Morte in culla: cause, sintomi, incidenza, come evitarla

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma COLICHE NEONATI RIMEDI Riabilitazione Nutrizionista Medicina Estetica Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari Linfodrenaggio Pene Vagina GluteiE’ la paura che ogni neo-genitore nutre, quando apprende dell’esistenza di una simile sindrome, eppure la morte in culla (nota anche come Sindrome della morte improvvisa del neonato, SIDS) è tra le prime cause di decesso tra i neonati. Una sindrome di cui oggi si conoscono meglio le cause, grazie a uno studio pubblicato dall’autorevole rivista Pediatrics.

Lo studio sulle cause

I ricercatori del Boston Children’s Hospital hanno analizzato campioni del cervello di 71 bambini morti per presunta Sids tra il 1995 e il 2008, sia messi a dormire in condizioni considerate poco sicure sia in posizioni sicure. Nei bimbi sono state riscontrate alterazioni nei livelli di alcuni neurotrasmettitori, dalla serotonina ai cosidetti recettori gaba. “Queste sostanze controllano respirazione, ritmo cardiaco, pressione e temperatura – spiegano gli autori di questa pubblicazione importantissima – e in questo caso impediscono ai bambini di svegliarsi se respirano troppa anidride carbonica o il corpo diventa troppo caldo. Le regole per una corretta messa a letto restano quindi fondamentali, per evitare di mettere i bimbi in situazioni a rischio asfissia da cui non sono in grado di difendersi”. Una notizia che, grazie alla grande generosità di questi ricercatori e dei genitori di questi neonati, segna un notevole passo avanti nella prevenzione di questa sindrome poste le linee guida suggerite per ridurne l’incidenza.

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Incidenza della morte in culla
Non esistono dati nazionali – si apprende consultando il sito ufficiale del dicastero – sull’incidenza del fenomeno, mancando un sistema di rilevazione omogeneo; in Italia, in passato, è stata calcolata nell’ordine del 1-1,5% dei nati vivi, ma è attualmente in netto declino per la maggior attenzione nel coricare i neonati in posizione supina. Ora è stimabile attorno allo 0,5%, ovvero 250 nuovi casi SIDS/anno. Il picco è fra i 2 e 4 mesi di età, soprattutto nel periodo invernale; è più rara dopo i 6 mesi, eccezionale nel primo mese. La prevenzione della SIDS si pone come una assoluta priorità nella salute pubblica.

Morte in culla: sintomi e segni

Le vittime della morte in culla sono bambini sani che non mostrano nessun segno di malattia. Alcuni bambini mostrano dei sintomi qualche giorno prima della morte ed è consigliabile una comunicazione costante col pediatra sulla salute del bambino. Tra questi sintomi ci sono tosse, sibili, vomito, diarrea e scarso appetito. I bambini possono sembrare irrequieti o irritabili o apparire pallidi e svogliati. Progressivamente la pelle del bambino assume un colorito bluastro, le mani e i piedi si raffreddano e sopraggiungono difficoltà respiratorie. Internamente i polmoni e il canale respiratorio diventano gonfi e infiammati. L’acqua e il sangue si depositano nei polmoni e i vasi che collegano i polmoni al flusso sanguigno sono soggetti a spasmi.

Come evitare la morte in culla del neonato o del lattante?

Vi riportiamo di seguito le principali linee guida, l’adozione di queste regole, nei Paesi in cui sono state diffuse attraverso campagne di informazione di massa in larga parte di matrice governativa, hanno comportato una riduzione della percentuale di casi.

  • Il piccolo deve essere messo a dormire in posizione supina, a pancia in su sin dai primi giorni di vita nella propria culletta, preferibilmente nella stanza dei genitori;
  • l’ambiente non deve essere troppo caldo con una temperatura attorno ai 20 gradi, da evitare l’eccesso di vestiti e coperte troppo pesanti;
  • il materasso deve essere della misura esatta della culla e non troppo soffice; no a peluche, paracolpi, giocattoli e altri oggetti in prossimità del bimbo;
  • i piedini devono toccare il fondo della culla o del lettino;
  • da evitare anche la condivione del letto con i genitori;
  • l’ambiente deve essere libero da fumi;
  • l’uso del ciuccio durante il sonno, raccomandato in alcuni Stati, è da consigliarsi solo dopo il mese di vita.

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Torcicollo miogeno congenito: sintomi, diagnosi e trattamenti

Mother interacting with baby girl at home.Con “torcicollo miogeno congenito” o “miotenogeno” si intende una contrattura unilaterale del muscolo sternocleidomastoideo, presente alla nascita, che determina una deformità asimmetrica del capo e del collo con il capo ruotato e inclinato verso il lato della lesione e il mento inclinato verso il lato opposto.

Quanto è diffuso il torcicollo miogeno congenito?
Rappresenta il più comune tra i disturbi muscolo-scheletrici dell’infanzia, con un’incidenza di 0,0084-3,92% dei neonati. Il lato colpito con maggiore frequenza è il destro; la lesione colpisce indifferentemente il sesso maschile ed il femminile, con una lieve prevalenza di quest’ultimo. L’ereditarietà della lesione è dimostrabile solo attraverso un numero esiguo di casi, ma indubbiamente vi è una certa familiarità; a volte il torcicollo miogeno congenito si accompagna ad altre deformità congenite, quali piede torto congenito, displasia congenita dell’anca, labbro leporino, deformità del viso e dell’orecchio.

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Cause e patogenesi del torcicollo miogeno congenito
Il torcicollo miogeno congenito è dovuto alla presenza di tessuto fibroso all’interno del muscolo con conseguente contrattura e accorciamento dello stesso.
La patogenesi non è ancora nota, ma esistono diverse teorie:

  • Teoria traumatica, che è quella che ha avuto un maggior numero di approvazioni tra gli studiosi, fa derivare la lesione da un trauma, che, durante un parto distocico per presentazione podalica o per necessità di applicazione di forcipe, verrebbe ad agire sul muscolo sterno-cleido-mastoideo, determinando spesso la formazione di un ematoma, che si osserva alla nascita sotto forma di una tumefazione a grande asse obliquo e che fa corpo con la parte inferiore del muscolo, di consistenza piuttosto dura (induratio musculi) e che regredisce fino a scomparire nello spazio di qualche settimana. Tutta via i limiti di questa teoria sono rappresentati dal fatto che non tutti gli ematomi ed i traumi dello sterno-cleido-mastoideo sono seguiti da torcicollo. La teoria del trauma, che agirebbe indirettamente a mezzo di uno stiramento del nervo accessorio, invece ha avuto conferma sperimentale.
  • Teoria dell’origine endouterina, secondo la quale il torcicollo miogeno congenito sarebbe dovuto ad una posizione viziosa, assunta dal feto nell’utero, determinatasi per cause meccaniche, come per esempio per briglie amniotiche, per oligoidramnios, per utero bicorne, per utero deformato da tumore. A sostegno di questa teoria vi sono i casi di torcicollo già costituiti alla nascita, ed anche la concomitanza di altre lesioni congenite.
  • Teoria dell’origine embrionale, che farebbe dipendere il torcicollo da un abbozzo anormale del muscolo (vizio di prima formazione), che secondo alcuni dipenderebbe da una lesione di un centro nervoso superiore.
  • Teoria dell’origine ischemica, secondo la quale la patogenesi del torcicollo miogeno congenito viene accostata a quella della paralisi ischemica del Volkmann; si tratterebbe di un disturbo di nutrizione del muscolo sterno-cleido-mastoideo, il quale verrebbe a trovarsi in preda ad una miosite interstiziale. Poiché oggi è certo che la miosite interstiziale è causata da uno stravaso siero ematico che, infiltrandosi tra fibra e fibra muscolare, consente la successiva proliferazione di elementi connettivali con conseguente retrazione dello stesso muscolo. Quindi sia la retrazione ischemica di Volkmann sia il torcicollo congenito sono di origine traumatica. Tale teoria si ricollega a quanto abbiamo ora detto, ed è basata su accurate ricerche anatomiche le quali hanno messo in evidenza che mentre il tratto superiore dello sterno-cleido-mastoideo è abbondantemente irrorato, quelli medio ed inferiore sono irrorato da arterie che presentano scarse anastomosi. Può accadere che, o per una posizione troppo inclinata della testa, nella vita intrauterina, o per il meccanismo del parto, si produca una compressione della suddetta arteria nel punto nel quale passa al di sotto del muscolo; di conseguenza si avrebbe obliterazione del lume vasale, stravaso siero-ematico, miosite interstiziale e degenerazione fibrosa, come succede nella paralisi ischemica del Volkmann.
  • Teoria infiammatoria, in base alla quale il torcicollo sarebbe dovuto ad una miosite interstiziale infiammatoria: l’infezione potrebbe svilupparsi sia nella vita fetale sia per trauma durante il parto. Il trauma genererebbe il locus minoris resistentiae, e pertanto l’infezione per via ematogena proveniente dalla cute, dal rino-faringe o dall’intestino andrebbe a localizzarsi nel muscolo.

Sintomi e semeiotica del torcicollo miogeno congenito
All’esame obiettivo il capo del bambino appare inclinato verso il lato affetto con il mento che ruota verso il lato opposto. Nel 90% dei casi è presente asimmetria del cranio o plagiocefalia, per l’appiattimento delle bozze frontale e parietale omolateralmente, a causa della posizione assunta dal bambino mentre dorme; asimmetria del viso (plagioprosopia) con linea oculare e labiale oblique e linea mediana del viso concava verso il lato della lesione (scoliosi facciale) con vari gradi di dislocazione di occhio, orecchio e bocca dal lato affetto; talvolta si associa ipoplasia della mandibola.
Sia all’ispezione che alla palpazione, si nota una retrazione, più o meno spiccata del muscolo sternocleidomastoideo destro o sinistro.
La spalla del lato affetto è sollevata con frequente associazione di scoliosi cervicale o cervico-dorsale con concavità omolaterale alla retrazione, con o senza curva di compensazione.
In molti casi si può palpare una tumefazione non dolente nel muscolo coinvolto che col tempo tenderà a scomparire. Sulla base di tale riscontro Macdonald distingue i casi torcicollo congenito miogeno in cui è palpabile una massa nell’ambito dello sternocleidomastoideo da quelli che presentano soltanto la rigidità muscolare.
L’articolarità e i movimenti cervicali attivi e passivi sono ridotti a causa della contrattura dello sternocleidomastoideo. Con adeguate manovre passive si riesce ad apprezzare una tensione più accentuata o del capo tendineo sternale o di quello clavicolare.

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Diagnosi del torcicollo miogeno congenito
La diagnosi è clinica, sebbene l’utilizzo dell’imaging radiografico ed ecografico può venire in aiuto nei casi più complessi.
Prima di sottoporre il bambino a qualsiasi trattamento bisogna identificarlo in uno dei seguenti profili clinici:

  1. Tumefazione dello sternocleidomastoideo che spesso assume i caratteri di “un’oliva”
  2. Torcicollo muscolare (ispessimento e retrazione del muscolo sternocleidomastoideo)
  3. Torcicollo posturale (senza tumefazione o retrazione del muscolo sternocleidomastoideo.

Di solito i pazienti dei primi due tipi sono i più adatti a ricevere una terapia chirurgica.
All’esame clinico viene valutato l’arco di movimento del collo mediante rapportatore artrodiale, per le misure della rotazione cervicale, della flessione laterale della testa e della flessione cervicale antero-posteriore. ll bambino viene messo in posizione supina con spalla bloccata e testa e collo supportati dall’esaminatore, in modo tale che la testa sia libera di muoversi in tutte le direzioni. Il range di movimento passivo del collo viene misurato e comparato rispetto al controlaterale sano.

Le limitazioni del movimento passivo vengono classificate in 4 sottogruppi:
1) Nessuna limitazione al movimento passivo
2) Limitazione di 15°
3) Limitazione tra 16° e 30°
4) Limitazione di 30°
Per una valutazione finale di tutti i risultati si può utilizzare lo Score di Sheet, che valuta i deficit di movimento passivo, deficit di flessione laterale, asimmetria cranio-facciale inclinazione della testa, criteri soggettivi dei genitori (fattore cosmetico e funzionale) raggruppandoli in eccellenti, buoni, discreti, e scarsi.

Ecografia nel torcicollo miogeno congenito
In presenza di una massa palpabile, l’esame ecografico permette di differenziare un torcicollo muscolare congenito da quello di origine ossea o neurologica. Uno studio recente ha dimostrato che vi è una correlazione tra le caratteristiche ecografiche del muscolo sternocleidomastoideo e la gravità clinica del torcicollo miogeno congenito nei neonati e che anche nei pazienti con grave fibrosi grave del muscolo sternocleidomastoideo, un programma di fisioterapia precoce ed intensivo con regolari controlli sembra essere una buona strategia di trattamento. Si consiglia invece un accurato studio radiografico del rachide cervicale nei casi di fallimento della terapia fisica e nei casi di deformità cliniche atipiche.

RX, TAC ed RM nel torcicollo miogeno congenito
L’esame radiografico consiste in una proiezione frontale e laterale della colonna cervicale posizionando, come possibile, in maniera dritta, la testa ed il collo del bambino. Come dimostrato da Snyder e Coley in un recente studio, il quadro radiografico del rachide cervicale nel piccolo paziente, purtroppo, è spesso di difficile interpretazione e può dare molti casi di falsi positivi. Questa situazione, oltre ad accrescere l’ansia dei genitori porta a sottoporre il piccolo ad ulteriori esami quali la risonanza magnetica e la tomografia computerizzata. Per la risonanza magnetica di solito si deve effettuare una sedazione con le possibili complicanze a cui può andare incontro il bambino. La TAC espone il paziente a radiazioni ionizzanti che potrebbero incrementare il rischio di sviluppare un carcinoma in futuro. Per questo motivo, nella maggioranza dei pazienti in cui il quadro radiografico è normale (esclusione anormalità ossee) non si richiedono ulteriori esami di conferma.

Diagnosi differenziale
La diagnosi differenziale si pone con il torcicollo osseo, cioè quello dovuto ad una malformazione congenita del rachide cervicale (emispondilia, sinostosi atlo-occipitale, sinostosi di più vertebre come nella sindrome di Klippel-Feil); e con le forme sintomatiche di torcicollo (oculare, neurologico, infettivo, “ a frigore”, tumorale e traumatico).

Prognosi
La maggior parte dei bambini affetti da torcicollo muscolare congenito (CMT) va incontro a risoluzione completa mediante trattamento fisioterapico. La diagnosi fatta in giovane età e le lievi deformità in rotazione o in flessione laterale hanno mostrato di influenzare positivamente i risultati e la durata del trattamento nella maggior parte degli studi. I risultati variano in base alla presenza o meno della massa a livello dello sternocleidomastoideo. Anche nel caso in cui il bambino richieda un intervento chirurgico, la maggior parte degli studi hanno dimostrato un buon risultato nel follow-up a lungo termine. Uno studio condotto su pazienti di età compresa tra 2 a 13 anni affetti da torcicollo muscolare congenito, trattati chirurgicamente hanno mostrato ottimi risultati nel 88% dei casi. Il fattore più importante condizionante la prognosi era l’età al momento dell’operazione: ottimi risultati sono stati ottenuti in tutti i bambini di età inferiore ai 3 anni. Nei casi in cui avvenga una cronicizzazione della patologia per mancata diagnosi o adeguato trattamento, si può verificare intorpidimento e formicolio a livello delle radici nervose compresse nella regione del collo.
Il muscolo stesso può diventare ipertrofico a causa della continua stimolazione ed esercizio fisico. Le iniezioni di tossina botulinica, spesso, forniscono un sollievo sostanziale.

Trattamento
Obiettivo del trattamento del torcicollo congenito è l’allungamento del muscolo sternocleidomastoideo accorciato. Nei neonati e nei bambini piccoli, ciò si ottiene con lo stretching passivo, cioè tentando una correzione con delicate manipolazioni in senso contrario alla deformità (inclinando il capo verso la spalla dal lato opposto a quello della lesione e ruotando il mento verso la spalla dal lato leso). Gli esercizi debbono essere eseguiti cautamente e ripetuti più volte nell’arco della giornata. Tali trattamenti hanno spesso successo, soprattutto se iniziati entro 3 mesi dalla nascita. Dopo si deve approntare una terapia posturale, mettendo il bambino nella culla in maniera tale da arrestare la deformità del cranio (posizione prona con testa rivolta verso il lato leso oppure di fianco dal lato leso in modo tale che il cuscino distenda il muscolo), stimolare il bambino a girare attivamente la testa dal lato leso mediante luci e giochi posti da quella parte, e tenerlo in braccio lasciando cadere in reclinazione la testa, per permettere al muscolo colpito di stirarsi per gravità.
L’intervento chirurgico per correggere l’accorciamento del muscolo, può essere fatto dopo il primo anno d’età, se altri metodi di trattamento sono falliti. Si effettua una tenotomia bipolare attraverso una doppia incisione; una parasternale per resecare i capi sternale e claveare e una più piccola paramastoidea per il capo mastoideo. Successivamente all’intervento viene confezionato una minerva gessata(gesso a diadema), atteggiando il capo in ipercorrezione, per evitare che aderenze cicatriziali riproducano la deformità. L’apparecchio gessato sarà quindi sostituito con un tutore ortopedico che, mantenendo la correzione, consentirà esercizi attivi di rieducazione motoria e cicli di fisiochinesiterapia. I risultati migliori si hanno quando il paziente viene operato prima dei 6 anni di età e più in generale si può affermare che , essi sono inversamente proporzionali rispetto al tempo intercorso tra l’esordio della deformità e l’intervento e l’entità della deformità stessa.

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Samuel Alexander Armas: la mano della speranza

MEDICINA ONLINE Samuel Alexander Armas la mano della speranza HAND OF OPE PIC PHOTO FOTO PICTURE.jpgLo statunitense Samuel Alexander Armas, nato il 2 dicembre 1999 a Villa Rica, Georgia (Stati Uniti), è diventato famoso prima ancora di venire al mondo, protagonista di un evento straordinario del quale lui non può ricordare assolutamente nulla. Il suo nome è sconosciuto a molti, ma la foto che ritrae la sua piccola manina mentre stringeva il dito del chirurgo che gli stava salvando la vita a sole 21 settimane di gestazione, ha fatto il giro del mondo attraverso internet. Quell’immagine è stata ribatezzata “Hand of Hope” (in italiano “La mano della speranza“), divenuta appunto un simbolo di speranza in tutto il mondo.

Una grave malformazione

La storia di Samuel inizia prima della sua nascita. Nel corso dei controlli effettuati durante la sua gravidanza, l’ostetrica Julie Armas, madre di Samuel, scopre che il feto è affetto da spina bifida, una grave malformazione della colonna vertebrale responsabile di disabilità motorie e funzionali che interessano soprattutto gli arti inferiori. Giunta alla 21° settimana di gestazione, la donna acconsentì a sottoporsi ad un intervento sì rivoluzionario ma molto rischioso: un chirurgo avrebbe corretto la spina bifida di Samuel Armas mentre era ancora nella pancia di sua madre.

La foto durante l’intervento

L’intervento chirurgico fetale venne effettuato il 19 agosto del 1999 da un’equipe medica del Vanderbilt University Medical Center di Nashville, capitale dello Stato del Tennessee (Stati Uniti), diretta dal chirurgo Joseph Bruner. Durante l’intervento, la mano del feto si estese attraverso l’incisione chiruirgica ed afferrò il dito del chirurgo. Ad assistere all’intervento/evento in sala operatoria anche l’allora fotografo freelance Michael Clancy, che immortalò la foto che vedete in questo articolo, divenuta rapidamente famosa in tutto il mondo.

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
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Non riesco a rimanere incinta: e se la colpa fosse dell’uomo?

uomo-tristeIn passato quando una coppia non riusciva ad avere figli, si pensava subito che il problema dipendesse dalla donna e raramente il primo ad essere messo sul “banco degli imputati” era l’uomo. Ciò rappresenta un errore, dal momento che ben un terzo di tutte le infertilità dipendono dal partner maschile. Se si sospetta che l’infertilità dipenda dall’uomo si procederà con uno spermiogramma (analisi del liquido seminale), per analizzare la qualità degli spermatozoi, la mobilità e la forma. Inoltre si può anche effettuare un dosaggio ormonale del testosterone. Il liquido seminale consta di una parte cellulata (spermatozoi) e di una parte liquida; gli spermatozoi vengono prodotti a livello testicolare mentre la parte liquida deriva principalmente dall’attività della prostata e delle vescicole seminali. Il fattore determinante ai fini della fertilità è rappresentato dalle caratteristiche degli spermatozoi: questi ultimi devono essere in numero adeguato (più di 20 milioni per ml) e soprattutto devono essere dotati di corretta motilità; devono quindi avere una buona motilità rettilinea sia rapida che lenta.

Le soluzioni?
Se lo sperma dell’uomo si rivela “debole“ (non contiene molti spermatozoi oppure gli spermatozoi sono morfologicamente o funzionalmente alterati), la medicina può venirvi incontro. La qualità e la quantità degli spermatozoi possono essere influenzati da svariati fattori, alcuni dei quali possono essere risolti cambiando abitudini di vita errate, a tale proposito leggi anche:

In caso la qualità dello sperma non migliori, la coppia potrà ricorrere alla FIVET (Fertilizzazione In Vitro con Embryo Transfer): verrà prelevato uno degli ovuli della donna, che sarà poi fecondato in provetta da uno degli spermatozoi selezionati del tuo partner, spermatozoo che sarà comunque scelto accuratamente perché non deve presentare nessuna anomalia (questa tecnica è chiamata anche ICSI (Intracytoplasmatic Sperm Injection).

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Dott. Emilio Alessio Loiacono
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Non riesco a rimanere incinta: colpa dell’utero

Dott. Loiacono Emilio Alessio Medico Chirurgo Medicina Chirurgia Estetica Plastica Benessere Dietologo Nutrizionista Roma Cellulite Sessuologia Ecografie DermatologiaSmettere di fumare Dimagrire cavitazione gravidanzaProblemi all’utero possono condurre a problemi di infertilità, dal momento che esso permette all’embrione di svilupparsi. Durante questo processo l’utero si ricopre di una mucosa (l’endometrio) che permette all’embrione di annidarsi nell’utero.

Cos’è che può creare un problema?
A volte può essere presente una cisti all’utero che ostacola l’insediamento dell’embrione. Anche l’endometriosi (la presenza di parti di mucosa in aree inappropriate) può intralciare la fecondazione. Inoltre talvolta l’utero stesso presenta una malformazione che gli impedisce di preservare un ovulo fecondato.

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Gli esami
L’indagine diagnostica prevede l’uso di isteroscopia (si introduce un sondino attraverso la cavità uterina) oppure la videolaparochirurgia.

Le soluzioni
Il tuo ginecologo ti prescriverà innanzitutto una cura farmaceutica, se il tuo problema non risulta grave (una cisti che può riassorbirsi col tempo oppure un endometriosi superficiale). Spesso però un intervento chirurgico può rivelarsi la migliore soluzione per poter aver un figlio; altrimenti l’ultima soluzione possibile consiste in un ciclo di fecondazione assistita.

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Non riesco a rimanere incinta: colpa delle ovaie che non funzionano bene

Dott. Loiacono Emilio Alessio Medico Chirurgo Medicina Chirurgia Estetica Plastica Cavitazione Endocrino Dietologo Nutrizionista Roma Cellulite Sessuologia Ecografie DermatologiaPsicologia Gravidanza Extrauterina UteroLe ovaie hanno il compito di produrre ovuli che sono ovviamente – insieme agli spermatozoi maschili – di primaria importanza per il concepimento. Esistono due cause principali che possono ostacolare il loro corretto funzionamento e condurre a problemi di infertilità, esse sono:

  • un’insufficienza ormonale: un gran numero di ormoni (LH –ormone luteinizzante-, FSH -ormone follicolo-stimolante-, progesterone, estrogeni e altri ancora) influiscono sul funzionamento delle ovaie. Un disturbo nel funzionamento di uno qualsiasi di questi ormoni può diventare un ostacolo per il processo di ovulazione. Tramite il dosaggio ormonale (che si effettua attraverso un prelievo del sangue) si può individuare un eventuale malfunzionamento delle ovaie. Nella maggior parte dei casi, queste anomalie vengono trattate con semplici cure, attraverso l’assunzione di farmaci (per un periodo prestabilito) in grado di far funzionare correttamente il nostro organismo.
  • una cisti alle ovaie: individuata per mezzo di un’ecografia pelvica. La cisti alle ovaie è molto comune ma non sempre rappresenta un ostacolo per la riproduzione. Tuttavia è bene controllare i suoi possibili cambiamenti (grandezza e posizione) e molto spesso grazie a una semplice operazione la cisti può essere asportata velocemente, altrimenti in alcuni casi potrebbe condurre a infertilità.

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Non riesco a rimanere incinta: colpa di una infezione ginecologica

MEDICINA ONLINE Dott Emilio Alessio Loiacono Medico Chirurgo Roma 10 COSE NON SAI VAGINA ORGASMO CLITORIDE Riabilitazione Nutrizionista Infrarossi Accompagno Commissioni Cavitazione Radiofrequenza Ecografia Pulsata Macchie Capillari An PeneAlcune infezioni ginecologiche non sono facili da scovare perché non si percepiscono e possono condurre silenziosamente a problemi di infertilità. Altre hanno sintomi molto leggeri ai quali non prestiamo attenzione, quando invece dovremmo. Il batterio più difficile da individuare è probabilmente la Chlamydia: si trasmette attraverso rapporti sessuali non protetti (tra il 5 e il 20% delle donne ne sarebbe affetto) e spesso non si riscontrano sintomi. Questo germe è in grado di provocare un’infezione alle tube di Falloppio, tube che si presentano come dei canali percorsi dall’ovulo per raggiungere l’utero. Se si contrae il virus, le tube si possono ostruire e persino danneggiare, soprattutto se si tratta di un’infezione che si ha da tempo. Questo processo potrebbe impedire e ostacolare la fecondazione.

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Possibili rimedi:

  • una visita annuale dal medico è importante: lui ti chiarirà ogni dubbio e ti dirà con certezza se qualcosa non va.
  • Se l’infezione viene individuata in tempo, è prescritta una semplice cura farmacologica, spesso a base di antibiotici.

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Differenza tra infertilità e impotenza (disfunzione erettile)

Dott. Loiacono Emilio Alessio Medico Chirurgo Medicina Chirurgia Estetica Cavitazione Dietologo Roma Sessuologia Psicologia Eiaculazione precoce Erezione Smettere fumare Eiaculazione abbondante Sapore Sperma miglioreCon “infertilità” (in inglese “infertility”) si descrive quella condizione in cui una coppia, per cause relative ad uno o entrambi i partner, non riesce ad ottenere una gravidanza dopo un anno di rapporti costanti e senza protezione (profilattico o altri metodi anticoncezionali). Il termine infertilità, quindi, non si riferisce ad una condizione assoluta, bensì ad una situazione generalmente temporanea e risolvibile, legata ad uno o più fattori interferenti.

Il termine “impotenza” veniva usato in passato per indicare la patologia attualmente conosciuta come “disfunzione erettile” (in inglese “erectile dysfunction” o “impotence“). La disfunzione erettile corrisponde all’incapacità del soggetto di sesso maschile di raggiungere o mantenere un’erezione sufficiente a condurre un rapporto soddisfacente. Pur rappresentando un problema non indifferente per la vita di coppia, non necessariamente una disfunzione erettile determina una reale infertilità. E’ anche vero però che una assenza completa dell’erezione maschile, rende estremamente difficile la penetrazione e l’incapacità a deporre il seme in vagina può effettivamente condurre a infertilità.

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