astensione alimentare o supporto nutrizionale, controllo medico, presupposti patologici per la sua applicazione ecc. Non tutte le forme di digiuno sono uguali; alcune risultano estremamente debilitanti ed immotivate, altre meno estenuanti e più razionali.
Il digiuno, controllato o non controllato, terapeutico oppure no, risulta comunque parecchio stressante per il corpo e la mente. Tuttavia, la sua potenziale nocività dipende soprattutto dai parametri con i quali viene programmato.
Un esempio di digiuno eticamente discutibile (ma dal punto di vista scientifico abbastanza corretta) è la “dieta del sondino“. Questa si basa su una forma di digiuno cronico, durante il quale l’organismo viene supportato esclusivamente dalla nutrizione artificiale enterale (sondino naso gastrico). Pratiche simili possono indurre:

  • debilitazione fisica e tendenza alla malnutrizione ed alla chetosi (vedi sotto);
  • limitazione delle attività motorie;
  • diseducazione alimentare.

Al contrario, nei soggetti affetti da patologie del metabolismo, brevi periodi di stop alimentare – come, ad esempio, l’enfatizzazione del periodo di digiuno notturno (quello durante il sonno, portandolo da 8 a 12 o 14 ore) – non provocano effetti collaterali e favoriscono la remissione di certi parametri metabolici (soprattutto iperglicemia e ipetrigliceridemia) o di altri disturbi (steatosi epatica, reflusso gastro esofageo ecc). Ovviamente, l’esempio appena riportato non rappresenta un vero e proprio digiuno e questa costituisce l’unica forma di astensione alimentare potenzialmente benefica e priva di effetti collaterali.
In molti credono che il digiuno assoluto possa incidere negativamente sui flussi ormonali, nello specifico sopprimendo l’azione della ghiandola tiroide (quella che secerne gli ormoni deputati alla regolazione del metabolismo); ciò è vero solo in parte. Infatti, il digiuno prolungato riduce senza dubbio la secrezione degli ormoni tiroidei, tuttavia, in genere, questa decurtazione non si manifesta prima delle 24 o 48 ore.
Ci sono alcune prove scientifiche che dimostrano come il digiuno possa avere un ruolo importante nelle persone che ricevono la chemioterapia, ma sono necessari ulteriori studi per definirne l’efficacia reale ed un’eventuale applicazione clinica.

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Il digiuno terapeutico è veramente terapeutico?
Alcuni centri specializzati nella cura delle patologie metaboliche utilizzano il digiuno terapeutico per la riduzione del peso e per il ripristino dei parametri metabolici.
Raramente, i sistemi di digiuno terapeutico si fondano sull’astinenza irrevocabile del cibo e nessuno di questi vieta l’utilizzo dell’acqua. Al contrario, la tendenza è quella di incentivare l’assunzione di liquidi e, talvolta, di certi alimenti vegetali a porzioni determinate (soprattutto nel caso di certe malattie particolari).
Secondo l’esperienza degli operatori che propongono il digiuno terapeutico, la difficoltà maggiore consiste nell’accettazione iniziale della terapia, non nel protocollo stesso. In pochi credono di poter resistere 2 o 3 settimane senza mangiare ma, d’altro canto, sono in molti ad aver raggiunto spontaneamente anche i 30-40 giorni.

Come Funziona?
Premessa importante: questa tecnica non può essere utilizzata in caso di compromissioni epatiche, diabete mellito tipo 1 o altre malattie metaboliche. Il digiuno terapeutico si divide in tre fasi principali:

  1. Le prime 24-48 ore della terapia prevedono il digiuno completo con la sola assunzione di acqua. In questa fase (la più dura per il paziente), il corpo consuma la maggior parte dello zucchero e dei trigliceridi presenti nel sangue; ovviamente, i livelli di glucosio vengono mantenuti progressivamente stabili dal glicogeno epatico, mentre l’azione motoria (tipicizzata dal riposo assoluto) è supportata prevalentemente dalle riserve di glicogeno muscolare.
  2. L’azione metabolica “vera” (o meglio, quella ricercata dai terapisti) avviene al termine di questa prima fase, cioè quando le riserve di glicogeno sono ridotte al minimo. A questo punto, il corpo inizia a bruciare prevalentemente il tessuto adiposo, con la produzione ed il riversamento sanguigno di molecole chiamate chetoni. Talvolta, nei soggetti compromessi o che assumono certi farmaci, il digiuno terapeutico prevede l’assunzione di succhi vegetali come spremute e centrifugati per ridurre lo stato di chetoacidosi. I supplementi nutrizionali sono di natura vitaminica, salina ed amminoacidica.
  3. Il digiuno terapeutico viene interrotto in materia progressiva, iniziando con l’assunzione di succhi e centrifugati, poi di frullati e vegetali in pezzi, giungendo fino all’assunzione di cereali e legumi.

Effetti del digiuno terapeutico:

  • Digiuno e Acidosi. I chetoni, pur essendo potenzialmente tossici (se non efficacemente smaltiti dall’organismo), possono avere degli effetti positivi sulla compliance terapeutica (sopportazione della strategia).
    Infatti, agendo in maniera soppressiva nei confronti del sistema nervoso centrale, i chetoni riducono al minimo lo stimolo della fame.
    Certi sostengono addirittura che i chetoni possano provocare una sensazione di benessere generalizzato. Tuttavia, questa condizione detta “chetoacidosi” non è esente da effetti collaterali, tra i quali: tossicità epatica e renale, tendenza alla disidratazione, ipotensione ecc.
  • Digiuno e Riposo Digerente. Chi propone il digiuno terapeutico afferma che questa sensazione di benessere non è imputabile solamente alla chetoacidosi, ma anche al riposo totale del tratto gastrointestinale. Effettivamente, la digestione dei soggetti affetti da obesità è un processo sempre abbastanza impegnativo; consumando pasti molto abbondanti, poco digeribili e responsabili di picchi glicemici elevati, queste persone sono abituate a convivere con una sensazione di debolezza psico-fisica pressoché continua.
  • Digiuno e Lavaggio Cellulare. Un ulteriore effetto benefico del digiuno terapeutico, ulteriormente enfatizzato dalla somministrazione di integratori antiossidanti, è il “lavaggio cellulare”. Non tutti sanno che l’organismo possiede vari mezzi di escrezione delle molecole inutili o tossiche; tra questi, la bile, le feci, le urine, il sudore, il muco, la ventilazione polmonare, i capelli, i peli, le unghie ecc. Il digiuno terapeutico consente di sfruttare questi meccanismi senza incamerare parallelamente altri inquinanti o altri agenti tossici, tra i quali ricordiamo: mercurio, arsenico, piombo, diossina ed additivi alimentari.
  • Digiuno e Papille Gustative. Un altro grande vantaggio del digiuno terapeutico è il ripristino della funzionalità papillare gustativa della lingua, che avviene attraverso un processo definito neuroadattamento. Questo effetto di “reset” percettivo dei gusti è molto utile per la successiva riorganizzazione della dieta (fase di mantenimento), che prevede l’utilizzo esclusivo di cibi freschi e poco conditi.

IMPORTANTE
Il digiuno terapeutico va contro qualunque principio di dietetica, equilibrio nutrizionale ed educazione alimentare. E’ un intervento radicale che potrebbe trovare applicazione nel rimpiazzo della chirurgia bariatrica (quella chirurgia che viene adottata sui grandi obesi).
Bisogna ricordare che le diete chetogeniche possono anche avere un effetto deleterio sull’organismo, a partire dall’affaticamento renale fino al deperimento del tessuto muscolare, specie in alcuni soggetti. E’ importante sottolineare che si tratta di una tecnica praticabile in ogni caso SOLO SOTTO CONTROLLO MEDICO. La supervisione ed il monitoraggio osservano principalmente: pressione arteriosa, volemia, glicemia, acidosi metabolica ecc.
Il consiglio globale per chi affronta il digiuno terapeutico è quello di sospendere qualsiasi cura farmacologica, ad eccezione di quelle insostituibili (ad es ormoni tiroidei, farmaci per la pressione in caso di difetti congeniti ecc). In presenza di certe patologie (organiche o psichiatriche), di condizioni fisiologiche speciali (gravidanza, allattamento), terza età ed accrescimento, il digiuno terapeutico è TOTALMENTE SCONSIGLIATO.

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Lo staff di Medicina OnLine

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