Arresto cardiaco: conseguenze, cause, coma, terapia, cosa fare

MEDICINA ONLINE ELETTROCARDIOGRAMMA ECG ESAME ONDE ONDA P T U COMPLESSO QRS TRATTO INTERVALLO RR INTERPRETAZIONE SIGNIFICATO CUORE IMPULSO ELETTRICO NODO SENO ATRIALE SETTO ATRIO VENTRICOLO TORACE AORTA VENA ARTERIACon “arresto cardiaco” (anche chiamato “arresto cardiocircolatorio”) si intende un gravissimo ed improvviso deficit delle funzionalità del cuore, che cessa improvvisamente di battere in modo efficace e di conseguenza interrompe la sua azione di pompaggio del sangue in tutto il corpo, mettendo a rischio la vita stessa del paziente. L’arresto cardiaco si può verificare in caso di traumi, ad esempio un forte trauma toracico in un incidente stradale, o in caso di svariate patologie.

Quando si verifica un arresto cardiaco?

Un arresto cardiaco si verifica in caso di importanti alterazioni del ritmo cardiaco:

  • asistolia;
  • fibrillazione ventricolare;
  • tachicardia ventricolare senza polso;
  • attività elettrica senza polso o pulseless electrical activity (PEA).

Quali sono le cause di un arresto cardiaco?

Le cause di arresto cardiaco possono essere:

  • cardiache (le più frequenti, spesso determinate da cardiopatia ischemica causata da ostruzione delle arterie coronarie)
  • non cardiache.

Le cause non cardiache sono meno frequenti rispetto alle cardiache. Le non cardiache possono essere di due tipi:

  • non cardiache meccaniche (tamponamento cardiaco, embolia polmonare, pneumotorace iperteso…);
  • non cardiache anossiche (struzione delle vie aeree, eventi neurologici…).

A cosa porta un arresto cardiaco?

I tessuti corporei e cerebrali, durante un arresto cardiaco, non sono più perfusi da sangue ed ossigeno: questo comporta una veloce perdita di coscienza e delle capacità respiratorie. Un arresto cardiaco è così grave che, se non si interviene immediatamente con la rianimazione cardiopolmonare e con un defibrillatore, nel giro di pochissimi minuti provoca dei danni permanenti al cervello e la morte della persona colpita.

Sintomi e sintomi premonitori di un arresto cardiaco

L’insorgenza dell’arresto cardiaco è spesso istantanea, senza segni clinici o sintomi premonitori. In alcuni casi il paziente può avvertire una sintomatologia riferibile alla condizione clinica che è causa dell’arresto: palpitazioni, vertigini, dispnea, dolore toracico. L’obiettività in corso di arresto cardiaco è caratterizzata dall’assenza del polso centrale (carotideo), dalla perdita di coscienza, e da una serie di segni clinici che compaiono dopo un lasso di tempo variabile:

  • midriasi,
  • pallore,
  • cianosi cutanea,
  • respiro agonico,
  • incontinenza sfinterica,
  • rilassamento della muscolatura scheletrica.

L’evoluzione dell’arresto cardiaco verso il coma e la morte biologica irreversibile dipende in maniera critica dal tempo che intercorre tra l’evento primario e la messa in atto delle manovre assistenziali. Il cervello è molto sensibile all’anossia derivante dall’arresto di circolo: in pochi secondi si ha perdita di coscienza, mentre dopo circa 4 minuti si hanno danni irreversibili. Il cuore è meno sensibile, ma anche l’attività cardiaca va deteriorandosi nel giro di qualche minuto; la tachicardia ventricolare senza polso (TV-senza polso) e la fibrillazione ventricolare (FV), che sono in genere i ritmi di esordio dell’arresto cardiaco da ischemia miocardica, decadono in qualche minuto a FV a basso voltaggio, e infine ad asistolia: se la rianimazione cardiopolmonare non portasse alla ripresa dell’attività elettrica cardiaca, in pochi minuti si giungerebbe alla morte biologica.

Terapia: cosa fare in caso di arresto cardiaco?

Il successo delle manovre mediche applicate a un paziente in arresto cardiaco è correlato in maniera significativa al tipo di ritmo inizialmente rilevato dal defibrillatore (il cosiddetto ritmo di presentazione). I ritmi di presentazione si possono schematicamente classificare in due categorie:

  • ritmi defibrillabili (tachicardia ventricolare-senza polso e fibrillazione ventricolare);
  • ritmi non defibrillabili (asistolia e pulseless electrical activity, o PEA).

Se il soccorritore si trova di fronte ad un ritmo TV-senza polso/FV, ha discrete probabilità che le manovre di rianimazione abbiano successo; se rileva un’asistolia, le probabilità di successo si abbassano. Oltre al massaggio cardiaco si sono recentemente sviluppate delle tecniche rianimatorie con sistemi meccanici (speciali corpetti da apporre sul torace del paziente), che permettono un prolungamento della rianimazione sino all’arrivo in pronto soccorso.
La defibrillazione permette la cardioversione, cioè un ritorno ad un ritmo cardiaco sinusale (normale) e può essere effettuata con un defibrillatore esterno (se il soggetto non possiede un defibrillatore interno ICD) o – in casi limitati – con pugno precordiale.
La defibrillazione, se attuabile, deve avvenire nel minor tempo possibile dall’arresto cardiaco; si ritiene che per ogni minuto trascorso le probabilità di successo decadano del 7-10%. Inoltre, alcuni fattori possono intervenire riducendo le probabilità di successo, ad esempio l’ipotermia, l’ipossia, l’acidosi e l’elevata impedenza toracica.

I tempi di intervento sono importanti

Il tempo massimo per intervenire in modo efficace su un arresto cardiaco è al massimo 10 minuti; ogni minuto perso equivale a una riduzione della sopravvivenza del 7-10%. Il tempo per cardiovertire un arresto cardiaco e “resuscitare” il paziente, prima che i danni al cervello siano irreversibili, è correlato all’efficacia della rianimazione cardiopolmonare.

IMPORTANTE: In caso vi ritroviate di fronte ad un probabile arresto cardiaco e non avete né nozioni di rianimazione, né defibrillatori esterni semiautomatici/automatici, non perdete neanche un secondo e chiedete IMMADIATAMENTE soccorso medico. Un minuto in più od in meno fanno letteralmente la differenza tra la vita e la morte del paziente.

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Differenza tra fibrillazione ventricolare ed arresto cardiaco

MEDICINA ONLINE ELETTROCARDIOGRAMMA ECG ESAME ONDE ONDA P T U COMPLESSO QRS TRATTO INTERVALLO RR INTERPRETAZIONE SIGNIFICATO CUORE IMPULSO ELETTRICO NODO SENO ATRIALE SETTO ATRIO VENTRICOLO TORACE AORTA VENA ARTERIACon “arresto cardiaco” (anche chiamato “arresto cardiocircolatorio”) si intende un improvviso deficit delle funzionalità del cuore, che cessa improvvisamente di battere in modo efficace e di conseguenza interrompe la sua azione di pompaggio del sangue in tutto il corpo. L’arresto cardiaco si può verificare in caso di traumi, ad esempio un forte trauma toracico in un incidente stradale, o in caso di svariate patologie. I tessuti corporei e cerebrali, durante un arresto cardiaco, non sono più perfusi da sangue ed ossigeno: questo comporta una veloce perdita di coscienza e delle capacità respiratorie. Un arresto cardiaco è così grave che, se non si interviene immediatamente con la rianimazione cardiopolmonare e con un defibrillatore, nel giro di pochissimi minuti provoca dei danni permanenti al cervello e la morte della persona colpita. Un arresto cardiaco si verifica in caso di:

  • asistolia;
  • fibrillazione ventricolare;
  • tachicardia ventricolare senza polso;
  • attività elettrica senza polso o pulseless electrical activity (PEA).

Con “fibrillazione ventricolare” (FV o VF) in medicina si intende una aritmia che si caratterizza per un ritmo cardiaco rapidissimo, caotico e disorganizzato che origina dai ventricoli. La rapidità e la disorganizzazione dell’impulso elettrico rendono il cuore incapace di espellere il sangue all’interno del circolo arterioso, portando a un arresto cardiaco.

Da quanto detto si intuisce che la fibrillazione ventricolare è un tipo di aritmia che conduce ad arresto cardiaco, tuttavia non tutti gli arresti cardiaci sono necessariamente determinati da fibrillazione ventricolare.

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Fibrillazione atriale: terapia, rischi, cosa fare, ECG, quando preoccuparsi

MEDICINA ONLINE ARITMIA TACHICARDIA BRADICARDIA ELETTROCARDIOGRAMMA NORMALE SANO PALPITAZIONI SEMEIOTICA CUORE CARDIACA ESAME OBIETTIVO AUSCULTAZIONE FONENDOSCOPIO ORECCHIO FOCOLAIO SUCULTAZIONECon “fibrillazione atriale” in medicina si intende una aritmia cardiaca, cioè una alterazione del ritmo cardiaco normale (ritmo sinusale), che origina dagli atri del cuore. È una complessa patologia elettrica degli atri  che presenta costantemente tre caratteristiche principali:

  • l’attivazione elettrica rapida ed apparentemente caotica del tessuto atriale, che provoca il caratteristico sintomo di cuore “palpitante” ed è riscontrabile con un comune elettrocardiogramma (ECG);
  • la diminuita efficienza dell’attività di pompa del cuore (diminuzione della gittata cardiaca);
  • se la fibrillazione atriale si prolunga nel tempo determina l’aumento del rischio tromboembolico, causato dal rallentamento del flusso ematico nel cuore che porta ad aumentato rischio di coagulazione. L’eventuale formazione di embolo può portare a ictus cerebrale o infarto del miocardio.

La fibrillazione atriale è il risultato di un gran numero di disordini cardiaci ed extracardiaci: da malattie strutturali, come le valvulopatie e le cardiomiopatie, all’ipertensione arteriosa, a malattie genetiche ereditarie, a ernia iatale, patologie della tiroide, ai distiroidismi, fino ai casi in cui non è possibile determinare la causa, detti idiopatici.

Fibrillazione atriale: cosa fare?

Nel caso che voi sospettiate di avere una fibrillazione atriale che non accenna ad interrompersi, recatevi dal medico ed eseguire un elettrocardiogramma che può confermare o smentire la diagnosi. E’ importante mantenere la calma: una fibrillazione atriale, specie se di prima comparsa ed in individui giovani e sani, non è un evento grave e scompare generalmente da sola, tuttavia non va sottovalutata, specie se perdura nel tempo e si riproponga varie volte in pochi giorni: in quel caso espone il paziente ad alcuni rischi.

Rischi della fibrillazione atriale

Come appena ricordato, la fibrillazione atriale – specie se parossistica – scompare in modo autonomo nell’arco di un tempo variabile da alcuni minuti ad alcune ore e difficilmente può essere rischiosa per la salute. Diverso è il discorso di fibrillazione prolungata, recidivante, cronica: in questo caso il paziente ha un più elevato rischio di eventi ischemici (ictus cerebrale, infarto del miocardio) ed arresto cardiaco.

  • Eventi ischemici: ictus ed infarto sono causati dal fatto che, durante una fibrillazione atriale prolungata, gli atri (le due cavità superiori del cuore) non riescono a pompare tutto il sangue nei ventricoli (le due cavità inferiori), quindi parte del sangue ristagna al loro interno. Tale rallentamento del flusso, determina un aumento della coagulazione del sangue, il che porta alla formazione di un coagulo che, messo in circolo diventa un embolo che può ostruire arterie cerebrali o coronarie. Per questo motivo gli anticoagulanti sono una parte importante della terapia dei pazienti affetti da fibrillazione atriale di lunga durata.
  • Arresto cardiaco: la fibrillazione atriale può causare l’arresto cardiaco perché i ventricoli battono molto più in fretta del normale e non riescono a riempirsi completamente di sangue, quindi possono non essere in grado di pompare una quantità sufficiente di sangue nei polmoni, nell’organismo e nel miocardio stesso. Nel caso di arresto cardiaco si rende necessario l’uso tempestivo di defibrillatore.

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Terapia

L’approccio clinico corrente della fibrillazione atriale, oltre ad affrontare la patologia cardiaca o extracardiaca sottostante, mira a trattare i sintomi e a minimizzare l’incidenza di embolie e di scompenso cardiaco che, come appena visto, sono più probabili in caso di fibrillazione atriale prolungata. Le raccomandazioni sulla scelta terapeutica, in senso strettamente aritmologico, si basano sull’alternativa tra:

  • il controllo del ritmo (cioè il recupero e il mantenimento del ritmo sinusale con farmaci antiaritmici o l’ablazione transcatetere);
  • il controllo della frequenza cardiaca con farmaci che regolano la conduzione degli stimoli atriali ai ventricoli associati alla terapia antitrombotica.

La scelta sulla condotta terapeutica viene quindi personalizzata basandosi su vari fattori, come stato del paziente, sua età, durata dei sintomi, probabilità di recidive e grazie ad eventuali altri esami sia di laboratorio che di immagine, come l’ecocolordoppler cardiaco. Vediamo ora alcuni esempi di terapia, basati sul tipo di fibrillazione atriale:

Fibrillazione atriale parossistica in soggetto sano

Nel soggetto sano il ripristino del ritmo sinusale avviene spontaneamente nel 60% dei casi circa, nelle prime ore dopo l’episodio acuto. Se non c’è cardioversione spontanea, si può tentare la cardioversione farmacologica somministrando farmaci antiaritmici come propafenone, flecainide o, in caso di concomitante presenza di cardiopatie strutturali, soprattutto riduzione della contrattilità, amiodarone. Questo in quanto gli antiaritmici di classe Ic (propafenone e flecainide) causano un’importante riduzione della contrattilità.

Fibrillazione atriale in cardiopatico che non mostra insufficienza cardiaca

La conversione a ritmo sinusale può avvenire tramite la somministrazione di propafenone o amiodarone, nel caso non si riuscisse ad ottenere un ritmo sinusale va programmata una cardioversione elettrica. Prima di sottoporre il paziente a cardioversione è opportuno – al fine di prevenire il distacco di trombi dagli atri, con conseguenti embolie – un adeguato trattamento anticoagulante, per esempio, con eparina, se l’aritmia è insorta da meno di 48 ore o con la terapia anticoagulante orale, usando il warfarin o l’acenocumarolo, in tutti gli altri casi.

Fibrillazione atriale in soggetto con insufficienza cardiaca

Il ripristino di un ritmo sinusale deve essere ricercato utilizzando la cardioversione elettrica esterna.

Fibrillazione atriale cronica e permanente

La terapia dovrà mirare almeno al controllo della frequenza cardiaca con farmaci come la digitale, i betabloccanti, il verapamil o il diltiazem mentre il rischio di tromboembolia verrà ridotto con l’utilizzo di anticoagulanti orali, che fino ad ora erano rappresentati dal warfarin e l’acenocumarolo. Tali farmaci però richiedono il controllo periodico del livello di anticoagulazione attraverso dei prelievi di sangue. In alcuni casi, quando sia danneggiato il fascio di conduzione verso i ventricoli e quindi sia particolarmente bassa la frequenza cardiaca, si provvederà all’impianto di un pacemaker definitivo. In casi di FA cronica o recidivante in pazienti selezionati, nei quali non si riesce a mantenere nel tempo un ritmo sinusale, si propone, in questi ultimi anni, l’ablazione transcatetere con radiofrequenza: questa metodica attualmente è efficace in circa il 70% dei casi.

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Fibrillazione atriale: parossistica, persistente e cronica

MEDICINA ONLINE ARITMIA TACHICARDIA BRADICARDIA ELETTROCARDIOGRAMMA NORMALE SANO PALPITAZIONI SEMEIOTICA CUORE CARDIACA ESAME OBIETTIVO AUSCULTAZIONE FONENDOSCOPIO ORECCHIO FOCOLAIO SUCULTAZIONECon “fibrillazione atriale” in medicina si intende una aritmia cardiaca, cioè una alterazione del ritmo cardiaco normale (ritmo sinusale), che origina dagli atri del cuore. È una complessa patologia elettrica degli atri che presenta una caratteristica principale: l’attivazione elettrica rapida ed apparentemente caotica del tessuto atriale, che provoca il caratteristico sintomo di cuore “palpitante” ed è riscontrabile con un comune elettrocardiogramma (ECG).

La fibrillazione atriale si può classificare principalmente in base alla durata dei sintomi:

  • Fibrillazione atriale di nuova insorgenza: fibrillazione documentata per la prima volta, indipendentemente dalla presenza di sintomi o da eventuali precedenti episodi non documentati.
  • Fibrillazione atriale parossistica: fibrillazione che termina spontaneamente entro 48 ore o 7 giorni dall’insorgenza (a seconda delle linee guida: il limite di 48 ore è stato posto perché è considerato il massimo periodo di tempo che consente la cardioversione immediata con basso rischio embolico; il limite di 7 giorni è stato posto perché è il periodo in cui più frequentemente avviene la remissone spontanea dell’aritmia).
  • Fibrillazione atriale persistente: fibrillazione atriale continua di durata superiore a 48 ore o a 7 giorni, (a secondo delle linee guida) o che è interrotta con cardioversione farmacologica o elettrica dopo questo limite.
  • Fibrillazione atriale persistente di lunga durata: fibrillazione atriale continua di durata superiore a 12 mesi. Questa durata è importante perché correlato alla probabilità di successo della cardioversione o dell’ablazione trans catetere.
  • Fibrillazione atriale cronica (anche chiamata “permanente”): il termine è usato quando paziente e medico decidono congiuntamente di accettare la fibrillazione atriale e desistere da ulteriori tentativi di ripristinare e mantenere il ritmo sinusale. Non si riferisce quindi alle caratteristiche fisiopatologiche dell’aritmia poiché la decisione dipende dalla malattia cardiaca sottostante, dai sintomi, dall’efficacia delle terapie e dalla preferenza del paziente e del medico.

A seconda del tipo, la fibrillazione atriale assume diverse ulteriori nomenclature:

  • Fibrillazione atriale non valvolare: fibrillazione atriale in assenza di stenosi mitralica reumatica, di protesi valvolare meccanica o biologica o di riparazione della valvola mitralica (la distinzione da quella associata a malattia valvolare è importante per la scelta della terapia anticoagulante).
  • Fibrillazione atriale silente (o asintomatica): fibrillazione atriale che non si associa a sintomi, indipendentemente da altre caratteristiche. Può essere diagnosticata a seguito di una complicanza correlata alla FA, come l’ictus ischemico o la tachicardiomiopatia, o incidentalmente con l’esecuzione di un elettrocardiogramma.
  • Fibrillazione atriale secondaria: fibrillazione atriale in cui è possibile individuare la causa dell’aritmia o una condizione favorente, cardiaca o extracardiaca.
  • Fibrillazione atriale primitiva o isolata (Lone atrial fibrillation): fibrillazione atriale non associata a patologia cardiovascolare, compresa l’ipertensione arteriosa, o altro fattore causale noto. La diagnosi è quindi di esclusione e richiede l’esecuzione delle indagini cliniche e strumentali indicate per il caso. In generale riguarda individui giovani, o con età< 60 anni, apparentemente sani. L’assenza di reperti patologici negli esami non invasivi non esclude completamente patologie pregresse o in atto. In biopsie multiple del miocardio atriale di questi pazienti sono frequenti alterazioni istologiche di tipo prevalentemente infiammatorio o fibrotico.

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Bradicardia: sintomi, conseguenze, rimedi, notturna e grave

MEDICINA ONLINE CUORE HEART INFARTO MIOCARDIO NECROSI ATRIO VENTRICOLO AORTA VALVOLA POMPA SANGUE ANGINA PECTORIS STABILE INSTABILE ECG SFORZO CIRCOLAZIONELa bradicardia o brachicardia è una condizione in cui la frequenza cardiaca è ridotta rispetto al normale, fino a scendere al di sotto del valore di 60 battiti per minuto. E’ importante ricordare che nel feto la frequenza cardiaca è fisiologicamente più elevata (110-160 bpm), per cui si parla di “bradicardia fetale” in caso di frequenza inferiore a 100 battiti al minuto. La bradicardia negli adulti solitamente non è una condizione pericolosa, tuttavia a volte può essere la causa di una riduzione notevole dell’apporto di sangue agli organi periferici o centrali (come il cervello), con pericolo di perdita della coscienza e morte nei casi più gravi.

La bradicardia non indica necessariamente patologia

Non necessariamente una bradicardia è indice di patologie, ad esempio può manifestarsi fisiologicamente negli atleti professionisti o in sportivi ben allenati (a causa di un’aumentata stimolazione da parte del nervo vago), negli anziani, in sub esperti, durante il sonno (bradicardia notturna), in individui che praticano attività come lo yoga. In questi casi la frequenza cardiaca a riposo può essere inferiore ai 50 battiti al minuto, ed essere assolutamente normale. La velocità di scarica del nodo seno-atriale (il pacemaker naturale del cuore che regola la frequenza cardiaca) può essere modificata da diversi fattori, tra i più importanti c’è la regolazione nervosa da parte del sistema nervoso:

  • simpatico (tono adrenergico e noradrenergico): determina un aumento della frequenza cardiaca;
  • parasimpatico (tono vagale): determina una riduzione della frequenza cardiaca.

Una eccessiva stimolazione vagale (ad esempio in caso di asfissia) può determinare una bradicardia transitoria.

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Patologie che sono legate alla bradicardia

In alcuni casi però la bradicardia può essere un campanello di allarme di una patologia o può determinare essa stessa una patologia, è il caso ad esempio del blocco atrioventricolare di II grado e di III grado, della malattia del nodo del seno atriale o dell’ipertensione endocranica: in questi casi si parla di bradiaritmie. Anche farmaci e droghe possono causare bradicardia. Per approfondire, leggi anche: Bradiaritmia: tipi, cause, sintomi, prevenzione e trattamenti

Anche l’ipertensione intracranica può dare avvio a bradicardia patologica (bradiaritmia), per approfondire, leggi: Ipertensione endocranica: valori, cause, bradicardia, terapie

Sintomi della bradicardia

I sintomi sono correlati al ridotto apporto ematico all’organismo e possono manifestarsi come

  • malessere;
  • vertigini;
  • astenia;
  • ipotensione arteriosa;
  • lipotimia;
  • sincope;
  • shock.

In alcuni casi la bradicardia può essere del tutto asintomatica (cioè può non dare alcun sintomo).

Diagnosi

La bradicardia sinusale è una condizione clinica facilmente diagnosticabile, infatti il paziente stesso può percepire la propria frequenza palpando il numero di pulsazioni al minuto dell’arteria radiale (al polso), o carotidea (al collo). A tal proposito, leggi anche: Come, dove e quando si misura la frequenza cardiaca?

In presenza di bradicardia cronica, o che spesso si alterna senza alcun motivo con una frequenza normale, è consigliabile consultare il cardiologo per scoprire una possibile causa patologica scatenante. In tal caso gli strumenti diagnostici più utili sono:

  • visita cardiologica;
  • elettrocardiogramma;
  • Holter ECG 24 ore;
  • prove sotto sforzo;
  • ecografia cardiaca con colordoppler;
  • esami ematici.

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Terapia della bradicardia

Il più delle volte la bradicardia non richiede alcun trattamento, però nei casi sintomatici o gravi è possibile che debba essere necessario intraprendere una terapia mirata (particolarmente con farmaci simpaticomimetici). Se la saturazione dell’ossigeno è bassa, occorre fornire ossigeno supplementare, specie nei bambini. Inoltre:

  • Se le bradiaritmie si presentano in corso di terapia con farmaci che possono esserne responsabili, la sospensione della terapia può risolvere il problema.
  • A seconda della sede e della gravità della bradicardia, nonché alla presenza di sintomi associati, può essere indicato l’impianto di un pacemaker.

Prevenzione

Le bradiaritmie sono prevalentemente l’espressione di un invecchiamento del “sistema elettrico” del nostro cuore, per tale motivo non esistono programmi di prevenzione particolari. È tuttavia necessario effettuare una valutazione aritmologica periodica qualora ci fosse una certa familiarità per difetti del battito cardiaco o fosse nota una preesistente condizione di bradicardia, inoltre il paziente è invitato a perdere peso (se sovrappeso od obeso), alimentarsi in modo adeguato, fare attività fisica e smettere di fumare e/o assumere droghe.

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Defibrillatore: cos’è, come funziona, prezzo, voltaggio, manuale ed esterno

rbhc_08Con “defibrillatore” si intende un particolare strumento capace di rilevare le alterazioni del ritmo cardiaco e di erogare una scarica elettrica al cuore qualora sia necessario: tale scarica ha la capacità di ristabilire il ritmo “sinusale”, cioè il corretto ritmo cardiaco coordinanto dal pacemaker naturale del cuore, il “nodo del seno striale”.

Come è fatto un defibrillatore?

Come vedremo successivamente, esistono vari tipi di defibrillatore. Il defibrillatore “classico”, quello che siamo abituati a vedere nei film durante le emergenze, è il defibrillatore manuale, il quale è composto due elettrodi che devono essere posizionati sul torace del paziente (uno a destra e uno a sinistra del cuore) dall’operatore stesso, finché la scarica non viene erogata.

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Quali tipi di defibrillatori esistono?

Esistono quattro tipi di defibrillatori:

  • defibrillatore manuale;
  • defibrillatore semiautomatico esterno;
  • defibrillatore automatico esterno;
  • defibrillatore impiantabile o interno.

Defibrillatore manuale

Il defibrillatore manuale è il dispositivo più complesso da utilizzare poiché ogni valutazione delle condizioni cardiache viene completamente delegata al suo utilizzatore, così come la calibrazione e la modulazione della scarica elettrica da erogare al cuore del paziente. Per questi motivi, tale tipo di defibrillatore viene utilizzato esclusivamente da medici o da operatori sanitari abilitati.

Defibrillatore semiautomatico esterno

Il defibrillatore semiautomatico esterno è un dispositivo, al contrario del tipo manuale, in grado di funzionare quasi in completa autonomia: una volta collegati in maniera corretta gli elettrodi al paziente, mediante uno o più elettrocardiogrammi che il dispositivo effettua in maniera automatica, il defibrillatore semiautomatico esterno è in grado di stabilire se è necessaria o meno erogare uno shock elettrico al cuore: qualora il ritmo fosse effettivamente defibrillabile, avverte l’operatore della necessità di erogare una scarica elettrica al muscolo cardiaco, grazie a segnalazioni luminose e/o vocali. A questo punto, l’operatore dovrà solo premere il pulsante di scarica. Un fattore estremamente importante è che soltanto nel caso in cui il paziente si trovi in uno stato di arresto cardiaco il defibrillatore si predisporrà all’erogazione della scarica: in nessun altro caso, salvo malfunzionamento del dispositivo, sarà possibile defibrillare il paziente, anche se, per sbaglio, venisse premuto il pulsante dello shock. Questa tipologia di defibrillatori è quindi, al contrario del tipo manuale, di più semplice utilizzo e può essere utilizzata anche da personale non sanitario, pur se opportunamente formato.

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Defibrillatore completamente automatico

Il defibrillatore automatico (spesso abbreviato con DAE, da “defibrillatore automatico esterno”, o AED, “automated external defibrillator”) è ancora più semplice rispetto all’automatico: necessita solamente di essere collegato al paziente e di essere acceso. A differenza dei defibrillatori semiautomatici esterni, una volta riconosciuto lo stato di arresto cardiaco, procedono in autonomia all’erogazione dello shock al cuore del paziente. Il DAE può essere utilizzato anche da personale non sanitario che non ha alcuna formazione specifica: chiunque può usarlo semplicemente seguendo le istruzioni.

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Defibrillatore interno o impiantabile

Il defibrillatore interno (anche chiamato defibrillatore impiantabile o ICD), è uno stimolatore cardiaco alimentato da una batteria dalle dimensioni molto ridotte che viene inserito in prossimità del muscolo cardiaco, solitamente, sotto la clavicola. In caso registri una frequenza anomala del battito cardiaco del paziente è in grado di erogare autonomamente una scarica elettrica per tentare di riportare la situazione alla normalità. Il defibrillatore ICD, oltre ad essere un pacemaker a tutti gli effetti (ha la capacità di regolare i ritmi lenti del cuore, può riconoscere una aritmia cardiaca a ritmi elevati ed iniziare una terapia elettrica per risolverla prima che diventi pericolosa per il paziente). E’ anche un defibrillatore vero e proprio: la modalità ATP (Anti Tachi Pacing) spesso riesce a risolvere la tachicardia ventricolare senza che il paziente lo avverta. Nei casi di aritmia ventricolare più pericolosi, il defibrillatore eroga uno shock (una scarica elettrica) che azzera l’attività del cuore e consente il ripristino del ritmo naturale. In questo caso il paziente avverte un colpo, una scossa più o meno forte al centro del petto o una sensazione simile. A tal proposito leggi:

Defibrillatore: voltaggi ed energia di scarica

Un defibrillatore è generalmente alimentato da una batteria ricaricabile, a rete o a corrente continua a 12 Volt. L’alimentazione di funzionamento all’interno dell’apparecchio è del tipo a bassa tensione, a corrente continua. All’interno del defibrillatore si possono distinguere due tipi di circuito: – un circuito a bassa tensione di 10-16 V, che interessa tutte le funzioni il monitor ECG, la scheda contenente i microprocessori, ed il circuito a valle del condensatore; un circuito ad alta tensione, che interessa il circuito di carica e scarica dell’energia di defibrillazione: questa viene accumulata dal condensatore e può raggiungere voltaggi fino a 5000 V.

L’energia di scarica è generalmente di 150, 200 o 360 J.

Pericoli dell’uso di un defibrillatore

Pericolo di ustioni: Nei pazienti con cospicua peluria si crea uno strato di aria tra elettrodi e cute che provoca uno scarso contatto elettrico. Ciò causa una elevata impedenza, riduce l’efficacia della defibrillazione, aumenta il rischio di formazione di scintille tra gli elettrodi o tra elettrodo e cute e determina una maggior probabilità di causare ustioni al torace del paziente. Per evitare ustioni è necessario anche evitare che gli elettrodi si tocchino tra loro, tocchino bendaggi, cerotti transdermici, ecc.

Quando si utilizza un defibrillatore bisogna rispettare una norma importante: nessuno tocchi il paziente durante l’erogazione dello shock! Il soccorritore deve porre particolare attenzione per fare in modo che nessuno tocchi il paziente, evitando quindi che la scarica arrivi ad altri soggetti.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Pugno precordiale sul petto: significato, quando farlo, linee guida

MEDICINA ONLINE DEFIBRILLATORE CARDIOVERSIONE SPONTANEA ELETTRICA CON SHOCK FARMACOLOGICA FARMACI URGENZA EMERGENZA MASSAGGIO CARDIACO ARRESTO RESPIRAZIONE BOCCA RIANIMAZIONE FIBRILLATORIl pugno precordiale è una tecnica di cardioversione meccanica manuale, caratterizzata dalla somministrazione di un pugno sullo sterno all’altezza del cuore, usata in condizioni di estrema emergenza ed in mancanza di defibrillatore elettrico.

Con cardioversione si intende è una particolare procedura che si esegue in campo medico quando un soggetto ha una aritmia, cioè una alterazione del ritmo cardiaco normale (ritmo sinusale), al fine di ripristinarlo evitando pericolose complicazioni che possono portare anche a decesso del paziente. La cardioversione può essere:

  • spontanea: quando l’aritmia si interrompe spontaneamente, entro poche ore dall’insorgenza;
  • non spontanea: quando l’aritmia NON si interrompe spontaneamente, in questo caso il personale sanitario deve intervenire al più presto per ripristinare il ritmo sinusale.

La cardioversione non spontanea può essere effettuata in tre modi: la cardioversione farmacologica, elettrica (con defibrillatore esterno o interno ICD) o, appunto, meccanica tramite pugno precordiale. L’energia meccanica impressa dal pugno dovrebbe convertirsi in energia elettrica sufficiente per ripristinare il normale ritmo sinusale.

Defibrillazione con pugno precordiale: come farla?

L’operatore si dispone a lato del paziente posto su una superficie possibilmente dura e somministra il pugno precordiale sullo sterno all’altezza del cuore.

Importante:

  • dopo aver dato il pugno, ritirare immediatamente la mano (non lasciandola posata sul torace del paziente): il colpo deve essere “secco”;
  • il pugno deve essere dato con la parte ulnare del pugno stesso;
  • il pugno deve essere impresso nella metà inferiore dello sterno;
  • la forza della manovra deve essere “importante” ma non violenta, specie se l’operatore è particolarmente robusto e/o il paziente particolarmente esile o “fragile” (ad esempio bimbi ed anziani);
  • la forza del pugno viene regolata e limitata facendo partire il pugno da una distanza di circa 20 centimetri dal petto;
  • evitare se possibile la manovra se sul petto sono presenti ferite importanti e/o c’è il rischio di lesione della spina dorsale;
  • la manovra non dovrebbe essere ripetuta.

Defibrillazione con pugno precordiale: quando farla?

Questa manovra va effettuata in caso di arresto cardiaco solo quando non sia disponibile un defibrillatore, cioè in situazioni di emergenza estrema. In rari casi ha effettivamente permesso di convertire la fibrillazione ventricolare o la tachicardia ventricolare in un ritmo cardiaco efficace, ma più frequentemente non ha alcuna efficacia o addirittura può causare una conversione opposta, provocando in ultimo un’asistolia che aggrava ulteriormente la situazione, quindi è estremamente importante usare questa tecnica sono se non ci sono altre possibilità.

Per poter essere eseguita, tale tecnica deve essere effettuata solo se:

  • rientra entro i primi 10, massimo 30 secondi dal verificarsi del fenomeno aritmico, non oltre;
  • si ha la certezza che non si abbia un defibrillatore immediatamente disponibile;
  • sapete quello che state facendo: dovrebbe essere eseguita solo da operatori sanitari opportunamente addestrati. NON IMPROVVISATEVI MAI OPERATORI SANITARI, o potreste peggiorare irreversibilmente una situazione altrimenti risolvibile.

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Lo Staff di Medicina OnLine

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Ritmo sinusale ECG: normofrequente, tachicardico, valori, ai limiti della norma

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Un tracciato ECG che mostra un ritmo sinusale tachicardico

Ritmo sinusale” è tipicamente presente nei referti degli elettrocardiogrammi. Un esempio è “Tracciato caratterizzato dalla presenza di ritmo sinusale”. Questo non deve assolutamente spaventare il paziente, anzi è un buon segno. Vediamo perché.

Ritmo sinusale: cos’è?

Con “ritmo sinusale” in medicina ci riferisce al fisiologico ritmo con cui si contrae il muscolo cardiaco. Il termine “sinusale” deriva dal nodo del seno atriale, cioè una parte del cuore sede del pacemaker fisiologico, quella parte che determina l’origine dell’impulso cardiaco che – propagandosi lungo il cuore – regola la frequenza e la ritmicità delle contrazioni di atrio e ventricolo cardiaco. L’alterazione del nodo senoatriale è la causa dell’insorgenza di vari tipi di aritmie cardiache, caratterizzate dalla scomparsa del ritmo sinusale, chiaramente rilevabile con un elettrocardiogramma (ECG). Per approfondire, leggi anche: Come si muove l’impulso elettrico cardiaco nel cuore?

Quando il ritmo non è sinusale?

Il ritmo NON è sinusale in alcuni tipi di aritmia cardiaca, ad esempio nella fibrillazione atriale o quella ventricolare, condizioni che possono mettere a rischio la vita del paziente sia indirettamente (ad esempio l’aumentata coagulabilità del sangue in una fibrillazione atriale cronica espone il paziente ad aumento di rischio di embolia e quindi di infarto del miocardio ed ictus cerebrale) che direttamente (arresto cardiaco nella fibrillazione ventricolare).

Ritmo sinusale: quando è normale e quando non lo è?

Un ritmo sinusale viene considerato “normale” quando ha una frequenza di compresa tra i 60 e i 100 battiti al minuto. Sono possibili due tipi di alterazioni della frequenza:

  • tachicardia: ritmo sinusale con frequenza sopra i 100 battiti al minuto;
  • bradicardia: ritmo sinusale con frequenza sotto i 60 battiti al minuto.

Ovviamente tachicardia e bradicardia non sono da soli indice di malattia. E’ ad esempio assolutamente normale, anche per un soggetto sano, avere tachicardia transitoria quando esegue grossi sforzi tipici o quando ha una forte emozione improvvisa. Anche la bradicardia può essere normale, ad esempio durante il sonno o quando siamo estremamente rilassati, ad esempio durante lo yoga, inoltre è abbastanza frequente in atleti professionisti. In altri casi però queste alterazioni della frequenza cardiaca – specie se NON sono transitorie – possono essere campanelli d’allarme di una patologia o possono essi stessi causare una patologia, ad esempio una bradicardia severa può non permettere al cuore di pompare adeguate quantità di sangue in circolo.

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Tachicardia sinusale e patologie

Il ritmo sinusale aumenta e diventa tachicardico in conseguenza di varie condizioni e patologie, come:

  • shock,
  • ischemia miocardica,
  • anemia grave,
  • ipertensione arteriosa,
  • embolia polmonare,
  • insufficienza cardiaca.

Queste patologie sono potenzialmente gravi e mortali, e rendono necessario l’uso di specifiche terapie farmacologiche. Il ritmo sinusale aumentato può essere determinato anche da:

  • alcuni farmaci,
  • alcol,
  • fumo di sigaretta,
  • abuso di caffè, tè e bevande contenenti caffeina,
  • alcuni integratori alimentari eccitanti (ginseng, ginko biloba, guaranà…).

I sintomi che tipicamente indicano una tachicardia sinusale sono le palpitazioni, a volte associate ad ansia e dispnea, se ad esse si associa dolore e senza di costrizione al petto, è importante contattare assistenza medica al più presto. Per risolvere uno stato tachicardico cronico si ricorre a farmaci beta-bloccanti, antiaritmici e calcio-antagonisti.

Bradicardia sinusale

Esistono svariate patologie che possono determinare bradicardia sinusale, ad esempio:

  • ipotiroidismo,
  • ipotermia,
  • infarto del miocardio,
  • anoressia nervosa,
  • aumento della pressione intracranica,
  • sindrome di Roemheld.

Assieme alla bradicardia sinusale, possono altri sintomi quali, ad esempio, vertigini, giramento di testa, dolore al petto, dispnea, edema e cianosi. Inoltre, l’abbassamento del ritmo sinusale provoca pallore in viso e le estremità, come mani e piedi, risultano freddi. Nei più gravi casi di bradicardia sinusale si ha edema polmonare, cianosi, riduzione dello stato di coscienza e shock. Lo stato di shock arriva in seguito al peggioramento della circolazione periferica. In genere, non è necessario intervenire con una terapia farmacologica se il ritmo sinusale è naturalmente basso. In presenza, invece, di ipotiroidismo si devono assumere degli ormoni per sostenere le mancanze della tiroide. Invece, se la bradicardia sinusale deriva da uno stato di ipotermia è necessario riscaldare gradualmente il corpo.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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