Prendi un rospo, mettilo in una pentola con dell’acqua e poni la pentola sul fuoco. Osserverai una cosa interessante: il rospo pigramente si adatta alla temperatura Continua a leggere
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Finché la barca va, tu non remare? Grande cavolata e vi spiego perché
Finché la barca va, tu non remare?
Per me è una grande Continua a leggere
L’asino nel pozzo: come superare le avversità della vita
L’asino nel pozzo
Un giorno l’asino di un contadino, dopo essere caduto in un pozzo, non Continua a leggere
Non arrenderti mai
Il segreto per avere una vita felice? Non perdere mai la fiducia nelle proprie possibilità. Non arrendersi mai, finché c’è aria nei polmoni e sangue nelle vene. E vedere in ogni salita, non una difficoltà… ma una opportunità!
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- Non avere mai paura di fallire
- Anche il viaggio più lungo, comincia con un singolo coraggioso passo
- Aumenta la tua autostima ed impara ad amarti
- Torna indietro solo per prendere la rincorsa
- Io sono il padrone del mio destino: io sono il capitano della mia anima
- Ero triste perché non avevo scarpe…
- Sentirsi soli nella folla
- Tu devi imparare la serenità tibetana
- Gli uomini perdono la salute per fare soldi, poi perdono i soldi per recuperare la salute
- Come un filo d’erba nell’asfalto ed il cemento
- Se vuoi raggiungere l’equilibrio, non smettere mai di muoverti
- Il miglior bacio è quello che ci si dà con lo sguardo…
- La differenza tra ciò che siamo e ciò che potremmo diventare
- Appena pensi di averlo imprigionato basta un soffio di aria e lui torna ad essere libero, nel vento
- Anche il gesto più insignificante, fa tutta la differenza del mondo
- Vuoi vedere un miracolo? Sii il tuo miracolo
- Parole e idee possono cambiare il mondo
- Il mondo è un bel posto e vale la pena di lottare per esso
- La vita è un’inspiegabile magia
- Finché la barca va, tu non remare? Grande cavolata. Quando la barca va, tu rema più forte!
- Vieni a correre con me?
- Credi di essere sfortunato? Forse dovresti cambiare idea
- L’invidia è una piena ammissione di inferiorità
- Dimentica il cervello e ascolta il tuo cuore
- L’uomo deve cominciare a prendersi cura della natura, altrimenti…
- Un’occasione per rivoluzionare tutto
- Auguri a tutti quelli che amano!
- Piangi, e piangerai da solo
- La natura è il posto più bello dove passare l’eternità
- Gli amici vanno cercati nel momento del bisogno. Il loro, non il tuo
- Motorini beige, sellini beige, cervelli beige
- Un giorno di pioggia per stare vicino a chi amate
- Un bellissimo panorama
- Gli amori del liceo non passano mai
- Ogni istante della nostra vita è una occasione per rivoluzionare tutto, completamente
- Muore davvero solo chi smette di…
- Scegliere di cambiare può fare paura ma può salvarti la vita
- Odio chi sta fermo e ti vuole insegnare come correre
- Mira alla luna: se anche la manchi atterrerai tra le stelle
- Non è importante dove, ma con chi
- La vita è preziosa
- Amo la pioggia, le nuvole ed il vento…
- Mai giudicare in base alle apparenze
- E’ amore vero quando…
- Quello che gli altri pensano di te riflette ciò che sono loro, non chi sei tu
- Se ami un fiore… non lo raccogli
- Insegnare bene significa…
- Resistere
- “Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu possa dirlo” NON è una frase di Voltaire
- Non è importante come cadi…
- Tutti abbiamo bisogno di un abbraccio
- Brilla più forte
- Il segreto per vivere bene? Guardare sempre le cose da una diversa prospettiva
- Non si sottomette un fiume con la forza
- Rinuncia a chi non ti ama ed impara a rispettare te stesso
- Motorini beige, sellini beige, cervelli beige
- Una persona piena di difetti
- Quello che lasceremo al mondo
- La vita non è aspettare che passi la burrasca…
- Ci sono persone alle quali semplicemente non piacete, qualsiasi cosa facciate
- E se non fosse la torre di Pisa ad essere storta…
- Palloni ovali e caviglie slogate
- Essere diversi è una qualità!
- La prossima volta che ti cercano
- Impara a camminare da solo e non cadrai mai
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La differenza tra ciò che siamo e ciò che potremmo diventare
Non è vero che il mondo è facile. Il mondo non è facile. Il mondo è difficile. La vita è difficile. Ma può essere ancora più difficile se non sfrutti l’enorme potenziale nascosto nei 100 miliardi di neuroni e nei milioni di miliardi di sinapsi che in questo preciso momento stanno lavorando per te, proprio per TE, all’interno del tuo cervello. Il più grande spreco del mondo è la differenza tra ciò che siamo e ciò che potremmo diventare. Ognuno di noi ha delle qualità: scoprile ed impara a sfruttarle al massimo, ed il mondo, forse, sarà un po’ più semplice! E ricorda: più la montagna da scalare è alta, più sarà bello il panorama quando avrai raggiunto la cima.
Altre frasi, aforismi e racconti:
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- L’uomo deve cominciare a prendersi cura della natura, altrimenti…
- Un’occasione per rivoluzionare tutto
- Auguri a tutti quelli che amano!
- Piangi, e piangerai da solo
- La natura è il posto più bello dove passare l’eternità
- Gli amici vanno cercati nel momento del bisogno. Il loro, non il tuo
- Motorini beige, sellini beige, cervelli beige
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- Un bellissimo panorama
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- Ogni istante della nostra vita è una occasione per rivoluzionare tutto, completamente
- Muore davvero solo chi smette di…
- Scegliere di cambiare può fare paura ma può salvarti la vita
- Odio chi sta fermo e ti vuole insegnare come correre
- Mira alla luna: se anche la manchi atterrerai tra le stelle
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- La vita è preziosa
- Amo la pioggia, le nuvole ed il vento…
- Mai giudicare in base alle apparenze
- E’ amore vero quando…
- Quello che gli altri pensano di te riflette ciò che sono loro, non chi sei tu
- Se ami un fiore… non lo raccogli
- Insegnare bene significa…
- Resistere
- “Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu possa dirlo” NON è una frase di Voltaire
- Non è importante come cadi…
- Tutti abbiamo bisogno di un abbraccio
- Brilla più forte
- Il segreto per vivere bene? Guardare sempre le cose da una diversa prospettiva
- Non si sottomette un fiume con la forza
- Rinuncia a chi non ti ama ed impara a rispettare te stesso
- Motorini beige, sellini beige, cervelli beige
- Una persona piena di difetti
- Gli uomini perdono la salute per fare soldi, poi perdono i soldi per recuperare la salute
- Quello che lasceremo al mondo
- La vita non è aspettare che passi la burrasca…
- Ci sono persone alle quali semplicemente non piacete, qualsiasi cosa facciate
- E se non fosse la torre di Pisa ad essere storta…
- Palloni ovali e caviglie slogate
- Essere diversi è una qualità!
- La prossima volta che ti cercano
- Torna indietro solo per prendere la rincorsa
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Perché si soffre? Come superare la sofferenza?
Dobbiamo partire dal riconoscere che la sofferenza è naturale, è parte della vita. 2500 anni fa, Buddha ha dedicato la sua esistenza al comprendere ed eliminare la sofferenza: una delle sue conclusioni è che “La vita è sofferenza” (anche se una traduzione migliore sarebbe “Nella vita sono insiti sofferenza, impermanenza e cambiamento”). Che io sappia, nessuno l’ha mai realmente smentito. Quindi, quando soffri non sempre c’è un colpevole o una causa eliminabile: a volte è come va la vita. A questa conclusione sono giunte anche diverse filosofie; per esempio, nell’antica Grecia lo Stoicismo consigliava di vivere in armonia col destino, anche avverso, per raggiungere così serenità e saggezza.
La sofferenza è inevitabile (a volte)
Perché soffrire – a volte – è inevitabile? Quanto meno, per le seguenti ragioni:
- A volte non accade quello che vogliamo.
- A volte accade quello che non vogliamo.
- Tutto è impermanente, tutto cambia; quindi, prima o poi perderemo quello a cui teniamo.
- Un giorno tu morirai – e questo vale per chiunque.
- Poiché siamo tutti diversi, e spesso vogliamo cose diverse, ci sarà sempre qualche disaccordo o conflitto con le altre persone.
E’ da notare che queste ragioni valgono per tutti, qualsiasi sia la loro condizione: non c’è modo di sfuggirle. Alcuni coltivano l’illusione che ci siano dei “trucchi” per sfuggire alla sofferenza (il denaro, il potere, la bellezza, la fede…), ma è tutto vano.
Certo, la sofferenza può essere diminuita, sia con azioni concrete che con il giusto atteggiamento (gli insegnamenti del Buddha hanno questo scopo), ma la sua eliminazione totale è semplicemente illusoria. Anzi, ostinarsi ad eliminare la sofferenza può portare al risultato opposto.
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La vita e il mondo non sono fatti a nostra misura
Il mondo non è fatto per renderci felici. Anche se ci piacerebbe tanto che lo fosse, e alcune religioni ci dicono che è così, non c’è alcuna prova a favore, ma ce ne sono molte contro. Non è il mondo che deve adattarsi a noi; piuttosto, siamo noi che dobbiamo adattarci al mondo, se vogliamo realizzare quello che desideriamo.
Allo stesso modo, la vita non è fatta per renderci felici: l’esistenza, per sua stessa natura, è spesso dura, complicata e incerta. Per milioni di anni la mera sopravvivenza è stata un problema quotidiano, e tuttora lo è in molte parti del mondo. Elementi che rendono la vita difficile, come l’egoismo, l’avidità e la competizione, sono parte di ogni essere vivente (anche perché portano un vantaggio evolutivo). L’idea che l’esistenza possa – o debba – essere facile e senza problemi è profondamente ingenua e disinformata.
Poiché la vita non è fatta per renderci felici, aspettarci che lo faccia è egocentrico e infantile. La vita – semmai – ci offre delle opportunità per essere felici, ma sta a noi coglierle e svilupparle. La felicità personale non è mai scontata o un diritto (anche se a volte può arrivarci come dono inaspettato), ma è una creazione e una conquista che richiede impegno e risorse. Se non siamo felici e vorremmo esserlo, dovremmo chiederci cosa stiamo facendo, concretamente, per diventarlo.
Dicendo che “il mondo (o la vita) non sono fatti per renderci felici”, non intendo certo dire che siano fatti per renderci infelici. Semplicemente non sono al nostro servizio, quindi non possiamo aspettarci che si occupino della nostra felicità; quel compito spetta a noi stessi).
Non siamo speciali come ci dice la religione
Perché reagiamo con tanto stupore e smarrimento quando ci accadono eventi spiacevoli? In parte, io credo, perché la religione cristiana (come anche le altre religioni monoteiste) ci dice che noi umani siamo creature speciali e privilegiate, che Dio ci ama in modo particolare, ecc. Questo crea aspettative irreali: che la realtà si adatti a noi, che soddisfi i nostri bisogni, che se ci comportiamo bene saremo felici e protetti dal dolore. Anche se queste convinzioni sono confortanti, purtroppo sono anche alquanto illusorie: e quando vengono infrante, la delusione può essere terribile.
In realtà non siamo così speciali: rispetto agli animali abbiamo capacità avanzate e una coscienza, è vero (ma queste ci portano anche “doni” quali angosce esistenziali, nevrosi e depressione). Ma a parte quello, la vita umana si svolge come per gli animali: nasciamo con paura e dolore, viviamo in competizione per ottenere quel che vogliamo, ci ammaliamo, patiamo la decadenza, e infine moriamo.
Non ci viene riservato nessun “trattamento di favore”. Nonostante le enormi risorse che spendiamo per allontanare paure e sofferenze (gran parte del consumismo può essere visto come un tentativo in questo senso), il nostro destino rimane simile a quello di tutte le altre creature viventi.
Dal mio punto di vista, le religioni dicono spesso cose non vere. Ma se credere negli insegnamenti religiosi per te funziona, ti fa stare bene, e ti fornisce le risposte di cui hai bisogno, va benissimo; non intendo convincerti del contrario. Però, se quello in cui credi non corrisponde alla tua realtà, o se ti genera confusione e sofferenza (invece di pace e benessere), forse è il caso di metterlo in discussione.
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Principali fonti di sofferenza
Di seguito elenco alcune delle principali fonti da cui proviene la nostra sofferenza. Averne chiara l’origine può aiutarci a gestirla meglio, ad accettarla (se non vi è alcun rimedio), oppure a cercare una possibile soluzione.
Sofferenza causata dagli altri
Quando la sofferenza è causata da altri esseri umani (dalle liti in famiglia alle guerre mondiali), è facile pensare che quelle persone siano cattive, stupide o ignoranti. Ma in molti conflitti non c’è chi ha “ragione” e chi ha “torto”, bensì ogni parte ha le sue ragioni. Quello che a te sembra sbagliato o assurdo, per altri può essere l’azione migliore: siamo tutti diversi, e vediamo le cose in modi differenti.
Questo vale anche per i presunti “bene” e “male”. Alcuni credono che, se eliminassimo il “male” (o i “cattivi”), la sofferenza sparirebbe. Ma chi decide cosa è bene o male? In genere, vediamo come “bene” ciò che è positivo per noi, e come “male” ciò che è negativo per noi. Ma quello che è male per qualcuno, potrebbe essere – e spesso è realmente – bene per qualcun altro. Inoltre, quello che ci sembra positivo oggi, potrebbe rivelarsi negativo domani (come illustrato dalla storia del contadino che ad ogni evento commentava: “Fortuna o sfortuna: chi può dirlo?”). E allora, chi ha ragione?
In realtà, bene e male sono “categorie immaginarie”, giudizi arbitrari e soggettivi. Prendiamo l’esempio del leone che insegue la gazzella per mangiarla: chi ha ragione e chi torto? Quale animale dovrebbe morire, e perché? Ovviamente, sia il leone che la gazzella avranno sull’argomento pareri ben diversi… e così è per noi: spesso giudichiamo un evento “bene” o “male” a seconda se siamo nella posizione della gazzella o del leone. Inoltre, quando qualcuno ci ferisce, tendiamo a prenderla sul personale, a pensare che ce l’abbia con noi o che ci voglia male. Ma invece, molto spesso questo accade per ragioni che non c’entrano nulla con noi: quella persona potrebbe avere avuto una giornata storta, o è malato, o non ci ha compresi, o era distratto, o seguiva una sua necessità, oppure vede le cose diversamente da noi. Tenere presente questo ci aiuta a non vedere gli altri come “nemici” e noi stessi come “vittime”.
Allo stesso modo, quando la vita ci fa soffrire, il più delle volte non riguarda noi personalmente, non c’è un motivo per cui ci capita: non è che il mondo ce l’ha con noi, o che veniamo puniti per qualche ragione. Certo, a volte soffriamo perché commettiamo degli errori (se attraverso la strada senza guardare e mi investono, se non mi preparo per un esame e mi bocciano), ma queste non sono “punizioni” (non c’è una causa morale), bensì conseguenze; in questi casi, dobbiamo imparare dai nostri errori e migliorare, per evitare di ripeterli.
Sofferenza causata dalla società
Una causa di sofferenza ampiamente diffusa ma di cui siamo spesso inconsapevoli, è quella causata dalle regole e dalle costrizioni sociali. Anche se non ce ne rendiamo conto perché vi siamo abituati fin dall’infanzia, siamo continuamente condizionati a reprimere ciò che sentiamo, quello che vorremmo dire e fare, per adeguarci alle norme e alle esigenze altrui (dalle persone intorno a noi fino alle leggi dello Stato).
Come aveva osservato già Freud, questa continua repressione è una delle principali cause di nevrosi e malesseri psichici. Negare il proprio sé, la propria natura autentica, non può essere privo di conseguenze. Al tempo stesso, questa repressione è il “prezzo da pagare” per tutti i vantaggi che ci porta il vivere in società: sicurezza, facile accesso a cibo e risorse, supporto, condivisione di mezzi e informazioni, possibilità di creare cose che da soli mai potremmo. Per essere completamente liberi, l’alternativa sarebbe vivere da soli come eremiti – ma le ragioni per cui non lo facciamo sono ovvie. Certo ci possono essere modi migliori e più armoniosi di vivere in società (la democrazia è assai meglio di dittature o monarchie), ma una vita sociale sarà sempre limitante: in primo luogo, ma non solo, perché la mia libertà finisce dove comincia quella altrui.
Attenuare la sofferenza del vivere in gruppo è però possibile, in vari modi:
- Sviluppare una propria autonomia di pensiero. Non seguire passivamente la massa, o i gruppi che si frequentano.
- Mettere in discussione usanze prive di senso o distruttive, e non seguirle solo perché di uso comune o tradizionali.
- E soprattutto, non dare troppa importanza ai giudizi degli altri, e non dipendere dalla loro approvazione (anche perché non è mai possibile fare contenti tutti).
Sofferenza causata da noi stessi
A volte soffriamo per cause esterne a noi, senza che ne abbiamo colpa alcuna; altre volte, siamo noi stessi a causare gli eventi che ci fanno soffrire. E’ importante riconoscere quando è vero il secondo caso, e assumercene la responsabilità – altrimenti non sapremo cambiare, e continueremo a creare sofferenza.
Due cause specifiche per cui a volte creiamo la nostra sofferenza, sono l’ignoranza e le illusioni(cioè credere a cose non vere).
- Per esempio, ci sono convinzioni diffuse che ci rendono infelici ma, finché non le mettiamo in discussione, continuiamo a seguirle.
- Oppure, non conosciamo le ragioni per cui le persone si attraggono e si piacciono (oppure no), e quindi ci muoviamo “a casaccio” nel mondo delle relazioni.
- Anche nell’ambito sentimentale, molti tendono a credere a pregiudizi e idee ingannevoli, che portano a infinite incomprensioni e scontri in amore.
Non è mai abbastanza
A volte soffriamo perché vediamo la nostra vita in modo distorto: ci concentriamo sui lati negativi e trascuriamo quelli positivi. Per la maggior parte del tempo, la nostra mente funziona così: se nella tua vita hai nove cose positive ed una negativa, tenderai a soffrire per quell’una che non funziona, e trascurerai di apprezzare le nove che vanno bene. Anche quando le cose ci vanno bene, di rado sappiamo goderci il momento presente; invece, tendiamo a desiderare altro e di più. Qualunque obiettivo raggiungiamo, non è mai abbastanza. Quindi viviamo proiettati verso una ipotetica felicità futura, invece di sentirci felici per quello che siamo e abbiamo. La felicità possibile nel presente ci sfugge perché siamo concentrati su quella immaginaria nel futuro.
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Sofferenza causata dalle aspettative
Ogni volta che abbiamo un’aspettativa irreale o impossibile (sia verso il mondo esterno che verso se stessi), finiamo col crearci frustrazione e infelicità. Spesso non sono gli eventi in sé che generano la sofferenza, ma le aspettative che abbiamo in proposito: se ottengo 100 e mi aspettavo 200 sarò deluso; ma se ottengo 100 e mi aspettavo 50, sarò ben contento. Stesso evento, diversa reazione.
Se siamo spesso frustrati da quel che ci capita, è bene chiedersi se le nostre aspettative siano esagerate. Se ci aspettiamo che tutto vada a modo nostro (il mondo, la vita, il comportamento altrui…), ci ritroveremo costantemente insoddisfatti.
Sofferenza causata dalla competizione
A volte soffriamo perché ci sentiamo spinti alla competizione:
- lo sforzo negli studi per acquisire competenze che diano maggiori opportunità;
- la lotta per ottenere un posto di lavoro, e poi per fare carriera;
- la conquista di un partner e la paura dei tradimenti, ecc.
Anche se queste situazioni ci possono apparire crudeli, in realtà sono anch’esse “naturali”, perché la natura stessa funziona secondo principi di “competizione darwiniana”. In natura, si è costantemente alla ricerca di risorse (cibo, riparo, partner), e in lotta contro altri individui e condizioni avverse: i più adatti prosperano, i meno adatti periscono. Gli esseri umani hanno sviluppato la società anche per attenuare queste condizioni (per esempio, tramite leggi uguali per tutti e servizi condivisi), ma la competizione rimane alla base della nostra natura (tutti vorrebbero il meglio, ma non tutti possono averlo).
La giustizia non esiste in Natura
A volte soffriamo perché subiamo delle ingiustizie. Per gli esseri umani la giustizia è un concetto primario, al punto che ci sembra una “legge naturale” – ma non è affatto così. In Natura non esiste giustizia o equità, ma vige la lotta per la sopravvivenza e la prevalenza del più adatto.
Sicuramente è importante impegnarsi per un mondo equo e giusto, per noi e per gli altri, ma non dovremmo stupirci se questo non sempre avviene. La giustizia è una invenzione umana, una funzione artificiale della società, un ideale che non sempre si riesce ad applicare.
Sofferenza per disastri naturali
Quando accadono disastri naturali (terremoti, eruzioni, uragani, tsunami, ecc.), siamo sconvolti e atterriti. Ci chiediamo il perché accadono eventi così terribili, la ragione di tanta sofferenza. La risposta che si davano gli antichi era l’ira o la vendetta di qualche dio; anche tutt’oggi alcuni vedono questi disastri come punizioni divine. Ma questi sono modi ingenui di dare una spiegazione “umana” ad eventi tanto più grandi di noi.
In realtà, i disastri naturali sono semplicemente meccanismi nel funzionamento del nostro pianeta. Non hanno nulla a che fare con la nostra presenza: accadevano miliardi di anni fa, quando noi non c’eravamo, e accadranno quando noi saremo estinti. La Terra segue il suo corso, ignara delle conseguenze per le creature che ospita; un po’ come un elefante che è ignaro delle formiche che possono essere sul suo dorso.
Sofferenza senza senso
Dare una spiegazione agli eventi è un bisogno umano, e forse per questo certe religioni o filosofie dicono che ogni evento ha sempre un senso, un suo scopo. Ma quello che accade non sempre ha un senso: un terremoto non ha alcuno scopo, accade e basta (anche se ha una spiegazione geologica).
E’ vero che c’è sempre un motivo o una spiegazione agli eventi, ma non sempre è morale (le leggi naturali, la fisica o la biologia, sono amorali e indifferenti ai destini umani) o logico ai nostri occhi (una malattia segue una sua “logica” che prescinde dalla nostra).
Superare la sofferenza
Anche a causa di certi insegnamenti religiosi o “new age” (per quanto ben intenzionati), che credono in una connessione diretta tra le nostre virtù o azioni, e i risultati che otteniamo, certe persone vedono la sofferenza come un segno che hanno sbagliato, sono “peccatori” o hanno “perduto la grazia di Dio”: “Se avessi fatto tutto giusto – pensano – allora tutto andrebbe bene”. Come ampiamente spiegato sopra, invece, gli eventi negativi capitano a tutti, buoni e cattivi, a volte senza alcun motivo. E’ evidente che non sempre i “buoni” vengono premiati e i “cattivi” puniti.
Quando soffriamo, non vuol dire che siamo sbagliati, incapaci o colpevoli. A volte dipende dalle nostre azioni, ma altre volte succede solo perché siamo nel luogo sbagliato al momento sbagliato.
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Non tutto il male viene per nuocere
La sofferenza non è solo negativa, presenta anche degli aspetti “luminosi” e utili:
- Ci fa crescere, ci spinge a migliorare ed evolverci.
- Ci insegna a comprendere la sofferenza altrui (se non abbiamo provato un dolore particolare, non possiamo capire chi si trova in quella situazione). Aumenta la nostra empatia e compassione.
- Ci induce ad apprezzare le cose positive (se fosse tutto facile e scontato, non lo apprezzeremmo).
Quindi, per certi versi la sofferenza ci rende più umani, più tolleranti e più saggi.
Altre risposte alla sofferenza
Nei casi in cui la sofferenza sia inevitabile, prendersela o combatterla è inutile (e persino controproducente): farlo non fa che aumentare la sofferenza stessa. E’ molto più produttivo concentrarsi su quel che di positivo abbiamo nella nostra vita, e godercelo. Anche quando non possiamo diminuire l’oscurità, possiamo però aumentare la luce.
Poiché l’esperienza della sofferenza è eterna e universale, nel corso del tempo l’uomo ha sempre cercato risposte e rimedi:
- Come già accennato, la filosofia ha proposto numerose interpretazioni e metodi per affrontare la sofferenza e l’ignoto.
- La classica “Preghiera della serenità” offre un’ispirazione preziosa per affrontare le preoccupazioni.
- La psicologia e la comprensione dell’animo umano, offrono molti strumenti per diminuire la sofferenza e aumentare la felicità.
- Coltivare una posizione di “ragionevole saggezza” (una visione realistica, in equilibrio tra gli estremi dell’ottimismo ingenuo e del pessimismo disperato), ci permette di affrontare meglio la sofferenza ed esserne meno influenzati.
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Dislessia: i problemi più diffusi nella decodifica del testo e ripercussioni su scrittura ed apprendimento
Prima di iniziare la lettura, per meglio comprendere l’argomento, ti consiglio di leggere: Dislessia: cos’è, come riconoscerla, come affrontarla e superarla
Le caratteristiche più comuni relative alla decodifica della singola parola o del testo scritto nel bambino dislessico, sono le seguenti (possono non essere tutte presenti contemporaneamente):
- Scarsa discriminazione di grafemi diversamente orientati nello spazio
Il soggetto mostra chiare difficoltà nel discriminare grafemi uguali o simili, ma diversamente orientati. Egli, ad esempio, confonde la “p”, la “b”, la “d” e la “q”; la “u” e la “n”; la “a” e la “e”. Nello stampato minuscolo (con cui è scritta questa pagina e tutti i testi dei libri scolastici) sono molte le coppie di grafemi che differiscono rispetto al loro orientamento nello spazio, per cui le incertezze e le difficoltà di discriminazione possono rappresentare un impedimento alla lettura. - Scarsa discriminazione di grafemi che differiscono per piccoli particolari
Il soggetto mostra difficoltà nel discriminare grafemi che presentano somiglianze. Egli, ad esempio, può confondere la “m” con la “n”; la “c” con la “e”; la “f” con la “t”; la “e” con la “a”… questo succede specialmente se si tratta di una scrittura in corsivo o in script. - Scarsa discriminazione di grafemi che corrispondono a fonemi sordi e fonemi sonori
Il soggetto mostra difficoltà nel discriminare grafemi relativi a fonemi con somiglianze percettivo-uditive. L’alfabeto è composto di due gruppi di fonemi: i fonemi sordi e i fonemi sonori, che risultano somiglianti tra loro, per cui anche in questo caso l’incertezza percettiva può rappresentare un ostacolo alla lettura. Le coppie di fonemi simili sono le seguenti:
-
F V T D P B C G S sorda S sonora
- Difficoltà di decodifica sequenziale
Leggere nella lingua italiana richiede al lettore di procedere con lo sguardo in direzione sinistra-destra e dall’alto in basso; tale processo appare complesso per tutti gli individui nelle fasi iniziali di apprendimento della lettura ma, con l’affinarsi della tecnica, la difficoltà diminuisce gradualmente fino a scomparire. Nel soggetto dislessico, invece, talvolta ci troviamo di fronte a un ostacolo nella decodifica sequenziale, che può essere data da due fattori, spesso presenti contemporaneamente: i “saltelli” oculari citati nel primo paragrafo o la mancanza del concetto di orientamento (di sé, del grafema e della parola) nello spazio. Per cui si manifestano con elevata frequenza i seguenti errori:- Omissione di grafemi e di sillabe
Il soggetto omette la lettura di parti della parola; può tralasciare la decodifica di consonanti (ad esempio può leggere “fote” anziché “fonte”; oppure “capo” anziché “campo”…) o di vocali (può leggere, ad esempio, “fume” anziché “fiume”; “puma” anziché piuma”…) e, spesso, anche di sillabe (può leggere “talo” anziché “tavolo”; “paro” anziché “papavero”…). In alcuni casi capita che questi soggetti leggano la prima parte della parola, mentre la seconda se la inventino o immaginino (vedi “Prevalenza della componente intuitiva”, subito sotto). - Salti di parole e salti da un rigo all’altro
Il soggetto dislessico presenta evidenti difficoltà a procedere sul rigo e ad andare a capo, per cui sono frequenti anche “salti” di intere parole o di intere righe di lettura. - Inversioni di sillabe
Spesso la sequenza dei grafemi viene invertita provocando errori particolari di decodifica della sillaba (il soggetto può, ad esempio, leggere “li” al posto di “il”; “la” al posto di “al”, “ni” al posto di “in”…) e della parola (può leggere, ad esempio, “talovo” al posto di “tavolo”…). - Aggiunte e ripetizioni
La difficoltà a procedere con lo sguardo nella direzione sinistra-destra può dare origine anche a errori di decodifica caratterizzati dall’aggiunta di un grafema o di una sillaba (ad esempio “tavovolo” al posto di “tavolo”…).
- Omissione di grafemi e di sillabe
- Prevalenza della componente intuitiva
Il soggetto che presenta chiare difficoltà di lettura privilegia, indubbiamente, l’uso del processo intuitivo rispetto a quello di decodifica. L’intuizione della parola scritta rappresenta un valido strumento ma, al tempo stesso, è fonte di errori, definiti di anticipazione. Non di rado, infatti, il soggetto esegue la decodifica della prima parte della parola, talvolta anche solo del primo grafema o della prima sillaba, e procede “intuendo”/“inventando” l’altra parte. La parola contenuta nel testo viene così a essere spesso trasformata in un’altra, il cui significato può essere affine ma anche completamente diverso.
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Possibili ripercussioni sulla scrittura
Difficoltà di copiatura dalla lavagna a causa della lenta o scorretta decodifica. Può inoltre essere causa di questo problema l’incapacità di decodificare la scrittura di un’altra persona, avendo già problemi con la propria. Molto spesso questo problema è correlato ad uno scorretto orientamento del grafema rispetto al senso di lettura/scrittura (scrivere le lettere partendo dal basso o da destra, leggere dall’alto al basso e da destra a sinistra).
Possibili ripercussioni sull’apprendimento logico-matematico
Il soggetto talvolta può presentare alcune difficoltà di decodifica del testo del problema e può presentare l’impedimento nella risoluzione di semplici problemi matematici che i non affetti di dislessia risolverebbero senza problema. Hanno quindi un apprendimento più lungo della norma. Possono presentarsi anche problemi di calcolo legati alla specularità del 2 e del 5 o del 6 e del 9.
Dislessia e difficoltà semplici della lettura
La dislessia si riconosce per la presenza di caratteristiche, più o meno presenti, sopra descritte, che impediscono o ostacolano fortemente il processo di decodifica. Le difficoltà semplici di lettura, invece, si riconoscono per la presenza di uno o di alcuni degli elementi di riconoscimento sopra descritti, ma gli ostacoli alla conquista di adeguate tecniche di lettura risultano superabili attraverso l’esercizio graduato, la proposta di attività coinvolgenti e stimolanti, la sollecitazione delle curiosità del soggetto, lo sviluppo di capacità di base talvolta non adeguatamente interiorizzate all’ingresso della scuola elementare. Le difficoltà semplici di lettura sono dovute, quasi sempre, a un ritardo maturazionale, a lievi difficoltà percettivo-motorie, a un inadeguato bagaglio di esperienze, a scarso investimento motivazionale, ma anche a errori didattico-pedagogici che i docenti compiono sia nelle prime proposte didattiche relative all’approccio alla lingua scritta sia, successivamente, negli itinerari di recupero conseguenti all’accertamento delle difficoltà stesse.
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Il disagio psicologico nel bambino con dislessia
Prima di iniziare la lettura, per meglio comprendere l’argomento, ti consiglio di leggere: Dislessia: cos’è, come riconoscerla, come affrontarla e superarla
Spesso la dislessia – confusa con le normali prime difficoltose fasi di apprendimento del bambino – non viene precocemente diagnosticata, accade quindi molto frequentemente che le difficoltà specifiche di apprendimento del bambino non vengano individuate precocemente. Il risultato di ciò è che sovente capita che il bimbo sia costretto a vivere una serie di insuccessi a catena senza che lui ne riesca a comprendere il motivo. Quasi sempre i risultati insoddisfacenti in ambito scolastico vengono attribuiti allo scarso impegno, al disinteresse verso le varie attività, alla distrazione: i genitori spesso si lamentano col bimbo della sua poca voglia di impegnarsi nello studio. Questi alunni, oltre a sostenere il peso della propria incapacità, se ne sentono anche responsabili e colpevoli. L’insuccesso prolungato genera scarsa autostima; dalla mancanza di fiducia nelle proprie possibilità scaturisce un disagio psicologico che, nel tempo, può strutturarsi e dare origine ad un’elevata demotivazione all’apprendimento e a manifestazioni emotivo-affettive particolari quali:
- la timidezza estrema;
- la forte inibizione;
- l’aggressività;
- gli atteggiamenti istrionici di disturbo alla classe;
- la depressione.
Il soggetto con disturbo di apprendimento vive quindi il proprio problema a tutto tondo e ne rimane imprigionato fino a che non viene elaborata una diagnosi accurata che permette di fare chiarezza.
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Possibili sensazioni e comportamenti del ragazzo dislessico
Provando a mettersi nei panni di un bambino o di un ragazzo con disturbo di apprendimento si possono immaginare le esperienze e gli stati d’animo:
- egli si trova a far parte di un contesto (la scuola) nel quale vengono proposte attività per lui troppo complesse e astratte;
- osserva però che la maggior parte dei compagni si inserisce con serenità nelle attività proposte e ottiene buoni risultati;
- sente su di sé continue sollecitazioni da parte degli adulti (“stai più attento!”, ” Impegnati di più!”, “hai bisogno di esercitarti molto”…);
- si percepisce come incapace e incompetente rispetto ai coetanei;
- comincia a maturare un forte senso di colpa sentendosi responsabile delle proprie difficoltà;
- ritiene che nessuno sia soddisfatto di lui, né gli insegnanti né i genitori;
- ritiene di non essere all’altezza dei compagni e che questi non lo considerino membro del loro gruppo a meno che non vengano messi in atto comportamenti particolari (ad esempio quello di fare il buffone di classe);
- per non percepire il proprio disagio, mette in atto meccanismi di difesa che non fanno che aumentare il senso di colpa, come il forte disimpegno (“Non leggo perché non ne ho voglia!”, “Non eseguo il compito perché non mi interessa”…) o l’attacco (aggressività);
- talvolta il disagio è così elevato da annientare il soggetto ponendolo in una condizione emotiva di forte inibizione e chiusura.
Possibili atteggiamenti dei familiari del soggetto dislessico
Per la maggior parte dei genitori la scuola è importante, è al primo posto nella vita dei bambini e dei ragazzi, tutto il resto viene dopo e, se la scuola va male, ne sono insoddisfatti e chiedono al/alla figlio/a un maggiore impegno. Non di rado si sente dire ai genitori rispetto alla difficoltà del figlio: “Non me lo aspettavo… mi è sempre sembrato un bambino intelligente…”.
L’ingresso nella scuola elementare ha, in questi casi, fatto emergere un problema; il bambino non apprende come gli altri, gli altri sanno già leggere e scrivere, lui invece… Comincia così la storia del bambino – scolaro, una storia che, in certi casi, ha risvolti davvero drammatici, non si riesce a comprendere tutta quella serie di “perché” che permetterebbero di intraprendere percorsi adeguati ed efficaci e si cercano soluzioni spesso dannose, anche se decise in buona fede. Ecco allora che si sottopongono i figli a estenuanti esercizi di recupero pomeridiano, si elargiscono punizioni (niente più sport, niente più videogiochi…), e talvolta si arriva anche a far cambiare scuola al figlio.
Nonostante si parli molto di questi problemi, c’è ancora scarsa conoscenza e non sempre la diagnosi giunge in tempi accettabili, cosicché sia il bambino sia la famiglia tutta vivono esperienze frustranti, generatrici di ansia e di un clima affettivo non certamente favorevole.
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