Sindrome della donna maltrattata: perché si rimane con un partner violento?

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Spesso, quando le persone sentono parlare di una donna che è stata picchiata ripetutamente dal suo partner, qualcuno chiede: “Perché resta con lui anziché lasciarlo?”. La questione è estremamente complicata, ma alcune risposte possono essere trovate comprendendo una condizione nota come sindrome della donna maltrattata, che è considerata un tipo di disturbo da stress post-traumatico (PTSD). La psicologa statunitense Lenore E. Walker (nata a New York il 3 ottobre 1942), ha coniato il termine nel suo libro del 1979, The Battered Woman.

La sindrome della donna maltrattata (più correttamente denominata “sindrome della persona maltrattata“; in inglese “battered woman syndrome“, da cui l’acronimo “BWS”) è un insieme di segni e sintomi che interessano una donna che ha subito violenza persistente da parte del partner. La violenza può essere psicologica, fisica e/o sessuale. Era classificata nell’ICD-9 (la nona edizione della Classificazione internazionale delle malattie, l’ultima versione è l’undicesima) come sindrome della persona maltrattata (” battered person syndrome“), ma non è presente nel DSM-5 (l’ultima edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali). Può essere oggi diagnosticata come una sottocategoria del disturbo da stress post-traumatico (PTSD). Le vittime possono mostrare una serie di comportamenti, tra cui autoisolamento, pensieri suicidi e abuso di sostanze, e possono anche mostrare segni di lesioni fisiche o malattie, come contusioni, ossa rotte o stanchezza cronica. È stato stimato che nel 2010, statisticamente una donna veniva picchiata ogni sette secondi. Si stima che una donna americana su quattro subirà abusi fisici o sessuali da parte di un partner durante la sua vita. La sindrome della donna maltrattata, non di rado precede il “femminicidio“, cioè l’uccisione della donna interessata dalla sindrome.

La condizione è spesso usata come base per la difesa legale nei casi di donne presunte vittime di abusi fisici e psicologici che hanno ucciso i loro partner maschili. Come detto precedentemente, la condizione è stata studiata approfonditamente per la prima volta dalla psicologa Lenore E. Walker, che ha utilizzato la teoria dell’impotenza appresa di Martin Seligman per spiegare perché le donne rimanevano in relazioni con uomini, nonostante questi ultimi fossero violenti.

Sebbene la diagnosi si sia concentrata principalmente sulle donne e sulla violenza che un partner maschile applica su di loro, la sindrome deve essere applicata anche agli uomini ed in questo caso prende il più corretto nome di “sindrome della persona maltrattata“, eliminando la possibile discriminazione maschile. Quest’ultima sindrome, parimenti a quanto avviene tra le donne, viene usata come parte di una difesa legale quando un uomo che ha ripetutamente subito violenza dalla propria partner, la uccide.

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Concetto e terminologia

Nel 1979, Lenore E. Walker, autrice sugli studi sul “ciclo dell’abuso“, propose il concetto di sindrome della donna maltrattata, descrivendolo come “l’insieme dei segni e dei sintomi che si sono verificati dopo che una donna ha subito abusi fisici, sessuali e/o psicologici in una relazione intima, quando il partner (di solito, ma non necessariamente un uomo) esercitava potere e controllo sulla donna per costringerla a fare ciò che voleva, senza riguardo per i suoi diritti o sentimenti.” All’epoca Walker dichiarò: “Poiché ad oggi non ci sono dati supportati empiricamente, la sindrome della donna maltrattata non è stata ancora applicata agli uomini. Pertanto, il termine utilizzato è ‘sindrome della donna maltrattata’ piuttosto che una espressione come ‘sindrome della persona maltrattata’ o ‘sindrome dell’uomo maltrattato’. Naturalmente, gli uomini subiscono abusi da parte delle donne, ma nella maggior parte dei casi l’impatto psicologico sull’uomo non sembra essere coerente con il trauma”. Ad oggi queste affermazioni appaiono anacronistiche e fortemente discriminatorie nei confronti del genere maschile, per cui si preferisce la terminaologia più corretta di “sindrome della persona maltrattata“. Come già precedentemente accennato, occasionalmente, l’espressione “sindrome della persona maltrattata” è stata utilizzata soprattutto come parte di una difesa legale nei confronti di uomini che avevano ucciso una donna in risposta a traumi ripetuti subiti da essa. L’autore John Hamel ha affermato che: “Sebbene ‘sindrome della donna maltrattata’ sia stato sostituito con ‘sindrome della persona maltrattata’, la nuova espressione non migliora la precedente nel fornire una sindrome unitaria e non tiene conto delle caratteristiche peculiare della vittimizzazione maschile.”

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Cause e fattori di rischio

La sindrome della donna maltrattata si sviluppa in risposta a un ciclo in tre fasi riscontrato nelle situazioni di violenza da parte del partner. Innanzitutto, la tensione aumenta nella relazione. In secondo luogo, il partner violento allenta la tensione attraverso la violenza mentre incolpa la vittima di aver causato la violenza. In terzo luogo, il partner violento fa gesti di contrizione (cioè chiede perdono mostrandosi pentito). A questo punto, tuttavia, il partner non trova soluzioni per evitare un’altra fase di costruzione e rilascio della tensione, quindi il ciclo si ripete più e più volte e la donna malatrattata ha ogni volta la sensazione che finalmente l’uomo si sia pentito a fondo, quindi non avrà da lui ulteriori traumi fisici e/o psicologici. La ripetizione della violenza, nonostante i tentativi dell’aggressore di “fare il gentile”, fa sì che il partner abusato si senta in colpa per non aver impedito un ciclo ripetuto di violenza, tuttavia, poiché la vittima non ha colpa e la violenza è guidata internamente dall’aggressore, questo senso di colpa si traduce in sentimenti di impotenza piuttosto che di empowerment. Il sentimento di essere allo stesso tempo responsabili e impotenti nel fermare la violenza porta a sua volta alla depressione e alla passività. Questa depressione e passività apprese rendono difficile per il partner abusato organizzare le risorse e il sistema di supporto necessari per uscire dalla relazione. Sentimenti di depressione e passività possono anche essere creati dalla mancanza di sostegno sociale al di fuori della situazione di abuso. Una ricerca condotta negli anni ’80 da Gondolf e Fisher ha scoperto che le donne in situazioni di abuso aumentano il comportamento di ricerca di aiuto man mano che la violenza si intensifica, tuttavia i loro tentativi di cercare aiuto sono spesso frustrati dall’insensibilità della famiglia allargata e dei servizi sociali. In uno studio del 2002, Gondolf ha scoperto che più della metà delle donne aveva opinioni negative sui rifugi e sui programmi per le donne maltrattate a causa delle esperienze negative con tali programmi.

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Sintomi e segni

Quando la sindrome della donna maltrattata (BWS) si manifesta come disturbo da stress post-traumatico, consiste nei seguenti sintomi:

  • rivivere le percosse come se fossero ricorrenti anche quando non lo sono;
  • tentatare di evitare l’impatto psicologico delle percosse evitando attività, persone ed emozioni;
  • provare ipereccitazione o ipervigilanza;
  • interrompere relazioni interpersonali;
  • avere una distorsione dell’immagine corporea o altre preoccupazioni somatiche;
  • avere problemi di sessualità e intimità.

Inoltre, cicli ripetuti di violenza e riconciliazione possono portare alle seguenti convinzioni e atteggiamenti:

  • La persona maltrattata pensa che la violenza sia stata colpa sua.
  • La persona abusata ha l’incapacità di attribuire altrove la responsabilità della violenza.
  • La persona abusata teme per la propria vita e/o per la vita delle persone care a cui l’aggressore potrebbe o ha minacciato di fare del male (ad esempio, figli in comune, parenti stretti o amici).
  • La persona abusata ha una convinzione irrazionale che l’aggressore sia onnipresente e onnisciente.

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Diagnosi

Il codice ICD9 995.81 elencava la sindrome nella categoria generale degli “abusi fisici sugli adulti”. La diagnosi, soprattutto per quanto riguarda il disturbo da stress post-traumatico (PTSD), si è concentrata principalmente sulle donne. Il DSM-IV-TR non forniva una categoria diagnostica distinta per le reazioni alle percosse. Le diverse reazioni delle donne maltrattate vengono trattate come diagnosi separate; ad esempio, disturbo da stress post-traumatico o depressione. Poiché nel DSM-5 non esistono sottocategorie per la diagnosi del disturbo da stress post-traumatico, la diagnosi è assente dal manuale. Può, tuttavia, essere utilizzato come classificazione per guidare i piani di trattamento e le questioni forensi.

Terapia

La sindrome della donna malatrattata va curata con psicoterapia, in alcuni casi associata all’uso di farmaci antidepressivi e/o ansiolitici.

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Cosa fare?

Se sei qui perché credi di star subendo violenza domestica da parte di qualcuno che afferma di prendersi cura di te, devi uscire in modo autonomo dalla relazione e cercare per prima cosa l’aiuto delle Forze dell’Ordine (chiamando il Numero Unico per le Emergenze 112) e secondariamente l’aiuto di un professionista della salute che possa aiutarti. Naturalmente, molte donne hanno figli che non possono lasciare “in mano” ad un compagno violento: ciò rende la decisione di uscire dalla relazione molto più complicata. A maggior ragione, quindi, è necessario l’aiuto di professionisti che possano aiutare a gestire la situazione.

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Nei casi legali

Negli Stati Uniti, la sindrome della donna maltrattata come difesa legale ha cominciato a svilupparsi nella fine degli anni ’70. Nel 1977 negli Stati Uniti, il processo di Francine Hughes per l’omicidio di suo marito fu uno dei primi casi che coinvolsero quella che in seguito fu chiamata sindrome della donna maltrattata come difesa. Una difesa legale che utilizza la sindrome della donna maltrattata può sostenere che l’abuso sistematico subito dalla vittima di violenza domestica abbia portato la carnefice a credere che uccidere l’aggressore fosse l’unico modo per evitare di essere uccisa lei stessa e può fare affidamento sull’autodifesa o sull’autodifesa imperfetta. In alternativa, la vittima può sostenere che l’abuso ha gravemente influenzato il suo stato mentale, nel qual caso può essere utilizzata la difesa dell’infermità mentale o della diminuzione della responsabilità. Una difesa legale che utilizzi la sindrome della donna maltrattata mira ad ottenere un’assoluzione, una pena attenuata o una condanna per un reato minore. Nel Regno Unito, la sindrome della donna maltrattata è emersa come difesa legale negli anni ’90, a seguito di diversi casi di omicidio in Inghilterra che coinvolgevano donne che avevano ucciso partner violenti in risposta a quello che descrivevano come abuso cumulativo piuttosto che in risposta a un singolo atto provocatorio. I tribunali di Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti hanno accettato l’ampio e crescente corpus di ricerche che dimostrano che le donne maltrattate possono usare la forza per difendersi. Ciò può includere persino l’uccisione di chi abusa di loro a causa della situazione violenta, e talvolta pericolosa per la vita, in cui si trovano. Queste donne agiscono nella ferma convinzione che non ci sia altro modo che uccidere per autoconservazione. I tribunali hanno riconosciuto che queste prove possono supportare una serie di difese contro l’accusa di omicidio o attenuare la pena se condannati per reati minori. La sindrome della donna maltrattata non costituisce di per sé una difesa legale, ma può legalmente costituire:

  • autodifesa quando si utilizza un livello ragionevole e proporzionato di violenza in risposta all’abuso potrebbe sembrare la difesa più appropriata ma, fino a poco tempo fa, non ha quasi mai avuto successo. Una ricerca condotta nel 1996 in Inghilterra non ha trovato alcun caso in cui una donna maltrattata abbia invocato con successo l’autodifesa (vedi Noonan a p. 198). Dopo aver analizzato 239 decisioni d’appello su processi contro donne uccise per legittima difesa negli Stati Uniti, Maguigan (1991) sostiene che l’autodifesa è distorta dal genere.
  • autodifesa imperfetta;
  • provocazione;
  • follia (solitamente ai sensi delle Regole M’Naghten);
  • responsabilità diminuita.

Negli ultimi anni, la sindrome della donna maltrattata è stata messa in discussione come difesa legale per diversi motivi. Per prima cosa, non tutte le persone maltrattate si comportano allo stesso modo e secondariamente, si invoca la patologia quando, in effetti, possono esserci ragioni del tutto razionali e plausibili per la valutazione della vittima che la sua vita o quella dei suoi figli fosse in pericolo, in modo da evitare che l’omicida donna “si appoggi” alla sindrome anche quando questa in realtà non era presente o che addirittura l’ex partner non fosse affatto violento con lei. Ci sono stati casi in cui la donna ha ucciso per gelosia, ad esempio, e la difesa ha provato ad usare la sindrome della donna maltrattata come difesa legale. L‘ampia applicazione di questo tipo di difesa non deve fornire una “licenza di uccidere” alle persone, sia donne che uomini.

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