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Linfedema a caviglie, gambe e braccia: cos’è e come si cura
Il linfedema è una condizione che si manifesta con un gonfiore e che può interessare il braccio, la gamba, la caviglia in particolare o altre parti del corpo. Colpisce prevalentemente (ma non esclusivamente) in modo monolaterale, cioè ad esempio una sola gamba piuttosto che entrambe. Da un punto di vista clinico, la presenza di liquidi stagnanti nei tessuti viene resa evidente dal segno della fovea (vedi foto in alto) che è rappresentato dal segno che rimane impresso nella cute dopo una pressione effettuata con un dito. Il sospetto di linfedema viene confermato successivamente da tecniche di diagnostica per immagini. La cura può essere sia medica che chirurgica.
Perché si verifica il linfedema?
Il linfedema si può verificare in varie condizioni come in caso di patologia dei linfonodi, di ostruzione al deflusso della linfa o quando i linfonodi sono asportati con un intervento chirurgico. Ciò causa uno squilibrio della circolazione linfatica, per cui la linfa, non potendo più defluire nell’arto interessato attraverso i vasi linfatici interrotti, ristagna nei tessuti, dando appunto luogo al linfedema. I pazienti affetti da alcuni tipi di tumore (mammella, melanoma, utero, prostata…) possono sviluppare un linfedema in conseguenza dell’asportazione chirurgica dei linfonodi, della radioterapia o dell’ostruzione delle vie e/o delle ghiandole linfatiche da parte di cellule tumorali.
Chi è più a rischio di sviluppare linfedema?
L’incidenza maggiore la si ha intorno alla metà della terza decade di età, esistono le forme precoci (se dovesse manifestarsi durante l’adolescenza o addirittura alla nascita) e tardive (se dovesse mostrarsi in seguito), il sesso femminile per il linfedema inferiore è il più colpito, per il resto non si mostrano differenze nei sessi. Mancano dati precisi sulla diffusione del linfedema primario ma la sua incidenza annuale è stimata intorno a 1,5/100.000 soggetti di età inferiore ai 20 anni.
Leggi anche: Segno della fovea in medicina: cos’è e cosa indica
Tipi di linfedema
Esistono due forme principali di linfedema:
- linfedema primario: causato da anomalie linfatiche congenite;
- linfedema secondario: causato da ostruzione al deflusso della linfa determinato da varie patologie.
Edema linfatico primario
Le forme primarie (non derivate) sono formate da anomalie congenite del sistema linfatico, queste possono essere di varia natura (morfologiche e funzionali)
- edema linfatico congenito, in tale forma si ritrova anche la malattia di Milroy;
- edema linfatico precoce;
- edema linfatico tardivo.
Il linfedema primario coinvolge prevalentemente, ma non esclusivamente, gli arti inferiori. Nonostante la causa sia una alterazione congenita delle vie linfatiche, l’edema è solo molto raramente presente sin dalla nascita. Nella maggior parte dei casi il suo esordio avviene entro i 35 anni (insorgenza precoce), con un picco di comparsa intorno ai 17 anni; non è rara tuttavia è la sua insorgenza dopo i 35 anni (insorgenza tardiva). Colpisce prevalentemente il sesso femminile (rapporto femmine:maschi, 7:1) e coinvolge nella metà dei casi un solo arto mentre un interessamento bilaterale è riscontrabile soltanto nel 25% dei casi.
Leggi anche: Sistema linfatico e linfonodi: anatomia e funzioni in sintesi
Edema linfatico secondario
L’ostruzione, causa del linfedema, viene causata da un’altra malattia, sovente si tratta di forme tumorali ma possono essere dovute a adenopatie, sindrome, postflebitica, linfangite. Il linfedema si manifesta soprattutto dopo il trattamento chirurgico di asportazione di linfonodi e/o la radioterapia effettuate per una malattia neoplastica. Nonostante il miglioramento delle tecniche chirurgiche, sempre meno invasive, e radioterapiche l’incidenza del linfedema rimane significativa: nelle persone operate per tumore al seno circa il 25% di coloro che hanno subito una asportazione dei linfonodi ascellari e anche il 5% di coloro che hanno subito l’asportazione del linfonodo sentinella, possono presentare un linfedema clinicamente rilevante negli anni successivi. Tale incidenza è addirittura superiore, intorno al 40%, delle persone sottoposte ad interventi di asportazione dei linfonodi inguinali, pelvici ed addominali come effettuato in caso di tumori in campo ginecologico e urinario. Queste percentuali aumentano significativamente se, oltre all’asportazione dei linfonodi, si rende necessario anche un trattamento radioterapico. La comparsa del linfedema è molto precoce solo in pochi casi mentre, solitamente, insorge nel corso dei primi 2-3 anni dalle cure chirurgiche; in diversi casi può comparire anche dopo molti anni dall’intervento. Il linfedema dell’arto superiore compare infatti nel 60% dei casi entro 2 anni dall’intervento e l’80% entro 5 anni, mentre il linfedema dell’arto inferiore compare nell’80% dei casi entro 1 anno dall’intervento. Il linfedema secondario, una volta instaurato, purtroppo non guarisce mai completamente, ma grazie ai trattamenti riabilitativi e/o farmacologici è possibile controllarne le dimensioni e i sintomi correlati (pesantezza, indolenzimento, fastidio).
Leggi anche: Linfodrenaggio manuale con metodo Vodder e Leduc: controindicazioni e tecniche
Sintomi e segni di linfedema
Fra i sintomi e i segni clinici si riscontrano dolore (da un leggero dolore quando la parte viene pizzicata ad un dolore più persistente), facile affaticamento degli arti interessati, diminuzione della normale mobilità di questi, vi possono essere anche disturbi psicologici per via del disagio subito. Viene impedito il segno di Stemmer, fra le complicanze si ritrova l’ipercheratosi. Esteticamente, a seconda della gravità fisica e congenita del soggetto colpito dalla patologia, si riscontrerà una maggiore o minore sproporzione tra la parte interessata ed il resto del corpo, mostrando le parti infiammate come tendenzialmente informi, facendole assomigliare ad un blocco unico con la progressiva scomparsa della loro naturale definizione. Quindi questa condizione medica coinvolge anche soggetti normopeso e non necessariamente obesi come si potrebbe supporre. A lungo andare, nel caso di mancate cure mediche e trattamenti adeguati, i tessuti tenderanno a fibrotizzarsi. Oltre all’edema cronico, il paziente affetto da linfedema può lamentare altri sintomi, come:
- ispessimento della pelle;
- pelle fragile, suscettibile alle infezioni;
- alterazione della cromia della pelle. Lungo l’arto colpito dal linfedema, non è raro osservare una variazione della cromia della cute: la pelle tende a scolorire e diviene lucida;
- difficoltà nel muovere o piegare l’arto colpito da linfedema;
- percezione costante di appesantimento e costrizione dell’arto affetto da linfedema (gambe pesanti e doloranti);
- prurito e tensione della pelle dell’arto coinvolto.
Diagnosi di linfedema
La diagnosi di linfedema si avvale di vari strumenti da associare all’esame obiettivo:
- linfografia: è una radiografia che si avvale di un mezzo di contrasto che viene iniettato nell’organismo per fornire indicazioni più precise, ma vi sono alcune limitazione dell’evento che favoriscono l’uso di altri esami;
- linfoscintigrafia: è probabilmente la migliore tecnica diagnostica per lo studio del linfedema. La rilevazione viene effettuata da gammacamera di albumina marcata con Tecnezio 99 e iniettata negli arti interessati a confronto.
- linfangioscopia: nella quale si controlla lo stato di diffusione di un determinato colorante precedentemente iniettato, dato che in caso di linfedema il colorante non segue il normale percorso di propagazione.
- Biopsia.
Per accertare un sospetto di linfedema, è possibile avvalersi anche di risonanza magnetica, TAC ed ecografia con colordoppler.
Leggi anche: Differenza tra pressoterapia e cavitazione: quale preferire?
Diagnosi differenziale
La diagnosi differenziale si pone con malattie che presentano simili sintomi e segni, come un flebedema, in cui vi è una consistenza molle, al contrario del linfedema che può presentarsi anche come molto compatto. Vi possono essere problemi di identificazione della patologia relativa soprattutto all’inizio dell’insorgenza dove le varie differenze sono molto lievi, ma generalmente nelle donne si tratta di linfedema, accompagnato da cellulite dovuta a questo ristagno. La diagnosi differenziale dev’essere posta con edemi dipendenti da:
- insufficienza cardiaca congestizia;
- insufficienza renale;
- insufficienza epatica.
Anche nelle patologie appena elencate l’edema costituisce un sintomo assai ricorrente; in simili circostanze, il ristagno di liquidi coinvolge entrambi gli arti, quando invece nel linfedema il gonfiore tende a colpire in prevalenza un singolo arto.
Terapia del linfedema
La terapia è basata sulla cura della patologia che ha determinato il linfedema: ad esempio, nel caso venga diagnosticata una linfangite batterica sottostante, occorre intraprendere una terapia antibiotica specifica, in altri casi si opterà per l’approccio chirurgico.
Il trattamento non chirurgico prevede:
- linfodrenaggio manuale;
- bendaggio elastocompressivo;
- pressoterapia;
- utilizzo di tutori elastici definitivi.
ATTENZIONE: la terapia decongestiva non dev’essere eseguita nei pazienti ipertesi, diabetici, affetti da paralisi, insufficienza cardiaca, infezioni acute della pelle, cancro o trombosi.
Come farmaci si usano:
- bioflavonoidi (che aumentano l’attività dei macrofagi);
- benzopironi (esempio la cumarina);
- corticosteroidi (che riescono a ridurre la proliferazione fibroplastica);
- antibiotici (utili soprattutto nella profilassi).
Come trattamento chirurgico si usa:
- microchirurgia derivativa o ricostruttiva;
- liposuzione.
Va tenuto a mente che curare il linfedema non significa guarirlo. Attualmente non esistono cure definitive; questo comporta il fatto che in casi non eccessivamente avanzati, in cui si ha un miglioramento complessivo della parte interessata, il soggetto necessiterà di una terapia di controllo per tutta la durata della sua vita, impedendo così al sintomo di ripresentarsi degenerando pericolosamente.
Terapia linfodrenante casalinga
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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Integratore di Inositolo (vitamina B7): benefici, dimagrimento e controindicazioni
L’inositolo è un composto di origine biologica strutturalmente simile al glucosio, coinvolto in numerosi processi biologici tra cui quello di signalling cellulare, e di elemento strutturale (nella forma coniugata con lipidi). Chiamato anche “Vitamina B7“, può essere sia assunto con la dieta che sintetizzato dall’organismo. L’inositolo gioca un importante ruolo come base strutturale di numerosi messaggeri secondari nelle cellule eucariote ed è una componente molto importante nei lipidi strutturali componenti la cellula.
Nel mondo medico-sportivo viene impiegato per svariati scopi come promuovere la fertilità femminile, il ripristino della sensibilità all’insulina, come migliorativo della performance in caso di sforzo continuato ed attività fisica di resistenza, la regolazione del metabolismo del grasso corporeo e l’eliminazione del grasso dal fegato ed, ultimo ma più diffuso utilizzo, nella cura dell’ansia. In linea generale gli studi hanno proclamato l’inositolo come uno tra i migliori integratori per il mondo femminile. Di seguito vi presentiamo una lista di benefici che l’inositolo apporta al nostro organismo.
Benefici per la glicemia
L’attivazione del recettore dell’insulina provoca l’assorbimento del glucosio grazie alla mobilitazione di particolari vescicole.Questo si verifica dopo che una serie di intermedi vengono coinvolti. L’inositolo sembra aiutare questo processo di segnalazione dell’insulina aumentandone la velocità. Di conseguenza si è notato che un ingestione di almeno 1 g di inositolo giornaliero sia in grado di esercitare un’azione ipoglicemizzante, abbassando quindi i liveli di glucosio ematico circolante. Questo effetto può essere determinante per un’ integrazione su persone diabetiche o comunque chi cerca di non raggiungere alti picchi glicemici.
Inositolo per dimagrire
Studiando gli effetti benefici che l’inositolo poteva avere sulle donne affette da ovaio policistico, si notarono altre reazioni secondarie su donne sia obese che con un leggero sovrappeso, in maniera più evidente difatti su donne con una massa grassa maggiore del 37%. Si concluse quindi che le donne con difficoltà nel perdere massa grassa potevano trarre beneficio da una supplementazione di almeno 4 g giornalieri di inositolo.
Inositolo per colesterolo ed ipertensione arteriosa
Diversi studi hanno anche confermato un miglioramento nei parametri metabolici monitorati, come quelli del metabolismo del glucosio e della salute cardiovascolare: ad esempio un aumento dei livelli di HDL (il “colesterolo buono”) a discapito dei livelli di LDL (il “colesterolo cattivo”) e trigliceridi nonché una diminuzione della pressione sanguigna. L’inositolo infatti stimola la produzione di lecitina (fosfatidilcolina) nell’organismo, la quale “ripulisce” le pareti delle arterie dai depositi lipidici e li veicola al fegato (dove vengono in parte eliminati attraverso la bile). Allo stesso modo, l’inositolo impedisce che questo organo accumuli troppi lipidi ed “ingrassi” e quindi ha una azione epatopotrettiva nei confronti della steatosi epatica, una patologia legata all’accumulo intracellulare di trigliceridi che comporta una serie di danni fino alla necrosi della cellula epatica.
Inositolo contro depressione e disturbi d’ansia
A livello medico l’inositolo ha trovato ampio spazio nella cura di problemi d’ansia, depressione o disturbi correlati quali sintomi bipolari o bulimia. Spesso infatti anche gli sportivi sottoposti ad un’intensa attività fisica e ad una dieta molto restrittiva possono incappare in episodi di grave stress dovuti ad un allenamento sbagliato, troppo intenso, o da un rammarico per il non raggiungimento di determinati obiettivi. Questa affermazione deriva dai diversi esperimenti condotti su persone affette da disturbi depressivi: in esse erano evidenti livelli di inositolo più bassi del normale. Con una cura di inositolo molto consistente (12 g giornalieri per circa 4 settimane) i sintomi della malattia apparivano alleviarsi. Attenzione però: questi benefici scompaiono appena se ne interrompe l’utilizzo, inoltre l’inositolo è capace di ridurre i sintomi in persone con disordini alimentari solo con dosaggi elevati (18 g giornalieri).
Inositolo nei cibi
Le più generose fonti alimentari sono rappresentate dalla crusca, dai cereali integrali , dal germe di grano, dal lievito di birra, dagli agrumi, dalle carni in genere ed in modo particolare dal fegato. Quest’ultimo rappresenta l’organo chiave per la sua sintesi endogena (un’azione, questa, condivisa con il rene).
Metabolismo dell’inositolo
L’inositolo, che ha formula molecolare identica a quella del glucosio, ma diversa struttura, è sintetizzato a partire dal glucosio 6-fosfato (il primo prodotto della glicolisi); quello in eccesso viene catabolizzato ed eliminato a livello renale. Similmente alle vitamine del gruppo B, l’inositolo è idrosolubile, ragion per cui un’eventuale integrazione è ben tollerata e priva di tossicità. Una volta prodotto, l’inositolo entra nelle cellule, dov’è in gran parte trasformato in fosfatidilinositolo; le azioni biologiche di questa sostanza sono molteplici e per certi versi ancora da chiarire. Sappiamo, ad esempio, che è attivo nelle membrane plasmatiche, dove partecipa, come precursore di secondi messaggeri, ai sistemi di trasmissione dei segnali che controllano l’attività cellulare.
Dosaggio di inositolo
A seconda dell’utilizzo che se ne vuole fare, abbiamo diverse posologie di inositolo:
- per migliorare la performance aerobica: 750 mg da 1 a 3 volte al giorno;
- per dimagrire: 4 grammi al giorno;
- per il trattamento dell’ovaio policistico: il range di dosaggio varia dai 200 ai 400 mg al giorno preferibilmente prima della colazione (la dose di 4000 mg è quella più altamente raccomandata);
- per il trattamento della depressione e come migliorativo della trasmissione neuromuscolare: il dosaggio richiesto per questo impiego è sicuramente più alto in quanto i primi effetti positivi si notano dai 6 g in su fino ad un dosaggio di circa 14-18 g giornalieri, assunti per vari giorni (generalmente almeno 4 settimane).
Effetti collaterali dell’inositolo
L’inositolo si è mostrato sicuro i tutti i casi studiati su persone adulte. Alcuni effetti collaterali – generalmente associati a sovradosaggio – sono stati riscotrati quali nausea, diarrea e stanchezza generale.
Controindicazioni dell’inositolo ed avvertenze
Le controindicazioni principali riguardano la gravidanza e l’allattamento in quanto non sono stati effettuati studi a sufficienza a riguardo, quindi chiedete al vostro medico se assumere o no inositolo in gravidanza ed allattamento. In ogni caso chiedete consiglio al vostro medico prima di assumere inositolo, soprattutto se soffrite di malattie psichiatriche e/o se assumete farmaci per la cura di malattie psichiatriche.
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Differenza tra fumo attivo, passivo e terziario
Fumo attivo (o “diretto” o “centrale”)
Il fumo attivo, chiamato anche diretto o centrale (in inglese “mainstream smoke”), è quello inalato e aspirato direttamente dalla sigaretta accesa, dal fumatore stesso, cioè dalla persona che fuma la sigaretta. Una persona vicina al fumatore NON aspira fumo “attivo”.
Fumo passivo (o “secondario”, “indiretto”, “laterale”)
Il fumo attivo, una volta emesso nell’ambiente, diventa fumo passivo, chiamato anche “secondario”, “indiretto” o “laterale” (in inglese “sidestream smoke”). Il fumo passivo è aspirato involontariamente da persone poste nelle vicinanze di una fonte di fumo attivo, rappresentato sia dal prodotto della lenta combustione della sigaretta, sia quello prodotto dall’espirazione del fumo dal fumatore.
Fumo terziario
Il fumo terziario è meno conosciuto degli altri due tipi e per certi versi, proprio per questo, paradossalmente potenzialmente più pericoloso. Il fumo terziario è rappresentato dalle sostanze nocive derivate dal fumo di sigaretta, che si depositano invisibili su vestiti, letti, coperte, tende, mobili. Supponiamo ad esempio che vi andiate a fumare una sigaretta sul balcone: evitate ai vostri figli il fumo passivo ma parte delle sostanze nocive sprigionate rimangono “appiccicate” addosso ai vostri vestiti e quando tornate in casa e vi avvicinate ai vostri figli, loro le ispireranno. Un altro esempio tipico è soggiornare in una stanza d’albergo precedentemente abitata da qualcuno che ci ha fumato dentro: anche se apparentemente pulita, questa stanza rappresenta una sorta di “camera a gas” per voi e soprattutto per i vostri figli, specie entro i primi anni di vita ed ancor di più se il bimbo ha meno di 12 mesi ed il suo sistema respiratorio è ancora molto delicato.
Per approfondire, leggi:
- Differenza tra danni del fumo attivo, passivo e terziario
- Fa più male il fumo attivo, passivo o terziario?
I migliori prodotti per il fumatore che vuole smettere di fumare
Qui di seguito trovate una lista di prodotti di varie marche, pensati per il fumatore che vuole smettere di fumare o che ha smesso da poco:
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Leggi anche:
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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Differenza tra pene circonciso e “normale”: vantaggi e svantaggi
Glande e prepuzio
Un pene, in assenza di malformazioni, è fisiologicamente costituito dall’asta peniena e dal glande, quest’ultimo corrisponde all’apice del pene e la sua forma “aerodinamica” facilita l’entrata del pene nella vagina durante un rapporto sessuale. Il glande è normalmente ricoperto da una piega cutanea chiamata “prepuzio” che può essere abbassata per scoprire il glande, il quale è uno dei punti erogeni più importanti nell’uomo, avendo una sensibilità decisamente superiore rispetto alla cute prepuziale. Durante un rapporto sessuale, complici i liquidi lubrificanti prodotti dalla donna e soprattutto l’attrito del pene sulle pareti vaginali, il prepuzio tende a scoprirsi in modo naturale, a meno che non siano presenti problemi che ne impediscano lo scivolamento, come la fimosi (cioè la difficoltà a retrarre parzialmente o totalmente il prepuzio). A tal proposito, leggi anche: Quando scoprire il glande è doloroso: fimosi, cos’è e come si cura
Pene circonciso e circoncisione del pene: cosa significano?
La circoncisione del pene consiste nella rimozione chirurgica totale o parziale del prepuzio. Quando si rimuove chirurgicamente il prepuzio, il pene si dice “circonciso” (in inglese “circumcised penis”). La circoncisione è una operazione chirurgica piuttosto semplice, tuttavia – se eseguita da mani non esperte – può determinare rischi anche gravi per il paziente, come infezioni, sanguinamento e danni al glande o ad altre strutture peniene, come confermato da tre recenti drammatici fatti di cronaca, uno avvenuto a Monterotondo, il secondo successo a Bologna ed il terzo a Genova. Un pene circonciso è perfettamente “normale” sotto tutti i punti di vista morfologici e funzionali, tuttavia non possiede il prepuzio, col risultato che il glande rimane perennemente scoperto, al contrario di un pene non circonciso dove il glande rimane sempre coperto dal prepuzio, salvo i casi in cui viene volontariamente scoperto dal soggetto – ad esempio durante la masturbazione – o si sposta in basso involontariamente durante un rapporto sessuale con penetrazione vaginale o anale.
Circoncisione: per quali motivi si effettua?
La circoncisione non è una pratica moderna: questa tecnica è anzi millenaria e la prima testimonianza di essa risale addirittura 4300 anni fa nell’Antico Egitto. Attualmente è una pratica ancora molto diffusa: si calcola che nel mondo un uomo su tre sia circonciso. La circoncisione viene oggi eseguita per lo più per motivi religiosi e culturali ma anche per curare la prima citata fimosi. Un motivo per cui alcuni praticano da adulti la circoncisione oggi potrebbe essere quello “estetico” ad imitazione della maggior parte degli attori pornografici. Si pensa che uno dei motivi che storicamente hanno portato alla diffusione di tale pratica, sia quello “igienico”: l’assenza del prepuzio impedisce infatti l’accumulo di sporcizia e smegma che potrebbe determinare pericolose infezioni, fatto che ora è più difficile a verificarsi grazie ai numerosi prodotti detergenti in commercio, ma non altrettanto raro in tempi antichi, dove una banale infezione al pene poteva determinare l’impossibilità ad avere figli o addirittura la morte. Per approfondire, leggi anche:
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Pene circonciso: quali sono le differenze?
Alcuni affermano che la circoncisione renda il glande più sensibile, ma ciò è vero solo nei primi periodi successivi all’intervento: essendo il glande protetto dal prepuzio, nel momento in cui il prepuzio viene eliminato, sicuramente sarà più esposto a stimoli tattili durante la giornata e ciò lo renderà apparentemente più sensibile, ma in realtà durante un rapporto sessuale il glande di un individuo circonciso NON è più sensibile di uno non circonciso, anzi potrebbe essere vero il contrario! Il glande perennemente esposto nel circonciso può andare incontro ad “ispessimento” della sua superficie a causa dell’accumulo di cheratina protettiva, che alla lunga lo porta ad essere meno sensibile. Alcuni affermano inoltre che un pene circonciso sia più “igienico” ma questo è vero solo in parte: non avere il prepuzio da una parte impedisce l’accumulo di sporcizia e smegma nel solco balano-prepuziale, però dall’altra espone il glande ad altri traumi ed infezioni che l’azione protettiva del prepuzio invece avrebbe – almeno in parte – impedito. E’ però necessario ricordare che nel momento in cui il prepuzio viene srotolato, in alcuni casi esso potrebbe lievemente “restringere” il diametro dell’asta peniena proprio al di sotto della corona del glande. Ciò normalmente non determina alcun problema, tuttavia, in caso di prepuzio non particolarmente elastico, potrebbe andare a contrastare il flusso sanguigno e l’erezione ed in teoria diminuire lievemente l’afflusso di sangue al glande, rendendolo meno turgido e sensibile. Una leggenda popolare dice che la circoncisione può aumentare la lunghezza del pene: ma è davvero così? Ovviamente la circoncisione NON è in grado in alcun modo di aumentare la lunghezza reale del pene ed anzi, andando ad eliminare anche la parte di prepuzio che sporge dall’apice del glande, in teoria va ad accorciarlo visivamente di alcuni millimetri quando non è scoperto.
Leggi anche: Ecco come viene effettuata la circoncisione del prepuzio del pene [VIDEO]
Uomo circonciso: sesso migliore?
Come abbiamo visto, non esiste una condizione del tutto migliore dell’altra, anche perché gli studi volti a dimostrare ipotetici vantaggi nella vita sessuale degli uomini con il pene circonciso non hanno riscontrato differenze degne di nota rispetto a quelli con pene non circonciso. Anche le testimonianze di alcuni nostri pazienti circoncisi in età adulta hanno mostrato risultati del tutto contrastanti tra loro: alcuni soggetti non hanno notato alcun cambiamento, altri riferiscono di sentirsi più sicuri e “sensibili” durante l’attività sessuale, mentre altri ancora – circoncisi da molti anni – hanno ammesso una certa perdita di sensibilità del glande ed il rimpianto di non aver una parte del corpo con cui poter “giocare” con il/la partner o masturbarsi con più facilità. I circoncisi sembrerebbero tuttavia in teoria possedere la capacità di durare lievemente più a lungo nel rapporto sessuale, proprio in virtù di una minore sensibilità del glande. La materia rimane ad oggi molto dibattuta.
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Come cambia la sensibilità femminile durante la penetrazione di un pene circonciso?
Quando un pene non circonciso eretto penetra in una vagina, il glande si scopre a causa dell’attrito quindi, quando il pene è nella vagina, sia l’uomo che la donna proveranno le medesime emozioni e non esistono differenze tra un pene circonciso ed uno non circonciso. Le differenze sono minime a patto però di avere una lubrificazione adeguata: sia la mancanza sia un eccesso di lubrificazione potrebbero impedire al pene non circonciso il naturale srotolamento del prepuzio, soprattutto se le pareti vaginali non sono più toniche, rendendo meno appagante il rapporto.
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