Disturbo ossessivo-compulsivo: ripetere all’infinito un gesto. Differenze col disturbo ossessivo-compulsivo di personalità

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO DONNA TRISTE DEPRESSIONE TRISTEZZA CAPELLI PENSIERI PAURA FOBIAIl disturbo ossessivo-compulsivo (da cui l’acronimo “DOC“), in inglese denominato “obsessive-compulsive disorder” (da cui l’acronimo “OCD“), chiamato anche nevrosi ossessiva o disturbo ossessivo-coattivo o sindrome ossessivo-coattiva o disturbo ossessivo o sindrome ossessiva o sindrome ossessivo-compulsiva (in inglese obsessive-compulsive syndrome o OCS), è una patologia psichiatrica (precedentemente appartenente al gruppo dei disturbo d’ansia) caratterizzata da pensieri ricorrenti (ossessioni) associati a timori e forti preoccupazioni che inducono chi ne soffre a ripetere in modo incessante e incontrollato (compulsioni) specifiche azioni o processi nel tentativo di placare l’ansia e tutelarsi da possibili eventi disastrosi, in realtà altamente improbabili e del tutto irragionevoli. Se non adeguatamente trattato, con il tempo, il disturbo porta a moltiplicare e intensificare i comportamenti ossessivi-compulsivi fino a determinare un serio scadimento della qualità di vita, il ritiro sociale e lavorativo e un serio deterioramento delle relazioni familiari. Il disturbo ossessivo-compulsivo si presenta frequentemente associato con altri disturbi di interesse psichiatrico, tra cui il disturbo evitante, la fobia sociale, il disturbo schizotipico, diversi tipi di fobie ed i disturbi dell’umore (soprattutto depressione). Analogamente alla depressione, la malattia appare legata a una riduzione dei livelli cerebrali di serotonina e migliora assumendo farmaci antidepressivi che agiscono a questo livello (SSRI), soprattutto se la terapia farmacologica viene associata a psicoterapia.

Disturbo ossessivo-compulsivo nel DSM-5

Precedentemente inserito nel capitolo dei disturbi d’ansia nel DSM-IV-TR e dall’ICD-10, nel DSM-5 (l’ultima versione del Manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali), il DOC è stato inserito in una nuova categoria specifica, denominata Disturbi ossessivo-compulsivi e disturbi correlati che comprende (oltre al disturbo ossessivo-compulsivo) anche il disturbo da accumulo, il disturbo di dismorfismo corporeo, la tricotillomania, la dermatillomania (disturbo da escoriazione), la sindrome da acquisto compulsivo e tutti i disturbi da controllo degli impulsi

Esempi di comportamenti compulsivi caratteristici

Le azioni compiute dalla persona affetta da disturbo ossessivo-compulsivo possono essere di per sé assolutamente normali, ma assumono una valenza patologica in ragione dell’elevata ripetitività, dell’estrema ritualità e della concitazione con la quale vengono eseguite. Esempi caratteristici di comportamenti compulsivi sono il lavarsi continuamente le mani nel timore di contaminazioni, controllare ripetutamente di aver chiuso il gas prima di uscire di casa (ad esempio 3 o 5 o 10 o 20 volte), disporre in un ordine ben preciso i vestiti nell’armadio o i libri sugli scaffali della libreria, intravedendo catastrofi se questo ordine viene anche solo impercettibilmente modificato.

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A che età insorge il disturbo ossessivo-compulsivo?

Il disturbo ossessivo-compulsivo insorge prevalentemente in giovane età, di solito tra i 15 e i 25 anni, persistendo poi in modo cronico per tutta la vita.

Differenze tra il Disturbo ossessivo-compulsivo e il Disturbo ossessivo-compulsivo di personalità

Molti, anche in ambiente sanitario, confondono il disturbo ossessivo-compulsivo con il disturbo ossessivo-compulsivo di personalità (anche chiamato disturbo di personalità ossessivo-compulsiva). Le differenze sono sfumate, eppure sono presenti, a partire dal fatto che mentre il disturbo ossessivo-compulsivo fa parte del gruppo dei disturbi ossessivo-compulsivi e disturbi correlati, invece il disturbo ossessivo-compulsivo di personalità fa parte del gruppo dei disturbi di personalità.
Il disturbo ossessivo-compulsivo di personalità si distingue dal disturbo ossessivo-compulsivo prevalentemente per due fattori:

  1. nel disturbo di personalità di solito vi è assenza di reali ossessioni e compulsioni (che invece sono presenti nel disturbo ossessivo-compulsivo);
  2. chi soffre di disturbo ossessivo-compulsivo è tormentato da pensieri ricorrenti dal contenuto spiacevole e spinto a mettere in atto comportamenti ritualistici: tale modo di vivere è riconosciuto dal soggetto stesso come problematico e desidera liberarsene (egodistonia); chi soffre di disturbo ossessivo-compulsivo di personalità, invece, raramente prova disagio a causa delle proprie caratteristiche di personalità e, piuttosto, le considera come altamente adattive (egosintonia).

Per capire appieno le differenze tra queste due diverse patologie, vi invito a leggere questi miei articolo:

Quali sono le cause del disturbo ossessivo-compulsivo?

All’origine del disturbo si riconoscono una riduzione dei livelli cerebrali di serotonina e una base genetica, non ancora definita con precisione, ma chiaramente testimoniata dal tramandarsi del disturbo di generazione in generazione, a livelli di gravità via via crescenti. Questa predisposizione familiare tende a ritardare la diagnosi e a ostacolare il trattamento. Non è raro, infatti, che la madre di un ragazzo con l’ossessione dei lavaggi ripetuti ai limiti della sterilità abbia a sua volta la tendenza a lavarsi le mani spesso o a pulire la casa molto più di quanto non sia realmente necessario. Così, quando il figlio inizia a chiederle di aiutarlo a fare il bagno, di controllare se si è lavato a sufficienza o di cambiargli le lenzuola ogni giorno non arriva a rendersi subito conto della stranezza delle richieste. La decisione di rivolgersi allo specialista per cercare di capire che cosa stia accadendo, spesso, è presa quando la situazione diventa francamente patologica.

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Sintomi

I sindromi del disturbo ossessivo-compulsivi si dividono in sintomi di tipo ossessivo e sintomi di tipo compulsivo.

I sintomi OSSESSIVI del disturbo ossessivo-compulsivo, sono:

  1. Terrore di contaminarsi toccando oggetti e persone (es. stringere la mano).
  2. Paura di non ricordarsi di chiudere la porta, spegnere il gas ecc.
  3. Convinzione di aver ferito qualcuno in un incidente stradale.
  4. Intenso stress di fronte a oggetti non perfettamente allineati.
  5. Estrema paura di far del male al proprio figlio o a una persona cara.
  6. Evitamento delle situazioni che mettono a disagio (es. stringere la mano).
  7. Desiderio di urlare parole oscene in luoghi pubblici.
  8. Continui pensieri legati al sesso e visualizzazione di immagini pornografiche.
  9. Dermatiti derivanti dai lavaggi eccessivi. Ferite cutanee associate a sfregamento, graffi e pizzicotti continui.
  10. Perdita o deterioramento dei capelli a causa dell’attorcigliamento ossessivo.

I sintomi COMPULSIVI del disturbo ossessivo-compulsivo, sono:

  1. Ripetizione continua di un determinato gesto.
  2. Tendenza a contare (ed a ricontare varie volte) qualunque oggetto, pensiero o situazione.
  3. Bisogno costante di allineare e disporre simmetricamente gli oggetti.
  4. Verifica di aver effettivamente eseguito una certa azione un numero di volte francamente irragionevole.
  5. Continua richiesta di rassicurazione rispetto alla correttezza delle proprie azioni.
  6. Impossibilità di evitare la ripetizione di specifici comportamenti.

Diagnosi del disturbo ossessivo-compulsivo

La diagnosi di disturbo ossessivo-compulsivo è quasi sempre tardiva. In genere, il paziente arriva all’osservazione dello specialista dopo alcuni anni dall’esordio dei sintomi, quando la malattia è talmente avanzata da limitarlo fortemente nelle attività quotidiane e interferire pesantemente con le relazioni interpersonali. È un grosso errore, perché una valutazione psichiatrica accurata e l’individuazione precoce del trattamento più adatto nel caso specifico permettono di arrivare in tempi rapidi alla risoluzione del disturbo. Secondo il DSM-5 (l’ultima versione del Manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali), per poter fare diagnosi è necessario che siano soddisfatti i seguenti criteri:

  • La presenza di ossessioni o compulsioni o entrambe.
  • Le ossessioni e le compulsioni sono causa di grave perdita di tempo durante la giornata e minano il normale funzionamento sociale, relazionale e psicologico dell’individuo.
  • I sintomi ossessivo-compulsivi non sono attribuibili agli effetti fisiologici di una sostanza o di altra condizione medica.
  • Il disturbo non è meglio giustificato da sintomi di altri disturbi mentali.

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Trattamento del disturbo ossessivo-compulsivo

Il disturbo ossessivo-compulsivo deve essere sempre trattato con l’aiuto di un medico, il più precocemente possibile e preferibilmente coinvolgendo l’intero nucleo familiare. In qualunque momento si riesca a intervenire, il primo passo è chiarire tanto al ragazzo quanto ai genitori la natura della malattia, per favorire la comprensione dei meccanismi che la sostengono e l’origine dei comportamenti del tutto irrazionali che ne conseguono, offrendo così una prima chiave per disinnescarli. Il concetto fondamentale da interiorizzare è che, analogamente a quanto avviene per tutte le patologie psichiatriche, i comportamenti associati al disturbo ossessivo-compulsivo non sono guidati dalla volontà e non possono essere evitati senza cure specifiche di tipo psico-comportamentale e/o farmacologico.

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Psicoterapia

Se la situazione non è particolarmente grave, il primo intervento proposto al paziente affetto da disturbo ossessivo-compulsivo è quasi sempre un intervento psicoterapico cognitivo-comportamentale teso al graduale decondizionamento dalle abitudini ossessivo-compulsive acquisite, partendo da quelle che lo coinvolgono in modo più lieve e che interferiscono meno con le attività quotidiane. Anche la psicodinamica può avere un ruolo importante nella terapia del disturbo ossessivo-compulsivo. Ottenuti i primi miglioramenti, si passa ad analizzare e rimuovere i comportamenti più invasivi e disturbanti, seguendo una logica graduale, fino alla completa risoluzione del disturbo. Nella maggior parte dei casi, il trattamento è effettuato con sedute periodiche individuali o di gruppo.

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Terapia farmacologica del disturbo ossessivo-compulsivo

Se il disturbo ossessivo-compulsivo è presente da diverso tempo o molto radicato per riuscire a ottenere un miglioramento significativo, è necessario intraprendere un trattamento farmacologico con antidepressivi, in grado di correggere la riduzione dei livelli cerebrali di serotonina. I composti più indicati a questo scopo sono gli inibitori del riassorbimento della serotonina (SSRI) e della noradrenalina (SNRI). Si tratta di farmaci sicuri, efficaci e ben tollerati che nel disturbo ossessivo-compulsivo riescono a determinare un buon miglioramento dei sintomi dopo circa 2-4 settimane di assunzione regolare. In alcuni casi, in relazione alle caratteristiche del singolo paziente e delle manifestazioni specifiche del disturbo, il medico potrà proporre, in associazione agli antidepressivi, anche farmaci di altro tipo, come per esempio antipsicotici. Qualunque sia la terapia individuata, per ottenerne i massimi benefici è importante seguire attentamente le indicazioni del medico rispetto a dosaggi e tempi di assunzione, senza interrompere il trattamento farmacologico non appena ci si sente meglio.

Interventi di supporto

La famiglia, in particolare i genitori in particolare, può fare molto per agevolare il percorso terapeutico del paziente, assicurando un ambiente domestico capace di supportare e promuovere il recupero del figlio e cercando di ristabilire relazioni interpersonali positive. Tuttavia, in alcuni casi il clima familiare è talmente destabilizzato da arrivare a compromettere seriamente la possibilità di ottenere benefici dalle cure proposte. Quando ciò si verifica, di norma il medico consiglia di estendere l’intervento psicoterapico all’intera famiglia o di prevedere l’allontanamento temporaneo del paziente dall’ambiente abituale. Nei casi più gravi, può essere necessario il ricovero ospedaliero.

Se pensi di soffrire di disturbo ossessivo-compulsivo o di altro disturbo d’ansia o di disturbo ossessivo-compulsivo di personalità, prenota la tua visita e, grazie ad una serie di colloqui riservati, ti aiuterò a risolvere definitivamente il tuo problema.

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Disturbo da attacchi di panico: sensazione di morte imminente e angoscia

Dott. Loiacono Emilio Alessio Medico Chirurgo Medicina Chirurgia Estetica Rughe Cavitazione Dieta Dimagrire Pancia Grasso Dietologo NutrizionistaDimagrire Sessuologo Aiuto Supporto psicologico Roma ATTACCHI DI PANICOCon disturbo d’ansia (in inglese “anxiety disorder”) in medicina ed in particolare in psichiatria, si identifica uno stato mentale caratterizzato da diverse forme di paura e di ansia patologica che si accompagnano spesso a manifestazioni psicosomatiche e che creano notevole disagio all’individuo, andando ad interferire con la sua vita sociale, relazionale e/o professionale. I più comuni disturbi d’ansia sono il disturbo d’ansia generalizzato, il disturbo da attacchi di panico e le fobie. Il disturbo post-traumatico da stress, precedentemente inserito tra i disturbi d’ansia, nel DSM-5 è stato inserito in una categoria denominata Disturbi correlati a trauma e stress. Il disturbo ossessivo-compulsivo, una volta inserito tra i disturbi d’ansia, nel DSM-5 è stato inserito in una nuova categoria specifica, denominata Disturbi ossessivo-compulsivi e disturbi correlati. In alcuni casi un disturbo d’ansia può associarsi ad un disturbo dell’umore, come la depressione.

Differenza tra ansia e disturbo d’ansia

E’ importante ricordare che, nel linguaggio comune il termine “ansia” viene spesso usato in modo improprio, riferendosi a generiche condizioni di apprensione, nervosismo e stress, molto comuni nella vita quotidiana di ognuno di noi, che però nella maggioranza dei casi non hanno nulla a che vedere con il disturbo d’ansia, che è una patologia psichiatrica vera e propria. L’ansia presente nel disturbo d’ansia (“ansia patologica”) non è un semplice disagio transitorio e fisiologico che si verifica durante determinati episodi della nostra vita, bensì un sintomo abnorme che interferisce severamente con la nostra vita sotto diversi aspetti, da quello sociale e relazionale, fino a quello lavorativo.

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Disturbo da attacchi di panico

Il disturbo da attacchi di panico (da cui l’acronimo DAP), anche chiamato disturbo di panico, in inglese denominato panic attack o panic disorder (da cui gli acronimi PA e PD), è un tipo specifico di disturbo d’ansia caratterizzato da improvvisi ed intensi stati di fortissima ansia accompagnati da altri sintomi psicologici e fisici. Gli stati d’ansia, denominati “attacchi di panico“, si presentano in maniera imprevedibile, generalmente senza una causa scatenante razionale e specifica oppure, se presente, tale causa è rappresentata da un evento che, per la persona sana, non rappresenta fonte di timore. La terapia è di tipo psicoterapico con l’associazione, nei casi più gravi, dei farmaci. In alcuni casi un disturbo da attacchi di panico può associarsi ad una fobia.

Epidemiologia

Il disturbo da attacchi di panico rappresenta uno dei più comuni disturbi psicologici: si calcola che circa 10 milioni di italiani abbiano subito uno o più attacchi di panico nel corso della loro vita. Il disturbo di solito esordisce nella tarda adolescenza o nella prima età adulta ed ha un’incidenza da due a tre volte maggiore nelle donne rispetto agli uomini.

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Cause

Le cause specifiche del disturbo da attacchi di panico e degli altri disturbi d’ansia, come avviene per numerose altre patologie di interesse psichiatrico, non sono ancora state comprese del tutto. Si ritiene siano dovuti ad una combinazione di fattori genetici, psicologici, fisici e ambientali. Alcune caratteristiche predisponenti (come la famigliarità con la malattia, cioè aver dei casi in famiglia di disturbo da attacchi di panico o di altro disturbo d’ansia) unite ad episodi particolarmente traumatici e stressanti possono innescare un disturbo d’ansia. Eventi particolari capaci di tale innesco, sono ad esempio lutti, licenziamenti, difficoltà economiche o famigliari, patologie croniche ed invalidanti, una diagnosi di malattia terminale, violenza sessuale subita in tenera età, aver subito torture o aver vissuto un evento catastrofico come un incidente aereo o un terremoto. Alcune patologie organiche, come l’ipertiroidismo o altri squilibri endocrini, sono note per causare sintomi di nervosismo cronico e di ansia, quindi potrebbero essere un fattore di rischio per il disturbo da attacchi di panico. Patologie psichiatriche (come la depressione) e neurologiche (soprattutto se croniche, invalidanti e/o incurabili) potrebbero rappresentare un altro fattore di rischio per i disturbi d’ansia. La dipendenza da sostanze legali o illegali (alcol, caffeina, benzodiazepine, cannabis, cocaina, eroina ed altre sostanze psicotrope) e le dipendenze comportamentali (shopping compulsivodipendenza dal sessodisturbo da gioco d’azzardomasturbazione compulsivacleptomania, dipendenza da uso di doping, dipendenza dal lavoro, dipendenza dal cibo, piromaniadisturbo da interazione di più dipendenze…), potrebbero favorire o causare il disturbo da attacchi di panico o un altro disturbo d’ansia, oppure aggravare un disturbo preesistente. Gli studi sui possibili contributi genetici allo sviluppo del disturbo d’ansia generalizzato hanno esaminato le relazioni tra possibili geni implicati nelle strutture cerebrali coinvolte nell’identificazione di potenziali minacce (ad esempio, nell’amigdala) e anche implicati nei neurotrasmettitori e nei recettori dei neurotrasmettitori noti per essere coinvolti nei disturbi d’ansia. Alcuni farmaci antidepressivi (ad esempio gli SSRI), pur essendo spesso anche degli efficaci ansiolitici, possono causare in alcuni soggetti dei sintomi d’ansia che potrebbero essere confusi con un peggioramento della patologia iniziale. L’esposizione prolungata ad alcune sostanze chimiche, come i solventi industriali, possono favorire la comparsa di un disturbo d’ansia. Il mobbing ed il burn out sono possibili cause di un disturbo d’ansia. Un disturbo post-traumatico da stress), la dipendenza affettiva, la sindrome da abbandono, la dipendenza da un partner narcisista patologico, o la fine di una relazione possono innescare il disturbo da attacchi di panico o un disturbo d’ansia. Le “psico-tecnopatologie” (le malattie psicologiche causate da un abuso delle nuove tecnologie) come la dipendenza da smartphone, la dipendenza da notifiche, la dipendenza da internet e la dipendenza da social network possono causare o favorire il disturbo da attacchi di panico o altro disturbo d’ansia, o peggiorare un disturbo d’ansia già esistente nel paziente.

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Caratteristiche dell’attacco di panico

L’attacco di panico in genere è improvviso ed è caratterizzato da un intenso stato di ansia, paura, angoscia, desiderio di fuga immediata, paura di morte imminente. L’attacco si presenta in maniera imprevedibile, generalmente senza una causa scatenante razionale e specifica. Quando una causa specifica è presente, essa è rappresentata da eventi e circostanze assolutamente innocue e come tali percepite dalla maggioranza delle persone sane, eventi e circostante che invece vengono viste dal paziente come situazioni catastrofiche o realmente pericolose. L’attacco di panico può innescarsi anche in momenti assolutamente tranquilli e, apparentemente, senza alcuna circostanza specifica, ad esempio mentre il paziente sta tranquillamente seduto in poltrona a guardare la televisione o mentre legge un libro o nel sonno, mentre dorme.

Sintomi e segni associati

L’attacco di panico descritto nel paragrafo precedente, si può accompagnare a numerosi altri sintomi e segni, tra cui:

  • sensazione di asfissia o iperventilazione, con sindrome da iperventilazione psicogena;
  • tachipnea (aumento della frequenza respiratoria);
  • dispnea (“fame d’aria”);
  • tachicardia (aumento della frequenza cardiaca);
  • ipertensione arteriosa (aumento della pressione arteriosa);
  • tremori alle braccia e/o alle gambe;
  • vertigini;
  • pallore nel viso;
  • oppressione o fastidio al petto;
  • sensazioni di sbandamento, instabilità e svenimento;
  • ipotensione arteriosa (abbassamento della pressione arteriosa);
  • svenimento (sincope o lipotimia);
  • palpitazioni;
  • sensazioni di torpore;
  • paura di impazzire;
  • paura di perdere il controllo sulle proprie azioni;
  • nausea;
  • diarrea;
  • sensazioni di irrealtà, di stranezza, di distacco dall’ambiente e da sé stessi (derealizzazione e depersonalizzazione);
  • vampate o brividi di freddo;
  • paura di stare sempre peggio e di non riuscire a riprendersi;
  • sensazione di formicolio agli arti e alle mani (parestesia).

Conseguenze

Il disturbo da attacchi di panico, come gli altri disturbi d’ansia e le patologie psichiatriche in generale, è in grado di interferire severamente con la nostra vita sotto diversi aspetti, da quello sociale e relazionale, fino a quello lavorativo. Il paziente, per timore di avere un attacco di panico in pubblico, potrebbe ad esempio isolarsi e, nei casi più gravi, soffrire di depressione ed avere ideazioni suicidarie. Alcuni pazienti potrebbero, a causa della patologia, essere impossibilitati a svolgere un dato lavoro o essere licenziati per aver commesso azioni sconsiderate a lavoro a causa di un attacco di panico.

Durata dell’attacco di panico

Gli attacchi di panico possono avere una durata molto variabile: alcuni attacchi durano alcuni secondi, altri possono durare alcune ore. Nella maggioranza dei casi un attacco di panico non dura più di 30 minuti.

Diagnosi

La diagnosi di un disturbo da attacchi di panico si basa soprattutto sui suoi segni e sintomi caratteristici. Un’anamnesi familiare di disturbi d’ansia è d’aiuto, poiché la famigliarità (cioè, l’avere dei casi in famiglia di disturbo da attacchi di panico o altro disturbo d’ansia) sembra essere un importante fattore di rischio per il disturbo. E’ importante anche diagnosticare una eventuale altra patologia di interesse psichiatrico associata, come un disturbo dell’umore (ad esempio la depressione) o un disturbo da stress post-traumatico. All’insorgere delle prime crisi è frequente che tale disturbo non venga riconosciuto dal soggetto e di conseguenza non venga trattato e scambiato per altre patologie specialmente di natura cardiologica, polmonare o endocrina.

Disturbo di panico nel DSM-5

Secondo la quinta e più recente edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5), per la diagnosi di disturbo di panico devono essere presenti entrambi i seguenti criteri diagnostici:

  • Presenza di attacchi di panico inaspettati ricorrenti (per la definizione di “attacco di panico”, vedi il prossimo paragrafo);
  • Almeno uno degli attacchi è stato seguito da 1 mese (o più) di uno (o più) dei seguenti sintomi:
    • preoccupazione persistente di avere altri attacchi;
    • preoccupazione a proposito delle implicazioni dell’attacco o delle sue conseguenze (per es., perdere il controllo, avere un attacco cardiaco, “impazzire”);
    • significativa alterazione del comportamento correlata agli attacchi.

Se fossimo in presenza di agorafobia la diagnosi sarà di disturbo da attacchi di panico con agorafobia. Il medico deve valutare che gli attacchi non siano dovuti agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (ad esempio una droga o un farmaco) o di una condizione medica generale (ad esempio ipertiroidismo) per questo tali condizioni dovranno essere escluse. Gli attacchi di panico non devono inoltre essere meglio giustificati da altro disturbo mentale, come fobia sociale, fobia specifica, disturbo ossessivo-compulsivo o disturbo post-traumatico da stress.

Attacco di panico nel DSM-5

La definizione di episodio di “attacco di panico” nel DSM-5 è un periodo preciso di intensa paura o disagio, durante il quale quattro (o più) dei seguenti sintomi si sono sviluppati improvvisamente ed hanno raggiunto il picco nel giro di 10 minuti:

  • palpitazioni, cardiopalmo, o tachicardia;
  • sudorazione;
  • tremori fini o a grandi scosse;
  • dispnea o sensazione di soffocamento;
  • sensazione di asfissia (mancanza d’aria);
  • dolore o fastidio al petto;
  • nausea o disturbi addominali;
  • sensazioni di sbandamento, di instabilità, di testa leggera o di svenimento;
  • derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da sé stessi);
  • paura di perdere il controllo o di impazzire;
  • paura di morire;
  • parestesie (sensazioni di torpore o di formicolio);
  • brividi o vampate di calore.

Ricordiamo che sono sufficienti quattro sintomi di quelli sopra descritti per essere in presenza di un attacco di panico.

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Disturbo d’ansia generalizzato: avere sempre ansia ma non capire per cosa

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO DEPRESSIONE TRISTE SUICIDIO ANSIA PAURA PIOGGIA NEGATIVITA MORTECon disturbo d’ansia (in inglese “anxiety disorder”) in medicina ed in particolare in psichiatria, si identifica uno stato mentale caratterizzato da diverse forme di paura e di ansia patologica che si accompagnano spesso a manifestazioni psicosomatiche e che creano notevole disagio all’individuo, andando ad interferire con la sua vita sociale, relazionale e/o professionale. I più comuni disturbi d’ansia sono il disturbo d’ansia generalizzato, il disturbo da attacchi di panico e le fobie. Il disturbo ossessivo-compulsivo, una volta inserito tra i disturbi d’ansia, nel DSM-5 è stato inserito in una nuova categoria specifica, denominata Disturbi ossessivo-compulsivi e disturbi correlati. Il disturbo post-traumatico da stress, precedentemente inserito tra i disturbi d’ansia, nel DSM-5 è stato inserito nella categoria denominata Disturbi correlati a trauma e stress. In alcuni casi un disturbo d’ansia può associarsi ad un disturbo dell’umore, come la depressione.

Differenza tra ansia e disturbo d’ansia

E’ importante ricordare che, nel linguaggio comune il termine “ansia” viene spesso usato in modo improprio, riferendosi a generiche condizioni di apprensione, nervosismo e stress, molto comuni nella vita quotidiana di ognuno di noi, che però nella maggioranza dei casi non hanno nulla a che vedere con il disturbo d’ansia, che è una patologia psichiatrica vera e propria. L’ansia presente nel disturbo d’ansia (“ansia patologica”) non è un semplice disagio transitorio e fisiologico che si verifica durante determinati episodi della nostra vita, bensì un sintomo abnorme che interferisce severamente con la nostra vita sotto diversi aspetti, da quello sociale e relazionale, fino a quello lavorativo. Ad esempio nel disturbo d’ansia generalizzato, di cui parlerò in questo articolo, il paziente tende a vivere in uno stato di allerta cronica causata da nessun motivo specifico e razionale e sente di temere per qualcosa ma spesso senza essere capace di esprimere specificatamente di che cosa abbia paura. Il lettore può quindi facilmente intuire quanto tale condizione sia differente da quella che nel linguaggio comune sia denominata “ansia”, che può essere la normale risposta a periodi particolarmente stressanti con cause ben specifiche (ad esempio “ho ansia per l’esame universitario che ho domani”; oppure “devo affrontare un colloquio di lavoro e sono ansioso”).

Disturbo d’ansia generalizzato

Il “disturbo d’ansia generalizzato“, detto anche “disturbo d’ansia generalizzata” (da cui l’acronimo DAG), in inglese Generalized anxiety disorder, da cui l’acronimo GAD, è un tipo specifico di disturbo d’ansia caratterizzato da sintomi fisici e psichici dell’ansia che NON sono concentrati verso una particolare causa o situazione specifica (da cui la denominazione “generalizzata”).

Epidemiologia

Il disturbo d’ansia generalizzato interessa soprattutto le donne (rapporto femmine maschi 3:2) e complessivamente il 3-5% della popolazione. Il disturbo può venir sottovalutato dai pazienti ed è generalmente cronico: di solito si presenta in età infantile, tanto che il paziente riferisce di essere ansioso “da sempre”.

Storia dei criteri diagnostici

L’American Psychiatric Association ha introdotto il disturbo d’ansia generalizzato come diagnosi nel DSM-III nel 1980, quando la nevrosi d’ansia è stata suddivisa in DAG e disturbo di panico. La definizione nel DSM-III richiedeva ansia o preoccupazione diffusa e incontrollabile che fosse eccessiva e irrealistica e persistesse per 1 mese o più. Alti tassi di comorbilità di disturbo d’ansia generalizzato e depressione maggiore hanno portato molti ricercatori a suggerire che il DAG sarebbe stato meglio concettualizzato come un aspetto della depressione maggiore piuttosto che un disturbo indipendente. Molti critici hanno affermato che le caratteristiche diagnostiche di questo disturbo non erano ben stabilite fino al DSM-III-R. Poiché la comorbidità di DAG e di altri disturbi diminuiva nel tempo, il DSM-III-R ha modificato il tempo necessario per una diagnosi di disturbo d’ansia generalizzato a 6 mesi o più. Il DSM-IV ha cambiato la definizione di preoccupazione eccessiva e il numero di sintomi psicofisiologici associati richiesti per una diagnosi. Un altro aspetto della diagnosi che il DSM-IV ha chiarito è quello che costituisce un sintomo che si verifica “spesso”. Il DSM-IV richiedeva anche difficoltà nel controllare la preoccupazione per la diagnosi di disturbo d’ansia generalizzato. Il DSM-5 sottolinea che le preoccupazioni eccessive devono verificarsi il più delle volte e su una serie di argomenti diversi. È stato affermato che i continui cambiamenti nelle caratteristiche diagnostiche del disturbo hanno reso difficile la valutazione delle statistiche epidemiologiche come la prevalenza e l’incidenza, oltre ad aumentare la difficoltà per i ricercatori nell’identificare le basi biologiche e psicologiche del disturbo. Di conseguenza, anche la preparazione di farmaci specializzati per il disturbo è stata ed è ad oggi più difficile.

Cause e fattori di rischio

Le cause specifiche del disturbo d’ansia generalizzato e degli altri disturbi d’ansia, come avviene per numerose altre patologie di interesse psichiatrico, non sono ancora state comprese del tutto. Si ritiene siano dovuti ad una combinazione di fattori genetici, psicologici, fisici e ambientali. Alcune caratteristiche predisponenti (come la famigliarità con la malattia, cioè aver dei casi in famiglia di disturbo d’ansia) unite ad episodi particolarmente traumatici e stressanti (lutti, licenziamenti, difficoltà economiche o famigliari, patologie croniche ed invalidanti, una diagnosi di malattia terminale…) possono innescare il disturbo d’ansia generalizzato. Alcune patologie organiche, come l’ipertiroidismo o altri squilibri endocrini, sono note per causare sintomi di nervosismo cronico e di ansia, quindi potrebbero essere un fattore di rischio per i disturbi d’ansia. Patologie psichiatriche (come la depressione) e neurologiche (soprattutto se croniche, invalidanti e/o incurabili) potrebbero rappresentare un altro fattore di rischio per i disturbi d’ansia. La dipendenza da sostanze legali o illegali (alcol, caffeina, benzodiazepine, cannabis, cocaina, eroina ed altre sostanze psicotrope) e le dipendenze comportamentali (shopping compulsivodipendenza dal sessodisturbo da gioco d’azzardomasturbazione compulsivacleptomania, dipendenza da uso di doping, dipendenza dal lavoro, dipendenza dal cibo, piromaniadisturbo da interazione di più dipendenze…), potrebbero favorire o causare un disturbo d’ansia oppure aggravarne uno preesistente. Gli studi sui possibili contributi genetici allo sviluppo del disturbo d’ansia generalizzato hanno esaminato le relazioni tra geni implicati nelle strutture cerebrali coinvolte nell’identificazione di potenziali minacce (ad esempio, nell’amigdala) e anche implicati nei neurotrasmettitori e nei recettori dei neurotrasmettitori noti per essere coinvolti nei disturbi d’ansia. Più specificamente, i geni studiati per la loro relazione con lo sviluppo di disturbo d’ansia generalizzato o che hanno dimostrato di avere una relazione con la risposta al trattamento includono:

  • PACAP (polimorfismo A54G): la remissione dopo 6 mesi di trattamento con Venlafaxina ha suggerito una relazione significativa con il polimorfismo A54G (Cooper et al. 2013);
  • Gene HTR2A (allele rs7997012 SNP G): si suggerisce che l’allele HTR2A sia implicato in una significativa riduzione dei sintomi di ansia associati alla risposta a 6 mesi di trattamento con Venlafaxina (Lohoff et al. 2013);
  • Regione del promotore SLC6A4 (5-HTTLPR): si suggerisce che il gene del trasportatore della serotonina sia implicato nella significativa riduzione dei sintomi di ansia in risposta a 6 mesi di trattamento con Venlafaxina (Lohoff et al. 2013).

Alcuni farmaci antidepressivi (ad esempio gli SSRI), pur essendo spesso anche degli efficaci ansiolitici, possono causare in alcuni soggetti dei sintomi d’ansia che potrebbero essere confusi con un peggioramento della patologia iniziale. L’esposizione prolungata ad alcune sostanze chimiche, come i solventi industriali, possono favorire la comparsa di un disturbo d’ansia. Il mobbing ed il burn out sono possibili cause di un disturbo d’ansia. Un disturbo post-traumatico da stress), la dipendenza affettiva, la sindrome da abbandono, la dipendenza da un partner narcisista patologico, o la fine di una relazione possono innescare un disturbo d’ansia. Le “psico-tecnopatologie” (le malattie psicologiche causate da un abuso delle nuove tecnologie) come la dipendenza da smartphone, la dipendenza da notifiche, la dipendenza da internet e la dipendenza da social network possono causare o favorire un disturbo d’ansia.

Fisiopatologia

La fisiopatologia del disturbo d’ansia generalizzato è un’area di ricerca attiva e continua che spesso coinvolge l’intersezione di genetica e strutture neurologiche. Il disturbo d’ansia generalizzato è stato collegato ai cambiamenti nella connettività funzionale dell’amigdala e alla sua elaborazione della paura e dell’ansia. Le informazioni sensoriali entrano nell’amigdala attraverso i nuclei del complesso basolaterale (costituito da nuclei basali laterali, basali e accessori). Il complesso basolaterale elabora i ricordi sensoriali legati alla paura e comunica informazioni riguardanti l’importanza della minaccia per la memoria e l’elaborazione sensoriale altrove nel cervello, come la corteccia prefrontale mediale e le cortecce sensoriali. Le strutture neurologiche tradizionalmente apprezzate per il loro ruolo nell’ansia includono l’amigdala, l’insula e la corteccia orbitofrontale (OFC). Si ritiene che i cambiamenti in una o più di queste strutture neurologiche consentano una maggiore risposta dell’amigdala agli stimoli emotivi negli individui che soffrono di disturbo d’ansia generalizzato rispetto agli individui sani. È stato suggerito che gli individui con disturbo d’ansia generalizzato abbiano una maggiore attivazione dell’amigdala e della corteccia prefrontale mediale (mPFC) in risposta agli stimoli rispetto agli individui sani. Tuttavia, l’esatta relazione tra l’amigdala e la corteccia frontale (ad esempio, la corteccia prefrontale o la corteccia orbitofrontale) non è completamente compresa perché ci sono studi che suggeriscono un’attività aumentata o diminuita nella corteccia frontale in individui che hanno un disturbo d’ansia generalizzato. Di conseguenza, a causa della tenue comprensione della corteccia frontale in relazione all’amigdala negli individui con disturbo d’ansia generalizzato, è una questione aperta se gli individui che soffrono di disturbo d’ansia generalizzato hanno un’amigdala che è più sensibile di un’amigdala in un individuo senza disturbo d’ansia generalizzato o se l’iperattività della corteccia frontale è responsabile dei cambiamenti nella risposta dell’amigdala a vari stimoli. Studi recenti hanno tentato di identificare regioni specifiche della corteccia frontale, come ad esempio la corteccia prefrontale dorsomediale (dmPFC), che possono essere più o meno reattive in individui con disturbo d’ansia generalizzato o reti specifiche che possono essere implicate in modo differenziale in individui con disturbo d’ansia generalizzato. Altre linee di studio indagano se i modelli di attivazione variano in individui che hanno una disturbo d’ansia generalizzato in età diverse rispetto a individui sani della stessa età (ad esempio, l’attivazione dell’amigdala negli adolescenti con disturbo d’ansia generalizzato).

Sintomi e segni

I sintomi caratteristici del disturbo d’ansia generalizzato sono quelli degli stati d’allarme, contraddistinti da una condizione psichica di generale attesa apprensiva, e da numerosi segni e sintomi fisici di attivazione vegetativa (hyperarousal), tra cui:

  • sonnolenza;
  • emicrania;
  • extrasistoli;
  • tachicardia;
  • vertigini;
  • insonnia;
  • paura che da un momento all’altro possa capitare qualcosa di negativo;
  • ipertensione arteriosa;
  • tachipnea (aumento della frequenza respiratoria);
  • dispnea (senso di “fame d’aria”);
  • difficoltà a concentrarsi;
  • tensione muscolare;
  • irrequietezza;
  • disturbi del sonno;
  • incubi frequenti.

Oltre a questi sintomi, prettamente “fisici” se ne accompagnano di cognitivi quali ad esempio: sensazione di testa vuota, derealizzazione e depersonalizzazione. Eventi casuali e difficoltà della vita quotidiana possono diventare fonte di estrema preoccupazione per il paziente, che tende a vivere in uno stato di allerta cronica, tanto da arrivare ad interferire anche pesantemente con la sfera sociale, relazionale e/o lavorativa. Nel commentare le sue difficoltà, il paziente è di solito assai preciso e appropriato nel riconoscere la discrepanza tra dimensione reale delle difficoltà da affrontare e quota d’ansia che queste evocano e sente di temere per qualcosa ma senza essere capace di esprimere la cosa specifica che gli genera questa paura e questa tensione.

Diagnosi

Per fare diagnosi di disturbo d’ansia generalizzato, il paziente deve soddisfare i criteri diagnostici presenti nel DSM 5 (la quinta e più recente edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali ):

  • Eccessiva ansia e preoccupazione, che si verificano nella maggioranza dei giorni, per almeno 6 mesi, riguardo numerosi eventi o attività (lavoro, scuola, vita sociale).
  • L’individuo trova difficile controllare la preoccupazione.
  • L’ansia e la preoccupazione sono associati a 3 o più dei seguenti sintomi:
    • Irrequietezza;
    • Facile affaticabilità;
    • Difficoltà di concentrazione;
    • Irritabilità;
    • Tensione muscolare;
    • Turbe del sonno.
  • L’ansia, la preoccupazione o i sintomi fisici causano disagio clinicamente significativo o ostacolano le aree di funzionamento sociale o lavorativo.
  • Il disturbo non è attribuibile ad effetti fisiologici di sostanze o altra condizione medica.
  • Il disturbo non è meglio spiegato da sintomi di altri disturbi psichici.

Continua la lettura con: Disturbo d’ansia generalizzato: terapia farmacologica e psicoterapia

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Disturbi d’ansia: quando preoccupazione, nervosismo e agitazione ci rendono la vita impossibile

MEDICINA ONLINE EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO RAGAZZA TRISTE DONNA DEPRESSIONE STANCA PAURA FOBIA PENSIERI SUICIDIO FIUMA PONTEAnsia e stress sono fenomeni di cui tutti fanno esperienza nella vita ma entro certi limiti, non sono necessariamente reazioni negative perché possono dare la spinta per essere più pronti ed efficienti. Se gli episodi ansiosi sono fastidiosi, ma gestibili, occasionali e di durata limitata nel tempo, quindi, non ci si deve preoccupare. E’ importante consultare il medico e lo psicoterapeuta – che vi guideranno eventualmente in un percorso di riabilitazione specifico – quando preoccupazione, nervosismo, irritabilità e agitazione:

  • diventano estremamente intensi;
  • sono persistenti, di lunga durata;
  • non sono in alcun modo controllabili;
  • impediscono di svolgere serenamente le attività quotidiane, interferendo con le relazioni familiari, sociali e professionali, riducendo significativamente la qualità di vita.

In relazione alla causa, alla risposta individuale alle sollecitazioni esterne ed alla natura delle manifestazioni, si possono individuare diverse tipologie di disturbo d’ansia:

Il disturbo ossessivo-compulsivo, precedentemente inserito tra i disturbi d’ansia, nel DSM-5 è stato inserito in una nuova categoria specifica, denominata Disturbi ossessivo-compulsivi e disturbi correlati.

Il disturbo post-traumatico da stress, precedentemente inserito tra i disturbi d’ansia, nel DSM-5 è stato inserito in una categoria denominata Disturbi correlati a trauma e stress.

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