L’emogasanalisi, spesso abbreviata con “emogas” è un esame ematico diagnostico che consiste nella rilevazione della quantità di ossigeno e di anidride carbonica presenti nel sangue arterioso e del pH del sangue. Esistono due diversi tipi di esame per emogasanalisi: quella venosa venosa e l’arteriosa. L’emogasanalisi arteriosa prevede che il sangue venga prelevato da una arteria. Il prelievo è più complesso da attuare per Continua a leggere
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Ipertensione polmonare: lieve, severa, terapia, aspettativa di vita
L’ipertensione polmonare è una condizione patologica in cui la pressione arteriosa media del circolo polmonare supera i 25 mmHg a riposo ed i 30 mmHg sotto sforzo. L’ipertensione polmonare può essere acuta o cronica. La forma acuta deriva quasi sempre da embolia polmonare o da sindrome da distress respiratorio. Quando si parla di “ipertensione Continua a leggere
Insufficienza polmonare lieve, severa, acuta: sintomi e cura
Con “insufficienza della valvola polmonare” o “insufficienza polmonare” (da cui l’acronimo “IP”) in cardiologia si intende un’incontinenza della valvola polmonare, cioè la valvola del cuore che permette il passaggio del sangue povero di ossigeno dal ventricolo destro all’arteria polmonare, il quale lo porterà ai polmoni Continua a leggere
Differenza tra taglio di vena, arteria e capillare
La fuoriuscita di sangue (emorragia) che si verifica in caso di lesione, è diversa in base a quattro fattori fondamentali:
- il calibro del vaso interessato: più il diametro del vaso è elevato e maggiore sarà il sangue perso nell’emorragia;
- la distanza dal cuore: in caso di lesione arteriosa sistemica, tanto più il taglio avviene in prossimità del cuore e tanto più velocemente il sangue verrà perso;
- tempo di intervento: maggiore è la velocità di intervento medico e minore è il sangue perso. Soprattutto in caso di lesioni di grosse arterie, agire in modo tempestivo è l’unico modo per salvare la vita al paziente;
- il tipo di vaso (arteria, vena o capillare), argomento di questo articolo.
Somatostatina: cos’è ed a cosa serve? Efficacia come farmaco antitumorale
La somatostatina è un ormone polipeptidico prodotto in varie zone dell’organismo e rilasciato nel circolo ematico in due forme biologicamente attive: una a 14 aminoacidi e l’altra a 28 aminoacidi, sintetizzate attraverso processi proteolitici a partire da precursori chiamati prepro-somatostatina e pro-somatostatina. I livelli di somatostatina aumentano con l’avanzare degli anni e proprio per tale motivo viene anche chiamato Continua a leggere
Glucagone: cos’è, a cosa serve, alto, adrenalina e diabete
Cos’è il glucagone?
Il glucagone è un ormone peptidico prodotto e secreto dalla porzione endocrina del pancreas, in particolare dalle cellule α delle isole di Langerhans presenti nel pancreas (le cellule β delle isole di Langerhans producono invece insulina). Il glucagone ha la principale funzione di innalzare il livello di glucosio nel sangue in caso di ipoglicemia, essenzialmente il contrario del compito dell’insulina (che invece abbassa la glicemia quando c’è un picco glicemico). Sebbene venga in genere considerato antagonista Continua a leggere
Linfedema a caviglie, gambe e braccia: cos’è e come si cura
Il linfedema è una condizione che si manifesta con un gonfiore e che può interessare il braccio, la gamba, la caviglia in particolare o altre parti del corpo. Colpisce prevalentemente (ma non esclusivamente) in modo monolaterale, cioè ad esempio una sola gamba piuttosto che entrambe. Da un punto di vista clinico, la presenza di liquidi stagnanti nei tessuti viene resa evidente dal segno della fovea (vedi foto in alto) che è rappresentato dal segno che rimane impresso nella cute dopo una pressione effettuata con un dito. Il sospetto di linfedema viene confermato successivamente da tecniche di diagnostica per immagini. La cura può essere sia medica che chirurgica.
Perché si verifica il linfedema?
Il linfedema si può verificare in varie condizioni come in caso di patologia dei linfonodi, di ostruzione al deflusso della linfa o quando i linfonodi sono asportati con un intervento chirurgico. Ciò causa uno squilibrio della circolazione linfatica, per cui la linfa, non potendo più defluire nell’arto interessato attraverso i vasi linfatici interrotti, ristagna nei tessuti, dando appunto luogo al linfedema. I pazienti affetti da alcuni tipi di tumore (mammella, melanoma, utero, prostata…) possono sviluppare un linfedema in conseguenza dell’asportazione chirurgica dei linfonodi, della radioterapia o dell’ostruzione delle vie e/o delle ghiandole linfatiche da parte di cellule tumorali.
Chi è più a rischio di sviluppare linfedema?
L’incidenza maggiore la si ha intorno alla metà della terza decade di età, esistono le forme precoci (se dovesse manifestarsi durante l’adolescenza o addirittura alla nascita) e tardive (se dovesse mostrarsi in seguito), il sesso femminile per il linfedema inferiore è il più colpito, per il resto non si mostrano differenze nei sessi. Mancano dati precisi sulla diffusione del linfedema primario ma la sua incidenza annuale è stimata intorno a 1,5/100.000 soggetti di età inferiore ai 20 anni.
Leggi anche: Segno della fovea in medicina: cos’è e cosa indica
Tipi di linfedema
Esistono due forme principali di linfedema:
- linfedema primario: causato da anomalie linfatiche congenite;
- linfedema secondario: causato da ostruzione al deflusso della linfa determinato da varie patologie.
Edema linfatico primario
Le forme primarie (non derivate) sono formate da anomalie congenite del sistema linfatico, queste possono essere di varia natura (morfologiche e funzionali)
- edema linfatico congenito, in tale forma si ritrova anche la malattia di Milroy;
- edema linfatico precoce;
- edema linfatico tardivo.
Il linfedema primario coinvolge prevalentemente, ma non esclusivamente, gli arti inferiori. Nonostante la causa sia una alterazione congenita delle vie linfatiche, l’edema è solo molto raramente presente sin dalla nascita. Nella maggior parte dei casi il suo esordio avviene entro i 35 anni (insorgenza precoce), con un picco di comparsa intorno ai 17 anni; non è rara tuttavia è la sua insorgenza dopo i 35 anni (insorgenza tardiva). Colpisce prevalentemente il sesso femminile (rapporto femmine:maschi, 7:1) e coinvolge nella metà dei casi un solo arto mentre un interessamento bilaterale è riscontrabile soltanto nel 25% dei casi.
Leggi anche: Sistema linfatico e linfonodi: anatomia e funzioni in sintesi
Edema linfatico secondario
L’ostruzione, causa del linfedema, viene causata da un’altra malattia, sovente si tratta di forme tumorali ma possono essere dovute a adenopatie, sindrome, postflebitica, linfangite. Il linfedema si manifesta soprattutto dopo il trattamento chirurgico di asportazione di linfonodi e/o la radioterapia effettuate per una malattia neoplastica. Nonostante il miglioramento delle tecniche chirurgiche, sempre meno invasive, e radioterapiche l’incidenza del linfedema rimane significativa: nelle persone operate per tumore al seno circa il 25% di coloro che hanno subito una asportazione dei linfonodi ascellari e anche il 5% di coloro che hanno subito l’asportazione del linfonodo sentinella, possono presentare un linfedema clinicamente rilevante negli anni successivi. Tale incidenza è addirittura superiore, intorno al 40%, delle persone sottoposte ad interventi di asportazione dei linfonodi inguinali, pelvici ed addominali come effettuato in caso di tumori in campo ginecologico e urinario. Queste percentuali aumentano significativamente se, oltre all’asportazione dei linfonodi, si rende necessario anche un trattamento radioterapico. La comparsa del linfedema è molto precoce solo in pochi casi mentre, solitamente, insorge nel corso dei primi 2-3 anni dalle cure chirurgiche; in diversi casi può comparire anche dopo molti anni dall’intervento. Il linfedema dell’arto superiore compare infatti nel 60% dei casi entro 2 anni dall’intervento e l’80% entro 5 anni, mentre il linfedema dell’arto inferiore compare nell’80% dei casi entro 1 anno dall’intervento. Il linfedema secondario, una volta instaurato, purtroppo non guarisce mai completamente, ma grazie ai trattamenti riabilitativi e/o farmacologici è possibile controllarne le dimensioni e i sintomi correlati (pesantezza, indolenzimento, fastidio).
Leggi anche: Linfodrenaggio manuale con metodo Vodder e Leduc: controindicazioni e tecniche
Sintomi e segni di linfedema
Fra i sintomi e i segni clinici si riscontrano dolore (da un leggero dolore quando la parte viene pizzicata ad un dolore più persistente), facile affaticamento degli arti interessati, diminuzione della normale mobilità di questi, vi possono essere anche disturbi psicologici per via del disagio subito. Viene impedito il segno di Stemmer, fra le complicanze si ritrova l’ipercheratosi. Esteticamente, a seconda della gravità fisica e congenita del soggetto colpito dalla patologia, si riscontrerà una maggiore o minore sproporzione tra la parte interessata ed il resto del corpo, mostrando le parti infiammate come tendenzialmente informi, facendole assomigliare ad un blocco unico con la progressiva scomparsa della loro naturale definizione. Quindi questa condizione medica coinvolge anche soggetti normopeso e non necessariamente obesi come si potrebbe supporre. A lungo andare, nel caso di mancate cure mediche e trattamenti adeguati, i tessuti tenderanno a fibrotizzarsi. Oltre all’edema cronico, il paziente affetto da linfedema può lamentare altri sintomi, come:
- ispessimento della pelle;
- pelle fragile, suscettibile alle infezioni;
- alterazione della cromia della pelle. Lungo l’arto colpito dal linfedema, non è raro osservare una variazione della cromia della cute: la pelle tende a scolorire e diviene lucida;
- difficoltà nel muovere o piegare l’arto colpito da linfedema;
- percezione costante di appesantimento e costrizione dell’arto affetto da linfedema (gambe pesanti e doloranti);
- prurito e tensione della pelle dell’arto coinvolto.
Diagnosi di linfedema
La diagnosi di linfedema si avvale di vari strumenti da associare all’esame obiettivo:
- linfografia: è una radiografia che si avvale di un mezzo di contrasto che viene iniettato nell’organismo per fornire indicazioni più precise, ma vi sono alcune limitazione dell’evento che favoriscono l’uso di altri esami;
- linfoscintigrafia: è probabilmente la migliore tecnica diagnostica per lo studio del linfedema. La rilevazione viene effettuata da gammacamera di albumina marcata con Tecnezio 99 e iniettata negli arti interessati a confronto.
- linfangioscopia: nella quale si controlla lo stato di diffusione di un determinato colorante precedentemente iniettato, dato che in caso di linfedema il colorante non segue il normale percorso di propagazione.
- Biopsia.
Per accertare un sospetto di linfedema, è possibile avvalersi anche di risonanza magnetica, TAC ed ecografia con colordoppler.
Leggi anche: Differenza tra pressoterapia e cavitazione: quale preferire?
Diagnosi differenziale
La diagnosi differenziale si pone con malattie che presentano simili sintomi e segni, come un flebedema, in cui vi è una consistenza molle, al contrario del linfedema che può presentarsi anche come molto compatto. Vi possono essere problemi di identificazione della patologia relativa soprattutto all’inizio dell’insorgenza dove le varie differenze sono molto lievi, ma generalmente nelle donne si tratta di linfedema, accompagnato da cellulite dovuta a questo ristagno. La diagnosi differenziale dev’essere posta con edemi dipendenti da:
- insufficienza cardiaca congestizia;
- insufficienza renale;
- insufficienza epatica.
Anche nelle patologie appena elencate l’edema costituisce un sintomo assai ricorrente; in simili circostanze, il ristagno di liquidi coinvolge entrambi gli arti, quando invece nel linfedema il gonfiore tende a colpire in prevalenza un singolo arto.
Terapia del linfedema
La terapia è basata sulla cura della patologia che ha determinato il linfedema: ad esempio, nel caso venga diagnosticata una linfangite batterica sottostante, occorre intraprendere una terapia antibiotica specifica, in altri casi si opterà per l’approccio chirurgico.
Il trattamento non chirurgico prevede:
- linfodrenaggio manuale;
- bendaggio elastocompressivo;
- pressoterapia;
- utilizzo di tutori elastici definitivi.
ATTENZIONE: la terapia decongestiva non dev’essere eseguita nei pazienti ipertesi, diabetici, affetti da paralisi, insufficienza cardiaca, infezioni acute della pelle, cancro o trombosi.
Come farmaci si usano:
- bioflavonoidi (che aumentano l’attività dei macrofagi);
- benzopironi (esempio la cumarina);
- corticosteroidi (che riescono a ridurre la proliferazione fibroplastica);
- antibiotici (utili soprattutto nella profilassi).
Come trattamento chirurgico si usa:
- microchirurgia derivativa o ricostruttiva;
- liposuzione.
Va tenuto a mente che curare il linfedema non significa guarirlo. Attualmente non esistono cure definitive; questo comporta il fatto che in casi non eccessivamente avanzati, in cui si ha un miglioramento complessivo della parte interessata, il soggetto necessiterà di una terapia di controllo per tutta la durata della sua vita, impedendo così al sintomo di ripresentarsi degenerando pericolosamente.
Terapia linfodrenante casalinga
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Dott. Emilio Alessio Loiacono
Medico Chirurgo
Direttore dello Staff di Medicina OnLine
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Aneurisma dell’aorta toracica: quando operare e complicanze
L’aneurisma dell’aorta toracica è una dilatazione patologica, permanente, del calibro del tratto toracico dell’aorta, la più grande e tra le più importanti arterie dell’organismo, al suo interno, infatti, scorre tutto il sangue che dal cuore – tramite la circolazione sistemica – giunge agli arti, al cervello ed agli organi contenuti nell’addome. La dilatazione permanente dell’aorta toracica è potenzialmente pericolosa: in presenza di elevata dilatazione e di molti fattori di rischio è preferibile intervenire chirurgicamente, scongiurando il rischio di pericolose rotture ed emorragie che in pochi minuti possono determinare la morte del paziente.
Aneurisma dell’aorta toracica: quando è meglio operarlo?
Non esiste un vero e proprio cut off che valga per tutti: uno stesso aneurisma di pari dimensioni può essere “da operare” in un soggetto giovane, ma non è operabile in un soggetto di 85 anni. Ogni caso deve essere valutato singolarmente e deve prendere in esame vari fattori come:
- rischio di rottura (il fattore più importante);
- vantaggi;
- svantaggi;
- età;
- presenza di sintomi;
- eventuali patologie concomitanti.
Rischio di rottura di un aneurisma dell’aorta toracica
All’aumentare della dimensione della dilatazione di un aneurisma, generalmente aumenta il rischio di sua rottura che è anche correlato a molti altri fattori, specie età del soggetto ed eventuali altre patologie. Sono più a rischio di rottura dell’aorta toracica gli individui:
- di sesso maschile;
- grandi fumatori;
- con diabete;
- che conducono vita sedentaria;
- con alimentazione sbilanciata ipercalorica ed iperlipidica;
- in sovrappeso o obesi;
- con aterosclerosi;
- che soffrono di vasculiti;
- con colesterolo elevato;
- che usano droghe;
- con ipertensione arteriosa;
- dai 60 anni in su;
- con una storia familiare di aneurisma dell’aorta addominale.
Quando operare: cosa dicono le Linee Guida
Il diametro medio di una aorta sana oscilla tra i 2 ed i 3,5 cm circa. Se il diametro dell’aorta toracica raggiunge e supera i 5 centimetri la chirurgia NON è generalmente rinviabile in quanto il pericolo di morte del paziente a seguito di emorragia diffusa è troppo alto. Si effettua quindi una operazione chirurgica, a meno che il rischio operatorio superi i vantaggi (ad esempio: un paziente molto anziano e debilitato).
Quale terapia nei casi di aneurisma toracico?
La soluzione terapeutica dell’aneurisma è quasi esclusivamente di tipo chirurgico. Se l’aorta presenta una dilatazione della porzione toracica (tratto ascendente, arco aortico e tratto toracico discendente), l’intervento è di competenza del cardiochirurgo. Tuttavia, nella terapia anche i farmaci rivestono un ruolo non secondario: ad iniziare da quello di abbassare la pressione arteriosa. Più nello specifico alcuni medicinali, detti Sartanici, sembrano agire direttamente sulle pareti del vaso sanguigno, rallentandone la dilatazione.
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In che modo si esegue l’intervento chirurgico?
dL’intervento fa parte dei trattamenti di chirurgia maggiore e si esegue in anestesia totale utilizzando il monitoraggio dei parametri vitali durante e dopo l’operazione.Nei casi di aneurisma dell’aorta ascendente e dell’arco aortico, il cardiochirugo prati-ca un’incisione centrale del torace attraverso lo sterno (sternotomia mediana verticale). L’apertura della cassa toracica consente di esporre tutto il cuore, l’aorta ascendente e parte dell’arco aortico (chirurgia tradizionale o a cielo aperto). La chirurgia dell’aneurisma ascendente può essere anche praticata “incidendo” solo la parte superiore dello sterno.Una volta messa in funzione la macchina cuore-polmone (CEC, circolazione extra-corporea), l’attività cardiaca viene – temporaneamente – bloccata facendo ricorso ad una specifica miscela di farmaci. La cardioplegia, questo il termine tecnico, è utilizzata a protezione del miocardio durante l’ischemia (assenza di afflusso sanguigno) derivante dal clampaggio (chiusura con pinza chirurgica apposita) dell’aorta ai fini dell’intervento. Completata la prima parte, si elimina la porzione di aorta dilatata (aneurisma) e si sostituisce il tratto malato con la cucitura di una protesi artificiale (protesi tubulare).
Aneurisma aorta ascendente ed insufficienza valvolare
In alcune situazioni, oltre all’aneurisma dell’aorta nel paziente può coesistere una grave insufficienza (incapacità a funzionare correttamente) della valvola aortica (la valvola che regola il flusso di sangue pompato dal cuore verso l’intero organismo). Il cardiochirurgo procede pertanto ad asportare anche la valvola deteriorata, impiantando un’altra protesi artificiale (una valvola meccanica o biologica a seconda della valutazione clinica) e reinnestando sulla precedente protesi tubulare le ar-terie coronarie (le arterie originanti dall’aorta) il cui compito è quello di ossige-nare il muscolo cardiaco. Ma vi è anche un’altra opzione, ovvero un intervento più “raffinato” – metodica Tirone David – per mezzo del quale la valvola aortica na-tiva (naturale) del paziente viene reimpiantata sulla protesi tubulare se e quando i lembi valvolari della stessa non siano di per sé già malati e compromessi in modo irreparabile. E’ però una procedura da affidare soltanto a mani molto esperte.Negli interventi sull’arco aortico occorre inoltre reimpiantare le arterie (i vasi epiaortici) che portano sangue al cervello e agli arti superiori. Alla circolazione extracorporea si affiancano dunque tecniche di ipotermia profonda e protezione cerebrale.
Aneurisma aorta toracica discendente
Per affrontare un aneurisma dell’aorta toracica discendente, il cardiochirurgo pratica invece un’incisione nella parte sinistra del torace (toracotomia laterale). Se l’aneurisma coinvolge pure l’aorta addominale, il taglio chirurgico sarà esteso all’addome tramite il diaframma. L’approccio è poi del tutto simile a quello descritto per l’aorta ascendente con la sostituzione del tratto di aorta malato per mezzo di una protesi artificiale tubulare. In seguito vengono reimpiantate le arterie che ossigenano il midollo spinale e, più in basso, le arterie dedicate all’apparato digerente e ai reni.
Chirurgia tradizionale o protesi endovascolare?
Gli aneurismi dell’aorta toracica discendente e, in casi selezionati, dell’arco aortico oggi possono essere trattati con un approccio meno invasivo per il paziente. Ciò gra-zie all’impiego di endoprotesi posizionate all’interno del lume arteriorso utilizzando metodiche che sfruttano gli accessi offerti dalla normale rete vascolare. Il dispositivo (catetere) contenente l’endoprotesi da applicare, è sottile e flessibile: viene inserito in un’arteria, in genere quella femorale, all’altezza dell’inguine e da qui fat-to risalire fino al punto desiderato. Il suo avanzamento è costantemente monitorato per mezzo di uno specifico sistema di imaging (controllo tramite immagini) molto avanzato. Raggiunta l’area da trattare, il catetere rilascia l’endoprotesi – che si espande in modo automatico – per poi essere recuperato seguendo lo stesso percor-so d’introduzione, ma in senso inverso. La protesi (TEVAR nel linguaggio medico), composta da un tubo di tessuto sintetico avvolto da una retina metallica, ha lo scopo di riparare/rinforzare l’aorta così da prevenire/scongiurare la rottura dell’aneurisma. Rispetto alla tecnica operatoria standard, l’impianto endoprotesico non necessi-ta d’incisione toracica (niente ferite, nessun sanguinamento, niente stress da trauma ortopedico); non richiede l’asportazione dei segmenti aortici compromessi; non ricorre alla circolazione extracorporea (CEC, macchina cuore-polmone); può essere eseguito in anestesia locale ed abbrevia la degenza ospedaliera.
Cosa succede se non ci si sottopone all’intervento?
Chi decide di non sottoporsi all’intervento per un aneurisma dell’aorta toracica e sceglie di proseguire con la sola terapia farmacologica (farmaci antipertensivi), deve sapere di andare incontro ad un rischio, molto elevato nel tempo, d’improvvisa rottura dello stesso e quindi a conseguenze probabilmente letali. Fermo restando le valutazioni di ordine clinico precedenti l’operazione e le condizioni generali del paziente, il successo del trattamento chirurgico sfiora il 100%.
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