Uomini che odiano le donne è un famoso libro di Stieg Larsson, che ha avuto tanto successo da meritarsi una versione cinematografica omonima uscita nel 2009, noto primo capitolo della trilogia “Millennium”. Citazioni cinematografiche a parte, l’argomento di oggi è un fenomeno noto da sempre, che potrebbe invece essere alla base di un romanzo chiamato “DONNE che odiano le donne“.
L’uomo “l’ha capito”, le donne no
Il fenomeno è conosciuto fin dalla notte dei tempi, ma gli psicologi hanno iniziato a studiarlo soprattutto dagli anni 70: è la leggendaria incapacità di alcune donne, non tutte per fortuna, di allearsi per far fronte comune ad una situazione avversa, che porta ad una competizione spesso estrema e senza esclusione di colpi bassi e bassissimi. Mentre l’uomo, che si la natura ha reso competitivo ma anche logico, ha compreso che in molti casi la cooperazione della “Teoria dei giochi” è un concetto che può far felici tutti i contendenti (ogni uomo ottiene una “fetta di torta”, seppur piccola), invece la donna media sembra non aver del tutto compreso questo fatto e vuole necessariamente “tutta la torta” a scapito di tutte le concorrenti. E’ un comportamento che deriva dalla biologia umana: l‘uomo sano ha infatti una quantità sterminata e virtualmente infinita di gameti (gli spermatozoi) che gli permettono di trasmettere i propri geni fecondando possibilmente moltissime donne quindi è meno “selezionatore” e – salvo casi estremi – riesce a vivere pacificatamente con altri uomini, a patto che ognuno abbia una platea relativamente ampia di donne da fecondare. Al contrario le donne hanno a disposizione un numero limitato di gameti (gli oociti) e di tempo fertile, quindi sono portate dalla natura a dover iperselezionare i maschi con cui accoppiarsi, sbaragliando la concorrenza di tutte le altre donne.
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Le donne preferiscono promuovere gli uomini
Il meccanismo biologico prima citato, porta a comportamenti talmente ben riconoscibili che gli psicologi hanno coniato l’espressione “sindrome dell’ape regina” (in inglese “queen bee syndrome”), ovvero l’odio della donna che ha raggiunto i vertici di una organizzazione verso i suoi subordinati femminili. Tale donna al potere finisce con l’avere una sorta di predisposizione ad aiutare gli uomini escludendo qualsiasi velleità di solidarietà femminile ed anzi tendendo ad ostacolare – anche con mobbing ed azioni non lecite – la promozione di altre donne, in modo da rimanere l’unica donna a cui potenziali partner maschili possano tendere nell’ambiente lavorativo. Il fenomeno è finito sotto la lente di ingrandimento di svariate ricerche, tra cui quella di alcuni studiosi dell’Università di Cincinnati che hanno intervistato circa duemila dipendenti di alcune aziende statunitensi e hanno scoperto che si registra un allarmante incremento dell’incidenza di questa sindrome. Nella pratica quotidiana di un’azienda, una donna a capo di un reparto afflitta dalla sindrome dell’ape regina, a parità di punteggio, ha la tendenza a promuovere un dipendente di sesso maschile rispetto ad uno di sesso femminile.
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Donna capo: salute addio
La sindrome dell’ape regina non crea solamente un clima lavorativo tossico, soprattutto per le donne subordinate che possono subire un vero e proprio mobbing, ma si ripercuote anche sulla salute della donna capo: uno studio tedesco di alcuni anni fa ha infatto scoperto che le donne che ricoprivano ruoli rilevanti in una socetà e che tendevano a prevaricare le colleghe, andavano soggette con maggiore frequenza ad emicranie, ansia, gastriti, insonnie e depressione. Inoltre un sondaggio condotto in Gran Bretagna ha svelato che due donne su tre preferiscono avere un capo di sesso maschile, proprio perché il rischio di dover interagire con una donna manager soggetta a sbalzi di umore, invidie e vessazioni sessiste è molto elevato.
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Gli uomini “l’hanno capito”:
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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