Differenza tra cardioversione spontanea, elettrica e farmacologica

MEDICINA ONLINE DEFIBRILLATORE CARDIOVERSIONE SPONTANEA ELETTRICA CON SHOCK FARMACOLOGICA FARMACI URGENZA EMERGENZA MASSAGGIO CARDIACO ARRESTO RESPIRAZIONE BOCCA RIANIMAZIONE FIBRILLATORE.jpgCon cardioversione si intende è una particolare procedura che si esegue in campo medico quando un soggetto ha una aritmia, cioè una alterazione del ritmo cardiaco normale (ritmo sinusale), al fine di ripristinarlo evitando pericolose complicazioni che possono portare anche a decesso del paziente. La cardioversione può essere:

  • spontanea: quando l’aritmia si interrompe spontaneamente, entro poche ore dall’insorgenza;
  • non spontanea: quando l’aritmia NON si interrompe spontaneamente, in questo caso il personale sanitario deve intervenire al più presto per ripristinare il ritmo sinusale.

La cardioversione può essere effettuata in tre modi:

  • cardioversione meccanica: è una tecnica di defibrillazione meccanica manuale, caratterizzata dalla somministrazione di un pugno (pugno precordiale) sullo sterno all’altezza del cuore;
  • cardioversione farmacologica: vengono somministrati farmaci che hanno l’obiettivo di ripristinare il ritmo sinusale;
  • cardioversione elettrica: si tenta di ripristinare il ritmo normale tramite l’erogazione di impulsi elettrici, che vengono somministrati tramite defibrillatore esterno o interno (ICD), a tal proposito leggi: Differenza tra pacemaker e defibrillatore ICDI dubbi su pacemaker e ICD: carica, impulsi, cellulare, banca ed aereo

Cardioversione con pugno precordiale

L’operatore somministra il pugno precordiale sullo sterno all’altezza del cuore, ritirando immediatamente la mano (non lasciandola posata sul torace del paziente). L’energia meccanica impressa dal pugno dovrebbe convertirsi in energia elettrica sufficiente per una cardioversione. Questa manovra va effettuata in caso di arresto cardiaco ove non sia disponibile un defibrillatore, cioè in situazioni di emergenza estrema. In rari casi ha effettivamente permesso di convertire la fibrillazione ventricolare o la tachicardia ventricolare in un ritmo cardiaco efficace, ma più frequentemente non ha alcuna efficacia o addirittura può causare una conversione opposta, provocando in ultimo un’asistolia che aggrava ulteriormente la situazione.

Cardioversione tramite farmaci

Questo procedimento comporta una relativa latenza di effetto, cioè prevede che tra la somministrazione del farmaco e la scomparsa dell’aritmia intercorra un certo periodo di tempo. Pertanto viene riservato alle aritmie ben tollerate, o per la benignità dell’aritmia stessa, o per le buone condizioni fisiche del paziente. Il farmaco, scelto in funzione del meccanismo che sostiene l’aritmia, può essere somministrato per via orale o per iniezione endovenosa, secondo dosaggi prestabiliti.

Cardioversione elettrica

Soprattutto nei casi in cui l’aritmia è pericolosa per la vita (ad esempio nella fibrillazione ventricolare che si verifica nell’arresto cardiaco) perché produce una grave compromissione emodinamica, alla cardioversione farmacologica si preferisce quella elettrica, estremamente rapida ed efficace in molti casi per interrompere il malfunzionamento cardiaco, che se protratto porterebbe al decesso del paziente. Il ripristino del normale ritmo sinusale è determinato dall’applicazione di uno stimolo elettrico, che ha un effetto virtualmente immediato. Come già prima accennato, gli impulsi elettrici vengono somministrati in due modi, tramite:

  • defibrillatore esterno: viene somministrata una scarica elettrica singola molto intensa, che può essere somministrata nuovamente se il ritmo sinusale non è stato ripristinato. In questo caso si parla di cardioversione con shock, quella che siamo abituati a vedere nei film quando c’è una urgenza medica;
  • defibrillatore cardiaco impiantabile (ICD): è un dispositivo elettrico utilizzato nei pazienti a più alto rischio di morte cardiaca improvvisa, ad esempio chi soffre cronicamente di aritmie o nei pazienti con Wolff-Parkinson-White. L’ICD viene impiantato chirurgicamente sottocute nella regione pettorale, preferibilmente a sinistra, posizionando gli elettrodi negli atri e nei ventricoli per via transvenosa.L’uso si fonda sulla generazione di piccoli impulsi elettrici ripetitivi in grado non solo di eseguire una defibrillazione efficace nel 95% dei casi, ma anche di fornire una stimolazione cardiaca bicamerale fisiologica e di monitorare a distanza l’attività ritmica del cuore discriminando tra aritmie sopraventricolari e aritmie ventricolari.

Cardioversione con shock ed anestesia

Nella pratica comune, la scarica elettrica somministrata con defibrillatore esterno, può venire applicata in modo sincronizzato con l’attività ventricolare del paziente, come ad esempio per la fibrillazione atriale persistente: in questo caso, visto che il paziente è cosciente e la scarica elettrica è estremamente fastidiosa, la procedura viene eseguita solo dopo aver effettuato una anestesia generale. Nei casi di emergenza invece, ad esempio in caso di fibrillazione ventricolare (arresto cardiaco) il paziente è già incosciente e la scarica viene somministrata in modo non sincronizzato e senza dover effettuare alcuna anestesia: in tal caso si parla di defibrillazione.

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Wolff-Parkinson-White: nei bambini, rischi, sport, morte improvvisa

MEDICINA ONLINE KIDS PLAY FOOTBALL CALCIO SOCCER ALLENAMENTO PALLONE SPORT DOPING ADOLESCENTE MIGLIORE PUBERTA SVILUPPO ETA EVOLUTIVA CONSIGLIO SQUADRA SALUTE FORZA MEDICO DELLO SPORT VISITA AGONISTICOLa Sindrome di Wolff Parkinson White (WPW, in lingua inglese “Wolff–Parkinson–White Syndrome”) è una patologia caratterizzata da anomala conduzione dell’impulso elettrico cardiaco e determinata dalla presenza di uno o più fasci atrio-ventricolari accessori, che possono dare origine ad episodi di tachicardia sporadica. La malattia, ad eziologia ancora non del tutto chiara, colpisce una persona su 450; nel 70% dei casi interessa i maschi, specie in giovane età, e può presentarsi sia in forma sporadica che famigliare ed essere silente dal punto di vista sintomatico. I neonati da genitori con la sindrome di WPW possono essere a maggior rischio di sviluppare la malattia come pure i neonati con altri difetti cardiaci congeniti.

Leggi anche: Come si muove l’impulso elettrico cardiaco nel cuore?

Sport e Wolff-Parkinson-White

Con la Sindrome di Wolff-Parkinson-White sia il bambino che l’adulto possono praticare sport, come ad esempio calcio e nuoto, ma è importante che si eseguano sempre i controlli medici. Importante valutazione si ha, oltre all’elettrocardiogramma standard e all’elettrocardiogramma sotto sforzo, anche  attraverso il SETE, cioè lo studio elettrofisiologico trans-esofageo, che trova una vantaggiosa applicazione in cardiologia dello sport

I rischi del Wolff-Parkinson-White

I soggetti con WPW, rispetto alla popolazione sana, hanno un maggior rischio di fibrillazione atriale, di aritmie ventricolari rapide e di arresto cardiaco, oltre ad una probabilità più elevata di morte cardiaca improvvisa.

Wolff-Parkinson-White e morte improvvisa

La sindrome di Wolff-Parkinson-White espone il soggetto ad un rischio maggiore di morte cardiaca improvvisa, rispetto alla popolazione sana. Se la presenza di sintomi nei pazienti con preeccitazioni ventricolari è un elemento predittivo di eventi avversi e impone quindi una terapia adeguata, come quella ablativa, non significa che l’assenza di sintomi identifichi necessariamente soggetti scevri da eventi avversi. In altre parole i soggetti sintomatici hanno un rischio più elevato di morte cardiaca improvvisa rispetto a quelli asintomatici, ma questi ultimi hanno comunque un rischio maggiore rispetto alla popolazione sana: secondo uno studio del prof. Carlo Pappone presso il Maria Cecilia Hospital di Cotignola e pubblicato su Circulation, anche i pazienti asintomatici sono infatti a rischio di sviluppare aritmie maligne.

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“È solo stress”, ma ha un aneurisma: muore un ragazza di 14 anni

MEDICINA ONLINE AMBULANZA URGENZA EMERGENZA PRONTO SOCCORSO OSPEDALE INCIDENTE STRADALE MORTE CHIRURGIA AUTO MEDICA STRADAPer i medici dell’Ospedale Pertini di Roma era solo stress ma, invece, si trattava di un aneurisma cerebrale: dopo un calvario di ore una 14enne è morta il 6 novembre scorso. La Procura di Roma ha aperto un fascicolo di indagine, al momento contro ignoti, e procede per omicidio colposo.

La giovane si è sentita male intorno alle 8,30, pochi minuti dopo essere entrata a scuola, nel liceo classico Orazio, ed stata subito chiamata l’ambulanza che in codice giallo ha trasportato la ragazza all’ospedale Pertini. Lì la raggiunge la madre. La ragazza viene tenuta in osservazione per circa due ore; i medici dicono alla madre che è stress e solo dopo insistenze fanno una TAC dalla quale emerge l’aneurisma.

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Massaggio cardiaco: quante compressioni al minuto?

MEDICINA ONLINE CUORE ELETTROCARDIOGRAMMA SINUSALE DEFIBRILLATORE CARDIOVERSIONE ELETTRICA CON SHOCK FARMACOLOGICA FARMACI URGENZA EMERGENZA MASSAGGIO CARDIACO ARRESTO RESPIRAZIONE BOCCA RIANIMAZIONE ECG FIBRILLATORE.jpgIl massaggio cardiaco è una tecnica medica che, assieme ad altre tecniche, permette il BLS, acronimo di “Basic Life Support” (sostegno di base alle funzioni vitali), cioè una insieme di azioni che permettono il primo soccorso a soggetti che hanno subito un trauma, ad esempio incidente stradale, arresto cardiaco o folgorazione.

Il ritmo di compressione corretto deve essere di almeno 100 compressioni al minuto ma non superiore a 120 compressioni al minuto, ovvero 3 ogni 2 secondi.

In caso di contemporanea mancanza di respirazione, ogni 30 compressioni di massaggio cardiaco, l’operatore – se solo – interromperà il massaggio per praticare 2 insufflazioni con la respirazione artificiale (bocca a bocca o con mascherina o boccaglio), che dureranno circa 3 secondi l’una. Al termine della seconda insufflazione, riprendere immediatamente con il massaggio cardiaco.

Il rapporto tra compressioni cardiache ed insufflazioni – in caso di singolo operatore – è quindi 30:2. Se gli operatori sono due la respirazione artificiale può essere invece eseguita contemporaneamente al massaggio cardiaco.

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Primo soccorso e BLS (Basic Life Support): cos’è e come si fa

MEDICINA ONLINE ELETTROCARDIOGRAMMA SINUSALE DEFIBRILLATORE CARDIOVERSIONE SPONTANEA ELETTRICA CON SHOCK FARMACOLOGICA FARMACI URGENZA EMERGENZA MASSAGGIO CARDIACO ARRESTO RESPIRAZIONE BOCCA RIANIMAZIONE ECG FIBRILLATOREIl massaggio cardiaco è una tecnica medica che, assieme ad altre tecniche, permette il BLS, acronimo di “Basic Life Support” (sostegno di base alle funzioni vitali), cioè una insieme di azioni che permettono il primo soccorso a soggetti che hanno subito un trauma, ad esempio incidente stradale, arresto cardiaco o folgorazione. Il BLS include varie componenti:

  1. valutazione della scena;
  2. valutazione dello stato di coscienza del soggetto;
  3. chiamata dei soccorsi tramite telefono;
  4. ABC (valutazione della pervietà delle vie aeree, presenza di respirazione ed attività cardiaca);
  5. rianimazione cardiopolmonare (RCP): composta da massaggio cardiaco e respirazione a bocca a bocca;
  6. altre azioni di supporto di base alle funzioni vitali.

Valutare lo stato di coscienza

In situazioni di emergenza, la prima cosa da fare – dopo aver valutato che la zona non presenta ulteriori rischi per l’operatore o per l’infortunato – è valutare lo stato di coscienza del soggetto:

  1. poniti vicino al corpo;
  2. la persona deve essere scossa per le spalle in modo molto leggera (per evitare ulteriori danni);
  3. la persona deve essere chiamata ad alta voce (ricordando che la persona, se sconosciuta, potrebbe essere non udente);
  4. se il soggetto non reagisce, allora viene definito incosciente: in questo caso non va perso tempo e va fatta immediata richiesta a chi ci sta vicino di chiamare il numero telefonico per le emergenze mediche 118 e/o 112;
  5. nel frattempo iniziare l’ABC, cioè:
  6. controlla se le vie aeree sono libere da oggetti le che ostruiscano impedendo la respirazione;
  7. controlla se è presente la respirazione;
  8. controlla se è presente l’attività cardiaca tramite polso carotideo (al collo) o radiale (al polso);
  9. in assenza di respirazione ed attività cardiaca, iniziare la manovre di rianimazione cardiopolmonare (RCP).

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Rianimazione cardiopolmonare (RCP)

La procedura della rianimazione cardio-polmonare deve essere effettuata con il paziente posto su una superficie rigida (una superficie morbida o cedevole rende completamente inutili le compressioni). Se disponibile, usare un defibrillatore automatico/semiautomatico, capace di valutare l’alterazione cardiaca e la possibilità di erogare l’impulso elettrico per effettuare la cardioversione (ritorno ad un ritmo cardiaco sinusale, cioè normale). Non usate invece un defibrillatore manuale se non siete un medico: potrebbe peggiorare la situazione.

Massaggio cardiaco: quando farlo e come farlo

Il massaggio cardiaco, da personale NON sanitario, va effettuato in assenza dell’attività elettrica del cuore, ove non siano disponibili i soccorsi ed in mancanza di un defibrillatore automatico/semiautomatico.

Il massaggio cardiaco consiste in queste fasi:

  • Il soccorritore si inginocchia a fianco del torace, con la sua gamba all’altezza della spalla dell’infortunato.
  • Rimuove, aprendo o tagliando se necessario, gli abiti dell’infortunato. La manovra richiede il contatto con il torace, per essere sicuri della corretta posizione delle mani.
  • Colloca le mani direttamente al centro del petto, sopra lo sterno, una sopra all’altra come mostrato in foto:

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  • Per evitare di rompere le costole in caso di paziente potenzialmente affetto da fragilità ossea (età avanzata, osteogenesi imperfetta….), solo il palmo delle mani dovrebbe toccare il torace. Più in particolare, il punto di contatto dovrebbe essere l’eminenza palmare, ovvero la parte più inferiore e vicina al polso del palmo, che si presenta più dura e posta in asse con l’arto. Per facilitare questo contatto può essere utile intrecciare le dita e sollevarle leggermente.
  • Sposta il peso verso avanti, rimanendo sulle ginocchia, fino a che le sue spalle non sono direttamente sopra le mani.
  • Tenendo le braccia dritte, senza piegare i gomiti (vedi foto all’inizio dell’articolo), il soccorritore si muove su e giù con determinazione facendo perno sul bacino. La spinta non deve essere impressa dal piegamento delle braccia, ma del movimento in avanti dell’intero busto che si ripercuote sul petto dell’infortunato grazie alla rigidità delle braccia: tenere le braccia piegate è un ERRORE.
  • Per essere efficace, la pressione sul torace deve provocare un movimento di circa 5–6 cm per ciascuna compressione. È fondamentale, per la riuscita dell’operazione, che il soccorritore rilasci completamente il petto dopo ogni compressione, evitando assolutamente che il palmo delle mani si stacchi dal torace causando un dannoso effetto di rimbalzo.
  • Il ritmo di compressione corretto deve essere di almeno 100 compressioni al minuto ma non superiore a 120 compressioni al minuto, ovvero 3 ogni 2 secondi.
  • In caso di contemporanea mancanza di respirazione, ogni 30 compressioni di massaggio cardiaco, l’operatore – se solo – interromperà il massaggio per praticare 2 insufflazioni con la respirazione artificiale (bocca a bocca o con mascherina o boccaglio), che dureranno circa 3 secondi l’una. Al termine della seconda insufflazione, riprendere immediatamente con il massaggio cardiaco. Il rapporto tra compressioni cardiache ed insufflazioni – in caso di singolo operatore – è quindi 30:2. Se gli operatori sono due la respirazione artificiale può essere invece eseguita contemporaneamente al massaggio cardiaco.

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Respirazione bocca a bocca

Ogni 30 compressioni di massaggio cardiaco, è necessario praticare 2 insufflazioni con la respirazione artificiale (rapporto 30:2). La respirazione bocca a bocca consiste in queste fasi:

  • Distendere l’infortunato in posizione supina (pancia in su).
  • La testa dell’infortunato viene ruotata all’indietro.
  • Controllare le vie aeree e rimuovere eventuali corpi estranei dal cavo orale.
  • Nel caso in cui NON si sospetti una trauma, si deve sollevare la mandibola dell’infortunato piegando il capo all’indietro: in questa maniera si evita che la lingua dell’infortunato blocchi le vie respiratorie.
  • Se si sospetta un trauma spinale, non effettuare movimenti avventati: potrebbero peggiorare la situazione.
  • Chiudere le narici dell’infortunato con il pollice e l’indice. Attenzione: dimenticando di chiudere il naso, l’intera operazione risulterà del tutto inefficace!
  • Inspirare normalmente e insufflare l’aria attraverso la bocca (o nel caso non sia possibile, attraverso il naso) dell’infortunato, controllando che si abbia l’innalzamento della gabbia toracica.
  • Ripetere con un ritmo di 15-20 soffi al minuto (un soffio ogni 3 o 4 secondi).
  • È fondamentale che durante le insufflazioni il capo rimanga iperesteso, giacché una scorretta posizione delle vie aeree espone la vittima al rischio che entri aria nello stomaco, provocando così facilmente rigurgito. Quest’ultimo è provocato anche dalla potenza con cui si soffia: se si soffia troppo forte si manda aria nello stomaco.
  • La respirazione bocca a bocca comporta l’insufflazione forzata di aria nel sistema respiratorio dell’infortunato, con l’ausilio di una mascherina o di un boccaio. In caso di probabile mancanza di mascherina o boccaio, una barriera filtrante costituita da un fazzoletto di cotone leggero può essere impiegata per proteggere il soccorritore dal contatto diretto con la bocca dell’infortunato, specie se quest’ultima ha ferite sanguinanti.
  • Le nuove linee guida del 2010 mettono in guardia il soccorritore dai rischi dell’iperventilazione: aumento eccessivo della pressione intratoracica, rischio di insufflazione di aria nello stomaco, ridotto ritorno venoso al cuore; per questa ragione le insufflazioni non devono essere eccessivamente energiche, ma emettere una quantità d’aria non superiore a 500–600 cm³ (mezzo litro, in un tempo non superiore al secondo).
  • L’aria inspirata dal soccorritore prima di insufflare deve essere il più possibile “pura”, e cioè contenere la più alta percentuale possibile di ossigeno: per questo tra un’insufflazione e l’altra il soccorritore dovrà alzare la testa per inspirare a una distanza sufficiente perché non inspiri l’aria emessa dalla vittima, che presenta una densità di ossigeno minore, o la propria (ricca di anidride carbonica).
  • Ripete il ciclo di 30:2 per un totale di 5 volte controllando alla fine se esistono segni di “MO.TO.RE.” (MOvimenti di qualsiasi tipo, TOsse e REspirazione), ripetendo la procedura senza mai fermarsi, tranne che per esaurimento fisico (in questo caso se possibile chiedere il cambio) o per l’arrivo dei soccorsi.
  • Se invece i segni di MO.TO.RE. ritornano presenti (la vittima muove un braccio, tossisce, muove gli occhi, parla ecc.), occorre tornare al punto B: se quindi la respirazione è presente, si potrà disporre la vittima in PLS (Posizione Laterale di Sicurezza), altrimenti si dovranno eseguire soltanto ventilazioni (10-12 al minuto), ricontrollando ogni minuto i segni di MO.TO.RE. fino alla ripresa completa della respirazione normale (che è di circa 10-20 atti al minuto).
  • La rianimazione deve sempre cominciare con le compressioni salvo nel caso in cui si tratti di trauma o la vittima sia un bambino: in questi casi si comincerà con 5 insufflazioni, per proseguire normalmente con l’alternanza compressioni-insufflazioni. Questo avviene perché in caso di trauma si presume che l’ossigeno presente nei polmoni dell’infortunato non sia in quantità sufficiente a garantire l’efficienza della circolazione sanguigna; a maggior ragione, a titolo precauzionale, si inizierà con le insufflazioni in caso la vittima sia un bambino, in virtù del fatto che è presumibile che un bambino, godendo di buone condizioni di salute, si trovi in stato di arresto cardiaco per cause dovute con maggiore probabilità a trauma o ad un corpo estraneo penetrato nelle vie aeree.

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Quando smettere il massaggio cardiaco

Il soccorritore smetterà il massaggio cardiaco esclusivamente se:

  • si modificano le condizioni del luogo, che non diventa più sicuro. In caso di grave pericolo il soccorritore ha il dovere di mettersi in salvo.
  • arriva l’ambulanza con medico a bordo o l’auto medica inviata dal 118.
  • arriva soccorso qualificato con una più efficace attrezzatura.
  • è sfinito e non ha più forze (anche se in questo caso in genere si chiedono i cambi, che dovranno avvenire a metà delle 30 compressioni, in maniera tale da non interrompere il ciclo compressioni-insufflazioni).
  • il soggetto riprende le funzioni vitali.

quindi nel quale ci fosse un arresto cardiopolmonare bisogna intervenire con la respirazione bocca a bocca.

Quando non si rianima?

I soccorritori non sanitari (quelli che abitualmente sono sulle ambulanze del 118) possono constatare il decesso, e quindi non iniziare le manovre, solo:

  • in caso di materia celebrale visibile esternamente, decerebrato (in caso di trauma ad esempio);
  • in caso di decapitazione ;
  • in caso di lesioni totalmente incompatibili con la vita ;
  • in caso di soggetto carbonizzato;
  • in caso di soggetto in rigor mortis .

Nuove modifiche

Le modifiche più recenti (come verificabile sugli appositi manuali A.H.A) riguardano più l’ordine che le procedure. Innanzitutto, è aumentata l’enfasi sul massaggio cardiaco precoce, ritenuto più importante dell’ossigenazione precoce. La sequenza è passata quindi da ABC (vie aeree libere, respirazione e circolazione) a CAB (circolazione, vie aeree libere e respirazione):

  • si inizia con le 30 compressioni toraciche (che devono iniziare entro 10 secondi dal riconoscimento del blocco cardiaco);
  • si procede alle manovre di apertura delle vie aeree e quindi alla ventilazione.

Così facendo si ritarda solo di circa 20 secondi la prima ventilazione, cosa che non influisce negativamente sulla buona riuscita della CPR. Inoltre è stata eliminata (nella valutazione della vittima) la fase GAS poiché potrebbe essere presente respiro agonizzante (gasping) che viene avvertito dal soccorritore sia come sensazione di respiro sulla pelle (Sento) sia a livello uditivo (Ascolto) ma che non provoca una ventilazione polmonare efficace poiché spasmodico, poco profondo e a bassissima frequenza. Modifiche minori riguardano la frequenza di compressioni toraciche (da circa 100/min ad almeno 100/min) e l’utilizzo della pressione cricoidea per prevenire l’insufflazione gastrica: la pressione cricoidea va evitata poiché non è efficace e può rivelarsi dannosa rendendo più difficoltoso l’inserimento di dispositivi respiratori avanzati come tubi endotracheali etc.

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Posizione laterale di sicurezza

Se la respirazione torna ad essere presente, ma il paziente è ancora in stato di incoscienza e non si suppone un trauma, esso va posizionato in posizione laterale di sicurezza. Per far ciò bisogna flettere un ginocchio e portare il piede della medesima gamba sotto il ginocchio della gamba opposta. Bisogna far scivolare il braccio opposto alla gamba flessa sul terreno finché non sia perpendicolare al tronco. L’altro braccio va posto sul torace, in modo che la mano passi sul lato del collo. Successivamente il soccorritore deve porsi sul fianco che non presenta il braccio esteso esternamente, infilare il proprio braccio fra l’arco formato dalle gambe del paziente e con l’altro afferrare la testa. Facendo leva sulle ginocchia, bisogna far rotolare delicatamente il paziente sul fianco del braccio esterno, accompagnando il movimento della testa. La testa va poi iperestesa e mantenuta in tale posizione sistemando sotto la guancia la mano del braccio che non tocca terra. Questa posizione ha lo scopo di mantenere le vie aeree pervie ed evitare che improvvisi getti di vomito occludano la cavità respiratoria ed entrino nei polmoni, danneggiandone l’integrità. Con la posizione laterale di sicurezza ogni liquido emesso viene espulso fuori dal corpo. Per approfondire, leggi: Posizione laterale di sicurezza: come, quando e perché può salvare una vita

Primo soccorso in bambini e neonati

Il metodo per la BLS nei bambini da 12 mesi a 8 anni è analogo a quello utilizzato per gli adulti. Ci sono tuttavia delle differenze, che tengono conto della minore capacità polmonare dei bambini e del loro ritmo di respirazione più veloce. Inoltre, è necessario ricordare che le compressioni devono essere meno profonde di quanto sia necessario negli adulti. Si comincia con 5 insufflazioni, prima di procedere al massaggio cardiaco che ha un rapporto fra compressioni e insufflazioni di 15:2. A seconda della corpulenza del bambino, si potranno effettuare compressioni con entrambi gli arti (negli adulti), un arto solo (nei bambini), o anche soltanto due dita (indice e medio al livello del processo xifoideo nei neonati). In ultimo va ricordato che, dal momento che nei bambini la normale frequenza cardiaca è più elevata che negli adulti, in presenza di un bambino che presenti attività circolatoria con frequenza cardiaca inferiore a 60 puls./min bisognerà comportarsi come in caso di arresto cardiaco.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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Fibrillazione atriale: farmaci e terapia dell’aritmia cardiaca

MEDICINA ONLINE FARMACO FARMACIA PHARMACIST PHOTO PIC IMAGE PHOTO PICTURE HI RES COMPRESSE INIEZIONE SUPPOSTA PER OS SANGUE INTRAMUSCOLO CUORE PRESSIONE DIABETE CURA TERAPIA FARMACOLOGICLa terapia della fibrillazione atriale deve essere praticata d’urgenza in caso di presenza di sintomi. Si articola in procedimenti distinti che devono essere selezionati e attuati contemporaneamente o anche in rapida successione a seconda delle condizioni cliniche del paziente.

La terapia della fibrillazione atriale può mirare al ripristino del ritmo sinusale normale (cardioversione) oppure a ridurre la frequenza cardiaca (controllo della frequenza cardiaca) e deve essere indirizzata a proteggere il paziente dalle conseguenze più gravi: ictus cerebrale e insufficienza cardiaca.

I procedimenti terapeutici per la fibrillazione atriale sono i seguenti:

  • Terapia di ripristino del ritmo sinusale in acuto
  • Terapia di controllo della frequenza cardiaca in acuto
  • Terapia di prevenzione del rischio tromboembolico (soprattutto ictus)
  • Terapia di controllo del ritmo a lungo termine
  • Terapia di controllo della frequenza cardiaca a lungo termine

Ripristino del ritmo sinusale o controllo della frequenza cardiaca?
Un importante studio condotto in Canada (Tsadok et al., 2012) ha messo a confronto le due strategie terapeutiche di ripristino del ritmo sinusale e del controllo della frequenza cardiaca nella fibrillazione atriale. I risultati hanno mostrato un numero di pazienti con ictus notevolmente minore nei pazienti con controllo del ritmo rispetto a quelli con controllo della frequenza cardiaca. Altri studi (Hohnloser et al., 2000; Roy et al., 2008) hanno però dimostrato che il controllo del ritmo e il controllo della frequenza non portano a sostanziali modificazioni dei rischi di ictus, scompenso cardiaco, mortalità.

Nei pazienti con fibrillazione atriale ed instabilità emodinamica e quindi a rischio di scompenso cardiaco acuto, deve essere considerata la cardioversione urgente.

Terapia di ripristino del ritmo sinusale in acuto
Il ripristino del ritmo sinusale e il suo mantenimento sono gli obiettivi della terapia della fibrillazione atriale.
La terapia di ripristino del ritmo sinusale o cardioversione può essere effettuata con farmaci (cardioversione farmacologica con farmaci antiaritmici) oppure con corrente elettrica (cardioversione elettrica).

In aggiunta alla cardioversione in acuto e necessario comunque curare le cause della fibrillazione atriale, i fattori di rischio e le patologie concomitanti.

I pazienti che sono sottoposti a cardioversione dovrebbero iniziare la terapia anticoagulante precocemente.
I pazienti con fibrillazione atriale che dura da meno di 48 ore possono essere sottoposti a cardioversione senza terapia anticoagulante che deve essere iniziata precocemente.
I pazienti in cui la fibrillazione atriale dura da più di 48 ore devono assumere la terapia anticoagulante per tre settimane prima della cardioversione e continuare per quattro settimane, sempre che non necessitino di proseguire la terapia anticoagulante a lungo termine.
In caso di cardioversione precoce si può eseguire ecocardiogramma transesofageo per escludere trombi in atrio sinistro.

La cardioversione farmacologica può mantenere il ritmo sinusale il doppio rispetto a nessuna terapia (Lafuente-Lafuente et al., 2012).

La cardioversione farmacologica in acuto non richiede sedazione e non necessita di digiuno.

Farmaci per la cardioversione farmacologica sono:

  • Dofetilide – pericolo di torsione di punta (aritmia ventricolare che mette in pericolo la vita)
  • Flecainide – uso limitato in malattie strutturali cardiache
  • Propafenone – uso limitato in malattie strutturali cardiache
  • Ibutilide – rischio di torsione di punta
  • Vernakalant – utile nei pazienti con insufficienza cardiaca lieve e media, nei pazienti con ischemia miocardica purché non presentino ipotensione (pressione arteriosa bassa) o stenosi aortica grave
  • Amiodarone – può essere utilizzato in pazienti con ischemia miocardica e in pazienti con scompenso cardiaco
  • Sotalolo

“Pill in the Pocket” (pillola in tasca): pazienti selezionati possono assumere la terapia per la conversione a ritmo sinusale autonomamente in caso di crisi di fibrillazione atriale.
I farmaci antiaritmici da utilizzare come “Pill in the Pocket” (pillola in tasca) sono flecainide e propafenone.

I farmaci antiaritmici devono essere stati somministrati in precedenza in ospedale e devono avere dimostrato di essere efficaci nel ripristino del ritmo sinusale.

La cardioversione elettrica sincronizzata con corrente diretta si utilizza in caso di pazienti con compromissione emodinamica perché può ripristinare il ritmo sinusale in un tempo più breve rispetto alla cardioversione farmacologica (Gitt et al., 2013). Richiede sedazione e digiuno e può provocare ustioni della cute.

La cardioversione elettrica è controindicata nell’intossicazione da digitale.

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Terapia di controllo del ritmo a lungo termine
La scelta di sostenere la terapia antiaritmica a lungo termine deve essere effettuata dal medico in accordo con il paziente che deve essere adeguatamente informato riguardo ai vantaggi ed agli effetti collaterali.

Le Linee guida 2010 e 2016 ESC (European Society of Cardiology) riportano le seguenti osservazioni (European Heart Rhythm Association et al., 2010; Kirchhof et al., 2016):

  • Obiettivo della terapia antiaritmica è di migliorare i sintomi della fibrillazione atriale
  • I farmaci antiaritmici non sono in grado di mantenere costantemente il ritmo sinusale
  • I farmaci antiaritmici riducono e non eliminano le crisi di fibrillazione atriale
  • I farmaci antiaritmici possono ridurre la frequenza ventricolare durante le crisi di fibrillazione atriale
  • Se il farmaco antiaritmico prescelto non è efficace può essere sostituito con un altro farmaco antiaritmico
  • I farmaci antiaritmici possono indurre altre aritmie anche gravi (effetto proaritmico) e possono avere effetti collaterali extracardiaci
  • La scelta del farmaco antiaritmico deve essere guidata da criteri di sicurezza piuttosto che di efficacia
  • I pazienti che assumono terapia antiaritmica conservano il ritmo sinusale il doppio rispetto a quelli che non la assumono
  • Non ci sono apprezzabili riduzioni della mortalità e delle complicazioni cardiovascolari nei pazienti che assumono terapia antiaritmica
  • Nei pazienti che assumono terapia antiaritmica dimunuisce il rischio di ospedalizzazione.

Per ridurre i rischi della terapia antiaritmica si può adottare il trattamento breve, ad esempio flecainide per quattro settimane dopo cardioversione; tale trattamento riduce le ricorrenze di fibrillazione atriale dell’80% rispetto alla terapia a lungo termine (ad esempio, flecainide per 6 settimane) (Kirchhof et al., 2012).

La terapia a breve termine è usata anche dopo ablazione transcatetere (trattamento chirurgico della fibrillazione atriale), nei pazienti con effetti collaterali da terapia antiaritmica e nei pazienti con basso rischio di ricadute.

Farmaci antiaritmici per il controllo del ritmo a lungo termine.
La scelta del farmaco antiaritmico nella terapia a lungo termine del paziente con fibrillazione atriale per il controllo delle ricadute, deve essere fatta con grande attenzione dal medico e deve essere condivisa dal paziente.
Il medico deve valutare (Al-Khatib et al., 2014):
a) la presenza di malattie cardiovascolari ed extracardiache concomitanti
b) il rischio cardiovascolare soprattutto in relazione al potenziale proaritmico (torsione di punta o altre aritmie pericolose per la vita) dei farmaci antiaritmici
c) gli effetti tossici extracardiaci
d) il peso dei sintomi

Prima di iniziare la terapia con i farmaci antiaritmici è necessario eseguire (Linee Guida ESC 2016) (Kirchhof et al., 2016):
a) un elettrocardiogramma per valutare se sono presenti alterazioni dell’attività elettrica cardiaca
b) ripetere l’elettrocardiogramma nei primi giorni di terapia per valutarne i risultati e gli effetti negativi
c) eseguire periodicamente un elettrocardiogramma per valutare il rischio proaritmico
d) effettuare un monitoraggio elettrocardiografico protratto da uno a tre giorni nei pazienti che assumono flecainide, propafenone o sotalolo

I farmaci antiaritmici per la terapia di controllo del ritmo cardiaco a lungo termine sono:

  • Amiodarone

L’amiodarone è raccomandato per la prevenzione delle ricadute di fibrillazione atriale nei pazienti con scompenso cardiaco; è un farmaco molto efficace ma presenta spesso effetti collaterali extracardiaci, pertanto altri farmaci devono essere considerati per primi (Chevalier et al., 2003; Khan et al., 2003).

  • Dronedarone

Il dronedarone è un farmaco raccomandato per la terapia di controllo del ritmo nei pazienti con normale funzione ventricolare sinistra, senza ipertrofia ventricolare sinistra patologica, nei pazienti con coronaropatia stabile e senza scompenso cardiaco (Singh et al., 2007; Hohnloser et al., 2009). È controindicato nello scompenso cardiaco (Kober et al., 2008).

  • Flecainide, Propafenone

Flecainide e propafenone sono farmaci raccomandati per la terapia di controllo del ritmo nei pazienti con normale funzione ventricolare sinistra senza ipertrofia ventricolare sinistra patologica. Sono controindicati nei pazienti con cardiopatia ischemica o con scompenso cardiaco significativi per il rischio di aritmie minacciose per la vita (NEJM, 1989).

  • Sotalolo

Il sotalolo è un farmaco raccomandato per la terapia di controllo del ritmo nei pazienti con normale funzione ventricolare sinistra senza ipertrofia ventricolare sinistra patologica. Per il rischio di torsione di punta le Linee guida ESC 2016 suggeriscono di limitare l’uso a situazioni specifiche (Waldo et al., 1996).

  • Chinidina, Disopiramide

Chinidina e disopiramide sono farmaci largamente utilizzati in passato per la terapia del controllo del ritmo: sono gravati da alta mortalità probabilmente per aritmie ventricolari gravi (torsione di punta) (Lafuente-Lafuente et al., 2012; Freemantle et al., 2011). La disopiramide può essere utile nella fibrillazione atriale mediata dal vago (fibrillazione atriale che si presenta negli atleti o durante il sonno). Le Linee guida ESC 2016 suggeriscono di limitare l’uso di questi farmaci a situazioni specifiche.

  • Dofetilide

Dofetilide è un farmaco utile per la terapia di controllo del ritmo nei pazienti con insufficienza cardiaca (Pedersen et al., 2001); le Linee guida ESC 2016 suggeriscono di limitarne l’uso a situazioni specifiche.

Effetti antiaritmici di farmaci non antiaritmici
Sono stati eseguiti e sono in corso studi per valutare l’efficacia di farmaci non antiaritmici per la prevenzione della fibrillazione atriale. I farmaci studiati sono ACE-inibitori (inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina) e ARB (antagonisti recettoriali dell’angiotensina), antagonisti dell’aldosterone, statine, omega tre. Questi farmaci aldilà delle altre indicazioni d’impiego non hanno mostrato con sicurezza effetti antiaritmici.

Le Linee guida sul trattamanto della fibrillazione atriale raccomandano (Linee guida ESC 2010 e 2016) (European Heart Rhythm Association et al., 2010; Kirchhof et al., 2016):

a) ACE inibitori o ARB e betabloccanti dovrebbero essere considerati nella prevenzione della fibrillazione atriale di prima insorgenza nei pazienti con insufficienza cardiaca e ridotta frazione di eiezione ventricolare (la frazione di eiezione è la quantità di sangue espulsa dal ventricolo sinistro ad ogni battito cardiaco)
b) ACE inibitori e ARB dovrebbero essere considerati nella prevenzione della fibrillazione atriale di prima insorgenza nei pazienti con ipertensione in particolare se presente ipertrofia ventricolare sinistra
c) Il pre-trattamento con ACE-inibitori o ARB può essere considerato nei pazienti con fibrillazione atriale ricorrente che hanno in programma cardioversione elettrica e ricevono terapia antiaritmica
d) ACE-inibitori e ARB non sono raccomandati nella prevenzione secondaria della fibrillazione atriale parossistica in pazienti con non evidente patologia cardiaca.

Leggi anche:

Terapia di controllo della frequenza cardiaca
La terapia di controllo della frequenza cardiaca nella fibrillazione atriale ha come obiettivo quello di ridurre la frequenza ventricolare elevata che da sola può comportare la presenza di sintomi e di instabilità emodinamica.
La riduzione della frequenza cardiaca nella fibrillazione atriale ad elevata frequenza ventricolare è spesso sufficiente a migliorare i sintomi.
Può essere considerata valida la riduzione della frequenza cardiaca nella fibrillazione atriale a circa 80 battiti per minuto a riposo e circa 110 battiti per minuto durante attività fisica moderata (Vaa Groenveld et al., 2010)
Il medico deve prendere altre decisioni terapeutiche nel paziente con fibrillazione atriale, deve valutare la presenza di patologie scatenanti che devono essere trattate con le terapie specifiche (infezioni, tireotossicosi, anemia, embolia polmonare, oltre che patologie cardiovascolari).
La terapia per il controllo della frequenza cardiaca nella fibrillazione atriale a lungo termine, in alternativa alla terapia di controllo del ritmo, deve essere decisa di comune accordo tra il medico e il paziente adeguatamente informato. Ambedue devono rinunciare alla terapia di controllo del ritmo, ma tale terapia può essere impostata qualora le successive valutazioni cliniche lo richiedessero (Linee guida ESC 2016) (Kirchhof et al., 2016).

Farmaci per il controllo della frequenza cardiaca in acuto
I farmaci per il controllo della frequenza cardiaca nella fibrillazione atriale in acuto sono:
Farmaci iniettabili endovena

  • Betabloccanti: metoprololo ed esmololo

Vantaggi: rapidità di azione ed efficacia sul tono simpatico rispetto alla digoxina.
Svantaggi: controindicati nello scompenso cardiaco acuto e nel broncospasmo grave.

  • Calcioantagonisti non diidropiridinici: diltiazem e verapamil

Vantaggi: rapidità di azione ed efficacia sul tono simpatico rispetto alla digoxina.
Svantaggi: possibili effetti negativi nei pazienti con insufficienza cardiaca (con frazione di eiezione 40%).

  • Digitale: digoxina e digitossina

Vantaggi: può essere utilizzata nello scompenso cardiaco.
Svantaggi: controindicata nei pazienti con vie accessorie (vie anomale di conduzione atrio ventricolare – preeccitazione ventricolare) e cardiomiopatia ipertrofica e con ostruzione nel tratto di efflusso del ventricolo sinistro.

  • Amiodarone

Vantaggi: può essere utilizzato in pazienti con grave insufficienza cardiaca.

Per ridurre la frequenza cardiaca nei pazienti con fibrillazione atriale al di sotto di 110 battiti per minuto si può valutare l’associazione di basse dosi di betabloccanti alla digoxina in caso di scompenso cardiaco congestizio con frazione di eiezione inferiore al 40%; in caso di scompenso cardiaco con frazione di eiezione superiore al 40% si possono associare betabloccanti o calcioantagonisti non diidropiridinici alla digoxina; in ambedue i casi esiste pericolo di bradicardia eccessiva (rallentamento eccessivo della frequenza cardiaca).

Farmaci per il controllo della frequenza cardiaca a lungo termine
I farmaci per il controllo della frequenza cardiaca nella fibrillazione atriale a lungo termine (linee guida ESC 2010-2016) sono (European Heart Rhythm Association et al., 2010; Kirchhof et al., 2016):

  • Betabloccanti – I farmaci betabloccanti indicati dalle Linee guida ESC 2016 sono: bisoprololo, carvedilololo, metoprololo, nebivololo (sono disponibili altri farmaci betabloccanti, ma non sono raccomandati per il controllo della frequenza cardiaca nella fibrillazione atriale)

Vantaggi: a) riducono la frequenza cardiaca con conseguente riduzione dei sintomi e miglioramento funzionale; b) sono ben tollerati; c) non arrecano danni sia nei pazienti con ritmo sinusale che nei pazienti con fibrillazione atriale.
Svantaggi: a) sono controindicati nello scompenso cardiaco acuto; b) sono controindicati nel grave broncospasmo (asma bronchiale).

  • Calcioantagonisti non diidropiridinici: diltiazem e verapamil

Vantaggi: riducono la frequenza cardiaca con conseguente riduzione dei sintomi e miglioramento funzionale.
Svantaggi: sono controindicati nei pazienti con scompenso cardiaco con ridotta frazione di eiezione per il loro effetto negativo sulla contrazione del muscolo cardiaco (effetto inotropo negativo).

  • Digitale: digoxina e digitossina (farmaci usati da circa due secoli)

Vantaggi: sono utili nello scompenso cardiaco.
Svantaggi: alti livelli plasmatici sono a rischio di mortalità; è necessario adattare la dose nei pazienti con insufficienza renale.

  • Amiodarone

Vantaggi: utile nei pazienti con vie accessorie (vie anomale di conduzione atrio-ventricolare o preeccitazione ventricolare) associata a fibrillazione atriale o ad anamnesi di fibrillazione atriale; è il farmaco da privilegiare per il controllo della frequenza cardiaca con il propafenone.
Svantaggi: numerosi effetti avversi extracardiaci (ultima risorsa per il controllo a lungo termine della fibrillazione atriale).

  • Propafenone

Vantaggi: utile nei pazienti con vie accessorie (vie anomale di conduzione atrio-ventricolare o preeccitazione ventricolare) associata a fibrillazione atriale o ad anamnesi di fibrillazione atriale è il farmaco da privilegiare per il controllo della frequenza cardiaca con l’amiodarone.

Terapia della fibrillazione atriale a frequenza ventricolare bassa: è una condizione clinica particolare che caratterizza malattie degenerative delle vie di conduzione elettrica del cuore, ma anche tossicità da farmaci. Una volta individuate le cause ne consegue la terapia
a) atropina endovena
b) Cardiostimolazione temporanea alla quale può fare seguito applicazione di pacemaker

L’ablazione del nodo atrio-ventricolare e l’impianto di pacemaker a frequenza tra 70 e 90 battiti per minuto può essere presa in considerazione in caso di fallimento della terapia di controllo del ritmo e della frequenza cardiaca.

Terapia di prevenzione del rischio tromboembolico a lungo termine
La prevenzione dell’ictus è tra i principali obiettivi della terapia nei pazienti con fibrillazione atriale (Linee guida ESC 2016). La terapia con anticoagulanti orali consente di ridurre notevolmente il rischio di ictus nei pazienti con fibrillazione atriale e tale terapia è utilizzata in tutte le forme di fibrillazione atriale.

Molti studi scientifici hanno avvalorato nel tempo e avvalorano l’impiego della terapia anticoagulante nel trattamento dei pazienti con fibrillazione atriale (Hart et al., 2007; Ruff et al., 2014). Dal confronto tra pazienti con fibrillazione atriale trattati con anticoagulanti orali, pazienti non trattati con anticoagulanti orali e pazienti trattati con acido acetilsalicilico (aspirina), è emerso che il rischio di ictus è ridotto in misura significativamente maggiore nei pazienti con fibrillazione atriale trattati con anticoagulanti orali rispetto agli altri due gruppi. La terapia con anticoagulanti orali non è scevra da rischi di sanguinamento, così come quella con acido acetilsalicilico, ma quest’ultimo non è in grado di prevenire l’ictus nei pazienti con fibrillazione atriale se confrontato con gli anticoagulanti orali.

Nonostante le evidenze scientifiche, la terapia con anticoagulanti orali è sottoutilizzata. Ciò è dovuto al timore di sanguinamento sia da parte del medico sia da parte del paziente, nonostante il rischio di ictus superi il rischio di emorragie, e alla necessità di frequenti esami del sangue per ottimizzare la terapia con anticoagulanti orali (mantenimento del valore dell’indice INR, International Normalized Ratio, nell’intervallo raccomandato, tra 2,0 e 3,0). A queste considerazioni si aggiunge la difficoltà da parte del paziente con fibrillazione atriale ad accettare terapie croniche, potenzialmente gravate da rischi, per evitare un rischio non presente, ma che si può verificare nel tempo nel corso della vita.

I pazienti con fibrillazione atriale maggiormente esposti al rischio di ictus dovrebbero essere sottoposti a terapia antitrombotica che protegge anche dal rischio trombo-embolico sistemico e dall’infarto del miocardio. Per l’individuazione dei pazienti con fibrillazione atriale maggiormente esposti a rischio di ictus le Linee guida ESC 2016 raccomandano di utilizzare il punteggio di rischio elaborato a seguito di grandi studi scientifici.

Per il calcolo del rischio di ictus nella fibrillazione atriale si utilizza il modello CHA2DS2-VASC.
CHA2DS2-VASC (Cardiac failure, Hypertension, Age ≥75 (doubled), Diabetes, Stroke (doubled), Vascular disease, Age 65-74, and Sex Category (female)) è l’acronimo in lingua inglese che sintetizza le condizioni cliniche, definite anche “fattori di rischio”, che pongono il paziente con fibrillazione atriale a rischio di ictus. Ad ogni fattore di rischio viene attribuito un punteggio come di seguito esposto:
a) Scompenso cardiaco evidenziato dai sintomi o dal riscontro di ridotta frazione di eiezione ventricolare sinistra (punteggio 1)
b) Ipertensione arteriosa con valori di pressione superiori a 140/90 o in terapia (punteggio 1)
c) Età oltre i 75 anni (punteggio 2)
d) Diabete identificato dalla glicemia a digiuno e superiore a 125 mg/ml o diabete in terapia (punteggio 1)
e) Precedente ictus cerebrale o attacco ischemico transitorio cerebrale (TIA) o tromboembolismo (punteggio 2)
f) Malattia vascolare, precedente infarto acuto del miocardio, arteriopatia periferica, placca aortica (punteggio 1)
g) Età 65-74 anni (punteggio 1)
h) Sesso femminile (punteggio 1)
I pazienti con fibrillazione atriale senza fattori di rischio di ictus non hanno bisogno di terapia antitrombotica.
I pazienti con fibrillazione atriale di sesso maschile con punteggio =/> 1 e le pazienti con fibrillazione atriale di sesso femminile con punteggio =/> 2 possono trarre vantaggio dalla terapia con anticoagulanti orali.
Sono in corso studi per valutare se sono utilizzabili marcatori biologici come la troponina ad alta sensibilità e il peptide natriuretico per definire ulteriormente il rischio di ictus e di emorragia nei pazienti con fibrillazione atriale.

Prima di prescrivere gli anticoagulanti orali nella fibrillazione atriale il medico deve calcolare anche il rischio emorragico oltre al rischio di ictus.

Gli anticoagulanti orali rendono il sangue meno coagulabile, di conseguenza riducono il rischio di formazione di trombi nel cuore e nei vasi sanguigni (arterie e vene).
La medicina dispone di due categorie di anticoagulanti orali ambedue efficaci per la prevenzione dell’ictus nella Fibrillazione atriale (Ruff et al., 2014)

  • Antagonisti della vitamina K, in uso da molti anni (anticoagulanti orali o OAC, oral anticoagulants)
  • Non antagonisti della vitamina K, di recente introduzione (anticoagulanti orali non vitamina K antagonisti o NOAC, new oral anticoagulants).

I NOAC ad alti dosaggi confrontati con il warfarin(principale anticoagulante antagonista della vitamina K) hanno dato i seguenti risultati:
a) riduzione significativa di ictus ed embolia sistemica del 19% a confronto con warfarin principalmente per riduzione di ictus emorragico
b) mortalità ridotta del 10%
c) emorragia intracranica dimezzata
d) sanguinamenti gastrointestinali più frequenti

Anticoagulanti antagonisti della Vitamina K
La vitamina K è introdotta nell’organismo con gli alimenti e in piccola parte viene prodotta dall’intestino. La vitamina K è necessaria per attivare alcuni fattori della coagulazione. Se la vitamina K viene antagonizzata i fattori della coagulazione da essa dipendenti non si attivano e il sangue diventa meno coagulabile.

Gli anticoagulanti orali antagonisti della vitamina K sono in uso da molto tempo per ridurre il rischio di ictus nei pazienti con fibrillazione atriale. Confrontati con l’acido acetilsalicilico (aspirina) (Hart et al., 2007a) riducono il rischio di ictus di due terzi e di mortalità di un quarto e analoghi risultati si ottengono rispetto ai controlli senza terapia.

Gli antagonisti della vitamina K sono i dicumarolici:

  • Warfarin
  • Acenocumarolo

La riduzione della coagulabilità dipende dalla dose di farmaco ed è diversa da individuo a individuo. Se la dose e troppo bassa permane il rischio di formazione di trombi. Se la dose è troppo alta il rischio è l’emorragia.

La corretta anticoagulazione si valuta con il dosaggio nel sangue del tempo di protrombina o meglio dell’INR (International Normalized Ratio o rapporto internazionale normalizzato). L’INR è una tecnica che permette di standardizzare i risultati indipendentemente dal laboratorio che li ha eseguiti. Il valore di INR nella terapia con antagonisti della vitamina K nei pazienti con la fibrillazione atriale deve essere mantenuto tra 2 e 3; nei pazienti con fibrillazione atriale e protesi valvolari meccaniche deve essere mantenuto tra 2,5 e 3,5.

Gli antagonisti della vitamina K sono gli anticoagulanti di scelta nei pazienti con fibrillazione atriale valvolare o con protesi valvolare (Eikelboom et al., 2013).

Sono necessari frequenti esami del sangue per mantenere l’INR nei limiti terapeutici.

In caso di emorragie gravi e in caso di dosaggio eccessivo l’assunzione di vitamina K antagonizza gli anticoagulanti orali vitamina K dipendenti. Anche una dieta ricca di vitamina K esplica un effetto inibitorio sull’azione degli anticoagulanti orali vitamina K dipendenti. Gli alimenti ricchi di vitamina K comprendono: alghe, avocado, bietole, broccoli e cavoli, ceci, cime di rapa, crescione, erba cipollina, fegato, indivia, kiwi, lattuga, lenticchie, maionese, olii di colza di oliva e di soia, pesce sott’olio, prezzemolo, senape, soia, spinaci, tè nero e verde, verza.

Il paziente che assume anticoagulanti orali vitamina K dipendenti deve chiedere consiglio al medico e al farmacista prima di assumere altri medicinali e medicinali e preparati a base di erbe.

Anticoagulanti non antagonisti della vitamina K
I farmaci anticoagulanti non antagonisti della vitamina K comprendono:

  • Dabigratan – inibitore diretto della trombina
  • Apibaxan, Edobaxan e Rivarobaxan – inibitori del fattore di coagulazione Xa

I farmaci anticoagulanti non antagonisti della vitamina K sono idonei alla prevenzione dell’ictus nei pazienti con fibrillazione atriale perché hanno mostrato la non inferiorità se non addirittura vantaggi rispetto agli anticoagulanti antagonisti della vitamina K. I farmaci anticoagulanti non antagonisti della vitamina K riducono il rischio di ictus e di embolia sistemica insieme con la riduzione delle emorragie gravi, soprattutto intracraniche, come risulta dagli studi in cui sono stati confrontati con i farmaci anticoagulanti antagonisti della vitamina K (Linee guida ESC 2016) (Kirchhof et al., 2016).

Tutti i farmaci anticoagulanti non vitamina K antagonisti hanno il vantaggio di avere un effetto anticoagulante prevedibile e pertanto non necessitano di un regolare monitoraggio dell’anticoagulazione. In pratica il paziente con fibrillazione atriale che assume anticoagulanti non vitamina K antagonisti non avrà la necessità di sottoporsi a continui prelievi per il controllo della coagulazione (controllo dell’indice INR).
Inoltre tali farmaci non sono influenzati da altri medicinali, da alcol e alimenti; è importante però tenere sotto controllo la funzionalità renale ed è necessario adeguare la dose secondo la funzionalità renale.
Per il Dabigratan è disponibile l’antidoto Idarucizumab.

La terapia antiaggregante piastrinica (acido acetilsalicilico) e la doppia terapia antiaggregante piastrinica (acido acetilsalicilico+clopidogrel), come alternativa all’anticoagulazione, non sono raccomandate per la prevenzione dell’ictus nella fibrillazione atriale (Linee guida ESC 2016) per i seguenti motivi:
a) i vantaggi (prevenzione dell’ictus, dell’embolia sistemica, dell’infarto acuto del mio cardio, della morte vascolare) sono più elevati con gli anticoagulanti orali rispetto alla singola o alla doppia terapia antiaggregante piastrinica;
b) il rischio di sanguinamento è simile a quello con la terapia anticoagulante orale ed è ancora più evidente con la doppia antiaggregazione

Rischio di sanguinamento nei pazienti con fibrillazione atriale che devono assumere terapia anticoagulante orale
I pazienti con fibrillazione atriale che assumono la terapia anticoagulante orale hanno una prognosi migliore.
Il rischio di sanguinamento nel paziente con fibrillazione atriale deve essere considerato prima di prescrivere la terapia anticoagulante orale (TAO), insieme alla valutazione del rischio di ictus cerebrale.
Il rischio di sanguinamento può allontanare il medico e il paziente con fibrillazione atriale dal corretto utilizzo della terapia anticoagulante orale. La valutazione dei fattori di rischio di sanguinamento nel paziente con fibrillazione atriale, è pertanto utile sia per il paziente che per il medico, anche in considerazione del fatto che molti fattori di rischio di sanguinamento possono essere modificati. Modificare i fattori di rischio emorragico con opportune terapie o con la sostituzione di alcune terapie che interferiscono con la coagulazione consente al medico di prescrivere con maggiore sicurezza la terapia anticoagulante orale.
Per queste ragioni le linee guida 2016 per il trattamento della fibrillazione atriale, dopo aver analizzato numerosi studi scientifici, raccomandano di utilizzare uno schema che suddivide i fattori di rischio di sanguinamento in “modificabili” e “non modificabili”.

Rischi modificabili:
a) Ipertensione arteriosa non controllata con valori di pressione sistolica (massima) superiore a 160 mmHg
b) difficoltà a mantenere l’indice INR nei valori terapeutici (2-3)
c) Assunzione di terapia antiaggregante piastrinica e di FANS (farmaci anti infiammatori non steroidei)
d) Eccessivo uso di bevande alcoliche (superiore a otto bicchieri a settimana; l’alcol interferisce con il metabolismo epatico dei farmaci anticoagulanti orali rallentandone l’eliminazione)

Rischi potenzialmente modificabili:
a) Anemia
b) Insufficienza renale
c) Insufficienza epatica
d) Riduzione del numero e della funzione delle piastrine.

Rischi non modificabili:
a) Età
b) Storia clinica di sanguinamenti maggiori
c) Precedente ictus emorragico
d) Dialisi o trapianto renale
e) Cirrosi epatica
f) Tumori maligni
g) Fattori genetici

La vautazione dei fattori di rischio di sanguinamento può essere supportata dal dosaggio nel sangue di alcuni marcatori biologici:
a) troponina ad alta sensibilità (la troponina da molti anni viene dosata nel sangue per la diagnosi precoce di infarto del miocardio essendo il marcatore più specifico e quello che dura più a lungo. L’esame della troponina ad alta sensibilità misura la stessa proteina e ne rileva una quantità molto bassa)
b) GDF-15 (fattore di differenziazione della crescita) (citochina rilasciata in caso di ischemia o aumento di pressione intracardiaca)
c) creatinina serica e clearance della creatinina (esami che consentono lo studio della funzionalità renale)
d) peptide natriuretico (in corso di studio)

Sono da considerare anche tra i fattori di rischio di sanguinamento l’eccessivo rischio di traumi e le malattie neuropsichiatriche.

Raccomandazioni per limitare il sanguinamento in pazienti con fibrillazione atriale in terapia anticoagulante orale:
a) Sospensione della terapia anticoagulante orale in corso di grave emorragia in atto fino a che non si risolvono le cause del sanguinamento
b) Adeguare o iniziare la terapia dell’ipertensione arteriosa
c) Se si usa il dabigratan come anticoagulante orale si può ridurre la dose nei pazienti con più di 75 anni
d) Nei pazienti ad alto rischio di sanguinamento gastrointestinale, anticoagulanti vitamina K dipendenti o altro anticoagulante non vitamina K dipendente dovrebbe essere preferito al dabigratan, al rivaroxabane all’edoxaban
e) Consigli e trattamento per evitare l’eccesso di alcol devono essere considerati in tutti pazienti con fibrillazione atriale in terapia con anticoagulanti orali
f) Raccomandazioni dietetiche nei pazienti che assumono anticoagulanti vitamina K dipendenti (alcuni alimenti possono influenzare l’attività anticoagulante di questo tipo di farmaci)
g) Valutazione di farmaci per patologie intercorrenti da parte del medico
h) Dopo sanguinamento, in tutti i pazienti dovrebbe essere presa in considerazione la ripresa della terapia anticoagulante orale da un team di medici esperti multidisciplinare.
i) La maggior parte degli interventi cardiovascolari (coronarografia o impianto di pacemaker) può essere eseguita con sicurezza in corso di terapia anticoagulante orale
l) L’interruzione della terapia anticoagulante orale e la sostituzione temporanea con eparina (bridging) è utile nei pazienti con fibrillazione atriale e protesi valvolare
m) L’interruzione della terapia anticoagulante orale deve essere minimizzata per prevenire l’ictus

Terapia combinata di anticoagulanti orali e antiaggreganti piastrinici in pazienti selezionati:
a) La combinazione di queste terapie deve essere effettuata da specialisti
b) Può essere utilizzata per un mese la tripla terapia con acido acetilsalicilico, clopidogrel e anticoagulanti orali nei pazienti con fibrillazione atriale dopo stent coronarico (dispositivo meccanico dilatatore delle coronarie) per prevenire ictus e attacchi ischemici transitori (TIA, transient ischemic attack)
c) Dopo sindrome coronarica acuta con impianto di stent, la tripla terapia può essere considerata per periodi fino a sei mesi
d) Dopo sindrome coronarica acuta senza stent la doppia terapia anticoagulante – anticoagulanti orali più acido acetilsalicilico oppure anticoagulanti orali più clopidogrel – dovrebbe essere continuata fino a 12 mesi
e) La doppia e la tripla terapia devono essere limitati a brevi periodi dopo valutazione di rischi e benefici

Per ridurre il rischio di emorragia le Linee guida ESC 2016 suggeriscono i seguenti trattamenti in tutti i pazienti con emorragia in atto (Kirchhof et al., 2016):
a) Tamponare l’emorragia meccanicamente quando possibile
b) Valutare e mettere sotto controllo lo stato emodinamico, la pressione arteriosa, i parametri della coagulazione, l’emocromo, la funzione renale
c) Nelle emorragie gravi valutare la somministrazione di antidoti e, se non disponibili, somministrare concentrati del complesso protrombinico o plasma fresco o piastrine se necessario, fluidoterapia, trasfusione di sangue e trattare le cause (es. gastroscopia)
d) Valutare la ripresa della terapia anticoagulante da parte di specialisti esperti

Chirurgia della fibrillazione atriale 
Il trattamento chirurgico della fibrillazione atriale si attua tramite l’ablazione, tecnica interventistica che mira a isolare, inattivare e/o distruggere le fibre situate tra l’atrio sinistro e l’interno delle vene polmonari dotate di attività elettrica anomala, rapida e irregolare, che innescano la fibrillazione atriale. La tecnica prevede il riscaldamento o il raffreddamento delle fibre anomale raggiunte da un catetere o tramite intervento cardiochirurgico. Si procede ad ablazione con corrente alternata ad alta frequenza per il riscaldamento o ad ablazione con palloncino (cryoballoon) per la refrigerazione.
L’ablazione con catetere nella fibrillazione atriale è utilizzata per il ripristino e il mantenimento del ritmo sinusale. La decisione di intervenire con l’ablazione dipende dal tipo di fibrillazione atriale e viene valutata in centri specializzati.

Pazienti selezionati possono trarre vantaggio dall’ablazione del nodo atrio-ventricolare o del fascio di His, per ottenere il controllo della frequenza cardiaca. L’intervento è definitivo ed è preceduto dall’impianto di un pacemaker; si utilizza più frequentemente l’ablazione transcatetere con radiofrequenza come fonte di energia (Linee guida ESC 2010) (European Heart Rhythm Association et al., 2010). Con questa tecnica vengono bloccati gli impulsi elettrici a frequenza elevata che provengono dagli atri mentre i ventricoli continuano a contrarsi (anche dai ventricoli si possono generare impulsi efficienti, la cui frequenza però è troppo bassa). Per consentire una frequenza ventricolare valida deve essere impiantato in precedenza un pacemaker. La procedura è irreversibile.

L’escissione chirurgica e l’occlusione chirurgica per via transfemorale sono interventi orientati a proteggere il paziente con fibrillazione atriale che non può assumere anticoagulanti orali per la protezione dall’ictus e i pazienti che hanno presentato ictus nonostante la terapia anticoagulante.
Questi interventi devono essere ulteriormente studiati perché potrebbero aumentare il rischio di ictus per incompleta chiusura dell’auricola sinistra (piccola struttura di forma variabile che comunica con l’atrio sinistro da cui possono originare trombi causa di ictus in pazienti con fibrillazione atriale) (Linee guida ESC 2016) (Kirchhof et al., 2016).

Pazienti particolari con fibrillazione atriale 
I pazienti con sindrome di Wolff-Parkinson-White e con altre forme di preeccittazione ventricolare presentano vie accessorie anomale di conduzione elettrica. In questi pazienti sono controindicati i farmaci digoxina, verapamil e diltiazem (Manolis, Estes, 1987) e deve essere usato con cautela l’amiodarone endovena per la possibilità di ritmi accelerati e fibrillazione ventricolare (Simonian et al., 2010).
Possono essere utilizzati endovena procainamide, propafenone e ajmalina per ridurre la frequenza cardiaca ventricolare (Boahene et al, 1990; O’Nunain et al., 1991).
Nei pazienti con via accessoria si raccomanda l’ablazione transcatetere della via accessoria quando documentabile (Tischenko et al., 2008).

Altre situazioni specifiche quali pazienti anziani, pazienti con una cardiomiopatia ipertrofica, canalopatie, cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro, sportivi, donne in gravidanza, pazienti che hanno subito o devono subire interventi chirurgici, pazienti con cardiopatie congenite, pazienti con insufficienza respiratoria, con insufficienza renale, devono essere esaminati in centri specializzati per le loro specificità.

Farmaci nella fibrillazione atriale 
Anticoagulanti orali antagonisti della vitamina K

  • Acenocumarolo (Sintrom)
  • Warfarin (Coumadin)

Anticoagulanti orali non antagonisti della vitamina K

  • Apixaban (Eliquis)
  • Dabigratan etexilato (Pradaxa)
  • Edoxaban (Lixiana)
  • Rivaroxaban (Xarelto)

Antidoti

  • Antidoto anticoagulanti orali vitamina K dipendenti (Vitamina K)
  • Antidoto Dabigratan: Idarucizumab (Praxbind)

Antiaritmici

  • Amiodarone (AmiodaroneAmiodarCordarone)
  • Idrochinidina (Idrochinidina Lirca, Idrochinidina Ritardo Lircaps)
  • Disopiramide (Ritmodan)
  • Dofetilide (Tikosyn)
  • Dronedarone (Multaq)
  • Flecainide (Almarytm, Flecainide, Fleiderina, Frequil)
  • Ibutilide (Corvert)
  • Procainamide (Procainamide Cloridrato)
  • Propafenone (Propafenone, Rytmonorm)
  • Vernakalant (Brinavess)

Betabloccanti

  • Bisoprololo (Bisoprololo, Cardicor, Concor, Congescor, Lodoz, Pluscor, Sequacor)
  • Carvedilolo (Acarden, Caravel, Carvedilolo, Carvipress, Colver, Curcix, Dilatrend, Omeria, Trakor)
  • Esmololo (Brevibloc, Brevinti)
  • Metoprololo (Lopresor, Metoprololo, Seloken)
  • Nebivololo (Lobivon, Nebilox, Nebiscon, Nebivololo, Nobistar)

Calcio antagonisti non diidropiridinici

  • Diltiazem (Altiazem, Angizem, Diladel, diltiazem, Dilzene, Tildiem)
  • Verapamil (Verapamil, Isoptin)

Digitalici

  • Digossina o digoxina (Eudigox, Lanoxin)
  • Metildigossina (Lanitop)

Altri

  • Atropina solfato

FONTE Pharmamedix

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Sindrome di Wolff-Parkinson-White: cos’è, cosa fare, come si cura

DOTT. EMILIO ALESSIO LOIACONO MEDICO CHIRURGO PSICHIATRIA MEDICINA DIPENDENZE DIRETTORE MEDICINA ONLINE SINDROME DI WOLFF PARKINSON WHITE CUORE WPW IMPULSO ELETTRICO ELETTROCARDIOGRAMMA CARDIOLOGO ONDA DELTALa Sindrome di Wolff Parkinson White (WPW, in lingua inglese “Wolff–Parkinson–White Syndrome”) è una patologia caratterizzata da anomala conduzione dell’impulso elettrico cardiaco e determinata dalla presenza di uno o più fasci atrio-ventricolari accessori, che possono dare origine ad episodi di tachicardia sporadica. La malattia, ad eziologia ancora non del tutto chiara, colpisce una persona su 450; nel 70% dei casi interessa i maschi, specie in giovane età, e può presentarsi sia in forma sporadica che famigliare ed essere silente dal punto di vista sintomatico. I neonati da genitori con la sindrome di WPW possono essere a maggior rischio di sviluppare la malattia come pure i neonati con altri difetti cardiaci congeniti. I pazienti con sindrome di WPW spesso hanno più di una via accessoria, ed in alcuni possono essere anche più di otto; questo è stato dimostrato in soggetti affetti dall’anomalia di Ebstein. La sindrome di WPW è talora associata alla neuropatia ottica ereditaria di Leber (LHON),una forma di malattia mitocondriale.

Fisiopatologia

In condizioni normali la conduzione dell’impulso elettrico dagli atrii ai ventricoli del cuore percorre una via costituita dal nodo atrio-ventricolare e fascio di His. Il nodo atrio-ventricolare ha caratteristiche elettrofisiologiche di velocità di conduzione e tempo di refrattarietà tali da costituire un filtro in grado di proteggere i ventricoli dalla conduzione di impulsi atriali troppo rapidi e potenzialmente pericolosi. In alcuni casi esistono vie di conduzione dette accessorie (VA) tra atrii e ventricoli che possono essere localizzate in vari siti degli anelli valvolari tricuspidalico e mitralico. Per le loro caratteristiche elettrofisiologiche, simili alle cellule del muscolo cardiaco comune, queste vie accessorie non svolgono la funzione di filtro tipica del nodo atrioventricolare, e in certi casi possono condurre gli impulsi ai ventricoli a frequenze molto elevate. Durante il ritmo sinusale una via accessoria si manifesta all’elettrocardiogramma con la pre-eccitazione ventricolare e la presenza di un’onda “delta”: la conduzione attraverso la via accessoria non subisce un rallentamento come all’interno del nodo atrioventricolare e l’intervallo PQ dell’elettrocardiogramma (che rappresenta appunto il percorso dell’impulso elettrico dagli atrii ai ventricoli) è più breve del normale (pre-eccitazione). Inoltre l’estremità ventricolare della via accessoria si inserisce nel muscolo cardiaco comune anziché essere in continuità con il sistema specializzato di conduzione: per questo motivo la depolarizzazione di una parte dei ventricoli avviene più lentamente, e si traduce in un aspetto elettrocardiografico detto onda “delta”. Se la presenza di una via accessoria si associa a episodi di palpitazione si parla di Sindrome di Wolff-Parkinson-White. Le palpitazioni possono dipendere da “aritmie da rientro“, ossia determinate da un corto circuito in cui l’impulso generalmente raggiunge i ventricoli attraverso il nodo atrioventricolare e rientra negli atrii attraverso la via accessoria percorsa in senso inverso. L’aritmia si perpetua fino a quando una delle due vie (nodo o via accessoria) non è più in grado di condurre. In alcuni casi meno frequenti il circuito è percorso all’inverso, ossia la via accessoria è utilizzata nel senso dagli atrii ai ventricoli, mentre l’impulso rientra agli atrii attraverso il fascio di His e il nodo atrioventricolare. In altri casi la via accessoria non partecipa direttamente al meccanismo che perpetua l’aritmia, ma può contribuire alla conduzione ai ventricoli di aritmie degli atrii (fibrillazione atriale/flutter atriale/tachicardia atriale). Se le capacità di conduzione della VA sono molto elevate (breve tempo di refrattarietà) la frequenza ventricolare risultante può essere molto rapida (> 250 battiti al minuto) e mettere a rischio di aritmie ventricolari rapide e di arresto cardiaco.

Sintomi di Wolff-Parkinson-White

Clinicamente tale sindrome si può manifestare con fibrillazione atriale e palpitazioni secondarie alle sopra citate aritmie da rientro. Non è raro che sia totalmente asintomatica e che venga scoperta durante un elettrocardiogramma eseguito per altri motivi, ad esempio in una visita di medicina sportiva.

Diagnosi di Wolff-Parkinson-White

La diagnosi di sindrome di WPW è clinica ma soprattutto si avvale dell’elettrocadiogramma, che può scovarla anche in un soggetto asintomatico: in questi casi si manifesta come un’onda delta, che corrisponde all’ampliamento della fase di ascesa del complesso QRS associato all’accorciamento dell’intervallo PR. Tutto questo è dovuto al fluire dell’impulso elettrico attraverso la via accessoria piuttosto che attraverso il nodo atrio-ventricolare.
Se il paziente accusa episodi di fibrillazione atriale, l’ECG mostra una tachicardia rapida polimorfica (senza torsione di punta). Questa combinazione di fibrillazione atriale e sindrome di WPW è considerata pericolosa, e molti farmaci antiaritmici sono controindicati.
Quando un soggetto è in normale ritmo sinusale le caratteristiche della sindrome di WPW sono un intervallo PR corto, uno slargamento del complesso QRS (più di 120msec in lunghezza) con ampliamento della fase di ascesa del QRS stesso, e cambiamenti della ripolarizzazione che si riflettono in alterazioni del tratto ST e dell’onda T.
In soggetti affetti l’attività elettrica che inizia nel nodo seno-atriale passa attraverso il fascio accessorio tanto bene quanto nel nodo atrio-ventricolare. Poiché il fascio accessorio non blocca l’impulso quanto il nodo, i ventricoli vengono attivati da questo, e subito dopo dal nodo. Questo causa le alterazioni ECG sopra descritte.

Altra tecnica di diagnosi è lo studio elettrofisiologico: per questo esame, il medico inserisce un catetere sottile e flessibile, dotato di elettrodi all’estremità, attraverso i vasi sanguigni fino a raggiungere diverse parti del cuore dove sono in grado di mappare gli impulsi elettrici.

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Trattamenti di Wolff-Parkinson-White

Il trattamento degli episodi acuti di aritmie da rientro nella Sindrome di WPW si avvale di farmaci che agiscono bloccando la conduzione attraverso il nodo atrioventricolare, interrompendo uno dei bracci dell’aritmia. Questi farmaci sono invece da evitare in caso di fibrillazione atriale condotta rapidamente attraverso la via accessoria, poiché possono in certi casi aumentare la frequenza di conduzione ai ventricoli attraverso la via accessoria.
In presenza di pre-eccitazione ventricolare e indipendentemente dalla presenza di sintomi aritmici è raccomandato sottoporsi a studio elettrofisiologico per indagare le capacità conduttive della via accessoria e la inducibilità di aritmie. Se la via accessoria ha capacità conduttive elevate con un rischio di frequenze ventricolari elevate durante eventuali episodi di fibrillazione atriale, o in presenza sintomi e di aritmie da rientro, è indicato procedere alla ablazione della via accessoria.
Lo studio elettrofisiologico è in grado di identificare la sede della via accessoria, da cui dipenderà l’approccio utilizzato per l’ablazione: in presenza di una via situata nelle sezioni destre del cuore l’accesso è generalmente dalla vena femorale destra.
Per le vie sinistre saranno possibili un accesso venoso e successiva puntura transettale per passare dall’atrio destro all’atrio sinistro, oppure un approccio “retrogrado” attraverso le arterie femorale e aorta. L’energia utilizzata per l’ablazione è generalmente la radiofrequenza. Dopo un’ablazione efficace saranno prevenuti episodi di aritmia da rientro attraverso la via accessoria e all’elettrocardiogramma non sarà più visibile l’onda delta. L’efficacia a lungo termine dell’ablazione è in genere molto elevata e supera il 95%.
Dopo un’ablazione efficace e in assenza di altri tipi di aritmia o di cardiopatia, non è necessaria alcuna terapia farmacologica.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine

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