Shock culturale (culture shock): caratteristiche, cause e teoria delle quattro fasi di Oberg

MEDICINA ONLINE PIRAMIDE DI CHEOPE SFINGE EGITTO GIZA PIRAMIDI CAIRO EUROPA DESERTO SFONDO WALLPAPER PHOTO HD pyramid of khafreCon l’espressione “shock culturale” (in inglese “culture shock”) in medicina, psicologia ed antropologia si indica un insieme di sentimenti – che comprendono ansia, smarrimento, disorientamento e confusione – che una persona può provare a causa di un improvviso cambiamento dello stile di vita dovuto al trasferimento in un ambiente sociale e culturale differente dal proprio, come ad esempio avviene nei turisti o in chi si sposta per lavoro in zone diverse da quelle in cui lavora abitualmente. Classici esempi di shock culturale sono la sindrome di Parigi (che colpisce in particolare i turisti Giapponesi che visitano la capitale francese) e la sindrome di Gerusalemme.

Cenni storici

L’espressione fu coniata dall’antropologa statunitense Cora DuBois nel 1951, per riferirsi al senso di smarrimento e disorientamento che lei stessa, e molti antropologi suoi colleghi, riscontrava quando aveva a che fare con culture differenti per lavoro. Il canadese Kalervo Oberg riprese l’espressione nel 1954 e ne allargò il significato a tutte le persone che viaggiano all’estero incontrando nuovi usi e costumi; a questo proposito pubblicò uno studio dettagliato nel quale il fenomeno veniva catalogato come “malattia professionale”, costituita di quattro fasi e relativi sintomi (vedi i prossimi paragrafi). Secondo lo psicologo Paul Pedersen, lo shock culturale è il processo di adattamento di una persona a un ambiente non familiare e l’impatto emotivo, psicologico, comportamentale, cognitivo e fisiologico che questo ha su di essa. Lo stesso Perdersen specifica che lo shock si verifica quando la persona si immerge in uno stato di incertezza dove essa non sa cosa aspettarsi da se stessa né dalle persone che la circondano.

Cause e fattori di rischio

Le cause esatte dello shock culturale non sono state ancora individuate, tuttavia sono stati identificati alcuni fattori che potrebbero innescarlo, tra cui:

  • perdita dei comuni punti di riferimento: il soggetto all’improvviso si ritrova a dover gestire le relazioni interpersonali, la sfera comunicativa, i comportamenti e gli atteggiamenti in modo da essere accettato dalla nuova cultura, andando a modificare il proprio modo di interfacciarsi con la realtà che lo circonda. Anche situazioni banali, come scegliere un dato vestito o mangiare un dato cibo, potrebbero essere stravolte dalla cultura di arrivo. Anche perdere riferimenti fisici a cui si è abituati (negozi, strade, indicazioni stradali, senso di marcia…) può contribuire allo shock culturale;
  • idealizzazione della cultura di arrivo: il turista o il lavoratore, prima di partire, grazie a foto e video, potrebbe farsi una idea eccessivamente grandiosa della città dove si recherà. Una volta sul posto, il divario osservato fra la visione idealizzata nutrita in patria e l’effettiva realtà, può essere fonte di sconforto e delusione, aumentato dal grande sforzo economico e logistico profuso per raggiungere la meta. Questa è la tipica situazione che genere la sindrome di Parigi;
  • barriera linguistica: non saper parlare la lingua del posto dove si arriva, pone gravi ostacoli alla comunicazione, aumentando così la confusione del soggetto (vedi il prossimo paragrafo);
  • stanchezza psico-fisica: la fatica fisica e mentale che comporta l’organizzazione di un viaggio – specie se intercontinentale e se di affari e non di piacere, aumenta la destabilizzazione psicologica del viaggiatore;
  • diverse condizioni climatiche: viaggiatori che si spostano da luoghi con condizioni climatiche molto diverse (immaginate un norvegese che si sposta in Tunisia) possono sviluppare un’ansia che contribuisce ad innescare lo shock culturale;
  • conseguenze del jet lag: il grande cambiamento d’orario che si verifica in caso di viaggi intercontinentali, altera il ritmo circadiano e può destabilizzare i viaggiatori, specie quelli che soffrivano di insonnia già prima della partenza;
  • timore di non essere all’altezza: se il viaggio viene effettuato per motivi di lavoro, il soggetto può avere un’ansia legata al non essere all’altezza del suo compito lavorativo e tale ansia può innescare e peggiorare lo shock culturale;
  • malattie psichiatriche: se il soggetto prima di partire aveva già sofferto di una data malattia psichiatrica, ciò potrebbe contribuire a scatenare e/o peggiorare lo shock culturale.

Barriera linguistica

Lo shock culturale, secondo alcuni, deriverebbe soprattutto dalla barriera linguistica. Una barriera linguistica è un ostacolo che interviene nel processo di comunicazione, dovuto principalmente all’uso di lingue diverse, dialetti, o gerghi che il ricevente non è in grado di decodificare correttamente con la conseguenza di non comprendere o malintendere il messaggio che gli è stato inviato.: ciò genera un senso di ansia e frustrazione. Per tentare di superare l’ostacolo della barriera linguistica fra le varie nazioni del mond,o sono state create delle lingue artificiali note come lingue ausiliari internazionali come ad esempio, l’esperanto, l’ido, l’interlingua, il volapük ed il Glosa, che sono tuttavia ancora relativamente poco diffuse.

Sintomi e caratteristiche

I sintomi più comuni dello shock culturale, includono:

  • automisofobia,
  • eccessive preoccupazioni riguardo al cibo e/o al bere,
  • preoccupazioni relative alla stanza d’albergo ed alla biancheria da letto,
  • paura del contatto fisico con camerieri e inservienti,
  • distrazione,
  • senso di impotenza,
  • frustrazione,
  • stanchezza mentale,
  • noia,
  • irritabilità,
  • rifiuto di imparare la lingua del luogo,
  • eccessiva paura dell’essere imbrogliati, derubati o feriti,
  • forte sentimento di nostalgia o desiderio di ritorno al Paese d’origine.

Tali sintomi, tuttavia, possono cambiare a seconda della persona interessata e della cultura del nuovo Paese. In genere tanto più le culture di origine e di arrivo sono distanti, ad esempio nella lingua parlata o nel modo di relazionarsi, di mangiare, di usare i mezzi pubblici, di parlare in pubblico, tanto più lo shock culturale sarà elevato ed i sintomi più intensi. L’individuo affetto da shock culturale può trovare difficoltà nel decidere quando e se compiere o meno gesti comuni quali stringere la mano, chiedere un consiglio, fissare un appuntamento, accettare o meno un invito, prendere sul serio o meno un’affermazione o in che modo reagire ad altre situazioni simili che, in un contesto culturale familiare, risulterebbero facilmente superabili, ma che in un contesto culturale diverso dal proprio gli generano ansia profonda. Successivamente la persona manifesta una sorta di “rifiuto” o “rigetto” verso il nuovo ambiente, seguiti da una fase di “regressione” durante la quale viene dato un valore spropositato al luogo di origine, del quale vengono ricordate soltanto le situazioni piacevoli, e viene contemporaneamente sminuito eccessivamente il valore del luogo di arrivo. Nei casi più gravi possono insorgere attacchi di panico, depressione e sintomi psicotici come deliri ed allucinazioni visive e/o uditive: in questi casi il soggetto potrebbe addirittura diventare violento e compiere atti antisociali.

Le quattro fasi dello shock culturale

Kalervo Oberg nella pubblicazione Cultural Shock: Adjustment to New Cultural Environments, individuò quattro fasi distinte dello shock culturale:

  • fase della luna di miele;
  • periodo di crisi;
  • fase di recupero;
  • fase di adattamento.

Non tutte le quattro fasi si verificano necessariamente e comunque non sempre in quest’ordine.

1) Luna di miele

Fase “luna di miele”: in questa fase, che può durare da un minimo di due settimane a un massimo di sei mesi, la persona è affascinata da tutto ciò che nuovo e le differenze tra la nuova e la vecchia cultura vengono viste sotto una luce romantica. La persona comincia a provare un senso di fascinazione verso la nuova cultura, che può eventualmente evolversi in un’idealizzazione della stessa. I cibi, i vestiti, i paesaggi, il modo di comportarsi… Tutto appare “nuovo” ed “esotico”, interessante e pieno di possibilità. Ci si sente “cittadini del mondo” e ciò accresce la propria autostima. Si cerca di interfacciarsi con le altre persone cercando di imparare le regole imposte dalla società di arrivo.

2) Crisi

Nella seconda fase, denominata “periodo di crisi” la situazione cambia radicalmente ed improvvisamente rispettivamente alla prima fase, entrando nello shock culturale vero e proprie: sparisce l’eccitamento e diminuisce il senso di novità. Questi sentimenti vengono sostituiti da sensazioni spiacevoli di delusione, frustrazione e rabbia man mano che si va incontro a situazioni sfavorevoli che possono essere percepite come strane e offensive per il proprio atteggiamento culturale. A questi vanno aggiunti eventi stressanti dovuti al trasloco nella nuova casa, al trasferimento nella nuova scuola o alle difficoltà con la lingua straniera. La persona, in alcuni casi, reagisce aggressivamente assumendo atteggiamenti maleducati e arroganti in segno di autodifesa in modo da alleviare il senso di disagio. In altri casi il soggetto si rifiuta di uniformare il proprio modo di comportarsi alle regole imposte della cultura di arrivo, risultando a volte anche gradevole alle persone che lo circondano. Nei casi più gravi il soggetto si isola completamente ed evita qualsiasi contatto con le persone e la nuova cultura.

3) Aggiustamento

Nella fase di aggiustamento l’individuo – dopo la reazione di rifiuto sperimentata nella seconda fase -diviene consapevole della sua nuova situazione e inizia ad accettare gli usi e costumi della nuova cultura approcciandovisi con un’attitudine positiva, cominciando a vedere alcuni lati positivi. Gli atteggiamenti di insofferenza potrebbero essere sostituiti da un senso di superiorità nei confronti delle persone della nazione ospitante e, nonostante alcune difficoltà ancora persistano, la persona riesce a fare autoironia su sé stessa e sulla propria condizione. Nella fase di aggiustamento, chi prima si era isolato, cerca timidamente di instaurare qualche tipo di legame con le persone del posto e la nuova cultura: assaggia i cibi del posto, prende i mezzi pubblici, passeggia per strade e negozi per lui sconosciuti, indossa vestiti tipici del posto.

4) Adattamento

In questa quarta ed ultima fase, si assiste all’accettazione della situazione ed all’adattamento completo alla nuova situazione: il soggetto si sente a proprio agio all’interno della nuova cultura, della quale accetta serenamente gli usi e costumi, iniziando inoltre a godere di alcuni aspetti di essa, come per esempio il cibo od il modo di relazionarsi delle persone. Le rare situazioni spiacevoli vengono affrontate senza ansia e, una volta lasciato il Paese, la persona proverà generalmente un sentimento di nostalgia verso esso ed una voglia di tornarci al più presto.

Shock culturale inverso

Con “shock culturale inverso” si intende, invece, la fase di adattamento alla cultura d’origine una volta completato l’adattamento alla cultura straniera, che può causare gli stessi effetti descritti in precedenza con la differenza che questi sono le conseguenze psicologiche e psicosomatiche del processo di riadattamento alla cultura primaria. Nello shock culturale inverso, alle quattro fasi descritte precedentemente si associano altre due fasi (descritte nel 1963 da John T. Gullahorn e Jeanne E. Gullahorn): la seconda crisi ed il secondo adattamento.

5) Crisi

La seconda crisi dello shock culturale si verifica al rimpatrio: l’individuo si è talmente adattato alla nuova cultura, che quando torna nella propria la avverte come estranea e soffre di uno shock culturale “al contrario”. Tale fase di seconda crisi è comunque in genere molto meno intensa rispetto alla prima crisi (seconda fase del modello originale).

6) Adattamento

Al periodo della seconda crisi segue una fase di adattamento, in cui il soggetto si riadatta agli usi e costumi a cui era abituato prima della partenza.

Curiosità

Un tipico esempio di shock culturale è quello descritto nel film del 2003 Lost in Translation – L’amore tradotto (titolo originale: Lost in Translation) scritto, diretto e prodotto da Sofia Coppola con protagonisti Bill Murray e Scarlett Johansson. Il film ruota intorno al particolare rapporto sentimentale tra l’attore in declino Bob Harris e la neolaureata Charlotte, nato in un grande hotel di Tokyo. Statunitensi e proiettati in una ambiente dove la cultura è totalmente diversa da quella a cui sono abituati in patria, soffrono entrambi di shock culturale.

Per approfondire:

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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